IL PRETORE Letti gli atti, sciogliendo la riserva che precede, osserva: I. - La presente controversia e' stata introdotta con citazione notificata il 5 ottobre 1995. All'udienza di prima comparizione del 13 dicembre 1995 il giudicante, rilevato che la parte convenuta non si era costituita, ne dichiaro' la contumacia ed applicato l'art. 180, comma secondo c.p.c., fisso', sulla comparizione della sola attrice, l'udienza ex art. 183, concedendo al convenuto il termine per la deduzione delle eccezioni di merito e di rito in senso stretto. All'udienza ex art. 183 c.p.c. del 12 gennaio 1995 nessuno e' comparso ed il decidente si e' riservato, occorrendo stabilire se al processo fosse applicabile la norma dell'art. 309 c.p.c. con riferimento alla norma dell'art. 181 primo comma c.p.c. nel testo recentissimamente e del tutto inopinatamente novellato (o meglio, come si vedra', rinovellato) dall'art. 4, comma 1-bis del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, come modificato (o meglio aggiunto) dall'allegato approvato dall'art. 1 (ed unico) della legge di conversione di detto decreto, cioe' la legge 20 dicembre 1995, n. 534. Tale nuovo testo dell'art. 181 secondo comma c.p.c., che non ha fatto altro che ripristinare il vecchio testo modificato dalla sfortunata legge 26 novembre 1990 n. 353/1990, e' entrato in vigore a far tempo dal 21 dicembre 1995, giusta la disposizione generale dell'art. 15 comma quinto della legge 23 agosto 1988 n. 400. Non sembra dubbio che, alla stregua del c.d. principio tempus regit actum, la nuova norma (vecchia quanto al contenuto e' applicabile alla presente controversia, di modo che, di fronte alla mancata comparizione dell'unica parte costituita si dovrebbe, in forza del rinvio dell'art. 309 c.p.c. al primo comma dell'art. 181, fissare altra udienza, cui appunto rinviare la causa. In particolare, il testo dell'art. 181 primo comma nuovamente reintrodotto dispone che "se nessuna delle parti comparisce nella prima udienza, il giudice fissa una udienza successiva, di cui il cancelliere da' comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti comparisce alla nuova udienza, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dispone la cancellazione della causa dal ruolo". Tale testo, salva la sostituzione del riferimento al giudice istruttore del vecchio processo avanti al tribunale, del riferimento al "giudice" (imposto dalla scomparsa nel nuovo od ormai semivecchio?) rito processuale civile della figura del giudice istruttore, e' quello che nel nostro ordinamento venne introdotto dall'art. 15 della legge 14 luglio 1950 n. 581, cioe' dalla famosa (o forse famigerata, per chi abbia a cuore un modello processuale civile moderno) Novella del 1950. Per effetto del rinvio formale o ricettizio che sia) dell'art. 309 c.p.c. al primo comma dell'art. 181, la disciplina dell'assenza delle parti costituite in prima udienza, nel senso della previsione di un rinvio dell'udienza, e' ridiventata applicabile anche alle udienze successive all'udienza di prima comparizione. Per cui, il nostro processo civile ha tornato ad ispirarsi ad una regola in base alla quale e' consentito alle parti costituite, se sono d'accordo, ovvero all'unica parte costituita, di dilazionare lo svolgimento del procedimento senza palesare in alcun modo la ragione della dilazione e senza che al giudice sia consentito alcun potere di valutazione in ordine alla ragionevolezza della dilazione. Ritiene questo pretore che la reintroduzione di tale disciplina non sia conforme a Costituzione per le complessive ragioni che si verranno esponendo. II. - Prima di esporle appare opportuna una precisazione, che e' imposta dalla possibile singolarita' che potrebbe cogliersi nella prospettazione di una questione di costituzionalita' a soltanto un mese dall'approvazione di una legge da parte del Parlamento della Repubblica. La precisazione appare opportuna, in ragione della circostanza che la legge che si sospetta di costituzionalita' concerne una materia "tecnica", che di per se' non coinvolge immediatamente diritti fondamentali del cittadino, onde potrebbe sembrare che l'ipotizzata violazione della Costituzione meriti, per essere rilevata ch'abbia luogo un minimo rodaggio della legge, si che possa apparire sconsigliabile il rilievo immediato della questione di costituzionalita'. Senonche', ad escludere indugi nel formulare detto rilievo induce il modo in cui il Parlamento della Repubblica e' pervenuto alla reintroduzione della vecchia norma dell'art. 181: esso, sia detto senza che suoni come offesa alla sacrosante prerogative del Parlamento stesso, solleva perplessita' in ordine alla adeguatezza della preventiva ponderazione tecnica del ritorno all'antico, implicato dalla rinovellazione dell'art. 181 primo comma, la quale, come si vedra', non rivela alcuna coerenza e contraddice quanto ritenuto poco piu' di un anno addietro dall'Istituzione Parlamentare al termine di una lunga gestazione della riforma del processo civile. Sotto il primo aspetto, si deve osservare che soltanto poco piu' di un anno fa, il Parlamento, nel convertire in legge (con la legge 1 dicembre 1994 n. 673) il d-l. n. 7 ottobre 1994 n. 571 (cioe' l'ultimo di un serie di decreti legge decaduti che avevano procrastinato l'entrata in vigore della legge n. 353/90, recante un'organica riforma del processo civile preceduta da ampia discussione, di ben tre anni, pur essendo stata essa approvata dal precedente Parlamento con larghissimo consenso), non aveva reputato di arrecare alcuna modificazione all'art. 181 primo comma c.p.c. come novellato dall'art. 16 della legge n. 353/90, laddove aveva definitivamente disposto (sempre con largo consenso l'entrata in vigore della legge n. 353/90 al 30 aprile 1995. Si badi che quella norma era gia' in vigore per una serie di processi, cioe' per quelli iniziati dal 1 gennaio 1993. Infatti, la norma dell'art. 16 della legge n. 353/90 con cui era stato novellato l'art. 181 primo comma e di riflesso l'art. 309 c.p.c. era stata fatta entrare in vigore per quei processi dall'art. 92 primo comma, primo inciso della legge n. 353/90 come modificato dall'art. 2 comma quinto della legge 4 dicembre 1992 n. 477. Pertanto, la nuova norma nel suo "sconvolgente" contenuto di imporre la cancellazione della causa dal ruolo in difetto di comparizione delle parti costituite, nel dicembre 1994 aveva ormai avuto ben due anni di rodaggio, senza che alcuno le avesse attribuito effetti negativi, come emerge del fatto che nessuna agitazione del Foro la sua entrata in vigore aveva sollevato. E' da reputare, dunque, che il Parlamento della Repubblica, nel dicembre 1994, lasciando immutata l'innovazione operata dall'art. 18 della legge n. 353/90, la valuto' positivamente, tanto che la norma non fu tra quelle cui vennero apportate ritocchi o modifiche dalla legge n. 673/94. Vi e' di piu': sempre lo stesso Parlamento in carica ebbe modo di esprimere positiva valutazione circa la bonta' dell'innovazione arrecata dall'art. 16 legge n. 353/90 all'art. 181 primo comma e di riflesso all'art. 309, a seguito: a) del sopraggiungere prima del d.-l. 21 aprile 1995 n. 121, con cui il governo della Repubblica, approssimandosi la scadenza del 30 aprile 1995, di cui si e' detto sopra, ritenne di rovesciare la scelta che la legge n. 353/90 e la legge n. 477/92 avevano fatto per i processi pendenti prima del 1 gennaio 1993, cioe' quella dell'applicabilita' integrale delle norme del nuovo rito, disponendo, invece, che a detti processi continuassero a trovare applicazione le norme del vecchio rito, salvo alcune eccezioni, che vennero indicate nell'art. 90 primo e secondo comma della legge n. 353/90 novellato dall'art. 1 del d-l. n. 121/95). Tra tali eccezioni vi era l'art. 181 primo comma; b) dei successivi decreti-legge n. 238/95 e 347/95, i quali. oltre a riproporre le innovazioni al c.d. regime transitorio gia' contenute nel d.-l. n. 121/95, modificarono una serie di norme del c.p.c. appena entrate in vigore al 30 aprile 95, sconvolgendo l'assetto della riforma di cui alla legge n. 33/90. Invero, nei lavori parlamentari che si svolsero per la conversione di tali decreti non sembra, almeno per l'eco che se ne ebbe sulle cronache, che si fosse prospettata la opportunita' di un ritorno all'antico art. 181 primo comma. Si aggiunga che il suddetto ritorno all'antico non era certo sembrato una delle "bandiere" dell'agitazione del Foro che nei mesi fra l'aprile ed il luglio 1995 ebbe luogo contro la (ormai stagionata) legge n. 353/90, finalmente entrata in vigore per l'intero. E' sufficiene osservare che i dd.ll. n. 238/95 partoriti dal Governo sotto la spinta di quella agitazione e proprio tenendo conto delle sue proposte, non restaurarono il vecchio art. 181 primo comma c.p.c. Dunque, come sia potuto accadere che quello stesso Parlamento che solo nel dicembre 1994 aveva confermato la bonta' dell'innovazione dell'art. 181 primo comma abbia reputato di capovolgere quella scelta, resta inspiegabile e, pertanto, l'assenza di percezione di una immediata coerenza del capovolgimento, esclude che questo Pretore, in tempi in cui e' fisiologica l'instabilita' delle scelte legislative, possa avvertire alcuna remora nell'investire la Corte Costituzionale del controllo di legittimita' costituzionale, senza attendere un "minimo rodaggio" della scelta del legislatore. III. - Puo' passarsi a questo punto all'esposizione delle ragoni per cui si reputa che la restaurazione della vecchia norma dell'art. 181 primo comma e, di riflesso, della vecchia norma dell'art. 309 c.p.c., comporti una non manifestamente infondata questione di costituzionalita', che si solleva d'ufficio contro l'art. 181 primo comma c.p.c., come modificato dall'art. 1-bis del d.-l. n. 432/95 convertito in legge dalla legge 534/95, in quanto oggetto di rinvio da parte dell'art. 309 c.p.c. Va avvertito che le considerazioni sulla non manifesta infondatezza della sollevanda questione di costituzionalita' verranno svolte dal giudicante con riguardo diretto all'art. 309, ma di riflesso non potranno che involgee anche rilievi sull'art. 181 primo comma c.p.c. in riferimento al suo oggetto diretto di disciplina, cioe' la mancata comparizione delle parti all'udienza di prima comparizione di cui all'art. 180 c.p.c. Tali considerazioni si reputano opportune in vista dell'auspicio che la Corte, ove ritenga fondata la questione di costituzionalita' dell'art. 309, nell'esercizio dei suoi poteri ex art. 27 legge 9 febbraio 1948, reputi costituzionalmente illegittimo anche l'art. 181 primo comma c.p.c. Le norme costituzionali che il giudicante sospetta siano violate dalla restaurazione della vecchia norma dell'art. 309 c.p.c. e, quindi, della previsione che, in difetto di comparizione ad un'udienza successiva alla prima del processo civile, di entrambe le parti costituite o della sola parte costituita, impone al giudice di rinviare la causa ad altra udienza, sono le seguenti: aa) l'art. 97 primo comma; bb) l'art. 24 primo comma; cc) l'art. 3 secondo comma. IV. - Quanto alla violazione dell'art. 97 primo comma della Costituzione, osserva il giudicante che esso risulta violato nella parte in cui prevede che i pubblici uffici debbano essere organizzati secondo disposizioni di legge, le quali debbono assicurarne il buon andamento. E' appena il caso si avvertire che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ormai piu' volte affermato che la norme dell'art. 97 nella parte ora richiamata si applica anche all'amministrazione della giustizia: basti qui richiamare gli insegnamenti in tal senso somministrati dalla Corte nelle sentenze n. 86 del 1982, n. 270 del 1988, n. 18 del 1989, n. 140 del 1992. Nella sentenza n. 86 del 1982, la Corte, inaugurando questa interpretazione ebbe ad affermare che "sarebbe paradossale voler esentare l'organizzazione degli uffici giudiziari da ogni esigenza di buon andamento". Ora, potrebbe sembrare che l'invocazione della violazione dell'art. 97 primo comma a proposito di una norma del processo civile afferente al suo svolgimento, quale quella dell'art. 309, sia fuor di luogo, poiche' essa non e' una norme di contenuto direttamene afferente all'organizzazione degli uffici giudiziari, cioe' non e' una norma organizzatoria. Ma questo sarebbe il frutto di un un'impressione soltano seperficiale, che trascuri di considerare come, essendo il processo civile gestito dai soggetti dell'organizzazione giudiziaria (oltre che dai difensori, salvi i casi di difesa personale) ed essendo, quindi, l'espressione diretta od indiretta della loro attivita', non possa dubitarsi che un determinato modello processuale possa interagire sul modo di esplicazione di detta attivita', laddove, richiedendo l'esplicazione di determinate incombenze a quei soggetti e richiedendole in un certo modo e per certi fini, determini a livello generale un "risultato" dell'attivita' stessa tale da apparire non conforme al principio del buon andamento. In definitiva, sembra che il modello processuale scelto non resta indifferente al buon andamento degli uffici giudiziari, volta che si rifletta che esso e' rappresentato anche dalla possibilita' che quel modello, in quanto utilizzato e gestito dai pubblici uffici giudiziari possa servire in modo ottimale allo scopo di assicurare la tutela giurisdizionale civile. Sotto tale profilo, sembra al decidente indubbio che una norma come l'art. 309 sia idonea a ledere il principio di buon andamento con riguardo all'attivita' di tre del soggetti dell'organizzazione degli uffici giudiziari deputata all'amministrazione della giustizia civile. Tali soggetti sono in primo luogo il giudice in secondo luogo due suoi ausiliari, cioe' il cancelliere e l'ufficiale giudiziario. V. - Relativamente all'attivita' del giudice civile si deve osservare che una norma quale quella che gli impone di procedere, in caso di mancata competizione delle parti costituite ad un'udienza successiva alla prima, ad un rinvio del processo ad altra udienza, comporta che il giudice abbia programmato, nell'organizzare il suo lavoro, un'udienza "a vuoto" per quella controversia, con la conseguenza che lo spazio temporale che ad essa aveva destinato vada perduto e se ne debba occupare un altro con la fissazione per l'incombente gia' programmato, se ancora possibile (cosa che per l'assunzione della prove, ai sensi dell'art. 208 c.p.c. non sarebbe, o comunque per una nuova competizione delle parti in funzione dell'ulteriore impulso ancora possibile per il processo. Nella presente controversia era stata fissata udienza ex art. 183 c.p.c., cioe' un'udienza ad ora fissa, per lo svolgimento di una serie di attivita' tali da impegnare il lavoro del giudicante per un certo periodo di tempo, che, invece, non si e' utilizzato ed avrebbe potuto esserlo altrimenti per altra attivita' di servizio del giudicante, quale la trattazione di altra causa. Inoltre e' andato perduto il lavoro di preparazione dell'udienza svolto dal giudicante per procedere alle attivita' previste dall'art. 183, fra le quali rientra l'interrogatorio libero delle parti, l'indicazione alle parti delle questioni rilevabili d'ufficio di cui si reputa opportuna la trattazione, il rilievo della gran parte delle questioni di incompetenza. Ma conseguenze simili, cioe' di inutile dispendio di tempo di lavoro del giudice si possono avere in caso di mancata comparizione ad udienze successive alla udienza ex art. 183 c.p.c. Si pensi alla mancata competizione ad un'udienza ex art. 184 c.p.c. ovvero ad un'udienza di assunzione della prova. Anche in tali casi il giudice (che fa bene il suo lavoro studia e prepara la trattazione, per poi trovarsi all'udienza a non far nulla ed a dover rifissare altra udienza, avendo, dunque, sprecato una parte del suo "tempo di lavoro" inutilmente. Potrebbe, a questo punto pansarsi che la sostituzione della norma dell'art. 309 vecchio testo rediviva con quella che prevedeva la cancellazione della causa dal ruolo immediatamente (introdotta gia' dall'art. 16 legge n. 353/1990) non eliminerebbe gli inconvenienti segnalati cioe' l'esplicazione di lavoro inutile da parte del giudice. Senonche', si deve osservare che questa conclusione e' per un verso in se' inesatta, per altro verso non tiene conto degli effetti negativi sull'organizzazione del lavoro giudiziario cioe' del giudice che si verificano a seguito della rifissazione dell'udienza imposta dal denunciando testo dell'art. 309 e che, invece, a seguito dell'immediata cancellazione dal ruolo della causa in base al testo introdotto dall'art. 16 citato non potevano verificarsi. Quanto al primo aspetto, basti rilevare che un sistema che prevede l'immediata cancellazione della causa dal ruolo e l'uscita del processo dal circuito giudiziario delle pendenze civili, comporta che le parti non abbiano alcun interesse ad attenersi dal comparire per mere esigenze dilatorie e soprattutto che la mancata comparizione risponda ad un'esigenza, effettiva quale la definizione della controvesia in via sragiudiziale e non si fondi su un mero accordo dei difensori che non hanno tempo per trattare la causa o non l'abbiano ben studiata: ne consegue un'obbiettiva riduzione delle mancate comparizioni e, quindi, del segnalato lavorare "a vuoto" del giudice. In definitiva, le occasioni di mancata comparizione sarebbero grandemente ridotte. Al contrario, un sistema che consenta alle parti ed anche, sia detto fuor metafora e nella contemplazione di quanto accadeva nel vecchio rito processuale ed aveva fatto vituperare il vecchio art. 309 c.p.c., ai loro difensori, nell'ignoranza delle parti, di disporre senza alcuna conseguenza salvo il caso dell'art. 208 c.p.c. dei tempi del processo e moltiplica le occasioni di lavoro a vuoto del giudice. Quanto al secondo aspetto indicato poco sopra, si deve osservare che la rifissazione dell'udienza comporta che nella propria c.d "agenda" il giudice debba impegnare per l'attivita' programmata in relazione al suo carico di lavoro un'altra successiva udienza, con la conseguenza che questa successiva udienza non potra' essere destinata alla trattazione di un'altra causa, come sarebbe, invece, potuto accadere ove l'incombente fissato fosse stato espletato a seguito della comparizione ovvero fosse divenuto da no piu' espletare per effetto di un'immediata cancellazione dal ruolo. Se si pensa, poi, che il nuovo (o meglio il vecchio redivivo) art. 309 potra' trovare applicazione anche all'udienza in cui le parti debbono precisare le conclusioni e se si considera che tale udienza, nelle ipotesi di processo avanti al tribunale art. 189 e 190-bis c.p.c.) e di processo avanti al Pretore in cui si disponga la decisione a seguito di trattazione scritta (art. 314 c.p.c.) rappresenta il momento da cui decorreranno i termini per il deposito delle conclusionali e, poi, i termini per il deposito della sentenza, appare di tutta evidenza che, in ragione della necessaria programmazone dell'udienza de qua in funzione del numero di sentenze che secondo il suo carico di lavoro il giudice potra' prevedere di pronunciare, un rinvio ex art. 309 c.p.c. di detta udienza puo' arrecare notevoli effetti negativi all'organizzazione del lavoro del giudice. Questi aveva programmato l'udienza di precisazione delle conclusioni, ipotizzando di dover far fronte all'onere di depositare la motivazione, una volta concessi i termini per le conclusionali, entro un certo periodo di tempo. La mancata comparizione delle parti ed il rinvio dell'udienza sconvolgono tale previsione organizzativa del lavoro giudiziale, con effetti sul lavoro del giudice non solo relativo ad altre cause che avrebbero potuto trattarsi al posto di quella rinviata, evidentemente sempre per precisazione delle conclusioni, ma anche per gli effetti riflessi sul ruolo del giudice per le udienze successive. Non sembra, dunque, revocabile in dubbio che la norma che si censura offende il principo del buon andamento dell'organizzazione del lavoro del giudice, quale species del genus buon andamento degli uffici giudiziari. E, si badi, considerazioni non dissimili da quelle svolte valgono per la prima udienza di comparizione, si da involgere il medesimo dubbio di costituzionalita' fin qui prospettato: basti pensare che, pur essendo la prima udienza di comparizione fissata dall'attore salvo l'esercizio del potere del giudice di differirla ex art. 188-bis ult. comma, c.p.c. e, quindi, non essendo programmata secondo il suo carico di lavoro dal giudice, un suo rinvio ex primo comma dell'art. 181 (invece, della cancellazione immediata dal ruolo, prevista dal testo di questa norma novellato dall'art. 16 legge n. 353/90) comporta che il giudice, oltre alla perdita di tempo lavorativo verificatasi all'udienza, debba programmare le attivita' previste dall'art. 180 per altra udienza, a scapito della trattazione di altre cause. Che cio' collida con il buon andamento degli uffici giudiziari sembra piu' che manifesto. VI. - Ma tale buon andamento e' offeso anche nella species rappresentata dall'organizazione dell'attivita' del lavoro di quell'ausiliario essenziale del lavoro del giudice che e' il cancelliere, con il suo apparato di personale burocratico dipendente. Focalizzando l'attenzione sul presente processo, si deve osservare che l'applicazione della norma dell'art. 309 rediviva comporterebbe: aA) che il cancelliere dell'ufficio di questo pretore (che, naturalmente, lavora con un organico assolutamente inadeguato abbia lavorato "a vuoto", laddove ha predisposto il ruolo dell'udienza del 12 gennaio 1995 anche per l'udienza concernente la presente causa, nel senso che la sue attivita' appare funzionale al "nulla" di una mancata comparizione, non sanzionata dalla cancellazione e, quindi dall'eliminazione della pendenza della causa e, quindi, della fetta di lavoro ricollegata alla sua pendenza; bA) che il cancelliere debba lavorare per redigere la comunicazione dell'ordinanza di rifissazione dell'udienza e debba curare l'attivita' connessa alla richiesta all'ufficiale giudiziario di notificare la comunicazione; cA) che il cancelliere debba, poi, curare, prima della nuova udienza fissata ex art. 309, nuovamente le attivita' connesse alla preparazione del ruolo della nuova udienza, nonche' curare di inserire la relata della notificazione della comunicazione dell'ordinanza nel fascicolo; dA) che tutto questo implichi, inoltre, tutta una serie di operazioni materiali da parte degli ausiliari del cancelliere, non ultime le attivita' di ripescaggio del fascicolo nei consueti "faldoni" in cui viene custodito, con conseguente spreco di attivita' che ad altro potrebbe essere destinata. E' perfino superfuo rimarcare come simili incombenze sottraggano il cancelliere ed i suoi ausiliari allo svolgimento di altre attivita' o ne determinino il rallentamento, ancora una volta a causa della decisione delle parti che pur avendo deciso di adire la giurisdizione poi vogliano che essa si svolga con comodo. Come tutto cio' non sia per niente funzionale ad un buon andamento dell'organizzazione giudiziaria in persona dell'organo cancelliere non sembra meriti ulteriori dimostrazione. E' chiaro, inoltre, che quanto appena considerato vale allo stesso modo per le attivita' del cancelliere connesse alla prima udienza di comparizione, si da giustificare identico dubbio di costituzionalita' per la norma dell'art. 181 primo comma con riguardo all'oggetto diretto della sua disciplina, cioe' le conseguenze della mancata comparizione in prima udienza. VII. - Anche quanto al lavoro dell'ausiliario ufficiale giudiziaro e' evidente la lesione del principio del buon andamento, laddove alle numerose incombenze dello stesso, si viene ad aggiungere quella di notificare la comunicazione di cancelleria della pronuncia dell'ordinanza ex art. 309 c.p.c. Appare chiaro che il tempo all'uopo occorrente potrebbe essere destinato dall'ufficiale ad altre sue attivita', che ne vengono rallentate. Valutazioni identiche anche i tal caso possono farsi per le attivita' correlate all'applicazione dell'art. 181 primo comma in prima udienza. VIII. - In ordine alla non conformita' della norma all'art. 24 primo comma della Costituzione si osserva che, una volta che la garanzia del diritto di agire in giudizio per ottenere tutela dei propri diritti si interpreti nel senso che la legge processuale deve non solo garantire la possibilita' di agire, ma anche predisporre un modello processuale che garantisca una tutela effettiva e, quindi, in tempi ragionevoli, risulta di tutta evidenza che l'obbiettivo allungamento dei tempi processuali relativi ad altre controversie, diverse da quella in cui trovi applicazione la norma che si censura, discendente dalla circostanza che l'udienza in cui si verifica la mancata comparizione e quella di rinvio avrebbero potuto essere destinate alla loro trattazione, che, invece, ne sara' dilazionata, comporta che il modello processuale risultante dalla norma rediviva sia tale da ledere l'effettivita' della tutela giurisdizionale, laddove provoca un oggettivo allungamento dei tempi processuali con dispendio delle energie dei soggetti dell'organizzazione giudiziaria. In tempi in cui sono ricorrenti le condanne dello Stato italiano in sede europea per l'irragionevole durata del processo civile la lesione dell'art. 24 non potrebbe apparire piu' marcata. In altri termini, consentire alle parti di un determinato processo di dilazionare lo svolgimento processuale con conseguente alterazione della programazione del lavoro dei soggetti dell'organizzazione giudiziaria e ricadute sui tempi della trattazione di altre controversie di altri cittadini che accedono al servizio giustizia, si presenta lesivo del diritto di agire in giudizio, posto che incide su un elemento essenziale perche' quella garanzia sia effettiva e non formale, cioe' la rapidita' della risposta alla richiesta di tutela. Siffate valutazioni sono poi confermate dall'evidente connotazione di incoerenza che la reintroduzione di una norma quale il "vecchio" art. 309 c.p.c. assume in un processo, qual e' ancora quello nuovo, nonostante gli sconvolgimenti arrecati all'assetto originario della legge n. 353/90 dalla legge n. 534/95, imperniato su un regime di preclusioni sia all'onere di allegazione che all'onere di dedurre i mezzi di prova ed effettuare produzioni documentali, siccome emergente dagli artt. 183 e 184 nuovo testo c.p.c., nonche' sull'effettivita' del costante esercizio da parte del giudice dei poteri di direzione delle attivita' processuali. Consentire alle parti di disporre dei tempi del processo senza alcuna sanzione, salvo quella dell'art. 208 c.p.c., non risulta affatto in consonanza con il nuovo modello processuale, ma semmai con un modello processuale come quello del c.p.c. del 1865, nel quale le parti tramite i loro avvocati trattavano ampiamente la causa scambiandosi atti e difese e si rivolgevano al giudice per lo svolgimento di attivita' istruttoria effettiva o dell'attivita' decisoria. A ben vedere, inoltre, deve rimarcarsi che la lesione potenziale dell'art. 24, primo comma, in punto di effettivita' della tutela giurisdizionale civile, discende (non sembri questa una gratuita affermazione, posto che e' risaputo accadesse nella prassi forense dell'art. 309 dopo la sua introduzione da parte della novella del 1950: basta leggere la miriade di opere di processualcivilisti illustri che dopo la Novella del 1950 hanno evidenziato i danni da essa arrecati ed hanno fatto da volano per la sfortunata legge n. 353/90) dal fatto che spesso, con evidente malcostume, la mancata comparizione e' frutto della scelta dei difensori, d'accordo fra loro, di dilazionare il processo o perche' non sono pronti alla trattazione o perche' il carico di lavoro del loro studio lo consiglia. E' evidente come tutto cio' sarebbe funzionale alla garanzia del diritto d'azione, se essa si esplicasse in un processo come quello del c.p.c. del 1885, in cui il "contatto" con l'istituzione giudiziaria avvenisse quando necessario dopo ampia trattazione stragiudiziale della lite, ma non lo e' in un modello processuale in cui l'intervento dell'istituzione giudiziaria e' sollecitato dalla semplice citazione in giudizio. Ma una lesione della norma dell'art. 24, primo comma, della Cost. intesa come garanzia dell'effettivita' della tutela giurisdizionale si coglie, da parte della reintroduzione della norme dell'art. 309 vecchia maniera anche sotto altro profilo. Posto, infatti, che l'aministrazione giudiziaria civile "costa" e tale costo e' supportato da apposito capitolo del bilancio dello Stato e non certo dai soli introiti delle iscrizioni a ruolo e della tassa di bollo, appare chiaro che il "costo" del servizio giustizia per tutte le operazioni implicate da una disciplina come quella della norma denuncianda (attivita' compiute a vuoto dagli organi di detta amministrazione, costo del lavoro del personale addetto, attivita' connesse alla comunicazione e notificazione dell'ordinanza, per cui gli ufficiali giudiziari hanno diritto alla c.d. trasferta o ad una remunerazione a carico dell'erario, attivita' successive correlate alla nuova udienza), si risolve nella sottrazione di risorse finanziarie che potrebbero essere destinate ad una migliore gestione del servizio della giustizia e che non sono certo a carico esclusivo delle parti della causa che decidono di non comparire, ma a carico di tutti i contribuenti. Si deve ancora aggiungere che, pur ponendosi nell'ottica delle parti che facciano ricorso alla disciplina dell'art. 309 c.p.c. qui' denunciata in base ad una volonta' consapevole e presumibilmente al bisogno di far decantare la controversia in vista di una possibile conciliazione, un simile interesse ben puo' essere assicurato dalla comparizione avanti al giudice e dalla richiesta, dopo il concreto esperimento del tentativo di conciliazione nel quale le parti palesino la volonta' di raggiungere la conciliazione, di un rinvio in funzione del perfezionamento della conciliazione, sia all'udienza ex art. 183 c.p.c., che in un'udienza successiva. Onde, una norma quale quella all'esame non puo' sembrare funzionale alla garanzia del diritto di difesa delle parti che vi vogliano far ricorso. Anche con riguardo all'udienza di prima comparizione, la circostanza che il termine di comparizione sia stato elevato a sessanta giorni, unita al fatto che alla scadenza del termine per la costituzione del convenuto sono ormai ricollegate minime decadenze (si veda il nuovo art. 167 e lo si legga in unione al comma secondo dell'art. 180), si deve sottolineare che non potrebbe ipotizzarsi che una disciplina come quella dell'art. 181, primo comma, sia funzionale al diritto delle parti di gestire l'invocata tutela giurisdizionale, determinandone una dilazione per, ad esempio, condurre trattative. Le parti all'uopo possono sfruttare sia il lungo termine di comparizione, sia il fatto che sostanzialmente le difese sono rinviate all'udienza ex art. 183. La riprova di quanto affermato, cioe' che una disciplina come quella dell'art. 181, primo comma, sia per la prima udienza che per quelle successive, non e' funzionale al diritto di difesa delle stesse parti che ne vogliano beneficiare (nel senso che esso per tali parti e' garantito anche se essa manchi) si ha nel fatto che - non e' dato sapere quanto consapevolmente - lo stesso legislatore della legge n. 534/95 ha conservato, per i processi pendenti al 30 aprile 1995, l'applicablita' della norma dell'art. 309 nel testo gia' novellato dall'art. 16 legge n. 353/90. Basta leggere l'art. 90 legge n. 353/90 come novelato dall'art. 9 del d-l. n. 432/95, convertito senza modificazioni sul punto dalla legge n. 534/95, per convincersene. In particolare, per i processi iniziati dal 1 gennaio 1993 la norma dell'art. 16 era gia' vigente ex art. 92, primo comma, primo inciso, legge n. 353/90, come modificato dall'art. 2, comma quinto, della legge n. 477/92 e tale ultima disposizione rientra tra quelle integranti per detti processi la disciplina vigente anteriormenta al 30 aprile 1995, cui allude l'art. 90, primo comma. Per i processi pendenti al 1 gennaio 1993 l'applicazone dell'art. 181, primo comma, nel testo novellato dall'art. 16 legge 353/90 e' stata disposta dal secondo comma dell'art. 90 novellato come sopra. Ora, se una disciplina come quella della cancellazione immediata dal ruolo in difetto di comparizione e' stata ritenuta adeguata a processi come quelli pendenti al 30 aprile 1995, caratterizzati da una quasi totale assenza di preclusioni (discendente dall'applicazione in proposito del vecchio rito) e dalla passivita' del giudice (se non altro consolidata in quasi cinquanta anni di prassi applicativa della disciplina processuale introdotta dalla Novella del 1950, a maggior ragione lo e' per il nuovo rito processuale. Semmai tale dato rivela il carattere non ponderato e non rispondente a ragionevolezza della inopinata restaurazione del "vecchio" art. 309 c.p.c. Ancora: le parti che volessero una dilazione del processo hanno comunque un mezzo per ottenerla. Si tratta della c.d. sospensione concordata del processo, disciplinata dall'art. 296 c.p.c. Tale mezzo non comporta ne' inconvenienti al principio di buon andamento degli uffici giudiziari, ne' costi a carico dell'erario. IX. - In ordine alla lesione dell'art. 3, comma secondo, della Costituzione, si osserva che essa discende dal fatto che una disciplina come quella dell'art. 181, secondo comma, c.p.c, laddove comporta che i soggetti dell'istituzione giudiziaria lavorino "a vuoto" con spreco del denaro pubblico (cioe' dei contribuenti) che serve per il lavoro e le attivita' in questione, nonche' l'addebito all'erario del costo delle attivita' connesse alla notificazione dell'ordinanza di rinvio, ha l'effetto di sottrarre risorse finanziarie che potrebbero essere destinate dallo Stato repubblicano al perseguimento dei fini di cui all'art. 3, secondo comma citato. In tempi in cui si propugna una riduzione della spesa pubblica cio' non puo' che apparire un'assurdita'. X. - Si impone, dunque, alla stregua delle complessive considerazioni svolte, il rilievo della questione di costituzionalita' dell'art. 309 c.p.c. nel testo risultante di riflesso per la novellazione dell'art. 181, primo comma, c.p.c., operata dall'art. 4 comma 1-bis del d.-l. n. 432/95, convertito nella legge n. 534/95. Tale testo, non sembra conforme alla Costituzione laddove prevede che, in caso di mancata competizione delle parti costituite o della sola parte costituita, il giudice debba rifissare altra udienza, di cui il cancelliere deve dare comunicazione alle parti costituite e, quindi, solo in tale nuova udienza disporre, sempre in difetto di competizione, la cancellazione della causa dal ruolo, invece di prevedere che la mancata comparizione comporti immediatamente la cancellazione della causa dal ruolo, come aveva fatto l'art. 309 c.p.c. nel testo novellato di riflesso dalla modifica del primo comma dell'art. 181 operata dall'art. 16 legge n. 353/90, in vigore tuttora per i giudizi pendenti al 30 aprile 1995. Ove la Corte dovesse reputare fondata di riflesso, cose sembra al decidente, anche la questione di costituzionalita' dell'art. 181, primo comma, c.p.c., cioe' la disciplina per cui la mancata comparizione in prima udienza comporta la fissazione di una nuova udienza, tale comma potrebbe essere riscritto in maniera analoga a come suonava nel testo novellato dall'art. 16 legge n. 353/90, con mera sopressione delle parole da "fissa una udienza" a "il giudice". In ordine alla rilevanza della questione nel presente giudizio, si osserva che essa e' manifesta, poiche' il giudicante dovrebbe necessariamente provvedere ad applicare la norma denunciata come incostituzionale e fissare una nuova udienza, anziche' disporre l'immediata cancellazione della causa dal ruolo, come dovrebbe essere secondo la disciplina che si reputa conforme alla Costituzione.