Ricorso per conflitto di attribuzione dei signori Rita Bernardini, Raffaella Fiori e Mauro Sabatano, promotori e presentatori del referendum abrogativo vertente sulla legge 6 dicembre 1962, n. 1643, recante "Istituzione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche", in rappresentanza del Comitato promotore, rappresentanti e difesi, come da delega in calce dal prof. avv. Beniamino Caravita di Torino e dal prof. avv. Giovanni Motzo, e presso lo studio Caravita elettivamente domiciliati in Roma, via Torquato Taramelli n. 22. F a t t o I ricorrenti hanno promosso l'iniziativa della richiesta di referendum abrogativo popolare vertente sulla legge 6 dicembre 1962, n. 1643, recante "Istituzione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche", in ordine all'art. 1, comma primo, limitatamente alle parole: "al quale e' riservato il compito di esercitare nel territorio nazionale le attivita' di produzione, di importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta salvo quanto stabilito nei numeri 5), 6) e 8) dell'art. 4". Cio' risulta dalla Gazzetta Ufficiale n. 228 del 19 settembre 1995, ove e' pubblicato l'annuncio che la cancelleria della Corte di cassazione in data 28 settembre 1995 ha raccolto a verbale la dichiarazione resa dai promotori secondo le modalita' prescritte dagli artt. 7 e 40 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dell'intento di promuovere la predetta richiesta. Sulla medesima Gazzetta Ufficiale e' pubblicato il testo del quesito referendario, contraddistinto dalla sigla A/4. Successivamente in data 5 gennaio 1996 sono stati depositati presso la cancelleria della Corte di cassazione tutti i fogli contenenti le firme dei sottoscrittori ed i relativi certificati elettorale, affinche' fosse espletato il giudizio di legittimita' previsto dall'art. 32, comma secondo, della legge n. 352 del 1970. Con ordinanza 30 ottobre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum, ai sensi dell'art. 32, comma terzo, della legge n. 352 del 1970, ha rilevato che nella formulazione del quesito in oggetto non si sarebbe tenuto conto degli artt. 14 e 15 del d.-l. 11 giugno 1992, n. 333, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992, n. 359, ed ha assegnato ai promotori il termine del 20 novembre 1996 per la eventuale presentazione di memorie. Il primo degli articoli indicati dall'Ufficio centrale prescrive, per la parte che riguarda il quesito referendario, che "con riferimento agli enti di cui al presente capo ed alle societa' da esse controllate, tutte le attivita' nonche' i diritti minerari, attribuiti o riservati con legge (...) ad enti pubblici, restano attribuiti a titolo di concessione ai medesimi soggetti che ne sono attualmente titolari" (art. 14, comma primo). Nel secondo articolo richiamato dall'Ufficio centrale (art. 15) si prescrive la trasformazione dell'E.N.E.L. e di altri enti pubblici in societa' per azioni, disciplinando in particolare la nuova configurazione societaria, l'assetto azionario, gli organi sociali e la normativa statutaria. Con successiva ordinanza 11 dicembre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte suprema di cassazione, pronunciandosi in via definitiva ai sensi dell'art. 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352 - essendo tale articolo l'unico richiamato nei "visto" che introducono l'ordinanza -, sulla legittimita' della presente richiesta di referendum abrogativo, ha deciso che "il quesito - in quanto concerne una norma che al momento della proposizione della richiesta, aveva ormai del tutto esaurito i suoi effetti e non poteva quindi ritenersi ancora in vigore - non puo' essere considerato conforme a legge" (v. punto E della motivazione). In conclusione l'Ufficio centrale ha dichiarato tale richiesta abrogativa non conforme alle disposizioni di legge (v. sia quanto detto espressamente nel punto E della motivazione, sia anche quanto affermato, sempre con una formula a contrario, nel punto I del dispositivo finale), precludendone il successivo svolgimento del procedimento referendario e dunque lo svolgimento della consultazione popolare richiesta dai proponenti. Occorre rilevare che l'Ufficio centrale si e' pronunciato in ordine alla presente richiesta referendaria esclusivamente sulla base dell'art. 32 della legge n. 352 del 1970, dichiarando dunque la "non conformita' a legge" della richiesta referendaria, e non invece "che le operazioni relative non hanno piu' corso" come previsto dall'art. 39 il quale disciplina il caso in cui "la legge, l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di esse cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati". E' noto che tale articolo e' stato oggetto di una importante sentenza della Corte costituzionale (la n. 68 del 1978) che ne ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui "non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare ne' i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, ne' contenuti normtivi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effetti sulle nuove disposizioni legislative". Secondo quanto affermanto dall'Ufficio centrale, poiche' la modifica legislativa determinata dagli artt. 14 e 15 del decreto-legge sopra richiamato, e' stata introdotta "anteriormente alla promozione del quesito referendario", e dato che le nuove norme "hanno profondamente inciso sulla parte dell'art. 1 della legge n. 1643 del 1962 cui il quesito si riferisce", deve da un lato escludersi "che ricorra un'ipotesi di mera discordanza tra la sostanza e la forma del quesito, cui l'Ufficio possa ovviare, in termini di semplice rettifica del testo", dall'altro lato concludersi che il quesito "non puo' essere considerato conforme a legge" (v. punto E della motivazione). L'Ufficio centrale per il referendum, a parere dei promotori, nell'esercizio concreto del suo potere, non ha seguito il procedimento legislativamente corretto, in quanto nel caso di specie non sussisteva, o comunque e' stato valutato in modo palesemente erroneo, il presupposto della cessazione della vigenza richiesto dall'art. 32 della legge n. 352 del 1970 per la dichiarazione di non conformita' a legge della richiesta referendaria. Infatti, come attestato dallo stesso Ufficio centrale nella sua ordinanza, la cessazione degli effetti della disposizione che e' oggetto del quesito, si e' verificata soltanto con l'atto di concessione (d.m. 28 dicembre 1995), il quale pero' e' stato successivo all'atto di presentazione dell'iniziativa referendaria da parte dei promotori (28 settembre 1995). Quindi, trattandosi di innovazione legislativa i cui effeti si sono prodotti dopo la presentazione della richiesta referendaria, l'Ufficio centrale avrebbe dovuto procedere secondo la procedura dell'art. 39 della lege n. 352 del 1970, cosi' come ridefinito e specificato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 68 del 1978, e non sulla base dell'art. 32 della medesima legge. E' chiaro pertanto che con tale atto palesemente illegittimo dell'Ufficio centrale, non seguendosi il procedimento ex art. 39 della legge n. 352 del 1970, si e' nel contempo prodotta la menomazione della sfera di attribuzione garantita, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione, ai promotori del referendum. L'atto dell'Ufficio centrale infatti ha leso di per se' il rapporto legislativamente definito tra Ufficio centrale e comitato dei promotori - nei termini indicati dall'art. 39 della legge n. 352 del 1970 cosi' come "novellato" e specificato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 1978 - salvaguardato mediante la garanzia posta nell'art. 75 Costituzione. Infatti, come ricordato, dalla stessa ordinanza dell'Ufficio centrale risulta che nella fattispecie, al momento della presentazione dell'iniziativa referendaria, non si era ancora verificata la cessazione della vigenza della riserva legislativa prevista da quella parte dell'art. 1, comma primo, della legge n. 1643 del 1962 che e' oggetto del quesito, i cui effetti giuridici sono venuti meno soltanto successivamente alla presentazione dell'iniziativa referendaria. La soluzione costituzionalmente corretta era quindi quella di valutare, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970 e con il procedimento costituzionalmente garantito cosi' come prescritto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 1978, se la nuova normativa si ispirasse a principi normtivi diversi o modificasse il contenuto normativo essenziale del precetto contenuto nell'oggetto del quesito. Si chiede quindi l'annullamento in parte qua dell'ordinanza 11 dicembre 1996 dell'Ufficio centrale per il referendum, vale a dire nella parte in cui si dichiara la non conformita' a legge della richiesta referendaria relativa a parte dell'art. 1, comma primo, della legge n. 1643 del 1962. D i r i t t o 1. - Circa la legittimazione attiva dei promotori. E' ormai giurisprudenza costante di questa ecc.ma Corte il riconoscimento della legittimazione attiva del comitato dei promotori del referendum abrogativo alla proposizione del conflitto di attribuzione. Tale riconoscimento, avvenuto per la prima volta con l'ordinanza n. 17 del 1978, poi confermata con la famosa sentenza n. 69 del 1978, ha trovato suggello rilevantissimo nella recente sentenza n. 161 del 1995, in tema di cd. par condicio nelle campagne elettorali e referendarie, ove si e' riconosciuto al comitato dei promotori la facolta' di agire innazi alla Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione ogni qualvolta si verifichino decisioni autoritative - anche di rango legislativo - che costituiscono "limitazioni apportate al quesito referendario", che cioe' lo impediscono o ne alterano l'oggetto normativo, incidendo "di conseguenza nella sfera di attribuzioni garatita, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione, ai ricorrenti". Insomma si e' stabilito che l'interesse a ricorrere dei promotori abbraccia una sfera piu' ampia della ristretta tutela della competenza dell'iniziativa della richiesta referendaria, in quanto essi possono agire contro qualsiasi lesione di ordine costituzionale, determinata da un atto (o da una commissione) imputabile ad un potere dello Stato, che sia destinata ad alterare o a precludere arbitrariamente lo svolgimento costituzionalmente corretto del procedimento referendario. Insomma, come gia' noto dalla dottrina piu' attenta, e' stata confermata la scissione tra interesse ad agire e violazione o invasione di competenza, bastando che "l'illegittimita' del comportamento provochi un ostacolo (o un turbamento nell'esercizio da parte del ricorrente dei suoi poteri o ne leda prerogative costituzionali" (v. Sorrentino, Commentario all'art. 137, 474). Un atto illegittimo posto in essere da un potere dello Stato, e ridondante nella lesione di una sfera di attribuzione costituzionalmente garantita ai promotori, consente pertanto a questi ultimi di agire mediante lo strumento del conflitto di attribuzione. 2. - Circa la legittimazione passiva dell'Ufficio centrale. E' parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa ecc.ma Corte il riconoscimento della legittimazione passiva dell'Ufficio centrale per il referendum nell'esercizio delle attribuzioni che la legge n. 352 del 1970 gli attribuisce in via esclusiva e definitiva - in specie la' dove dispone del potere di disporre la cessazione delle operazioni referendarie nei limiti previsti dalle norme vigenti -, di cui si ha testimonianza sia nei precedenti sopra citati, sia in molte altre pronunce della Corte costituzionale (v. ad esempio sentenza n. 30 e 31 del 1980; e ordinanza n. 45 del 1983). A maggior ragione cio' vale qualora l'Ufficio centrale si pronuncia in via definitiva sulla non conformita' a legge della richiesta referendaria, dato che trattasi di esercizio in via esclusiva e definitiva di un'attribuzione statuale potenzialmente idonea a menomare la sfera di attribuzione di altro potere dello Stato. 3. - Circa il requisito di ordine oggettivo. Circa il requisito previsto dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo cui i conflitti tra i poteri dello Stato devono avere per oggetto "la delimitazione della sfera di attibuzioni determinata fra i vari poteri da norme costituzionali", e' chiaro che il presente coflitto riguarda l'esercizio concreto delle attribuzioni dell'Ufficio centrale che, a parere dei promotori, sono state esercitate secondo un procedimento non corretto, non ricorrendo nella fattispecie il presupposto previsto dalla legge, o comunque essendo stato valutato in modo assolutamente erroneo ed arbitrario, si' da ledere la sfera di attribuzione garantita, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione, ai promotori. In particolare bisogna ricordare che nella sentenza n. 30 del 1980 la Corte costituzionale ha affermato che l'attribuzione dell'Ufficio centrale "sorge necessariamente entro i limiti posti a salvaguardia della sfera riconosciuta ai promotori del referendum" (v. punto 3 della motivazione in diritto). Cio' implica che la violazione di tali limiti, nell'esercizio concreto delle attribuzioni dell'Ufficio centrale, deve e puo' essere oggetto del giudizio della Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione, a prescindere da qualsiasi ulteriore considerazione circa l'ambito di discrezionalita' rimesso dalle norme dell'ordinamento alla valutazione compiuta dall'organo che ha posto in essere la presunta menomazione dell'ordine delle competenze costituzionali. In sede preliminare di ammissibilita' e dunque prima facie non puo' essere negato che il conflitto qui proposto concerne la delimitazione della sfera di attribuzioni riconosciuta all'Ufficio centrale per il referendum, ed il cui esercizio arbitrario e secondo un procedimento legislativamente non corretto, a parere dei ricorrenti, ha illegittimamente menomato la sfera di attribuzione costituzionalmente garantita ai promotori ai sensi dell'art. 75 della Costituzione. 4. - Circa il giudizio della Corte sull'esercizio delle attribuzioni dell'Ufficio centrale. La Corte costituzionale ha piu' volte e correttamente ribadito l'autonomia dei due giudizi che si svolgono l'uno, quello di legittimita'-regolarita', innanzi all'Ufficio centrale per il referendum, l'altro, quello di ammissibilita', innanzi alla Corte costituzionale medesima (v. sentenze nn. 251/1975; 22/1981; 35/1985; 63/1990). E si e' anche rilevato che nel giudizio di ammissibilita' "non si puo' pretendere che la Corte operi - in sostanza - come un giudice di secondo grado, appellandosi ad essa contro le pronunce gia' adottate dall'Ufficio stesso" (sentenza n. 35/1985). Tutto cio' e' senz'altro vero e corrisponde ad una ragionevole ed opportuna linea di demarcazione tra i due organi predisposti al duplice regime di controllo sulle richiesta referendaria, in quanto un'inopportuna invasione di campo provocherebbe duplicazioni di giudizio ed irresolubile incertezza all'interno dello procedimento referendario. Nello stesso tempo, non vi e' dubbio che, come gia' verificatosi nel 1978, qualora l'attivita' dell'Ufficio centrale si svolga secondo forme e modalita' illegittime, determinando la menomazione della sfera di attribuzioni garantita dall'art. 75 della Costituzione ai promotori, e dunque intaccando il rapporto costituzionalmente garantito tra l'Ufficio centrale medesimo ed il comitato dei promotori, il giudizio della Corte costituzionale sull'operato dell'Ufficio centrale deve e puo' essere esercitato, e tale giudizio, quando sia correttamente instaurato, deve avere una conseguente capacita' sindacatoria sull'atto illegittimamente posto in essere. Dunque se e' certo che in questa sede non si chiede alla Corte costituzionale ne' di sostituirsi all'Ufficio centrale, ne' di sindacarne nel merito l'attivita' decisoria gia' compiuta e, a parere dei ricorrenti, illegittimamente posta in essere, al contrario si chiede di accertarne la non correttezza del procedimento seguito, a causa della palese insussistenza del presupposto richiesto dalla legge per la dichiarazione di non conformita' a legge della richiesta referendaria, o comunque per l'assoluta arbitraieta' della valutazione relativa alla sussistenza del presupposto medesimo; a tale vizio si collega una conseguente alterazione del rapporto costituzionalmente garantito e legislativamente definito tra Ufficio centrale e comitato dei promotori. Non si tratta dunque di una sorta di inammissibile giudizio di appello nei confronti dell'ordinanza emessa dall'Ufficio centrale, avente ad oggetto quindi il merito dell'attivita' posta in essere da quest'ultimo, ma di un controllo di legittimita' non diverso da quello gia' esercitato dalla Corte costituzionale in recenti conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato (v. ad esempio sentenza n. 443 del 1993), avente per fine primario quello di salvaguardare il rapporto costituzionalmente corretto tra due poteri dello Stato. A cio' si aggiunga che la Corte ha gia' risolto in senso positivo l'ammissibilita' del controllo sulla ragionevolezza e congruita' delle valutazioni compiute da un organo allo scopo perseguito dalla norma che attribuisce la competenza, affermando che "il risultato di un esercizio illegittimo (o come altri si esprime di "cattivo uso") del potere di valutazione puo' provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione", e che trattasi di "controllo di legittimita', operante con lo strumento del conflitto di attribuzione (...) e percio' circoscritto ai vizi che incidono, comprimendola, sulla sfera di attribuzione" dei ricorrenti. E' noto che dopo la pronuncia del 1978, questa ecc.ma Corte ha adottato un atteggiamento piu' restrittivo nei confronti dell'ammissibilita' del conflitto di attribuzione avverso l'Ufficio centrale per il referendum. Una dottrina autorevole (Crisafulli), proprio commentando le prime due pronunce negative del 1980, ha parlato di "ripensamento"; tuttavia, la maggiore dimestichezza che il nostro ordinamento costituzionale ha assunto con l'istituto del conflitti di attribuzione, e la recente espansione del sindacato della Corte in tema di atti autoritativi limitativi della sfera garantita ai promotori del referendum ai sensi dell'art. 75 della Costituzione, possono lasciare sperare in un'ulteriore evoluzione positiva. Se e' certo che nel giudizio di ammissibilita' la Corte non puo' che "prendere soltanto atto della giuridica esistenza del provvedimento (positivo)" dell'Ufficio centrale, "escluso il potere di procedere al riesame di esso" (v. sentenza n. 63/1990), qualora sia sollevato il conflitto di attribuzione avverso una decisione dell'Ufficio centrale, non tanto perche' sfavorevole ai promotori, ma perche' di per se' gravemente lesiva della sfera di attribuzioni dei ricorrenti, l'atteggiamento della Corte costituzionale non puo' restare indifferente rispetto all'atto presuntivamente lesivo della sfera di attribuzione costituzionalmente garantita, e che ad essa Corte compete proteggere avverso menomazioni accertate come tali ed incidenti su un rapporto che va costituzionalmente salvaguardato. Da cio' discende che in caso di accertamento del predetto vizio di legittimita' dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, la Corte costituzionale, quale unica e suprema istanza di garanzia del rispetto delle regole fondanti l'ordinamento democratico, non puo' ne' deve esimersi dall'intervenire per ripristinare la legalita' costituzionale. 5. - Circa il procedimento non corretto seguito dall'Ufficio centrale per assoluta ed evidente mancanza del presupposto legislativamente prescritto e comunque per la sua valutazione palesemente erronea ed arbitraria. Nell'ordinanza 11 dicembre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, per dichiarare la non conformita' a legge della presente richiesta referendaria, ha seguito un procedimento legislativamente non corretto. E' assolutamente certo che all'Ufficio centrale spetti accertare l'attuale vigenza delle disposizioni che sono oggetto del quesito referendario, al fine di evitare che il voto popolare sia "in partenza privato di entrambi i suoi effetti tipici, abrogativo e preclusivo, alternativamente previsti dagli artt. 37 e 38 della legge n. 352" del 1978 (v. sentenza n. 16 del 1978). Nel punto E della motivazione dell'ordinanza dell'11 dicembre 1996, l'Ufficio centrale giustifica la dichiarazione di non conformita' a legge del presente quesito, ricordando che, "anteriormente alla promozione del quesito referendario", l'E.N.E.L. e' stato trasformato in societa' per azioni (v. art. 15 del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359), e che "la riserva a titolo originario dell'attivita' elettrica in capo all'E.N.E.L. e' stata trasformata in riserva in capo allo Stato, con contestuale attribuzione dei diritti prima riservati all'E.N.E.L. alla nuova S.p.A. a titolo di concessione (art. 14, comma 1, del citato decreto-legge n. 333 del 1992: la concessione e' stata attuata con il d.m. 28 dicembre 1995)". A parere dell'Ufficio centrale "le norme ora ricordate hanno profondamente inciso sulla parte dell'art. 1 della legge n. 1643 del 1962 cui il quesito si riferisce, in quanto la riserva all'E.N.E.L. dell'attivita' elettrica e' considerata dal legislatore del 1992 unicamente come presupposto di fatto della concessione, ed ha esaurito ogni suo effetto una volta che la concessione e' stata effettivamente disposta". Il ragionamento dell'Ufficio centrale appare viziato per un fondamentale elemento di fatto, la cui assoluta e palese mancanza o comunque la sua erronea ed arbitraria valutazione, si ripercuote negativamente sulla correttezza del procedimento seguito. Infatti, se e' vero, come sostiene l'Ufficio centrale, che la riserva disposta con la legge del 1962 "ha esaurito ogni effetto una volta che la concessione e' stata effettivamente disposta", e se e' vero, come e' senz'altro vero, che la concessione e' stata disposta con d.m. 28 dicembre 1995, allora deve dedursi che nel momento in cui i promotori hanno presentato l'atto di iniziativa della richiesta referendaria, non essendo ancora stata disposta la concessione, la riserva era ancora vigente. Dunque e' palese che non sussiste il presupposto della mancata vigenza della disposizione legislativa, o comunque esso e' stato palesemente valutato in modo erroneo ed arbitrario, falsando del tutto l'applicazione del procedimento di cui all'art. 32 della legge n. 352 del 1970. Infatti e' acclarato nella premessa della stessa ordinanza dell'Ufficio centrale che il momento della "promozione" della presente iniziativa referendaria, e' stato quello in cui la cancelleria della Corte di cassazione ha raccolto a verbale la dichiarazione resa dai promotori secondo le modalita' prescritte dagli artt. 7 e 40 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dell'intento di promuovere la predetta richiesta; cio' risulta dall'annuncio pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 19 settembre 1995, ove e' pubblicato anche il testo del quesito referendario, contraddistinto dalla sigla A/4. Dunque, al momento dell'atto di iniziativa della richiesta referendaria - atto che fissa irretrattabilmente il quesito ormai non piu' modificabile se non con le correzioni apportate dall'Ufficio centrale ex art. 32, o con il trasferimento operato sempre dall'Ufficio centrale ex art. 39 - essendo stata la concessione soltanto prevista dalla legge del 1992, ma non ancora effettivamente disposta, la riserva legislativa prevista dalla legge del 1962 era ancora vigente e consentiva - essa sola - all'E.N.E.L. di svolgere l'attivita' elettrica, proprio ancora sulla base della legge del 1962. Pertanto, al momento della presentazione della richiesta - elemento temporale che l'Ufficio afferma espressamente di considerare come decisivo per l'applicazione dell'art. 32 - non sussisteva affatto il presupposto per la dichiarazione di non conformita' del quesito. D'altro canto, come ritiene l'Ufficio centrale, se l'innovazione legislativa si e' verificata "anteriormente alla promozione del quesito referendario", ma la stessa innovazione, come e' corrispondente alla realta' indiscutibile della successione di eventi temporali attestati dallo stesso Ufficio centrale - seppure da esso erroneamente ed arbitrariamente valutati -, al tempo della "promozione" medesima non aveva ancora fatto venire meno gli effetti giuridici della riserva, vuol dire che questi effetti giuridici si sono verificati successivamente alla presentazione della richiesta. Quindi, l'Ufficio centrale, in applicazione della sentenza n. 68 del 1978 della Corte costituzionale e dunque rispettando il rapporto definito da questa sentenza tra lo stesso Ufficio centrale ed i promotori, avrebbe dovuto seguire il procedimento dell'art. 39 della legge del 1970 e dunque verificare, sulla base dell'applicazione di questo articolo cosi' come novellato dalla Corte costituzionale, se la nuova normativa modificava "il contenuto normativo essenziale del precetto" che era oggetto del referendum. E cio' come affermato chiaramente dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 1978, poi richiamata sul punto dalle sentenze nn. 30 e 31 del 1980, deve avvenire seguendo un apposito procedimento - enucleato dalla Corte sulla base del sistema della legge n. 352 del 1970 - che garantisca i promotori rispetto all'intervento decisorio e definitivo dell'Ufficio centrale, vale a dire quest'ultimo "debba adempiere alle indagini delle quali ogni sua decisione ex art. 39 deve essere preceduta, ed abbia motivato in conseguenza l'ordinanza" e deve sentire i promotori sul punto. Insomma trattasi di un peculiare procedimento costituzionalmente garantito che instaura un determinato rapporto tra Ufficio centrale e promotori: se, come e' avvenuto nel caso di specie, si e' dato luogo ad un atto palesemente illegittimo - per assoluta mancanza del presupposto legislativamente previsto o comunque per la sua arbitraria valutazione - e se tale vizio di per se' ha prodotto il mancato rispetto di un procedimento connesso ad un rapporto costituzionalmente salvaguardato, ricorrono pienamente entrambe le condizioni necessarie perche' l'atto dell'Ufficio centrale sia annullato in parte qua nell'ambito del presente conflitto di attribuzione. La mancata applicazione del procedimento legislativamente corretto rende l'atto dell'Ufficio centrale viziato e tale vizio ha prodotto un'innegabile menomazione della sfera di attribuzione garantita ai sensi dell'art. 75 ai promotori della presente richiesta referendaria.