Ricorso  della  regione  Lombardia,  in  persona   del   presidente
 pro-tempore  della  giunta  regionale,   on. dott. Roberto Formigoni,
 rappresentata e difesa, come da delega a margine del  presente  atto,
 ed  in  virtu'  di  deliberazione  di  g.r.  del  17 gennaio 1997, di
 autorizzazione a stare in  giudizio,  dagli  avv.ti  proff.  Giuseppe
 Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso
 lo  studio  di  quest'ultimo,  in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30,
 contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la  dichiarazione
 di  illegittimita'  costituzionale della legge   23 dicembre 1996, n.
 662, pubblicata nel supplemento ordinario  alla  Gazzetta  Ufficiale,
 serie   generale,   n.   303,   del  28  dicembre  1996  ("Misure  di
 razionalizzazione della finanza pubblica");
     quanto all'art. 2,  comma  188,  che,  con  effetto  dal  periodo
 1995-96  di  regolamentazione  della  produzione  di latte dispone la
 cessazione dell'applicazione della procedura di compensazione di  cui
 all'art.    5,  commi  5-9,  della  legge  26  novembre 1992 n. 468 e
 l'inefficacia  degli  adempimenti  svolti  ai  sensi  delle  predette
 disposizioni;
     all'art.  2,  comma  167,  che  dispone  che  i  versamenti  e le
 restituzioni delle somme trattenute  dagli  acquirenti  a  titolo  di
 prelievo supplementare siano effettuati a seguito di una procedura di
 compensazione  nazionale  da  parte  dell'AIMA,  con  addebito  degli
 interessi  al  tasso  legale  sulle  somme   residue   spettanti   ai
 produttori;
     all'art.   2,   comma   168,   che   individua  i  criteri  della
 compensazione;
     all'art. 2, comma 169, che  stabilisce  che  gli  acquirenti  che
 abbiano  disposto la restituzione delle somme ai produttori procedano
 a nuove trattenute di pari importo nei confronti dei produttori;
     all'art. 2, comma 170, che  impone  il  versamento  del  prelievo
 supplementare  per  il  periodo  1995-1996  entro il 31 gennaio 1997,
 sulla base di elenchi redatti dall'AIMA a seguito della compensazione
 nazionale;
     all'art. 2, comma 171, che  dispone  l'abrogazione,  dal  periodo
 1995-1996,  dell'art.  2-bis  del  d.-l.  23  dicembre  1994, n. 727,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 1995, n. 46;
     all'art. 2, comma 172, che fa salvi gli  effetti  prodotti  ed  i
 rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 11 dei dd.-ll. 8 agosto
 1996,  n. 440 e 23 ottobre 1996, n. 542, e degli articoli 2 e 3 dei
  dd.-ll. 6 settembre 1996, n. 463 e 23 ottobre 1996, n. 552;
     all'art.  2, comma 173, che ha disposto la sostituzione dell'art.
 10, comma 6, della legge n. 468 del 1992, prevedendo un nuovo  regime
 della vendita e dell'affitto delle quote latte;
     all'art.  2,  comma  174,  che  ha previsto che l'acquisto di una
 quota latte da parte di un produttore non comporta la riduzione delle
 quote gia' a lui spettanti.
                                 Fatto
   1. - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al  contenimento
 della  produzione,  da  anni  eccedente nel mercato europeo, e' stato
 introdotto in Italia, dopo un  lungo  contenzioso  circa  l'effettiva
 entita'  della  produzione  interna  e  la irrogazione delle relative
 sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468.
   Tale testo normativo, dopo avere demandato, all'art. 2, comma 2,
  la redazione di elenchi dei produttori titolari di quota e  la  loro
 pubblicazione  in  appositi  bollettini  all'Azienda di Stato per gli
 interventi  nel  mercato  agricolo  (AIMA),  all'art.  2,  comma   2,
 limitatamente  ai  produttori  di  associazioni aderenti alla UNALAT,
 dispone la  articolazione  della  quota  in  due  parti:  l'una  (A),
 commisurata  alla  produzione  di  latte commercializzata nel periodo
 1988-1989;  l'altra  (B),   rapportata   alla   maggiore   produzione
 commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Poiche'  peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/1968, del
 27 giugno 1968, contemplava la periodica rideterminazione delle quote
 nazionali spettanti all'Italia, i commi 6-8  dello  stesso  art.    2
 assegnavano  alle  regioni  il  compito  di  vigilare sulla effettiva
 produzione  dei  singoli  operatori  e  di  comunicare  all'AIMA  per
 l'aggiornamento  del  bollettino  le  eventuali  situazioni  di quota
 assegnata   superiore   a   quella   effettiva,   e    al    Ministro
 dell'agricoltura  e  foreste,  acquisito  il  parere della Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato e  le  regioni  e  sentite  le
 organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di
 eccedenza  delle  quantita' attribuite ai produttori alla stregua dei
 commi 2 e  3  rispetto  alle  quote  nazionali  individuate  in  sede
 comunitaria,  di stabilire con proprio decreto i criteri generali per
 il  pieno  allineamento  con  le  quote  nazionali  nell'arco  di  un
 triennio.  Lo  stesso  comma  8  imponeva  che,  con riferimento alle
 riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza
 di mantenere  nelle  aree  di  montagna  e  svantaggiate  la  maggior
 quantita' di produzione lattiera".
   2.   -   Il   d.-l.  23  dicembre  1994,  n.  727,  convertito  con
 modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46,  ha  poi  operato  la
 riduzione  delle  quote  B  per  singolo produttore, con l'esclusione
 degli operatori delle stalle ubicate nelle zone montane di  cui  alla
 direttiva del Consiglio CEE 75/268 del 28 aprile 1975, da effettuarsi
 entro il 31 marzo 1995 con operativita' dalla campagna 1995-1996.
   La  legge  di  conversione  n.  46/1995 ha innovato il decreto come
 segue:
     a) ha previsto (art. 2, comma 1, lett. O.a)) la  riduzione  della
 quota  A  non  in produzione, almeno qualora essa ecceda il 50% della
 quota A attribuita;
     b) dopo avere confermato la riduzione della quota B  (lett.  a)),
 ha  escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non solo
 titolari di stalle ubicate   in zone di  montagna,  ma  anche  quelli
 operanti  "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche' nelle
 isole";
     c) ha consentito (l'art. 2, comma 2-bis)  che  i  produttori  che
 abbiano  ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge n.
 468/1992, l'approvazione di un piano di sviluppo o  di  miglioramento
 zootecnico  da  parte  della  regione  e  che  lo abbiano realizzato,
 possano  chiedere  la  assegnazione  di  una   quota   corrispondente
 all'obiettivo   di   produzione   indicato  nel  piano  medesimo,  in
 sostituzione delle quote A e B.
   Piu' in generale il decreto-legge n. 727/1994 e la legge n. 46/1995
 hanno soppresso la previa consultazione della Conferenza tra Stato  e
 regioni,  rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano di
 rientro esclusivamente all'istanza ministeriale.
   Inoltre,   la   normativa   ha   introdotto   un   meccanismo    di
 autocertificazione  delle produzioni, in base al quale gli acquirenti
 sono autorizzati a considerare  i  quantitativi  autocertificati  dai
 produttori.
   3.  -  La  legge n. 46/1995 insieme con il decreto-legge convertito
 veniva  impugnata  dalla  regione  Lombardia  con  ricorso  rubricato
 22/1995,  con allegazione di numerosi profili di incostituzionalita'.
 Codesta ecc.ma Corte, a seguito di discussione nella pubblica udienza
 del 23 novembre 1995, con decisione  n.  520  del  28  dicembre  1995
 accoglieva  il  predetto  ricorso, in una con quello presentato dalla
 regione Veneto e rubricato con n.  r.g.  23/1995,  sotto  il  profilo
 della  incostituzionalita'  dell'art.  2, comma 1, della legge, nella
 parte  in  cui  non  vi  si  contemplava  il  parere  delle   regioni
 interessate  nel  procedimento  di  riduzione delle quote individuali
 spettanti ai produttori di latte bovino.
   4. - Il Governo e' poi intervenuto nuovamente con  la  decretazione
 di  urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l.  15
 marzo 1996 n. 124 e poi, reiterando il primo, adottando il d.-l.   16
 maggio  1996  n. 260, impugnati dalla ricorrente con ricorsi n.  r.g.
 18 e 27/1996, pendenti avanti la ecc.ma Corte per la decisione,  indi
 con  il  d.-l. 8 luglio 1996 n. 353, del pari impugnato dalla regione
 della Lombardia con ricorso n. r.g. 32/1996, e pure esso in attesa di
 decisione, il d.-l. 8 agosto 1996 n. 440 e il d.-l.  6 settembre 1996
 n. 463, e infine con i dd.-ll. 23 ottobre 1996, nn. 542 e 552.
   Tali  ultimi  due  decreti-legge, da ultimo, sono stati convertiti,
 rispettivamente, nelle leggi 20 dicembre 1996 n. 642  e  23  dicembre
 1996  n.  649, entrambe impugnate con ulteriori ricorsi notificati in
 data 20 gennaio 1997.
   I decreti legge successivi alla legge n. 46 del 1995 appartengono a
 due nuove "catene" di decreti reiterati: una saldatasi con  la  legge
 di  conversione  del  decreto-legge n. 542 del 1996 (legge n. 649 del
 1996);  l'altra  saldatasi  con   la   legge   di   conversione   del
 decreto-legge  n.  552  del 1996   (legge n. 642 del 1996), entrambe,
 come si e' detto, impugnate con ricorsi notificati in data 20 gennaio
 1997.
   La prima catena e' relativa  alle  previsioni  sulle  procedure  di
 compensazione   (in  particolare,  all'eliminazione  delle  procedure
 previste dalla legge n. 468 del 1992, sostituite da una compensazione
 nazionale gestita dall'AIMA), nonche' alle modalita' e ai  tempi  dei
 prelievi  e  delle  restituzioni.  La  seconda  catena  riguarda,  in
 particolare, la disciplina dei bollettini dei produttori titolari  di
 quota;   la   fissazione   dei   criteri   di   effettuazione   della
 compensazione;  le  modalita'  della   compensazione   medesima;   la
 disciplina dell'abbandono della produzione; i termini per la cessione
 delle quote latte.
   Queste  due catene, ancorche' distinte, sono interconnesse, e - per
 le  ragioni  gia'  esposte  nei  ricorsi   sopradescritti   -   hanno
 determinato  gravissimi  pregiudizi  all'autonomia  delle  regioni in
 materia di agricoltura, disegnando uno scenario normativo  incoerente
 e  costituzionalmente  illegittimo.  L'incoerenza  e l'illegittimita'
 sono state confermate (e aggravate) dalla "saldatura"  operata  dalle
 menzionate leggi nn.  642 e 649 del 1996.
   Ebbene,  a  distanza di pochisimi giorni dalla pubblicazione (nella
 Gazzetta Ufficiale, rispettivamente, del 21 e del 23  dicembre  1996)
 delle   leggi   ora  ricordate,  il  legislatore  e'  ora  nuovamente
 intervenuto nel settore della produzione lattiera con  la  legge  qui
 impugnata  (che, addirittura, ancorche' pubblicata poco dopo, reca la
 stessa data della legge n. 649 del 1996), a conferma della caoticita'
 e della farraginosita' del suo agire.
   La legge dedica alla produzione lattiera  i  commi  da  166  a  174
 dell'art.  2, ove si prevede quanto segue:
     a)  i  commi  166,  167  e  169 ripetono testualmente quanto gia'
 previsto dall'art. 11 del decreto-legge n. 542 del  1996,  convertito
 in legge n. 649 del 1996;
     b)   il   comma   168   ripete   quasi  testualmente  (eliminando
 semplicemente il primo periodo) quanto  gia'  previsto  dall'art.  3,
 comma  1,  del  decreto-legge n. 552 del 1996, convertito in legge n.
 642 del 1996;
     c) il comma 170 riproduce in  parte  l'art.  3,  comma  3,  dello
 stesso decreto-legge n. 552 del 1996, ma con alcune modificazioni. In
 particolare,  nella  nuova previsione: si elimina il riferimento alla
 compensazione nazionale da parte  dell'AIMA  (peraltro  mantenuto  in
 altre  sedi);  si  proroga  il termine per il versamento del prelievo
 supplementare da parte degli acquirenti al 31  gennaio  1997  (questa
 proroga, peraltro, era stata gia' disposta dalla legge di conversione
 n.  642  del  1996);  si aggiunge (a mo' di contentino) la previsione
 della trasmissione  alle  regioni  e  alle  province  autonome  degli
 elenchi redatti dall'AIMA a seguito della compensazione nazionale;
     d)  il  comma  171 dispone l'abrogazione retroattiva (a decorrere
 dal periodo 1995-1996) del decreto-legge n. 727 del 1994  (convertito
 in legge n. 46 del 1995);
     e)  il  comma  172  fa salvi gli effetti prodotti da una serie di
 decreti, fra i quali - ultimi della lista - i decreti-legge nn. 542 e
 552 del 1996, gia' convertiti da legge pubblicate appena pochi giorni
 prima;
     f) il comma 173 dispone la sostituzione dell'art.  10,  comma  6,
 della    legge  n.  468  del  1992,  prevedendo un nuovo regime della
 vendita e dell'affitto  delle  quote  latte,  rispetto  al  quale  le
 regioni  non  hanno  alcun  ruolo,  se  non quello di destinatarie di
 comunicazioni da parte degli interessati, e di organi cui  spetta  il
 compito  meramente  esecutivo  della verifica che il cedente la quota
 "non abbia gia' utilizzato la quota ceduta";
     g) il comma 174, infine, prevede che,  a  decorrere  dal  periodo
 1996-1997,  l'acquisto  di  una quota latte non comporti la riduzione
 della quota gia' spettante all'acquirente.
   In questo  modo,  si  e'  determinato  il  risultato  di  aggravare
 ulteriormente   la   gia'   esistente   irragionevole  disparita'  di
 trattamento tra regioni e tra singoli produttori.
   Le disposizioni di cui in epigrafe sono dunque  illegittime  per  i
 seguenti
                                Motivi
   1.  -  Violazione  degli artt. 3, 5, 11, 24, 41, 77, 97, 113, 117 e
 118 della Costituzione.
   Come esposto in narrativa, la legge  qui  impugnata  provvede,  fra
 l'altro, a far salvi (all'art. 2, comma 172) gli effetti prodotti dai
 decreti-legge   nn.  542  e  552  del  1996  (oltre  che  da  quelli,
 precedenti, da essi reiterati). Orbene, come si e' gia' rilevato  nei
 ricorsi  (notificati  in  data  20  gennaio 1997) avverso le leggi di
 conversione dei predetti  decreti  (nn.  649  e  642  del  1996),  la
 conversione  in  legge  di quei decreti era illegittima, atteso che -
 per un verso - questi decreti  risultavano  carenti  del  presupposto
 costituzionale  dell'urgenza, e che - per l'altro - si era provveduto
 a convertire un  decreto  reiterante  altro  decreto  precedente,  in
 violazione  del divieto di cui all'art. 77 della Costituzione.  Oggi,
 la legge qui impugnata provvede a far salvi gli effetti  prodotti  da
 due decreti gia' convertiti.
   E'  difficile comprendere il senso della cosi' manifestata volonta'
 legislativa. La conversione  in  legge,  per  vero,  "stabilizza"  ab
 origine  le norme di un decreto, determinando la novazione della loro
 fonte  e  rendendo   del   tutto   superflua   qualunque   successiva
 "sanatoria".   E' difficile dire, anche, se si tratti di una semplice
 (e certo, non isolata) svista del legislatore  in  sede  di  adozione
 della manovra finanziaria di fine d'anno. Quel che e' certo, infatti,
 e' solo che:
     a)  la  "sanatoria"  non riguarda i decreti nella loro interezza,
 bensi solo gli artt. 11 del decreto-legge n. 542 (e del decreto-legge
 n. 440) del 1996, e gli artt. 2 e 3 del decreto-legge n. 552  (e  del
 decreto-legge n. 463) del 1996;
     b) dopo l'entrata in vigore della legge impugnata, il legislatore
 ha  disposto  che  "Il  comma 172 dell'art. 2 e' soppresso" (art. 10,
 nono comma, del d.-l. 31 dicembre 1996 n.  669).    Da  un  lato,  la
 "sanatoria"  solo  parziale  farebbe pensare che il legislatore abbia
 inteso, in qualche modo, smentire la precedente conversione, quasi  a
 volerne circoscrivere (alle sole norme "sanate") gli effetti prodotti
 pro  praeterito  tempore.  Dall'altro,  pero',  la  singolare formula
 utilizzata dal decreto-legge n. 669 del 1996 (che "sopprime" anziche'
 "abrogare" l'art.  2,  comma  172,  della  legge  impugnata)  farebbe
 pensare  che  il  legislatore  abbia riconosciuto di aver commesso un
 errore, ed abbia inteso rimediarvi al piu' presto.
   Non e' il caso, qui, di evidenziare  come,  adottando  la  riferita
 previsione del decreto-legge n. 669 del 1996, il Governo abbia finito
 per   intervenire,   con  un  proprio  decreto  legge,  sulla  scelta
 parlamentare (non conta, qui, dire quanto ragionevole) di  salvare  o
 meno  gli  effetti  di un diverso decreto-legge: si tratta infatti di
 una previsione illegittima che, pero', la ricorrente non ha interesse
 a censurare.    Cio'  che  conta,  invece,  e'  che,  quale  che  sia
 l'interpretazione  della  confusa volonta' legislativa, la ricorrente
 ha interesse a censurare l'art. 2, comma 172, della legge n. 662  del
 1996.      Si  deve  infatti  considerare  che  le  disposizioni  dei
 decreti-legge nn. 542 e 552 del  1996  che  sono  state  "sanate"  da
 questa  disposizione  sono  pregiudizievoli  per  la  ricorrente.  La
 salvaguardia degli effetti da  esse  prodotti  conferma  dunque  tale
 pregiudizio.  Se,  percio',  la  declaratoria  di incostituzionalita'
 delle leggi di conversione dei decreti-legge nn. 542 e 552 (auspicata
 nei ricorsi dalla ricorrente notificati il 20 gennaio  1997)  venisse
 pronunciata,   resterebbe   pur   sempre   formalmente  in  piedi  la
 "sanatoria" disposta dall'art. 2, comma 172, della  legge  impugnata,
 la  cui  illegittimita' deve, pertanto, lamentarsi per le ragioni che
 verranno appresso indicate.  L'interesse all'impugnazione  non  viene
 meno  per  il  fatto  che, come riferito, il decreto-legge n. 669 del
 1996 ha "soppresso" il comma in discussione.   A parte il  fatto  che
 tale  "soppressione"  e' stata disposta in un decreto-legge, e quindi
 in una fonte dalle incerte sorti, che codesta ecc.ma Corte ha gia' da
 tempo considerato inidonea a regolare i rapporti Stato/regioni su  di
 un  piano  di  sufficiente  stabilita',  si  deve  considerare che la
 "soppressione" altro non e' che una  "abrogazione",  in  quanto  tale
 destinata ad operare solo de futuro, e quindi incapace di sostituirsi
 all'auspicata declaratoria di incostituzionalita' da parte di codesta
 ecc.ma Corte.
   Nel  merito,  poiche'  l'illegittimita'  della disposta "sanatoria"
 deriva dall'illegittimita' dei decreti "sanati",  si  deve  ricordare
 che i decreti-legge nn. 440, 463, 552 e 542 del 1996 sono illegittimi
 per  le  ragioni gia' esposte nei ricorsi della regione Lombardia nei
 confronti delle leggi nn. 642 e 649 del 1996, cui si rinvia  per  una
 piu' ampia argomentazione. In sintesi, comunque, detta illegittimita'
 derivava,  oltre che dalla violazione dell'art. 77 della Costituzione
 (per carenza dei presupposti di necessita' ed urgenza e  inosservanza
 del divieto di reiterazione dei decreti non convertiti), da:
     a)  violazione  degli  artt.  3,  24 e 113 della Costituzione, in
 ordine al regime dei ricorsi avverso i bollettini  emessi  dall'AIMA,
 in  relazione al potere di governo del settore da parte delle regioni
 (cio' per quanto concerne il decreto-legge n. 552 del 1996);
     b) violazione degli artt. 5, 11, 117 e 118 della Costituzione, in
 ordine  al regime dei piani di sviluppo e miglioramento, in relazione
 al potere di governo del settore da parte  delle  regioni  (cio'  per
 quanto concerne il decreto-legge n. 552 del 1996);
     c) violazione degli artt. 3 e 41 Cost., in riferimento agli artt.
 5,  117  e  118 della Costituzione, in ordine alla penalizzazione dei
 produttori della  regione  ricorrente,  in  relazione  al  potere  di
 governo  del settore da parte delle regioni (cio' per quanto concerne
 il d.-l.  n. 552 del 1996);
     d) violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione,  anche
 con  riferimento all'art. 2, comma 7, della  legge n. 468 del 1992, e
 violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni,
 in ordine alla totale pretermissione di ogni partecipazione regionale
 relativamente all'adozione dei bollettini dell'AIMA (cio' per  quanto
 concerne il d.-l. n. 552 del 1996);
     e)  violazione  degli  artt.  3,  97,  11,  41,  117  e 118 della
 Costituzione, in ordine alla disciplina della compensazione nazionale
 e,  di  nuovo,   dei   bollettini,   specie   in   riferimento   alla
 retroattivita'  di  tale  disciplina (cio' per quanto concerne sia il
 d.-l. n. 542 del 1996 che il d.-l. n.  552  del  1996).  Si  trattava
 infatti  di aggiustamenti (per giunta illegittimi) o di peggioramenti
 delle previsioni dettate dalla legge 26 novembre 1992, n. 468 e dalla
 legge 24 febbraio 1995 n. 46, dei quali non era  dato  rinvenire,  in
 alcun modo, l'urgenza.  Urgenza che, del resto, era smentita gia' dal
 solo  fatto  che  le  previsioni dettate dai decreti riguardavano una
 campagna lattiera gia' conclusa.
   2.  -  Violazione  degli  artt.  2,  3  e  72  comma  primo,  della
 Costituzione.
   L'art.  72, comma primo della Costituzione prevede che i disegni di
 legge debbono essere approvati "articolo per articolo e con votazione
 finale".  Tale  previsione  costituzionale  e'  stata  clamorosamente
 violata  dalla legge impugnata.  La legge in questione, contenente le
 fondamentali "misure di razionali  zzazione della  finanza  pubblica"
 collegate  alla  legge finanziaria per il 1997, si compone infatti di
 soli tre articoli, ciascuno dei quali contiene  -  rispettivamente  -
 duecentosessantasette,   duecentoventiquattro  e  duecentodiciassette
 commi| Le ragioni che hanno portato a questo monstrum  sono  note,  e
 risalgono  all'esigenza  del  Governo  di  assicurarsi in tempi brevi
 l'approvazione parlamentare,  attraverso  l'apposizione,  in  Senato,
 della  questione  di  fiducia  sul  disegno  di legge in discussione.
 Questa esigenza politica non poteva,  pero',  giustificare  un  cosi'
 clamoroso  aggiramento dell'art.  72 Cost., aggiramento in virtu' del
 quale  il  formale  rispetto  del  dettato  costituzionale  e'  stato
 travolto  dalla  sua  violazione  sostanziale  patentemente in fraude
 Constitutioni.
   Indubitabile e', infatti, che quella dell'approvazione articolo per
 articolo e' un'esigenza non meramente  formale,  bensi'  sostanziale,
 che non puo' essere elusa. Invero:
     a)  in primo luogo, si deve notare come la redazione articolo per
 articolo sia condizione di ammissibilita' dei progetti  di  legge  di
 iniziativa  popolare,  ai sensi dell'art. 71, secondo comma, Cost., e
 dell'art. 49, comma primo (della legge 25 maggio 1970, n.  352.    La
 differenza   fra   redazione  di  un  testo  normativo  senza  o  con
 suddivisione in articoli,  dunque,  e'  sostanziale  (a  diversamente
 ritenere,  la  redazione  in  articoli,  che  e' stata concepita come
 garanzia  di  serieta'  e  di  meditazione  dell'iniziativa popolare,
 sarebbe vanificata). Se,  pero',  e'  sostanziale  (e  non  meramente
 formale) la qualificazione di un progetto come "redatto in articoli",
 non  meno  sostanziale deve essere la qualificazione di una votazione
 come votazione "articolo per articolo".  Si  aggiunga,  inoltre,  che
 l'esigenza della redazione in (e quindi della votazione per) articoli
 e'  generale  e non limitata ai soli progetti di iniziativa popolare:
 le deroghe alla redazione in articoli si hanno nel  caso  in  cui  il
 progetto  di  legge  esaminato  dalla  Camera si limiti a rinviare ad
 altro testo legislativo per la determinazione dei contenuti normativi
 approvati dalla Camera stessa. E' quanto avviene o puo' avvenire,  in
 particolare,  per  le leggi di conversione dei decreti legge o per le
 leggi di autorizzazione alla ratifica e di  esecuzione  dei  trattati
 internazionali.  In questi casi, pero', l'esigenza della redazione in
 articoli e' rispettata - quanto meno - dalla fonte rinviata;
     b) i Costituenti erano perfettamente consapevoli  dell'importanza
 della  manifestazione  della  volonta'  delle  Camere sui progetti di
 legge sia in riferimento ai singoli articoli, sia in  riferimento  al
 testo  legislativo  nel  suo  complesso.  Come affermo' l'on. Perassi
 nella seduta del 14 ottobre 1947, infatti, il primo  comma  dell'art.
 72  (allora  art.  69  del  Progetto)  ha lo scopo di disciplinare il
 procedimento c.d. normale di approvazione delle leggi "stabilendo  il
 particolare principio che la Camera vota articolo per articolo e vota
 poi complessivamente sul disegno di legge".
   Principio  "particolare",  questo,  proprio perche' - come fra poco
 vedremo - il suo rispetto e'  essenziale  perche'  l'esercizio  della
 funzione  legislativa  da  parte  del  Parlamento abbia un senso. Per
 conto suo, nella  medesima  seduta,  Mortati  preciso',  in  sede  di
 discussione su quello che sarebbe divenuto il secondo comma dell'art.
 72,  che  la deliberazione di una procedura d'urgenza non avrebbe mai
 potuto far "saltare qualcuna delle fasi  necessarie  al  procedimento
 normale",  con  il  che  si  chiariva che l'approvazione articolo per
 articolo  e',  appunto,  una  indefettibile  fase  del   procedimento
 legislativo. Tanto indefettibile, che se i Costituenti ebbero qualche
 dubbio,  fu solo sulla necessita' di una votazione finale dopo quella
 articolo per  articolo  (non  su  quest'ultima|),  e  che  fu  grazie
 all'impegno   dell'on.      Ruini  che  quella  votazione  finale  fu
 confermata. In una parola,  i  Costituenti  sapevano,  disponendo  la
 votazione  articolo  per  articolo,  di  disciplinare il cuore stesso
 dell'esercizio parlamentare della  funzione  legislativa,  e  non  e'
 credibile che intendessero fare, di quella disciplina, una lustra;
     c)  l'indefettibilita' sostanziale dell'approvazione articolo per
 articolo e' confermata dai Regolamenti parlamentari, non tanto per il
 fatto  che  (ovviamente)  la  prevedono,  quanto   perche'   staccano
 nettamente  la fase dell'approvazione articolo per articolo da quella
 dell'approvazione finale,  imponendo  che  l'eventuale  coordinamento
 finale  dei  progetti  di  legge avvenga sempre prima della votazione
 finale (artt. 90 RC e 103 RS);
     d) l'osservanza sostanziale della regola della votazione articolo
 per articolo e' indispensabile perche' siano  rispettati  i  principi
 fondamentali  del parlamentarismo. I progetti di legge, infatti, sono
 articolati   perche'   articolata   deve   essere   la    discussione
 parlamentare,  e questa deve essere tale da consentire, per un verso,
 che (come si e' rilevato in dottrina) la  volonta'  parlamentare  sia
 "libera  e  consapevole",  per  l'altro  che  vi  sia possibilita' di
 formare maggioranze diverse sui singoli articoli. Tutto questo,  qui,
 e' stato impedito dalla sostanziale non-redazione in articoli, cui si
 e'  unita  la  "ghigliottina"  dell'apposizione  della  questione  di
 fiducia, che ha ancor piu' troncato qualunque  possibilita'  di  vera
 discussione parlamentare.  Queste considerazioni sono tanto vere, che
 la  specifica funzione della votazione finale e' proprio quella della
 verifica del consenso della Camera sul testo complessivo del progetto
 di legge per come risultante dalla votazione  dei  singoli  articoli.
 L'accorpamento di una congerie di commi in uno stesso articolo altera
 dunque anche il significato stesso del voto finale;
     e) come codesta ecc.ma Corte ha affermato nella capitale sentenza
 n.  364 del 1988, l'esigenza di conoscibilita' delle leggi si collega
 intimamente alla  dignita'  e  alla  liberta'  della  persona  umana,
 perche' solo leggi conoscibili possono essere osservate e rispettate.
 In  che  modo,  pero',  e' conoscibile il contenuto di una legge come
 quella qui impugnata, che, in un articolo (il 2)  intitolato  "Misure
 in  materia  di  servizi  di  pubblica  utilita'  e  per  il sostegno
 dell'occupazione e dello  sviluppo"  affastella  duecentoventiquattro
 commi,  nei  quali  si dettano disposizioni in materia di concessioni
 edilizie, di canoni di locazione di alloggi di edilizia  residenziale
 pubblica,  di  dichiarazioni agli uffici delle imposte, e chi piu' ne
 ha piu' ne metta? In che senso e' conoscibile una legge  nella  quale
 il  cittadino  non  puo'  orientarsi  neppure  con il modesto ausilio
 dell'intitolazione degli articoli, ed e' costretto a rintracciare  le
 previsioni  normative  che  lo  riguardano  tentando l'improbabile (e
 difficile  anche  per  i  professionisti  del  diritto)  impresa   di
 compulsare  l'intero testo normativo? In realta', la violazione delle
 previsioni costituzionali di cui all'art. 72, primo comma, si traduce
 nella violazione dei piu' elementari principi di ragionevolezza della
 produzione normativa, e di tutela della  dignita'  e  liberta'  della
 persona, giusta gli artt.  2 e 3 della Costituzione.
   Non  varrebbe  replicare  che  la  garanzia  del rispetto di queste
 esigenze e' assicurata dai controlli "interni" alle Camere.  A  parte
 il fatto che, qui, esiste una specifica previsione costituzionale che
 puo'   e   deve   essere   assunta   a   parametro   dei  giudizi  di
 costituzionalita', in tanto le procedure interne di controllo possono
 bastare a garantire i valori costituzionali in quanto siano  adeguate
 e pronte (sent.  n. 379 del 1996). Qui, pero', non lo sono state;
     f) in definitiva, la votazione articolo per articolo non puo' mai
 mancare  (i  casi  di  deroga  al  principio  sono  eccezionali, e si
 giustificano per ragioni tanto ovvie che non e' nemmeno  il  caso  di
 esporle:  cfr.,  comunque, artt. 70, secondo comma, 87, quinto comma,
 99, terzo comma, RC; 104, 120, secondo  comma,  123,  secondo  comma,
 RS),   e  deve  essere  una  votazione  sostanzialmente  e  non  solo
 formalmente  cosi'  strutturata.  Avere  aggirato  questa   specifica
 previsione  costituzionale,  connessa  a  principi fondamentali della
 forma di governo parlamentare e degli Stati democratici  di  diritto,
 vizia  irrimediabilmente  la  legge  impugnata nella sua interezza, e
 comunque, in particolare, per quanto qui  interessa,  in  riferimento
 all'art. 2, commi da 166 a 174.
   3.  -  Violazione  degli  artt.  3,  11,  41, 97, 117 e 118   della
 Costituzione.
   L'art.  2,  commi  166,  167  e  169,  della legge impugnata ripete
 testualmente quanto gia' previsto dal decreto-legge n. 542 del  1996,
 convertito  (senza  modificazioni  per questo aspetto) dalla legge n.
 649 del 1996.  Si devono, di conseguenza, ripetere  le  censure  gia'
 prospettate  nel ricorso avverso tale legge, notificato il 20 gennaio
 1997.  Si deve, in primo luogo, rilevare che i commi 166, 167  e  169
 dell'art.    2 della legge impugnata utilizzano nuovamente, come gia'
 accadde  per  altri  precedenti  interventi,   la   "tecnica"   della
 previsione di effetti retroattivi delle nuove disposizioni introdotte
 nella  materia  della  produzione  lattiera.  Tanto, infatti, e' gia'
 avvenuto con i decreti-legge nn. 124, 260, 353, 440 e  542  del  1996
 (quest'ultimo  ora  convertito  in  legge n. 649 del 1996), che hanno
 completamente stravolto la disciplina dei bollettini cui i produttori
 debbono fare  riferimento  per  dimensionare  la  propria  attivita',
 incidendo su una campagna di produzione del latte gia' conclusa. Tali
 illegittimi  interventi  retroattivi  sono stati gia' censurati dalla
 ricorrente innanzi a codesta ecc.ma Corte  costituzionale,  che  deve
 tuttora pronunziarsi sui relativi ricorsi.
   Con l'art. 2 commi 166, 167 e 169 della legge n. 662 del 1996 si e'
 inciso,  un'altra volta, su una campagna di produzione del latte gia'
 conclusa. Oggi come allora, dunque, valgono i seguenti rilievi:
     a)  L'applicazione  della  procedura  di  compensazione  prevista
 dall'art.    5, commi 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 26 novembre 1992, n.
 468 viene  fatta  cessare  "con  effetto  dal  periodo  1995-1996  di
 regolamentazione della produzione lattiera" (art. 2, comma 166, della
 legge n. 662 del 1996).
   Poiche'  la campagna di produzione lattiera, pero', va dal 1 aprile
 al 31  marzo,  e'  evidente  che  la  nuova  normativa  e'  non  gia'
 parzialmente, ma totalmente retroattiva.
     b) In questo modo si determina una pluralita' di violazioni delle
 menzionate  previsioni  costituzionali.  Anzitutto, viene violato, in
 una con gli artt. 117  e  118  della  Costituzione  (che  definiscono
 l'ambito  di  attribuzioni delle Regioni) e con l'art. 41 (che impone
 il controllo e l'indirizzo della produzione privata a fini  sociali),
 l'art.  11  Cost.,  atteso che la ricordata scansione temporale delle
 campagne di produzione del latte e' fissata dal  Regolamento  CEE  n.
 804/68.  Disciplinare retroattivamente, a campagna da tempo conclusa,
 le  posizioni individuali dei singoli produttori significa violare la
 lettera e lo spirito della normativa  comunitaria.  Questa,  infatti,
 prevedendo  una data periodizzazione delle campagne di produzione del
 latte, intende far si'  che  si  realizzi  una  gestione  corretta  e
 programmata  della  produzione  lattiera  medesima,  che  deve essere
 calibrata  proprio  su  detta   periodizzazione.   Sconvolgimenti   a
 posteriori  della disciplina di settore come quello determinato dalle
 disposizioni  impugnate  sono  dunque  radicalmente   contrari   alla
 normativa  comunitaria  (e conseguentemente all'ordine costituzionale
 dei rapporti fra Stato e regioni, che quella normativa contribuisce a
 definire).  E' proprio allo scopo di  assicurare  quella  corretta  e
 programmata  gestione,  del  resto,  che  la  legge n. 468/1992 aveva
 previsto in via generale un articolato sistema di compensazione,  che
 ora viene travolto e stravolto dalle disposizioni impugnate;
     c)   Si   prevede   addirittura   che  "non  hanno  effetto"  gli
 "adempimenti gia' svolti" ai sensi  della  legge  n.  468  del  1992,
 determinando  cosi'  il  travolgimento  di tutti gli atti volti a far
 valere il regime ordinario della compensazione.
     d)  I  versamenti  e le restituzioni delle somme trattenute dagli
 acquirenti a titolo di prelievo supplementare sono rinviati a dopo la
 compensazione nazionale da parte  dell'AIMA,  pretermettendosi  cosi'
 del tutto il livello regionale;
     e)  Si  prevede, infine, che nel caso la restituzione delle somme
 ai produttori sia gia' intervenuta, gli acquirenti debbano  procedere
 a  nuove  trattenute,  anche  qui arrecando illegittimo e retroattivo
 pregiudizio alla coerenza del governo regionale del settore.
   Sotto tutti i profili di cui sopra, violati, dunque, sono,  in  una
 con  l'art. 41, gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, perche' le
 Regioni  -  cui  pure,  codesta  ecc.ma   Corte   costituzionale   ha
 riconosciuto  un  ruolo preminente in questo settore, sono totalmente
 spossessate  delle  loro  attribuzioni  programmatorie,  in   seguito
 all'applicazione radicalmente retroattiva della nuova disciplina.  Si
 badi:  questa esigenza di non disporre, in materie come quella che ne
 occupa, con effetto retroattivo e' gia' stata espressamente affermata
 dalla Corte di  giustizia  delle  Comunita'  europee,  la  quale,  in
 riferimento  alla  disciplina  (italiana)  delle  quote di produzione
 dello zucchero, ha ricordato (sent. 11 agosto 1995,  Causa  C-1/1994,
 Cavarzere  produzioni  industriali  s.p.a.)  che  il  principio della
 certezza del diritto esige che agli operatori dei settori  produttivi
 sia  dato un congruo termine per programmare la loro attivita'. Nella
 fattispecie,  poiche'  la  campagna  di   commercializzazione   dello
 zucchero inizia il 1 luglio di ciascun anno, la normativa comunitaria
 prevede  che i produttori debbano conoscere le proprie quote entro il
 1 marzo.  Di conseguenza l'esercizio di un "potere di manovra"  sulle
 quote  da  parte  degli  Stati  non  e'  ammesso  dopo  tale data. Il
 principio in questione, anzi, e' cosi' assorbente, che -  addirittura
 -  qualora  un regolamento comunitario di modifica della normativa di
 settore sia stato adottato in data successiva al 1 marzo,  gli  Stati
 non  possono,  sulla base di esso, esercitare alcun potere di manovra
 sulle quote  in  riferimento  alla  campagna  di  commercializzazione
 iniziante il 1 luglio, ma debbono attendere quella successiva.
   Ben  peggio e' successo nel caso che ne occupa, e ben piu' evidente
 - di conseguenza - e' la violazione  della  normativa  comunitaria  e
 dell'art. 11 Cost.
   L'illegittimita'  delle  previsioni  retroattive di cui all'art. 2,
 commi 166, 167 e 169, ora censurate, vizia anche il successivo  comma
 170,  esso  pure retroattivo. Con l'ulteriore aggravante che, qui, lo
 spossessamento delle prerogative regionali e' addirittura dichiarato,
 atteso che le Regioni sono mere destinatarie  degli  elenchi  redatti
 (senza  alcuna  partecipazione regionale e senza alcun rispetto delle
 competenze regionali in materia di agricoltura, nonche' del principio
 di leale collaborazione) dall'AIMA,  a  seguito  della  compensazione
 nazionale che all'AIMA stessa e' riservata.
   4.  -  Violazione  degli  artt.  3,  97,  11,  41,  117 e 118 della
 Costituzione.
   I commi 167, 168 e 170 dell'art.  2  della  legge  impugnata  fanno
 riferimento  alla  "compensazione nazionale" da parte dell'AIMA, come
 se la sua effettuazione fosse indefettibile. Si deve pero'  ricordare
 che  l'art.  3  del decreto-legge n. 552 del 1996, anche per come ora
 convertito  in  legge  n.  642/1996,  contempla,  al   terzo   comma,
 limitatamente  alla  stagione  1995-1996 gia' conclusa, il versamento
 del  prelievo  supplementare  dovuto,  sulla  base di elenchi redatti
 dall'AIMA a seguito della  compensazione  nazionale.  Parallelamente,
 l'art.  3,  comma  1,  sostituendo l'art. 5, comma 12, della legge n.
 468/1992, prevede che  "qualora  si  determinino  le  condizioni  per
 l'applicazione  della  compensazione  nazionale",  essa  e'  disposta
 dall'AIMA.     Non  e'   dato   comprendere   cosa   il   caotico   e
 contraddittorio,  piu'  ancora  che  rapsodico, legislatore nazionale
 abbia cosi' voluto significare.   La lettera delle  disposizioni  del
 decreto-legge  n.  552  del  1996 sembrerebbe mostrare che egli abbia
 inteso che, cosi' come era  previsto  dalla  legge  n.  468/1992,  la
 compensazione  nazionale sia meramente eventuale:  tale compensazione
 e' infatti destinata a compiersi solo "qualora" se ne determinino  le
 "condizioni".    Che  si e' inteso dunque fare? Si e' voluto abrogare
 cio' che si era con altra legge quasi contemporaneamente prevista? Ci
 si e' ricreduti?  Ci si e' semplicemente "dimenticati"  di  cio'  che
 contemporaneamente si stava facendo?
   In  realta',  si e' creata una enorme confusione, in violazione dei
 principi costituzionali di efficienza e buon andamento della pubblica
 amministrazione,  determinando  l'impossibilita'  per  gli  enti   di
 governo  del settore - in primis per le Regioni - di agire sulla base
 di un quadro normativo chiaro.
   In  ogni  caso,  se  -  come  pare,  si  e'  voluto  riservare   la
 compensazione  al solo livello nazionale, la soppressione del livello
 provinciale  di  compensazione,  non  sostituito  da  alcuna  istanza
 regionale,  non  solo opera l'ennesimo by-pass del governo regionale,
 ma reca ancor piu' grave pregiudizio agli interessi degli agricoltori
 della Regione ricorrente - piu' si innalza infatti, il livello  della
 compensazione,  meno  e'  probabile  che  le eccedenze locali possano
 trovare aggiustamento e compensazione senza danno per  la  produzione
 complessiva  a  livello  provinciale  e  regionale  -  e, in modo non
 indiretto ne' riflesso ma (come rilevo' gia' la sentenza n.  520  del
 1995)  immediato,  all'interesse  stesso  della Regione ricorrente ad
 esercitare le proprie potesta'
  programmatorie del settore.
   Si rifletta invece su  come  sarebbe  piu'  semplice  e  snello  il
 procedimento  di  compensazione  se esso fosse affidato alle regioni,
 come livello di programmazione e come Enti. Ciascuna  opererebbe  per
 proprio  conto  e  dovrebbe garantire risultati che in sede nazionale
 avrebbero al massimo bisogno di essere coordinati, il che  basterebbe
 per  rispettare  le previsioni comunitarie.   Si badi: imboccare tale
 strada non sarebbe meramente opportuno o conveniente (cio'  che  puo'
 non    rilevare   nel   giudizio   di   costituzionalita'),   ma   e'
 costituzionalmente necessario, per porre rimedio  ad  una  situazione
 ormai   paradossale,  che  vede  interventi  normativi  del  Governo,
 adottati a fini correttivi, determinare illegittimita' ed  incoerenze
 ancor piu' gravi e palesi di quelle pregresse, cui si sarebbe voluto,
 nelle   intenzioni,   rimediare.     Tornando  all'alternativa  prima
 prospettata: se si fosse inteso, qui, tornare invece alla  disciplina
 previgente, confermando cioe' un doppio livello di compensazione, nel
 quale  a quello sulla base provinciale gestito dalle APL si affianca,
 o piuttosto si sovrappone, quello nazionale, deve dirsi che i  guasti
 prodotti dalle quote e dai loro meccanismi attuativi, a seguito della
 legge  n.  46/1995,  verrebbero  aggravati.    I produttori lombardi,
 infatti, gia' penalizzati dal legislatore nazionale per le  modalita'
 di  riparto  dei  tagli  della  produzione  giudicate proceduralmente
 scorrette da codesta ecc.ma Corte  nella  sentenza  n.  520/1995,  si
 ritroverebbero in una condizione di molto minore (se non inesistente)
 probabilita', rispetto a quelli di altre Regioni avvantaggiate o meno
 penalizzate,  di operare una pur limitata compensazione relativa alla
 quota B (ridotta a seguito della legge n. 46/1995),  a  vantaggio  di
 altre  regioni  in  cui,  pur  avendo i relativi produttori superato,
 spesso di gran lunga, la  somma  delle  quote  A  e  B  senza  subire
 peraltro  alcuna  riduzione  per  effetto  della  legge n. 46/1995, i
 margini di compensazione sono molto piu' elevati.
   Col risultato che la irragionevole disparita'  di  trattamento  tra
 Regioni   e  tra  singoli  produttori  si  aggraverebbe:  la  casuale
 appartenenza alla associazione di  una  zona  produttiva  ha  effetti
 sulla  compensazione,  a prescindere da ogni ragionevole correlazione
 con l'effettiva differenza, su base individuale  e/o  regionale,  tra
 quota  assegnata in base alle norme comunitarie e eccedenza prodotta.
 Con il che,  identici  comportamenti  produttivi  degli  operatori  e
 comportamenti    amministrativi   delle   Regioni   (all'atto   della
 approvazione di piani in aumento) sono trattati diversamente in  modo
 casuale o addirittura penalizzante.
   Di  qui, oltre che la violazione degli artt. 3 e 97, la lesione dei
 principi  del  diritto  comunitario  e  della  sfera  di   competenze
 legislative e amministrative regionali.
   Si  aggiunga  che, anche sotto questo profilo, la retroattivita' di
 una disciplina che interviene ad  anno  di  riferimento  concluso  ha
 effetti abnormi e aggrava la gia' latente irragionevolezza.
   5.  -  Violazione  degli  artt.  3, 24 e 113 della Costituzione, in
 riferimento agli artt. 117 e  118  della  Costituzione.    Come  gia'
 rilevato nel ricorso avverso la legge n. 642 del 1996, l'eliminazione
 dell'autocertificazione prevista dall'art. 2-bis del decreto-legge n.
 727  del 1994, eliminazione che viene ora ribadita dall'art. 2, comma
 171, della legge impugnata, ha prodotto gravi conseguenze  sul  piano
 del  regime  processuale  dei ricorsi avverso i bollettini dell'AIMA.
 Infatti, l'eliminazione della autocertificazione  prevista  dall'art.
 2-bis  della  legge n. 46/1995 (comma 171 dell'art. 2) esclude che la
 proposizione  del  ricorso  in  opposizione  possa   consentire   pur
 provvisoriamente  la  percezione da parte dei produttori del compenso
 corrisposto dagli acquirenti pur con riferimento -  si  badi  -  alla
 campagna  gia'  conclusa,  sicche'  chi  vanta  crediti  per consegne
 operate legittimamente in tempi  in  cui  la  disciplina  retroattiva
 sfavorevole  non  era  vigente non ha alcuna speranza di riscuoterli,
 nonostante la proposizione del  rimedio  amministrativo.    Le  gravi
 disfunzioni  processuali  sopra  sommariamente descritte non potranno
 non trasformarsi in elementi di ulteriore lesivita' per  le  Regioni;
 queste  ultime,  gia' private ancora una volta di qualunque potere di
 intervento, pur solo consultivo, sui tagli da operare, dovranno cosi'
 subire anche l'onta della impossibilita' virtuale  di  governare  sul
 piano progammatorio un comparto della politica agraria che non potra'
 non   venire   percorso   da  un  contenzioso  capillare,  diffuso  e
 squassante.
   6. - Violazione degli artt. 41, 117 e 118 della Costituzione.
   L'art. 2, comma 173, della legge impugnata detta nuove disposizioni
 in materia di vendita  e  di  affitto  delle  quote  latte.  In  tali
 previsioni  le  Regioni  sono  ridotte al ruolo di mere "passacarte",
 atteso che tutto il procedimento relativo alle vendite e agli affitti
 sfugge,  completamente  al  loro  controllo,  fatta  eccezione per il
 semplice riscontro sull'intervenuta (o meno) utilizzazione (da  parte
 del  cedente)  della  quota  ceduta.  In  tal  modo, pero', qualunque
 capacita' di governo del settore, in armonia  con  i  valori  di  cui
 all'art.  41  Cost., viene totalmente cancellata, in violazione degli
 indicati parametri costituzionali.  Come ha affermato codesta  ecc.ma
 Corte, alla Regione non puo' riservar  si, in materia di agricoltura,
 "un'attivita'  meramente  notarile".  Tanto,  invece,  e'  quanto  e'
 avvenuto in questo caso.    Per  le  stesse  ragioni  deve  ritenersi
 illegittimo  il  successivo  comma  174 (ancorche', nel merito, possa
 condividersene il contenuto), per la totale eliminazione di qualunque
 discrezionalita' delle  Regioni  in  ordine  alla  definizione  delle
 conseguenze degli acquisti di quote, non foss'altro all'interno della
 Regione di produzione.