LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di Carlino Giuseppe, nato a Cittanova il 19 giugno 1938, residente in Biella, via Carso n. 18/4 (avv. P. Chiorino) del foro di Biella. A seguito di denuncia sporta da un dipendente della pretura di Biella che segnalava l'indebita attribuzione di compensi per lavoro straordinario prestato in occasione delle consultazioni elettorali politiche dell'aprlle 1992, nonche' il fatto che il canceliere dirigente del tribunale si fosse avvalso, senza alcuna autorizzazione, per coordinare i lavori di segreteria dell'ufficio elettorale circoscrizionale, dell'ausilio dell'ex direttore di cancelleria, in quiescenza dal gennaio 1992, la procura della Repubblica presso i tribunale di Biella avviava indagini preliminari che portavano ad accertare come, effettivamente, sulla base dei prospetti di richiesta di liquidazione, predisposti dal presidente del tribunale di Biella in quanto indotto in errore dal Carlino Giuseppe, cancelliere, dirigente presso detto tribunale, fosse stato riconosciuto ed attribuito a buona parte del personale degli uffici giudiziari ed in particolare allo stesso Carlino Giuseppe, un compenso per lavoro straordiario c.d. "elettorale", non corrispondente ed eccessivo rispetto alle ore effettivamente destinate alla attivita' lavorativa e comunque, a quelle risultanti dalle annotazioni sugli appositi fogli presenza del personale. Si accertava altresi' che il Carlino si era avvalso, indebitamente, per il coordinamento dell'attivita' dell'ufficio elettorale circoscrizionale, dell'aiuto dell'ex direttore di cancelleria in quiescenza da qualche mese, compensandolo con la somma di L. 1.200.000 attinta dal compenso corrisposto, ad esso Carlino ed ad altro impiegato di cancelieria, dalla Corte d'appello di Torino a titolo di retribuzione del lavoro straordinario svolto in quella occasione. Sulla base ed in relazione ai fatti ed alle risultanze anzidetti il p.m. chiedeva rinviarsi a giudizio il Carlino Giuseppe quale imputato del reato di abuso in atti d'ufficio ai sensi dell'art. 323, comma secondo, c.p. (capo A), del reato continuato di falso per induzione, ai sensi degli art. 81, 48, 479 c.p. (capo B) e del reato continuato di truffa, ai sensi degli art. 81, 640 c.p. (capo C). Ad esito di udienza preliminare, il presso il g.u.p. presso il trinunale di Biella pronunciava sentenza 16 novembre 1994, depositata in data 21 novembre 1994 (con trasmissione di copia, in pari data, al p.m. in sede ) con la quale dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato, con riferimento a tutti i capi di imputazione, perche' il fatto non costituisce reato. Avverso tale sentenza il p.m. proponeva ricorso per, cassazione, ai sensi dell'art. 428, comma quarto, c.p.p., con dichiarazione in data 14 dicembre 1994 con la quale, denunciando l'erronea applicazione della legge penale nonche' il vizio, risultante dal testo del provvedimento impugnato, di mancanza ed illogicita' della motivazione, chiedeva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Con ordinanza 1 febbraio 1996 la Corte suprema di cassazione - sez. V - rilevato che l'impugnazione del p.m. doveva ricondursi alla generale previsione del c.d. ricorso per saltum di che all'art. 569 c.p.p. e che pertanto - atteso il dedotto vizio di carenza ed illogicita di motivazione - il terzo comma del predetto art. 569 c.p.p. imponeva la conversione in appello del ricorso de quo, dichiarava il ricorso del p.m. di Biella convertito in appello e ordinava la trasmissione degli atti a questa Corte d'apppello. All'odierna udienza in camera di consiglio, il difensore dell'imputato ha preliminarmente percepito la tardivita' del gravame del p.m. chiedendo dichiararsene l'inammissibilita; ha concluso chiedendo comunque la conferma dell'impugnata sentenza. Il p.g. ha chiesto rimettersi gli atti alla Corte costituzionale per il controllo di legittimita' costituzionale in relazione agli artt. 3 e 112 della Costituzione e cio' anche in considerazione della pendenza di identica questione sollevata da altra sezione di questa Corte; in subordine ha chiesto emettersi il decreto disponente il rinvio a giudizio dell'imputato. Ad esito dell'odierno giudizio in camera di consiglio, questa Corte osserva quanto segue. Non v'e' dubbio che l'impugnazione - sotto forma di ricorso poi dichiarato convertito in appello con l'ordinanza 1 febbraio 1996 - viene proposta dal p.m., cosi' come riconosciuto anche dal p.g. d'udienza, oltre il quindicesimo giorno di cui all'art. 585, primo comma, lett. a) c.p.p. essendo stata la sentenza, emessa a seguito di procedimento camerale, depositata e comunicata dal p.m. in data 21 novembre 1994 ed essendo stata l'impugnazione proposta in data 14 dicembre 1994. Orbene, a seguito degli interventi delle sezioni unite della Corte di cassazione in tema di appello avverso sentenze emesse a seguito di giudizio "abbreviato" (cas. pen. sez. un. 15 dicembre 1992) puo' considerarsi ius receptum che il termine per proporre il predetto appello sia quello di giorni trenta o giorni quarantacinque a seconda che ricorrano i casi di cui alle lett. b) o c) di primo comma art. 585 c.p.p.; per le altre procedure camerali, compresa quella prevista per l'udienza preliminare, il termine di impugnazione risulta sempre ancorato al termine di giorni quindici di cui alla lett. A dell'art. 585, primo comma c.p.p. Tale piu' breve termine rispondeva originariamente a indubbi criteri di ragionevolezza in relazione alla presunta semplicita' di procedimenti in camera di consiglio attesa la non-complessita' del relativo thema decidendum. Peraltro con la sopprressione del requisito "evidenza", introdotta al testo dell'art. 425 c.p.p., e' derivato che il giudice ha acquisito la possibilita' di giungere a soluzioni assolutorie anche sulla base di argomentazioni complesse che, a suo giudizio, valgono a sorreggere il convincimento che il fatto "non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato ...". Conseguentemente anche l'eventuale impugnazione del p.m. potrebbe comportare una altrettanto complessa attivita' argomentativa, da ritenersi del tutto incompatibile col breve termine riconosciutogli per la proposizione dell'appello (fra l'altro in contrasto con l'eventuale termine riservatosi dal giudice per il deposito della complessa motivazione della sentenza). Nella sua attuale formulazione l'art. 585, lett. a), c.p.p. non distingue le procedure camerali semplici da quelle complesse e per tutte stabilisce inopportunamente il breve termine di impugnazione di quindici giorni. Inoltre si realizza una "disparita' di trattamento" fra le sentenze emesse con giudizio abbreviato, per le quali la Corte di cassazione ha giustamente ancorato il termine di impugnazione a quello delle sentenze dibattimentali, e le sentenze di non luogo a procedere emesse con procedura cameraleall'udienza preliminare e con motivazione depositata successivamente, cosi' come nel caso di specie. Sotto quest'ultimo profilo verrebbero disciplinate diversamente fattispecie sostanzialmente uguali il che conferma i forti dubbi di costituizionalita' dell'art. 585, lett. a), c.p.p. gia' da altre parti manifestati. Piu' precisamente si osserva che il criterio seguito dal legislatore in tema di impugnazione fa riferimento alla maggiore o minore complessita' dell'atto soggetto ad impugnazione. Cio' si evince anche dal fatto che anche una sentenza dibattimentale puo' essere impugnabile nel breve termine di soli quindici giorni quando tale sentenza e' considerata priva di particolare complessita', cosi' da giustificarsi una sommaria motivazione della stessa, contestualmente alla lettura in udienza del dispositivo (art. 544, primo comma, c.p.p.). A tale mancanza di particolare complessita', viene dunque a corrispondere, nel sistema delineato dal legislatore, un termine di impugnazione particolarmente breve. Alla stessa stregua era considerata la sentenza di cui all'art. 425 c.p.p. proprio perche', essendo richiesta la evidenza della non-colpevolezza dell'imputato, la dimostrazione di questo giudizio non poteva richiedere motivazioni complesse o particolarmente articolate. Non cosi' dopo la riforma dell'art. 425 che escludendo il requisito della "evidenza" rende possibili (ed anche frequenti) sentenze di non luogo a procedere particolarmente complesse e tali da richiedere un lungo termine per la redazione della motivazione ed il deposito. La lettura coordinata degli artt. 544 e 585 rende evidente come il criterio fatto proprio dal legislatore per la determinazione del termine di impugnazione sia fondato sulla distinzione fra procedimenti "semplici" e facilmente motivabili e provvedimenti di complessa motivazione. Dopo la modifica introdotta nell'art. 425 c.p.p., una coerente disciplina delle impugnazioni delle sentenze di non luogo a procedere postulerebbe che anche tali sentenze possano essere impugnate in trenta o quarantacinque giorni (e non solo in quindici) a seconda che i motivi dell'assoluzione siano contestabili alla pronuncia o depositati entro quindici giorni o depositati entro il piu' ampio termine indicato dal giudice. Attualmente cosi' non e' essendo la sentenza di cui all'art. 425 considerata, sempre e comunque (e quindi spesso in contrasto con la realta'), un provvedimento "semplice". Sotto tale profilo, il vizio di disparita' di trattamento (art. 3 della Costituzione) di fattispecie analoghe, se non uguali, appare fondato ed in tal senso la questione va rimessa alla Corte costituzionale. Si osserva inoltre che qualora il titolare dell'azione penale si veda costretto a motivare la propria impugnazione in termini brevissimi, anche in presenza di questioni di particolare complessita' richiedenti articolate ed approfondite argomentazioni anche nell'ambito della proposizione dell'appello, l'esercizio dell'appello medesimo verrebbe ad essere compresso in modo tale da risultare compresso lo stesso potere-dovere di esercizio dell'azione penale il che appare in aperto contrasto con il principio costituzionale (art. 112 Costituzione) dell'obbligatorieta' dell'azione penale. Anche sotto questo profilo la questione merita di essere rimessa alla Corte costituzionale. Evidente e' infine la rilevanza della questione in quanto, ove venisse dichiarata illegittimita' costituzionale dell'art. 585, primo comma lett. a) c.p.p., l'appello del p.m., allo stato inammissibile per tardivita' risulterebbe tempestivo in quanto proposto entro il termine (trenta giorni) di cui alla lett. b) primo comma art. 585 c.p.p.