IL PRETORE
   Visti:
    il  ricorso  e  le  difese  svolte  dal  difensore  della societa'
 resistente nel verbale d'udienza;
    l'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300;
    l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
    l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
    gli artt. 3, 24, primo comma, 25, secondo comma,  101,  102,  104,
 111, 134 e 137 della Costituzione.
   Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di
 rimessione  alla  Corte  costituzionale  di questioni di legittimita'
 costituzionale, rilevate d'ufficio, nel procedimento ex art. 28 della
 legge n. 300/1970,  promosso da FIOM - CGIL, di Brescia,  in  persona
 del  segretario generale Maurizio Zipponi, elettivamente  domiciliata
 in Brescia presso gli avv.ti Mario  Berruti  e  Pierlugi  Gerardi,  i
 quali la rappresentano e difendono  in forza di procura a margine del
 ricorso,  ricorrente, contro Ghio s.p.a. con sede in Gussago (BS), in
 persona  del procuratore speciale Rocco Pezzella (come da procura  in
 atti), elettivamente domiciliata in Brescia, presso l'avv. Pelizzoni,
 il  quale  la  rappresenta  e  difende in forza di mandato in data 18
 giugno 1996 depositato agli  atti, convenuta.
   Nel presente procedimento ex  art.  28  della  legge  n.  300/1970,
 introdotto  con  ricorso  depositato in cancelleria in data 17 giugno
 1996, la ricorrente organizzazione sindacale ha espresso le  seguenti
 (testuali)  conclusioni:  previa tutte le declaratorie del caso; ogni
 contraria istanza ed eccezione respinta; voglia il pretore G.d.l.:
                               Nel merito
    Dichiarare antisindacale il comportamento posto  in  essere  dalla
 convenuta  descritto  in ricorso, consistito nell'aver discriminato i
 lavoratori scioperanti a mezzo dell'avviso 28 giugno  1996;  di  aver
 altresi'  condizionato  la  propria  disponibilita' a discutere con i
 lavoratori a patto che non fossero presenti funzionari del Sindacato;
 di  aver  infine  minacciato  il  mancato  pagamento  di   emolumenti
 economici nel caso perdurasse l'agitazione sindacale;
    Ordinare alla convenuta di immediatamente cessare il comportamento
 dichiarato  antisindacale  e  pertanto  ordinare  alla  convenuta  di
 concedere ai lavoratori scioperanti l'uso del mezzo aziendale come da
 prassi, di accettare la presenza di  funzionari  del  Sindacato  alle
 trattative,  di  corrispondere  tutti gli emolumenti economici dovuti
 anche ai lavoratori scioperanti;
    Inibire alla convenuta di reiterare  il  comportamento  dichiarato
 antisindacale;
    Ordinare  alla  convenuta di affiggere copia dell'emanando decreto
 per una volta, e a spese della convenuta, sui quotidiani "Il Giornale
 di Brescia", "Bresciaoggi nuovo", "La Repubblica".
   A seguito della convocazione-notifica a mezzo telefax del 18 giugno
 1996, la societa' convenuta, costituitasi all'udienza del  successivo
 giorno  19,  ha  contestato  il  ricorso, sostenendo, in primo luogo,
 l'assenza  di  antisindacalita'  nei  comportamenti  denunciati   dal
 sindacato   e,  in  secondo  luogo,  la  mancanza  dei  requisiti  di
 immediatezza delle lesioni lamentate, per  effetto  della  cessazione
 della  conflittualita'  e  del ripristino delle condizioni originarie
 del rapporto, sia da parte dei prestatori, sia da parte del datore di
 lavoro.
   In sede di sommarie informazioni e' emerso che l'ultimo sciopero e'
 stato attuato in data 13 giugno 1996, mentre  dal  successivo  giorno
 17,  di  fatto,  la  societa'  datrice  di  lavoro ha ripristinato il
 sistema precedente l'inizio delle agitazioni, con la riserva,  pero',
 di  ridar  vita  agli  ordini  di  servizio di cui agli avvisi del 28
 maggio 1996 e 7 giugno 1996 (in atti).
   Da parte sindacale si e' chiarito che, benche' non siano stati gia'
 programmati altri scioperi, lo stato di agitazione non e' cessato.
   Il procedimento,  avendo  avuto  esito  negativo  il  tentativo  di
 raggiungere  la  conciliazione  della controversia, che ha portato al
 rinvio all'odierna udienza, e' maturato per la decisione, ma  nessuna
 pronuncia   puo'   essere  emessa,  perche'  devono  essere  rilevate
 d'ufficio  varie  questioni  di   legittimita'   costituzionale   non
 manifestamente infondate e rilevanti ai fini del decidere.
   Poiche'  non  e' nelle intenzioni di questo pretore rendere noto il
 proprio convincimento, ne' anticipare  la  decisione  -  e  per  tali
 ragioni  risulta  superfluo  riferire  altri  elementi  del  presente
 procedimento in questa sede  -  e'  chiaro  che  la  rilevanza  delle
 questioni  di  costituzionalita'  non puo' essere definita essenziale
 con   riferimento   ad   una   specifica    pronuncia,    riducendosi
 l'essenzialita'  della  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale (anche per la loro stessa natura, come si vedra')  nel
 presente   giudizio   alla   sola  potenzialita'  di  determinare,  o
 semplicemente influenzare, la decisione.
   Poiche'  sono  di  varia  natura  le  questioni   di   legittimita'
 costituizionale da sollevare d'ufficio, una attinente l'art. 28 della
 legge n. 300 del 1970 e altre concernenti l'art. 23 della legge n. 87
 del  1953,  la  presente  ordinanza deve essere distinta in due parti
 specifiche,  cosi'  da  consentire  la  migliore  esposizione   degli
 argomenti da sviluppare.
                              PRIMA PARTE
 La  questione  di  legittimita'  costituzionale  attinente l'art. 28,
    secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato
    dalla legge 8 novembre 1988, n. 847, per violazione degli artt. 3,
    24, comma 1 e 25, comma 2, della Costituzione.
   Dubita  questo  pretore della legittimita' costituzionale dell'art.
 28, secondo comma, della legge n. 300 del 1970, poiche' la  negazione
 della possibilita' della revoca dell'efficacia esecutiva del decreto,
 emesso  ai  sensi  dell'art.  28,  in sede di opposizione e sino alla
 sentenza che definisce  il  giudizio  di  opposizione,  determina  il
 permanere della vigenza di una norma penale - costituita, quanto alla
 sanzione, dall'art. 650 c.p. e, quanto al fatto penalmente rilevante,
 dalla  violazione  delle  prescrizioni  del decreto, apppunto oggetto
 dell'opposizione -, anche se sottoposta a giudizio  di  fondatezza  e
 legittimita', con conseguente sua incertezza.
   L'espressa  negazione  della revocabilita' dell'efficacia esecutiva
 del decreto, a seguito  di  opposizione,  viola  l'art.  25,  secondo
 comma,  della Costituzione, poiche' consente ad una norma penale, non
 piu' certa, di esplicare i suoi  effetti  in  modo  ultrattivo  anche
 nella fase di accertamento della stessa sua legittimita'.
   E', inoltre, irrazionale ed irragionevole, con violazione dell'art.
 3   della  Costituzione,  al  contrario,  la  mancata  previsione  di
 un'automatico effetto sospensivo dell'opposizione sull'efficacia  del
 decreto,  dalla data dell'opposizione medesima, sino all'eccertamento
 definitivo con sentenza passata in giudicato  sulla  sussistenza  del
 comportamento   antisindacale   e,  dunque,  sulla  legittimita'  del
 precetto penale costituito dal quarto comma dell'art. 28 della  legge
 n.  300,  norma  penale  in bianco, riempita di contenuto dall'ordine
 diretto al datore di lavoro  di  cessare  il  comportamento  ritenuto
 antisindacale  e  dalle    prescrizioni  dirette alla rimozione degli
 effetti.
   La minaccia della sanzione penale a carico del datore di lavoro  si
 pone  come  illegittima,  in  presenza del divieto di sospensione del
 decreto, anche per  il  suo  effetto  dissuasivo  dall'esercizio  del
 diritto  a proporre opposizione (con lesione, dunque, anche dell'art.
 24,  primo  comma,  della  Costituzione),  essendo  il  giudizio   di
 opposizione
  ragolato  dalle  norme  ordinarie  del codice di procedura civile e,
 dunque, soggetto ai tempi normali del processo del lavoro, tempi che,
 per quanto rapidi,  risultano,  comunque,  immensamente  piu'  lunghi
 rispetto  a  quelli,  se  non istantanei, quanto meno rapidissimi (di
 certo i piu' rapidi previsti nel nostro  ordinamento  giuridico)  del
 procedimento ex art. 28.
   Vi  e',  invero,  il  concreto  rischio  che nessun reale vantaggio
 sostanziale possa attingere il  datore  di  lavoro  dal  giudizio  di
 opposizione,   dopo  aver  dato  piena  e  assoluta  esecuzione  alle
 disposizioni  del  decreto,  poiche',   in   caso   di   accoglimento
 dell'opposizione, la conseguente revoca, o modifica del decreto sara'
 sempre tardiva e inidonea a ripristinare la lesione subita dal datore
 di lavoro.
   Le  norme  penali  non  possono  esplicare i loro effetti se non e'
 certa la loro definitivita' e legittimita' e nessun diritto sindacale
 puo' aver tanto forte tutela da determinare anche la  minima  lesione
 al  diritto del datore di lavoro di avere certezza sulla legittimita'
 della sanzione penale che incombe su di lui.
   Risulta sussistente, in relazione alla quiestione  di  legittimita'
 costituzionale  appena  prospettata,  non solo il requisito della non
 manifesta infondatezza, ma anche quello della rilevanza essenziale ai
 fini del decidere, poiche' l'esistenza del disposto del secondo comma
 dell'art. 28 della legge n. 300/1970 (imputato  d'incostituzionalita'
 per   le   ragioni   sopra   esposte)   preclude   a  questo  giudice
 (nell'eventualita'  di  una   decisione   favorevole   al   sindacato
 ricorrente)  di  emettere delle statuizioni che andranno a costituire
 il contenuto precettivo di una norma penale,  di  vigenza  ultrattiva
 anche   in   presenza  di  opposizione  finalizzata  all'accertamento
 dell'insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto del  decreto
 ex   art.   28,   poiche'  il  medesimo  provvedimento  costituirebbe
 violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, norma che
 questo pretore non intende violare.
                             SECONDA PARTE
 Le questioni di legittimita' costituzionale  relative  all'art.    23
    della legge 11 marzo 1953, n. 87
   Le  questioni  che  ora vengono in esame devono essere sollevate in
 via diretta ed autonoma, ma  anche  in  via  preliminare  rispetto  a
 quella  appena  sopra  rilevata: in via preliminare, qualora la Corte
 costituzionale non ne ritenesse  sussistente  la  rilevanza  ai  fini
 della  decisione  del presente procedimento; in via diretta, perche',
 per quanto il discorso possa apparire forzato, esse sono rilevanti in
 qualsiasi giudizio, in quanto  relative  alla  stessa  rilevabilita',
 d'ufficio  o  su  istanza  di  parte, delle questioni di legittimita'
 costituzionale.
   A1) In relazione  alla  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  23,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ove
 prevede che "il giudizio non possa essere definito  indipendentemente
 dalla  risoluzione  della questione di legittimita' costituzionale" e
 limitamente a tale parte, per violazione dell'art. 134, nonche' degli
 artt. 101, 104, primo comma, e 111 della Costituzione.
   L'art. 134, per quanto qui  interessa,  dispone  testualmente:  "La
 Corte   costituzionale  giudica:  sulle  controversie  relative  alla
 legittimita' costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di
 legge, dello Stato e delle Regioni".
   L'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.  1,  emessa
 in  attuazione dell'art. 137, primo comma, della Costituzione recita:
 "La questione di legittimita' costituzionale di una  legge  o  di  un
 atto  avente  forza  di  legge della repubblica, rilevata d'ufficio o
 sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e ritenuta  dal
 giudice   non   manifestamente   infondata,  e'  rimessa  alla  Corte
 costituzionale per la sua decisione".
   A fronte di tali norme costituzionali, l'art.  23,  secondo  comma,
 della legge 11 marzo 1952, n. 87, invece, cosi' dispone: "L'autorita'
 giurisdizionale,  qualora  il  giudizio  non  possa  essere  definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale   e   non  ritenga  che  la  questione  sollevata  sia
 manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale,  riferiti  i
 termini  ed  i  motivi  dell'istanza  con  la  quale  fu sollevata la
 questione, dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso".
   Il  ben  diverso  contenuto sostanziale del secondo comma dell'art.
 23, contrastante con le disposizioni dell'art. 134 della Costituzione
 e dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948, risalta evidente:
 la previsione della necessita' che  "il  giudizio  non  possa  essere
 definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
 legittimita' costituzionale" al fine di  introdurre  il  giudizio  di
 costituzionalita'  dinanzi  al  Giudice  delle leggi non trova minimo
 riscontro a livello di normativa costituzionale.
   Non  solo:  appare anche chiaro, tanto da risultare quasi superfluo
 parlarne, che quella previsione dell'art. 23, ben individuata  sopra,
 riduce  enormemente  la  possibilita'  di attivare il controllo della
 Corte sulla legittimita' costituzionale "delle leggi  e  degli  atti,
 aventi  forza di legge, dello Stato", poiche' impone che la rilevanza
 della questione di costituzionalita' sia tale da comportare  da  sola
 la  definizione  del  giudizio,  rendendo  in tal modo irrilevanti e,
 percio',   inammissibili   tutte   le   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  l'oggetto  delle  quali  sia  solo  concorrente nella
 decisione della causa.
   Viene cosi' incatenato il controllo della  costituzionalita'  delle
 leggi  e  degli  atti  normativi  di  pari  forza  e  contestualmente
 mortificata la garanzia costituzionale  di  tale  controllo,  svilito
 nell'attuale  realta'  a  strumento  di tutela di interessi puramente
 privati (di singoli o di collettivita', come gia' si e' avuto modo di
 rilevare), mentre la sua ragion d'essere risponde  al  ben  superiore
 interesse  di mantenere la normativa all'interno dei principi e delle
 norme costituzionali, restando  irrilevante,  o  solo  eventuale,  la
 contestuale soddisfazione di aspettative particolari.
   In  forza delle considerazioni che precedeno, appare consequenziale
 riconoscere che, nel sistema vigente della legislazione ordinaria  in
 relazione  alle  norme  della  Legge Fondamentale della Repubblica in
 tema di garanzie costituzionali, sussistono troppi vincoli alla piena
 attuazione  dei  principi  costituzionali  e  cio'  con   particolare
 riferimento  alla possibilita' di accesso al giudizio di legittimita'
 costituzionale, tanto da rendere possibile la permanenza nel  diritto
 positivo  di  numerose  norme  contrarie alla Costituzione, senza che
 queste possano trovare controllo e verifica  di  legittimita',  posto
 che  la  struttura procedimentale che consente di giungere dinanzi al
 Giudice delle leggi e' eccessivamente limitativa.
   Non e' certo nella competenza di questo giudice,  ne'  del  Giudice
 delle  leggi,  la ricerca delle soluzioni normative necessarie per la
 realizzazione  della  Costituzione,   ma   la   constatazione   della
 difficolta'  di accesso al giudizio dinanzi alla Corte costituzionale
 doveva qui  essere  chiaramente  manifestata,  non  soltanto  perche'
 direttamente  attinente  la  questione di legittimita' costituzionale
 ora prospettata, ma anche perche' non puo' negarsi che numerose norme
 della legge n. 87/1953, e non il  solo  secondo  comma  dell'art.  23
 nella  parte  specifica  sopra  individuata, violano l'art. 134 della
 Costituzione,  riducendo  a  minimi  livelli  la   possibilita'   del
 controllo  di  conformita'  delle  leggi e degli atti aventi forza di
 legge, mentre il sistema costituzionale nasce con un  impianto  assai
 vasto,  che  appare,  comunque, illecitamente compresso e mortificato
 dalla legge ordinaria, e non solo  nella  sostanza,  ma  anche  nella
 forma  normativa  utilizzata, come risultera' piu' che evidente nello
 sviluppo della successiva questione sub A2.
   Prima di passare oltre, pero', deve essere chiarito ancora in quali
 termini si ritengono violati gli artt. 101 e 104  della  Costituzione
 dall'art.  23 della legge n. 87/1953, nella parte in cui dispone che,
 per  potersi  procedre  alla  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
 costituzionale,    "il    giudizio    non   possa   essere   definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale".
   La  disposizione  contestata  e' illegittima, poiche' determina una
 riduzione e compressione dell'autonomia ed indipendenza del  giudice,
 impedendogli  di valutare tutte le possibili soluzioni giuridiche per
 la decisione dei processi, causando grave  danno  all'amministrazione
 della   giustizia,  poiche'  (essendo  precluso  alle  questioni  non
 essenziali l'accesso al giudizio di costituzionalita')  sottrae  alla
 motivazione  (art.  111  della  Costituzione)  delle  sentenzeragioni
 ulteriori di potenziale accoglimento o  rigetto  della  domanda  (per
 quanto  concernente  in  particolare  le  controversie  nella materia
 demandata alla competenza di questo pretore), idonee a  rendere  piu'
 "resistente"  la  motivazione e non e' superfluo qui ricordare che il
 bene giuridico della certezza del diritto si fonda anche sulla  forza
 di resistenza delle pronuncie giurisdizionali nei successivi gradi di
 giudizio.
   A2)  In  relazione  alla  questione  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, nelle  parti
 che  stabiliscono condizioni e forme di proponibilita' dei giudizi di
 legittimita' costituzionale, per palese violazione della  riserva  di
 legge  costituzionale  prevista  dal  primo comma dell'art. 137 della
 Costituzione.
   La riserva di legge imposta dal primo comma dell'art.  137,  viene,
 per  quanto qui interessa, cosi' formulata: "Una legge costituzionale
 stabilisce le condizioni, le forme, i termini di  proponibilita'  dei
 giudizi  di  legittimita'  costituzionale":  la  materia  e', dunque,
 riservata a legge costituzionale e non ordinaria.
   Ed invero sono state approvate e promulgate le leggi costituzionali
 9 febbraio 1948, n. 1 e 11 marzo 1953, n. 1 delle quali la  prima  e'
 pienamente  conforme  al  dettato  costituzionale,  tant'e'  vero che
 all'art.  1  la  legge  costituzionale  n.  1/1948  prevede  che  "La
 questione  di  legittimita'  costituzionale di una legge o di un atto
 avente forza di legge, rilevata d'ufficio o sollevata  da  una  delle
 parti   nel   corso   del   giudizio   e  non  ritenuta  del  giudice
 manifestamente infondata, e' rimessa alla Corte costituzionale per la
 sua decisione", mentre l'art. 1 della legge costituzionale n.  1/1953
 lascia  perplessi,  poiche'  non si limita ad affermare che "La Corte
 costituzionale esercita le sue funzioni nelle forme e  nei  limiti  e
 alle   condizioni  di  cui  alla  Corte  costituzionale,  alla  legge
 costituzionale 9  febbraio  1948,  n.  1"  ma  aggiunge  un  richiamo
 generico  e generale anche "alla legge ordinaria emanata per la prima
 attuazione delle predette norme costituzionali", con buona  pace  per
 la  riserva  di legge costituzionale espressamente disposta nell'art.
 137, terzo comma,  della  Costituzione,  tanto  che,  se  si  divesse
 giungere a ritenere richiamato anche l'art. 23 della legge n. 87/1953
 (ma  questo  giudice deve recisamente negare la validita' di una tale
 ipotesi), allora anche lo stesso art. 1 della legge costituzionale n.
 1 del 1953 sarebbe  imputabile  di  violazione  dell'art.  137  della
 Costituzione.
   E'  palese ed indubbio (nonostante l'ambiguita', per il suo eccesso
 di  genericita'  dell'errato  ed  infelice  riferimento  alla   legge
 ordinaria appena rilevato) che il sistema costituzionale del giudizio
 di  legittimita'  delle  norme  di legge e degli atti aventi forza di
 legge,  pur  stabilendo  il  chiaro  limite   della   non   manifesta
 infondatezza  (l'esame della quale e' di prioritaria, quanto meno, se
 non anche esclusiva,  competenza  dell'Autorita'  giuridiaria)  delle
 questioni   di   legittimita'   costituzionale,  quale  barriera  per
 l'eccesso al giudizio  dinanzi  alla  Corte  costituzionale,  non  ha
 istituito  quegli altri, diversi e assai piu' stringenti, confini che
 risultano, invece, nella legge ordinaria.
   E' allora certo che tutte le  disposizioni  della  legge  ordinaria
 (normale  legge  ordinaria,  priva di qualsivoglia abnorme ed atipico
 carattere di  super  resistenza  nel  rapporto  con  le  norme  della
 Costituzione)  11  marzo  1953, n. 87 che regolano "le condizioni, le
 forme, i  termini  di  proponibilita'  dei  giudizi  di  legittimita'
 costituzionale" in modo difforme dal sistema costituzionale che si e'
 sopra  individuato  sono  illegittime  nella  stessa  fonte  e  forma
 legislativa che le pone  (per  quanto  espressamente  riguardante  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  ora discussa) per palese
 violazione dell'art. 137, primo comma, della Costituzione.
   Cosi' risulta illegittimo, in particolare, l'art. 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87, al quale solo si vuole  limitare  la  trattazione,
 restando,  comunque  ed  ovviamente,  integro  il potere della Corte,
 nell'ipotesi di accoglimento della presente questione, di decidere se
 sussistano gli estremi  per  procedere  all'applicazione  dell'ultima
 parte dell'art. 27 della medesima legge.
    L'art.  23  della  legge 11 marzo 1953, n. 87, cosi' dispone: "Nel
 corso di un giudizio dinanzi ad una autorita'    giurisdizionale  una
 delle  parti  o  il pubblico ministero possono sollevare questione di
 legittimita' costituzionale mediante apposita instanza, indicando:
     a) le disposizioni della legge o dell'atto avente forza di  legge
 dello   Stato   o   di   una  Regione,  viziate  da    illegittimita'
 costituzionale;
     b)   le   disposizioni   della   Costituzione   o   delle   leggi
 costituzionali che si assumono violate.
   L'autorita'  giurisdizionale,  qualora il giudizio non possa essere
 definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale e non ritenga che la questione sollevata
 sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti
 i termini ed i motivi dell'istanza  con  la  quale  fu  sollevata  la
 questione,  dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti alla Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso.
   La questione di legittimita' costituzionale puo' essere  sollevata,
 di  ufficio,  dall'autorita' giurisdizionale davanti alla quale verte
 il giudizio con ordinanza contenente  le  indicazioni  previste  alle
 lettere  a)  e  b)  del primo comma e le disposizioni di cui al comma
 precedente.
   L'autorita' giurisdizionale ordina che  a  cura  della  cancelleria
 l'ordinanza  di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia
 notificata, quando non ne sia data lettura nel pubblico dibattimento,
 alle parti in causa ed al pubblico ministero quando il suo intervento
 sia obbligatorio, nonche' al presidente del Consiglio dei Ministri od
 al presidente della Giunta regionale a seconda che sia  in  questione
 una  legge  o  un  atto  avente  forza  di legge dello Stato o di una
 Regione.   L'ordinanza viene  comunicata  dal  cancelliere  anche  ai
 presidenti  delle  due  Camere  del  Parlamento  e  al presidente del
 Consiglio regionale interessato".
   L'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n.  87  e'  nel  suo
 complesso illegittimo, per la violazione del tutto evidente dell'art.
 137,  primo comma, della Carta costituzionale, con la sola esclusione
 delle seguenti specifiche parti, nelle quali nulla dispone in  ordine
 alle  condizioni e forme di accesso al giudizio dinanzi alla Corte, o
 si limita a ribadire immutato quanto gia' previsto dalla normativa di
 livello costituzionale:
     "Nel  corso   di   un   giudizio   dinanzi   ad   una   autorita'
 giurisdizionale  una  delle  parti  o  il  pubblico ministero possono
 sollevare questione di legittimita' costituzionale" ...  "L'autorita'
 giurisdizionale, qualora" ... "non ritenga che la questione sollevata
 sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti
 i  termini  ed  i  motivi  dell'istanza  con la quale fu sollevata la
 questione, dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale"  ...    "La  questione di legittimita' costituzionale
 puo' essere sollevata,  di  ufficio,  dall'autorita'  giurisdizionale
 davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza" ...
   In  tute  le  restanti  parti  l'art.  23 della legge n. 87/1953 e'
 radicalmente viziato da illegittimita' costituzionale   e non  vi  e'
 nulla  da  aggiungere  sulla questione ora discussa, poiche' sorretta
 dalla pura constatazione di una realta' evidente.
   Non sembra necessaria una motivazione ulteriore sulla fondatezza  e
 sulla  rilevanza delle questioni sopra trattate, stanti gli argomenti
 sviluppati   in   relazione   ai   precisi   riferimenti    normativi
 costituzionali  indicati  sui  singoli temi, di certo sufficienti per
 escludere,  quanto  meno  ed  e'   cio'   solo   che   ha   riscontro
 costituzionale,   la   manifesta  infondatezza  di  tutti  i  rilievi
 d'incostituzionalita' ampiamente discussi.
   In  dipendenza  delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale
 rimesse  all'esame  della  Corte costituzionale, il presente giudizio
 pretorile deve essere sospeso, ai sensi dell'art. 23 della  legge  11
 marzo  1953,  n.  87,  tuttora  vigente,  pur  se  anch'esso imputato
 d'incostituzionalita'.