ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della
 legge 23  ottobre  1960,  n.  1369  (Divieto  di  intermediazione  ed
 interposizione   nelle  prestazioni  di  lavoro  e  nuova  disciplina
 dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere  e  di  servizi),
 promosso con ordinanza emessa il 2 ottobre 1995 dal pretore di Latina
 nel  procedimento  penale  a carico di Corsi Bruno Giordano ed altri,
 iscritta al n. 280 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  14, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 dicembre 1996 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Ritenuto che il pretore di Latina, con ordinanza in data 2  ottobre
 1995,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale degli
 artt. 1 e 2  della  legge  23  ottobre  1960,  n.  1369  (Divieto  di
 intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova
 disciplina  dell'impiego  di mano d'opera negli appalti di opere e di
 servizi), nella parte in cui,  prevedendo  "una  sanzione  pecuniaria
 fissa",  non  determinerebbero  "se  la  misura della pena sia quella
 minima o massima", rendendo impossibile  individuare  la  pena  sulla
 quale  operare i calcoli ex art. 162 del codice penale, per ammettere
 gli imputati alla oblazione:
     che,  ad  avviso  del  remittente,  le   disposizioni   censurate
 violerebbero   l'art.   27   (rectius:   25,   secondo  comma)  della
 Costituzione, essendo in contrasto  con  "il  principio  di  certezza
 della norma penale, relativo anche alla misura della sanzione";
     che   e'   intervenuta  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  in
 rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, la quale ha
 rilevato che nell'ordinanza di rimessione manca qualsiasi giudizio in
 ordine alla rilevanza e non manifesta infondatezza  della  questione,
 concludendo,  in primo luogo, nel senso della inammissibilita', e, in
 subordine, dell'infondatezza della questione stessa;
   Considerato che l'ordinanza di rimessione non fa riferimento alcuno
 alla fattispecie concreta oggetto del giudizio, ne' motiva  circa  la
 rilevanza e non manifesta infondatezza della questione;
     che,  pertanto,  non  risulta osservata la prescrizione dell'art.
 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87,  che  impone  al  giudice  di
 indicare nell'ordinanza i termini e i motivi della rimessione;
     che conseguentemente, in conformita' alla costante giurisprudenza
 di  questa  Corte, la questione deve essere dichiarata manifestamente
 inammissibile;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.