IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 1 luglio 1996; Visto l'appello n. 4939/94 R.G. proposto dal comune di Roma in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv.to Mauro Martis e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21; Contro Cestelli Guidi Riccardo, Panzironi Aristide, Garofalo Teresa e Garofalo Ugo, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Lavitola presso cui sono elettivamente domiciliati in Roma, via Costabella 23; Censi Adele, Censi Petronilla, Palombi Emidio, Palombi Giorgio, Garofalo Rosa, Garofalo Luigi, Garofalo Raffaele, Garofalo Antonio, Garofalo Teresita, non costitiuiti in giudizio; Per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio - sez. I, 14 aprile 1993, n. 600; Visti gli atti e i documenti depositati con l'appello; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cestelli Guidi e litisconsorti; Vista l'ordinanza della IV sezione 5 giugno 1995, n. 411 che ha rimesso il ricorso all'adunanza plenaria; Udito il relatore consigliere Stefano Baccarini, e uditi altresi' l'avv. Molinaro per il comune di Roma e l'avv. Lavitola per gli appellati costituiti; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: Fatto Con ricorso al TAR del Lazio notificato l'11 gennaio 1991 Censi Adele ed i litisconsorti indicati in epigrafe, qualificandosi proprietari di un'area sita in Roma, localita' Torricella e Serpentara, di superficie pari a circa 160.000 mq., destinata parte a zona N (verde pubblico) e parte a zona M/1 (servizi pubblici generali) e M/3 (servizi pubblici locali), impugnavano la deliberazione della g.m. di Roma 4 giugno 1990, n. 3622, con cui erano stati reiterati i vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio di legge. Premesso che l'atto impugnato, adottato in via d'urgenza, avrebbe perso efficacia in seguito all'abrogazione dell'art. 140 del t.u. n. 148/1915, deducevano comunque che il provvedimento impugnato: 1) in quanto reiterazione in blocco dei precedenti vincoli urbanistici scaduti, costituiva elusione delle norme sulla temporaneita' dei vincoli e sull'obbligo di rivalutare la situazione urbanistica in termini di fabbisogni attuali di aree a destinazione pubblica e di fornire adeguata motivazione; 2) ometteva di compiere una adeguata ponderazione comparativa tra interesse pubblico ed interesse privato sacrificato dalla variante, in relazione alla esistenza di possibili alternative ed alla necessita' assoluta di utilizzazione dell'area per il perseguimento di finalita' pubblicistiche, nonche' alle prescrizioni regionali di procedere per zone omogenee, di specificare le funzioni e di operare una piu' funzionale localizzazione del verde; 3) ometteva di operare compensazioni tra superfici in esubero e superfici in deficit e di computare negli standards alcuni comprensori vincolati; 4) era affetta da sviamento di potere, essendo finalizzata ad impedire l'applicazione del regime di standards di cui all'art. 4, ultimo comma, lett. c) della legge 28 gennaio 1977, n. 10; 5) in quanto reiterazione del vincolo, ometteva di provvedere alla corresponsione dell'indennizzo e di prevedere, in apposita relazione finanziaria, i mezzi occorrenti all'attuazione del provvedimento; 6) era stato adottato dalla giunta municipale senza che sussistesse una situazione di necessita' ed urgenza; 7) ometteva di considerare che l'area dei ricorrenti era ricchissima di spazi destinati a zona N (verde pubblico) e che interventi relativi alla destinazione a zona M/3 erano stati sufficientemente realizzati su aree di terzi; 8) era affetto da disparita' di trattamento ed ingiustizia manifesta in quanto i ricorrenti avevano gia' subito un esproprio di 280.000 mq. Resisteva al ricorso il comune di Roma. Il TAR adito - Sez. I definiva il giudizio con sentenza 14 aprile 1993 n. 600, dichiarando il ricorso inammissibile nei confronti di sei dei ricorrenti ed accogliendolo nei confronti degli altri limitatamente al primo, secondo, quinto e settimo motivo. In particolare, la sentenza affermava la necessita' di una motivazione specifica, anche in riferimento alle singole aree, relativa: 1) all'attualita' delle ragioni giustificative del vincolo; 2) alla mancanza di soluzioni alternative; 3) alla previsione delle spese occorrenti e dei possibili mezzi di copertura; censurava altresi' il provvedimento impugnato per difetto di istruttoria e omessa specificazione delle destinazioni a servizi. Avverso tale sentenza il comune di Roma ha proposto appello a questo Consiglio di Stato. Gli appellati resistono, proponendo altresi' motivi aggiunti contro la deliberazione consiliare n. 203/1995 di controdeduzioni sulle osservazioni alla variante. La IV Sezione di questo Consiglio di Stato, con ordinanza 5 giugno 1995, n. 411, propendendo per l'affermazione, nei casi di reiterazione di vincoli urbanistici, di un obbligo di motivazione specifica, riferita alle singole aree, ma ritenendo la stessa fonte di possibili contrasti giurisprudenziali, ha rimesso il ricorso a questa adunanza plenaria. All'odierna udienza, uditi i difensori delle parti, il ricorso e' passato in decisione. D i r i t t o 1. - Va esaminata con priorita' la questione dell'indenizzabilita' dei vincoli inaedificandi, sia perche' oggetto di uno specifico motivo del ricorso di primo grado (il quinto), accolto dalla sentenza impugnata, sotto il profilo della mancanza di previsione delle spese e dei relativi mezzi di copertura, in un capo oggetto di appello, sia perche' la soluzione di tale questione, attinente ai presupposti costituzionali delle espropriazioni di valore, costituisce la necessaria cornice concettuale ed argomentativa del problema dell'estensione della motivazione. 2. - Non sembra inutile osservare che la cognizione di tale questione, cosi' come proposta dai ricorrenti in primo grado nell'ambito dell'impugnazione del provvedimento di reiterazione del vincolo, e' devoluta al giudice amministrativo, involgendo questioni di interesse legittimo. Come avvertito dalla Corte di cassazione con giurisprudenza ormai costante, infatti, la legge 19 novembre 1968, n. 1187, recante modificazioni ed integrazioni alla legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150, conferisce ai comuni, in via permanente, il potere di imporre, con i piani regolatori generali, vincoli di destinazione di tipo espropriativo, anche in assenza della previsione di indennizzo, salvo l'obbligo, a pena di inefficacia dei vincoli stessi, di approvare nel quinquennio i suddetti strumenti urbanistici di attuazione, con la conseguenza che, rispetto all'attivita' di imposizione dei vincoli senza indennizzo, il proprietario interessato e' titolare di situazioni aventi la consistenza dell'interesse legittimo e tutelabili in sede di giurisdizione generale di legittimita', escludendosi che l'attivita' stessa, anche in caso di reiterazione di vincoli scaduti, sia configurabile come espletata in assoluta carenza di potere, cosi' da fondare diritti soggettivi, di contenuto risarcitorio, tutelabili davanti al giudice ordinario." (Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11308; 15 ottobre 1992, n. 11257; 10 giugno 1983, n. 3987). 3. - Va altresi' osservato che la censura di ultrapetizione in ordine a questo capo della sentenza e' inammissibile perche' dedotta dal comune di Roma non nell'atto di appello ma soltanto nella memoria del 14 dicembre 1994 (v. p. 21). 4. - Nel merito, va osservato che la disciplina attuale dei vincoli inaedificandi e' il risultato di una complessa successione di interventi normativi e di sentenze di legittimita' costituzionale. La sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1968 aveva avviato tale processo dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli artt. 7 nn. 2, 3, 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo per l'imposizione di limitazioni operanti immediatamente ed a tempo determinato nei confronti del diritto di proprieta', quando le limitazioni stesse avessero contenuto espropriativo nei sensi indicati in motivazione. Veniva conseguentemente approvata la legge 19 novembre 1968, n. 1187, il cui art. 2 dispone al comma 1: "Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilita', perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non puo' essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione." L'efficacia delle indicazioni di piano veniva successivamente prorogata (legge 30 novembre 1973, n. 756 e succ. proroghe) fino all'entrata in vigore della legge concernente l'edificabilita' dei suoli e delle relative leggi regionali, sull'implicito presupposto che la questione avrebbe trovato definitiva soluzione in quella sede. Senonche', la Corte costituzionale, con sentenza n. 5 del 1980, ha avvertito che, anche nel sistema della legge 28 gennaio 1977, n. 10 sulla edificabilita' dei suoli, lo ius aedificandi continua ad inerire alla proprieta', restando cosi' attuale il presupposto di diritto delle espropriazioni di valore e del conseguente obbligo di indennizzo. In tal modo, la legge n. 1187/68 ha maturato un esito sociale ulteriore rispetto a quello per cui era stata concepita, divenendo norma permanente (in tal senso, cfr. Corte cost., sent. n. 92 del 1982). Il fatto e, pero', che il principio dell'alternativita' tra temporaneita' ed indennizzabilita' del vincolo, affermato dalla Corte costituzionale fin dalle sentenze n. 55 del 1968 e n. 82 del 1982, era stato attuato dalla legge n. 1187/68, sul presupposto del suo carattere transitorio, nella sola parte della temporaneita' del vincolo, nulla disponendosi quanto all'indennizzabilita'. Ora, invece, la legge predetta deve essere applicata ad una nuova fattispecie emergente nella prassi amministrativa: la reiterazione dei vincoli divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio, che puo' collocarsi dall'una o dall'altra parte del crinale tra temporaneita' ed indennizzabilita' del vincolo. Investita del problema sotto il profilo della legittimita' del potere di reiterazione, la Corte costituzionale, con sentenza n. 575 del 1989, interpretativa di rigetto, ha avvertito: a) che e' propria della potesta' pianificatoria la possibilita' di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni indeterminati, purche' adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche; b) che l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potesta' di reiterarli indefinitamente nel tempo anche se con diversa motivazione o con altri mezzi, e' costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprieta' secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968. 5. - In tale cornice normativa, il collegio dubita della legittimita' costituzionale del sistema (artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 2, comma 1 della legge 19 novembre 1968, n. 1187) posto a presidio dell'indennizzabilita' dei vincoli inaedificandi. 6. - Le questioni appaiono rilevanti, dovendo il giudice fare applicazione delle norme predette per le ragioni esposte sub1) e rientrando le questioni medesime, in base al diritto vivente formatosi successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 575 del 1989, nella giurisdizione del giudice amministrativo, come rilevato sub2). 7. - Come esposto in precedenza, per effetto della legge n. 1187/68 e delle sue applicazioni, la problematica dell'indennizzabilita' dei vincoli inaedificandi si e' trasferita dalla fattispecie dell'imposizione di vincoli di durata indeterminata - che la Corte costituzionale ha qualificato sostanzialmente espropriativa, ricollegandovi l'obbligo dell'indennizzo - alla diversa fattispecie della reiterazione di vincoli temporanei. Tale reiterazione e' ammissibile senza indennizzo a condizione di non superare la soglia massima di tollerabilita' del vincolo, oltre la quale la reiterazione integra gli estremi della fattispecie espropriativa e determina la corresponsione dell'indennizzo. Tuttavia, questa soglia massima di tollerabilita' non risulta espressamente definita dalle disposizioni sopra menzionate, che non prevedono il caso della reiterazione del vincolo. Ecco, quindi, che nella specie confliggono posizioni contrapposte, pretendendosi dai ricorrenti che una sola reiterazione del vincolo sia sufficiente a determinare tassativamente il sorgere dell'obbligo di indennizzo (cfr. p. 29 del ricorso di primo grado), opponendosi dal comune, ed anche in precedenti giurisprudenziali, che a tal fine siano necessarie plurime reiterazioni. In tale situazione, l'accertamento dell'esistenza di una fattispecie espropriativa tassativa e' prioritario, ai fini della pronuncia sulle domande dei ricorrenti, su quello dell'esistenza di una fattispecie espropriativa elastica. Cio' posto, il collegio dubita della legittimita' costituzionale del sistema sotto un triplice profilo. 8. - In primo luogo, la mancata determinazione per legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione di valore e comporta la corresponsione dell'indennizzo appare non conforme, sotto il profilo del difetto di tassativita' della fattispecie, alla riserva di legge di cui all'art. 42, terzo comma della Cost., secondo cui la proprieta' privata puo' essere espropriata per motivi di interesse generale nei casi preveduti dalla legge. Vero e' che la possibilita' di reiterazione dei vincoli urbanistici e' propria della potesta' pianificatoria, ma e' vero altresi che appare ineludibile la definizione specifica dei casi in cui alla compressione del diritto di proprieta' consegue, con l'espropriazione, la corresponsione dell'indennizzo. La proposizione generale di cui alla sentenza n. 575 del 1989 della Corte costituzionale (l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potesta' di reiterarli indefinitamente nel tempo anche se con diversa motivazione o con altri mezzi, e' costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprieta' secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), sufficiente a risolvere la questione di legittimita' costituzionale della reiterazione dei vincoli urbanistici ex se, non appare invece idonea a soddisfare il presupposto della riserva di legge, una volta che la questione dell'indennizzo sia, come qui appare, rilevante. Diversamente opinando, l'accertamento degli estremi della fattispecie espropriativa - di valore - sarebbe rimesso ad un apprezzamento discrezionale - delle amministrazioni e dei giudici - con compromissione della certezza del diritto in una materia che esige uniformita' di soluzioni. 9. - In secondo luogo, appare egualmente in contrasto con l'art. 42, terzo comma della Costituzione la mancanza di una previsione con legge dei criteri di determinazione dell'indennizzo per i casi di espropriazione di valore, necessaria per la concreta attuabilita' del diritto all'indennizzo, cosi' come per la copertura amministrativa della spesa. 10. - Infine, la questione e' rilevante ai fini della pronuncia sui motivi d'appello del comune di Roma, la mancata determinazione con legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo appare essere non soltanto in contrasto con la tutela costituzionale del diritto di proprieta', ma altresi' di ostacolo al bilanciamento tra il diritto di proprieta' e gli altri interessi costituzionalmente protetti cui e' preordinata l'attivita' di pianificazione urbanistica. I vincoli che qui vengono in considerazione, infatti, - destinazioni a verde pubblico, a servizi pubblici generali e locali - sono in via generale, salvo l'esame dei motivi di ricorso proposti in primo grado, preordinati alla localizzazione di attivita' di interesse collettivo secondo criteri di proporzionalita' rispetto agli insediamenti residenziali ed a quelli produttivi: costituiscono quindi il contenuto di atti dovuti. Ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150sub, art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, in tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi". Il buon andamento dell'attivita' di pianificazione urbanistica viene dunque individuato dal legislatore ordinario in uno sviluppo della comunita' territoriale bilanciato tra insediamenti residenziali e produttivi ed attivita' di interesse collettivo, verde pubblico e parcheggi. Qualora pero', in considerazione della rilevanza demografica o delle difficolta' finanziarie di un comune, l'attuazione dei vincoli ritardi, la scadenza contemporanea e generalizzata dei vincoli medesimi per decorso del quinquennio puo' determinare, in mancanza di un meccanismo correttivo di graduazione temporale, l'impossibilita' di reperire le aree da destinare agli standards specifici di legge. Da un lato, infatti, l'ente locale presumibilmente non dispone delle risorse sufficienti per la corresponsione contemporanea e generalizzata degli indennizzi a tutti gli aventi diritto; dall'altro, gli standards generali previsti nei casi di mancanza degli strumenti urbanistici generali (art. 4, ult. comma della legge 28 gennaio 1977, n. 10), applicabili anche nei casi di scadenza dei vincoli (Ad. plen., 2 aprile 1984, n. 7), si rivelano idonei a limitare incisivamente l'edificazione residenziale ma non ad ostacolare la realizzazione di edifici, anche di rilevanti dimensioni, commerciali e direzionali, compresi nella nozione di edifici produttivi di cui alla lett. c) dell'art. 4 cit. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 1991, n. 262). Valga per tutti il caso dell'impugnato provvedimento del comune di Roma, la cui relazione tecnica da' atto che, in ordine alle aree interessate dalla scadenza dei vincoli, erano state presentate domande edilizie per una cubatura pari a 2.500.000 mc. In situazioni siffatte, in mancanza di un adeguato meccanismo correttivo di graduazione temporale ed in presenza di plurime contemporanee iniziative edificatorie dei privati, l'ente locale sarebbe impossibilitato a reiterare i vincoli, le aree necessarie per il reperimento degli standards specifici sarebbero conseguentemente destinate, con l'edificazione da parte dei privati, ad irrimediabile compromissione ed il modello legale di sviluppo bilanciato a sostanziale inattuazione. Sotto questo aspetto, la mancanza di una legge che, nel prevedere i casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo, attui, con un meccanismo correttivo di graduazione, un bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, appare in contrasto con gli artt. 97 (in quanto deviazione dal modello di buon andamento della pianificazione urbanistica), 9 comma secondo e 32 comma primo Cost., cui il regime degli standards, nella sua preordinazione "forte" alla tutela del paesaggio e del diritto alla salute, appare principalmente riconducibile. Per le suesposte considerazioni, apparendo le suesposte questioni di legittimita' costituzionale rilevanti e non manifestamente infondate, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale e il giudizio va sospeso.