LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Plateo
 Massimo, quale legale rappresentante della s.r.l. Metalsa,  con  sede
 in  Milano,  avverso la ordinanza emessa il 7 aprile 1994 dalla corte
 di appello di Milano, quale giudice della esecuzione;
   Sentita la relazione svolta dal Consigliere Pierluigi Onorato;
   Lette  le  conclusioni  del  pubblico  ministero,  in  persona  del
 sostituto    procuratore    generale   Iannelli,   che   ha   chiesto
 l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata;
                             O s s e r v a
                        Svolgimento del processo
   Con sentenza del 4 marzo 1994 il  tribunale  di  Milano  condannava
 Gaetano  Lo  Presti e altri per contrabbando continuato, ordinando la
 confisca di merce varia,  tra  cui  una  partita  di  kg  205.885  di
 alluminio giacente presso la s.r.l. Metalsa. Il tribunale accertava -
 per  quel  che  qui  interessa  -  che la societa' C.C.R.O. (definita
 "societa' cartiera") aveva importato dall'estero merci  in  esenzione
 temporanea   da   i.v.a.   in  quanto  ufficialmente  destinate  alla
 riesportazione; ma che tale  merce  era  stata  immessa  nel  mercato
 interno,  e  piu'  esattamente rivenduta a una c.d. "societa' filtro"
 (la IDF Italia), la quale aveva "ripulito" la  merce  per  rivenderla
 poi  a  terzi, nella specie alla s.r.l. Metalsa. Di alcune partite di
 alluminio acquistate in tal modo dalla societa'  Metalsa  intorno  al
 giugno  1991  e  sequestrate  dalla  Guardia  di  finanza  presso  la
 medesima, il tribunale disponeva appunto la confisca.
   Il legale rappresentante della Metalsa, essendo rimasto estraneo al
 processo penale, con incidente di esecuzione  proposto  davanti  alla
 corte  di  appello  di  Milano,  avanzava istanza per la revoca della
 confisca. In particolare, chiedeva in via principale la  restituzione
 di  tutte  le  partite  di  alluminio  sequestrate presso i magazzini
 sociali, sostenendo che erano  state  regolarmente  acquistate  senza
 poter  addebitare all'acquirente alcun difetto di vigilanza in ordine
 alla illecita importazione (sicche' secondo l'art.  301  t.u.l.d.  23
 gennaio  1973  n. 43, cosi' come novellato dalla sentenza della Corte
 cost. 9 gennaio 1974 n. 229, non potevano essere confiscate). In  via
 subordinata  chiedeva  la restituzione delle partite di alluminio che
 erano risultate di provenienza comunitaria e come tali esulavano  dal
 contestato  reato  di  contrabbando,  secondo  la stessa sentenza del
 tribunale.
   La  corte  d'appello  adita,  con  ordinanza  del  7  aprile  1995,
 respingeva  la  domanda principale, osservando che la citata sentenza
 della Corte costituzionale, dichiarando la  illegittimita'  dell'art.
 301  d.P.R.    n.  43/1973  "nella parte in cui, quanto alle cose che
 servirono o  furono  destinate  a  commettere  il  reato,  impone  la
 confisca  anche  nella  ipotesi di appartenenza a persona estranea al
 reato alle quali non sia imputabile un difetto di vigilanza", non  ha
 inciso sulla confisca delle cose che sono l'oggetto, il prodotto o il
 profitto del reato di contrabbando, la quale va sempre disposta anche
 se le cose appartengono a terzi estranei.
   Accoglieva  invece  la  domanda  subordinata,  giacche'  la  stessa
 sentenza del tribunale limitava la confisca alla merce  importata  da
 paesi  extracomunitari;  per  conseguenza  revocava la confisca di kg
 72.783 di alluminio, che risultavano di provenienza francese,  mentre
 confermava  la  confisca  del  restante quantitativo di kg 133.102 di
 alluminio, di provenienza austriaca (su un totale di  kg  205.885  di
 alluminio sequestrato presso i magazzini della Metalsa).
   Avverso  l'ordinanza  ha  proposto  ricorso  l'amministratore unico
 della s.r.l Metalsa, deducendo  erronea  applicazione  dell'art.  301
 t.u.l.d., come novellato dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991 n.
 413,  e  in  subordine  eccependo la incostituzionalita' della stessa
 norma.
   In particolare: il ricorrente sostiene che  tutta  l'argomentazione
 della  sentenza  n.  229/1974  della  Corte cost. fa riferimento alla
 confisca di ogni cosa appartenente a terzi estranei al reato,  quindi
 non solo delle cose necessarie o utili alla commissione del reato (di
 cui  si  era  discusso davanti al giudice remittente), ma anche delle
 cose che ne sono l'oggetto, il prodotto o il profitto. Sicche' in tal
 senso deve interpretarsi la norma di cui all'art. 301.
   Se poi si volesse sostenere una interpretazione diversa, che  cioe'
 consentisse  la  confisca delle cose oggetto, prodotto o profitto del
 reato appartenenti a terzi estranei  al  reato  medesimo,  anche  non
 colpevoli  di  difetto  di vigilanza, tale interpretazione sarebbe in
 contrasto con l'art. 3, primo comma, con l'art. 27,  primo  comma,  e
 con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
                         Motivi della decisione
   Il  ricorso  e'  infondato  laddove  deduce erronea interpretazione
 dell'art. 301 d.P.R. n.  43/1973,  ma  deve  essere  accolto  laddove
 solleva questione di costituzionalita' della stessa norma, cosi' come
 e' stata interpretata dalla corte d'appello milanese.
   1.  -  Preliminarmente  va precisato che per effetto della norma di
 cui all'art.  200,  prima  parte,  c.p.,  richiamata  dall'art.  236,
 secondo  comma,  c.p.,  le  misure  di  sicurezza  patrimoniale, e in
 ispecie la confisca, sono regolate dalla legge  in  vigore  al  tempo
 della  loro  applicazione  e,  se diversa, da quella vigente al tempo
 della esecuzione.    E'  appena  il  caso  di  notare  che  la  Corte
 costituzionale,   proprio   in   materia  di  confisca,  ha  ritenuto
 manifestamente infondata la questione di  costituzionalita'  di  tale
 norma,  nella  considerazione che essa non sia una norma retroattiva,
 "attesa la correlazione  delle  misure  alla  pericolosita',  che  e'
 situazione,  per  sua  natura,  attuale" (sent.   392 del 12 novembre
 1987).
   Ne consegue che alla fattispecie de qua va applicato l'art. 301 del
 23 gennaio 1973 n. 43, nel testo  novellato  dall'art.  11  legge  30
 dicembre  1991  n.  413.  Come  e'  noto,  questo testo, formulato in
 conseguenza delle sentenze n. 229/1974, n. 259/1976 e n. 2/1987 della
 Corte costituzionale, cosi' recita  nella  parte  che  qui  interessa
 (primo, secondo e terzo comma):
   "Nei casi di contrabbando e' sempre ordinata la confisca delle cose
 che  servirono  o furono destinate a commettere il reato e delle cose
 che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto.
   Sono in ogni caso soggetti  a  confisca  i  mezzi  di  trasporto  a
 chiunque appartenenti che risultino adatti allo stivaggio fraudolento
 di  merci  ovvero  contengano  accorgimenti  idonei  a maggiorarne la
 capacita'   di   carico   o   l'autonomia   in   difformita'    dalle
 caratteristiche  costruttive  omologate  o  che  siano  impiegati  in
 violazione alle norme concernenti la circolazione o la navigazione  e
 la sicurezza in mare.
   Si  applicano le disposizioni dell'art. 240 del codice penale se si
 tratta di mezzo di trasporto appartenente a persona estranea al reato
 qualora questa dimostri di non  averne  potuto  prevedere  l'illecito
 impiego  anche  occasionale  e di non essere incorsa in un difetto di
 vigilanza".
   Com'e' evidente, in  materia  di  contrabbando  il  legislatore  ha
 disciplinato   in   modo   piu'   incisivo  le  misure  di  sicurezza
 patrimoniale, rendendo obbligatoria - in deroga all'art.  240,  primo
 comma,  c.p.  - la confisca delle cose che servono o sono destinate a
 commettere il reato o delle cose che ne sono l'oggetto, il prodotto o
 il profitto. Inoltre ha disposto la confisca obbligatoria  dei  mezzi
 di  trasporto oggettivamente predisposti all'occultamento della merce
 per facilitare l'esercizio del contrabbando: in tal caso, se il mezzo
 di trasporto  appartiene  a  persona  estranea  al  reato,  e  questa
 dimostri  che  il mezzo e' stato usato senza sua volonta' e senza sua
 colpa, si applica il n. 2 dell'art.  240 c.p., cioe' la  confisca  e'
 disposta   solo   se   il   mezzo   di  trasporto  puo'  considerarsi
 intrinsecamene  criminoso.
   2. - E'  altrettanto  noto  che  le  citate  sentenze  della  Corte
 costituzionale,   alle  quali  il  legislatore  del  1991  ha  inteso
 adeguarsi, hanno dichiarato illegittima la norma dell'art. 116  legge
 doganale  n.  1424/1940  e  quindi  quella  dell'art. 301 della legge
 doganale n. 43/1973 (che ha sostituita la prima) nella parte  in  cui
 prevedevano  la  confisca  delle  cose che servono o sono destinate a
 commettere il contrabbando (sent. n. 229/1974) o delle  cose  che  ne
 sono  l'oggetto  (sent.  n.    259/1976  e  n.  2/1987), anche quando
 appartengono a terzi estranei al reato che non  siano  imputabili  di
 difetto  di  vigilanza.  In  tal  caso  infatti le norme risultano in
 contrasto con il principio di uguaglianza formale davanti alla  legge
 (n.   229/1974)   e/o   con  quello  del  carattere  personale  della
 responsabilita' penale (nn. 259/1976 e 2/1987).
   Nell'ultima sentenza il giudice delle leggi ha anche  precisato  ed
 esplicitato il principio generale che sottende tutte le sue decisioni
 in  materia:  cioe' il principio secondo cui "se possono esservi cose
 il cui possesso puo' configurare una illiceita' obbiettiva  in  senso
 assoluto, la quale prescinde dal rapporto col soggetto che ne dispone
 e legittimamente debbono essere confiscate presso chiunque le detenga
 (art.  240  c.p.),  in  ogni altro caso l'art. 27, primo comma, Cost.
 non puo' consentire che si proceda a confisca di  cose  pertinenti  a
 reato,  ove  chi  ne  sia  proprietario al momento in cui la confisca
 debba essere disposta non sia l'autore  del  reato  o  non  ne  abbia
 tratto in alcun modo profitto". In tal caso, infatti, il proprietario
 della  cosa  sottoposta  a  confisca  obbligatoria  estraneo al reato
 finisce col  subire  a  titolo  meramente  oggettivo  le  conseguenze
 patrimoniali di un illecito penale commesso da altri.
   3.  -  Orbene, dalla semplice lettura del nuovo testo dell'art. 301
 appare evidente che il  legislatore  ha  seguito  solo  in  parte  il
 dettato  del  giudice  delle  leggi.  Si  e'  conformato al principio
 costituzionale di cui al primo  comma  dell'art.  27  Cost.  solo  in
 ordine  alla  confisca  dei  mezzi  di trasporto, che e' generalmente
 possibile a carico di terzi proprietari estranei  al  reato  solo  se
 questi non dimostrano che il mezzo e' stato utilizzato contro la loro
 volonta' (secondo e terzo comma).
   Non  si  e' pero' conformato allo stesso principio nel disciplinare
 in via generale la confisca delle cose che servono o sono destinate a
 commettere il contrabbando ovvero delle cose che ne  sono  l'oggetto,
 il  prodotto  o  il  profitto  (primo  comma). In tal caso infatti la
 confisca resta obbligatoria anche  se  la  cosa  appartiene  a  terzi
 estranei  al reato, indipendentemente dalla loro coscienza e volonta'
 e dalla loro diligenza.
   Ne'  -  contrariamente  a  quanto  sostiene  in  principaliter   il
 ricorrente  -  e'  possibile  una  interpretazione  adeguatrice della
 norma, giacche' questa andrebbe contro il significato letterale delle
 parole e contro il canone ermeneutico vigente in materia  penale  ubi
 lex voluit dixit (terzo comma) ubi noluit non dixit (primo comma).
   Se   ne   deve   concludere  che  il  nuovo  testo  dell'art.  301,
 limitatamente al primo comma, appare in contrasto sia  col  carattere
 personale  della  responsabilita'  penale  di  cui  all'art. 27 Cost.
 (perche' rende obbligatoria a titolo di responsabilita' oggettiva  la
 confisca  di  cose  appartenenti  a  terzi,  non imputabili neppure a
 titolo di colpa), sia col principio di uguaglianza di cui all'art.  3
 Cost.  (perche'  discrimina  irragionevolmente  tra terzi estranei al
 contrabbando, che siano proprietari di mezzi di trasporto  usati  per
 il  reato, e terzi estranei al contrabbando, che siano proprietari di
 altre cose usate per il reato o di cose oggetto del contrabbando).
   4. - La  questione  di  costituzionalita'  cosi'  sollevata  appare
 rilevante nella fattispecie di causa, giacche', ove fosse accolta nel
 senso  gia'  delineato  dal  giudice  delle  leggi in ordine al testo
 precedente dell'art. 301, il ricorrente potrebbe evitare la  confisca
 dimostrando  di  aver acquistato in assoluta buona fede le partite di
 alluminio poi sequestrate. In caso contrario, cioe' nella vigenza del
 testo normativo attuale, la confisca sarebbe inevitabile.