IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  3549/96
 proposto  da  Fausto  Tartaglia,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Antonio  Giambitto  e  dalla  dott.  proc. Giovanna Favini, presso lo
 studio del primo elettivamente domiciliato in Milano,   via  Podgora,
 12,  contro  il  comune  di  Milano rappresentato e difeso dagli avv.
 Maria Rita Surano, Franco Garbin  e  Elena  Ferradini,  elettivamente
 domiciliato  in  Milano,  via  della  Guastalla  8, presso gli uffici
 dell'avvocatura comunale  per  l'annullamento  -  previa  sospensione
 dell'esecuzione  -  del  provvedimento  18  giugno  1996 di decadenza
 dell'assegnazione dell'alloggio ERP sito in  Milano,  via  Appennini,
 47;
   Visto  il  ricorso  con  i  relativi  allegati,  nonche'  l'atto di
 costituzione in giudizio dell'amministrazione resistente;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Uditi, nella camera di consiglio del 3 ottobre 1996, relatore dott.
 Alberto Tramaglini, i difensori delle parti;
   Ritenuto quanto segue;
                            Fatto e diritto
   1. - Con il ricorso in epigrafe e' stato impugnato il provvedimento
 con  cui  l'amministrazione  resistente  ha  disposto  la   decadenza
 dell'assegnazione  dell'alloggio  ERP  sito in Milano, via Appennini,
 47,  con  conseguente  risolzione  del  contratto  di  locazione   ed
 intimazione di rilascio.
   Il   provvedimento   impugnato,  del  quale  e'  stata  chiesta  la
 sospensione dell'esecuzione, si fonda sull'art. 22, lettera e), della
 legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91 ("Disciplina dell'assegnazione
 e della gestione degli alloggi di edilizia  residenziale  pubblica").
 La   disposizione   richiamata  recita:  "Il  comune  competente  per
 territorio  dispone  con  motivato  provvedimento  ...  la  decadenza
 dell'assegnazione  dell'alloggio  nei  confronti di chi: ... e) abbia
 perduto i requisiti di cui al precedente art. 2, fatta eccezione  per
 il  requisito di cui al primo comma, lettera f) del medesimo articolo
 ...".
   A sua volta l'art.  2,  nel  dettare  i  requisiti  soggettivi  che
 consentono  l'assegnazione,  dispone:  "Puo'  partecipare al bando di
 concorso per conseguire l'assegnazione di  un  alloggio  di  edilizia
 residenziale  pubblica:  ...  d)  chi non sia titolare del diritto di
 proprieta' o di altri diritti  reali  di  godimento  su  uno  o  piu'
 alloggi,   ovvero  su  altri  beni  immobili,  ubicati  in  qualsiasi
 localita', che consentono un reddito almeno  pari  all'ammontare  del
 canone di locazione, determinato ai sensi della legge 27 luglio 1978,
 n.  392  ...  di un alloggio adeguato con condizioni medie  abitative
 ...".
   Il ricorrente e' stato dichiarato decaduto in quanto titolare di un
 reddito,  riferito  all'anno  1991,  derivante  dalla  proprieta'  di
 immobili  siti in provincia di Matera pari a L. 2.867.000, "superiore
 all'equo canone di un alloggio adeguato al  nucleo  familiare".  Tale
 condizione e' stata ritenuta sussistente anche negli anni successivi.
 Alcune   delle   suddette   proprieta',   pacificamente,   non   sono
 qualificabili come "alloggi".
   Il collegio ritiene rilevante e  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  legittimita'  degli artt. 2, primo comma, lettera d) e
 22, primo comma, lettera f) della predetta legge regionale.
   Con separata ordinanza resa in pari data il provvedimento e'  stato
 interinalmente   sospeso   fino  alla  decisione  della  Corte  sulla
 questione.
   2. - In ordine alla rilevanza  va  osservato  che,  trattandosi  di
 norme  su  cui  e'  fondato  il provvedimento impugnato, la pronuncia
 della Corte  e'  determinante  ai  fini  della  decisione  definitiva
 sull'istanza cautelare.
   Va  inoltre  subito  chiarito  che  dalla  prospettata questione e'
 estranea l'ipotesi della decadenza derivante dalla titolarita' di  un
 alloggio  adeguato  alle  necessita'  abitative  del nucleo familiare
 ubicato nell'ambito territoriale cui si riferisce il bando, di cui si
 occupa la letttera e) dell'art. 2. In  tale  ipotesi  appare  infatti
 evidente  che  la  ratio  della  decadenza  (e  della  preclusione ad
 accedere  al  patrimonio  edilizio  pubblico  se  le  condizione   e'
 preesistente  all'assegnazione)  sta  nel  fatto  che  l'assegnatario
 dispone di beni considerati direttamente suscettibili  di  soddisfare
 il suo bisogno abitativo.
   La  proprieta'  o  la titolarita' di diritti reali di godimento "su
 uno o piu'  alloggi,  ovvero  su  altri  beni  immobili,  ubicati  in
 qualsiasi  localita'"  del territorio nazionale viene invece presa in
 considerazione  per  dare  esclusivo  risalto  al  reddito  che  tali
 immobili  consentono,  che  cosi'  viene  in  evidenza in due diverse
 circostanze.  Da  un  lato  esso  concorre   a   determinare   quello
 complessivo  rilevante  ai  fini  della lettera f) dell'art. 22 e del
 successivo art. 23. D'altro canto, tale reddito  e'  suscettibile  di
 autonoma  considerazione  in  rapporto  al  canone di locazione di un
 alloggio reperibile sul mercato.
   Il  collegio  e'  peraltro  consapevole  che  la  legge  regionale,
 operando   un  trattamento  differenziato  dei  redditi  da  immobili
 rispetto  alla  generalita'  degli  altri,  ricalca,  sia  pure   con
 significative   differenziazioni   oggetto   di   successivo   esame,
 l'impostazione della delibera  CIPE  19  novembre  1981,  dettante  i
 criteri  generali  per  le  assegnazioni  degli  alloggi  di edilizia
 residenziale pubblica.
   La legge regionale, nel dettare i requisiti per  l'assegnazione  la
 cui  perdita determina la decadenza, considera infatti - analogamente
 alla delibera CIPE (artt. 3 e 14, secondo comma, lettere d ed e) - in
 maniera differente il reddito derivante dalla titolarita' di  alloggi
 o  altri beni immobili rispetto a qualsiasi altro tipo di reddito. La
 lettera  f)  dell'art.   22   della   legge   regionale   prende   in
 considerazione il reddito complessivo del nucleo farniliare e pone il
 limite  del  doppio  di  quello  richiesto per l'accesso, superato il
 quale il comune deve pronunciare  la  decadenza.  La  lettera  e)  si
 riferisce  invece genericamente alla perdita dei requisiti soggettivi
 di cui all'art. 2 diversi da quello del reddito.
   Attenendo  ai  requisiti richiesti per conseguire l'assegnazione, e
 quindi  all'individuazione  dei  soggetti  che  possono  accedere  al
 patrimonio edilizio pubblico, quello individuato dall'art. 3, lettera
 d),  dei  citati  criteri, a cui si ricollega l'art. 14, appare porsi
 come principio direttivo a cui la regione  Lombardia  era  tenuta  ad
 uniformarsi.
   Appare  quindi  necessario  estendere  la questione alla disciplina
 statale della materia al fine di sottoporre al giudizio  della  Corte
 la norma regionale anche nella parte in cui ricalca tale criterio.
   La  rilevanza  di  tale questione nasce dalla considerazione che il
 ricorrente,  stando  alle  dichiarazioni  dei  redditi  prodotte   in
 giudizio   dal   comune   resistente,  sembra  disporre,  per  quanto
 variamente   denominati   (rustico,   casa   rurale),   di   immobili
 suscettibili di essere qualificati come alloggi.
   3.  -  Il  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616  (art.  88, n. 13) ha
 riservato, tra l'altro, allo Stato "la determinazione dei criteri per
 le assegnazioni di alloggi e per la fissazione dei canoni" mentre  la
 legge  5  agosto  1978,  n  457 ha affidato (art. 2, n. 2 del secondo
 comma) al CIPE la determinazione, su proposta del  CER,  dei  criteri
 generali per le assegnazioni. La predetta delibera (art. 1) ha inteso
 dettare,   ai  sensi  delle  norme  appena  richiamate,  criteri  che
 "rappresentano principi direttivi cui le regioni debbono  uniformarsi
 nell'esercizio   della  loro  attivita'  legislativa  in  materia  di
 assegnazione e  locazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale
 pubblica ...".
   Il richiamato art. 2 della legge n. 457 del 1978, ha quindi, almeno
 sul  versante  delle competenze statali, delegificato il procedimento
 delle assegnazioni abrogando le relative disposizioni del d.P.R.   n.
 1035  del  1972,  cosicche'  la  disciplina in materia scaturisce dai
 criteri CIPE e dalla legislazione regionale.
   Il collegio dubita, quindi, della legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  artt.  115,  117  e  118 della Costituzione, della
 richiamata disposizione della legge n. 457 del 1978  nella  parte  in
 cui  affida  ad  un  organismo governativo il potere di porre criteri
 destinati a costituire "i principi direttivi cui le  regioni  debbono
 uniformarsi" (art. 1 del CIPE) senza dettare alcun principio idoneo a
 vincolare  e ad orientare la discrezionalita' dell'esecutivo rispetto
 ad una materia rientrante tra quella trasferita alle  regioni  (Corte
 costituzionale  29  dicembre 1992, n. 486; 7-19 ottobre 1992, n. 393;
 20-28 luglio 1993, n. 347) e fino ad allora disciplinata da norme  di
 rango primario.
   La   Corte,  dopo  aver  ricordato  che  la  materia  dell'edilizia
 residenziale pubblica "ha un ampio  oggetto"  (sentenza  n.  217  del
 1988),  ha  altresi' precisato che l'assegnazione di tali alloggi "e'
 sicuramente iscritta nell'ambito della materia in considerazione  (v.
 sentenze  nn.  493  del  1970,  16  del  1972,  727 e 1115 del 1988)"
 (sentenza n. 486 del 1992).
   Il collegio e' dell'avviso che  i  principi  fondamentali  nel  cui
 ambito  le  regioni esercitano la potesta' legislativa in materia non
 possono essere posti, in base alle disposizioni costituzionali  prima
 richiamate,  se  non  da  fonti  di  rango  primario  o  comunque  da
 determinazioni amministrative il cui contenuto sia  stato  delimitato
 da un atto legislativo.
   4.  -  L'accoglimento  della  questione relativa alla norma statale
 dovrebbe quindi aprire al sindacato  "pieno"  le  norme  della  legge
 regionale  n. 91/1983, pur dove riflettano i cennati criteri, emanati
 - si ritiene - in base ad una norma costituzionalmente illegittima.
   La legge regionale, come  i  criteri  del  CIPE,  ha  l'effetto  di
 estromettere  soggetti  che,  qualunque sia il reddito complessivo di
 cui godono, siano titolari, in  qualsiasi  localita'  del  territorio
 nazionale  esterna  all'ambito  territoriale  a  cui  si riferisce il
 bando, di alloggi da cui sia ricavabile un reddito pari al canone  di
 locazione   di   un   alloggio   adeguato   alle  esigenze  abitative
 dell'assegnatario.
   La norma in questione appare priva di ragionevolezza, e  quindi  in
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
   La  Corte  ha  ricordato  "il principio giustificativo che consiste
 nella predisposizione di interventi pubblici di varia natura comunque
 diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista  di
 alloggi  per  i  lavoratori e le famiglie meno abbienti" (sentenza n.
 217 del 1988). Si e' ricordato come le denunciate norme  della  legge
 regionale  in esame prendano in considerazione la titolarita' di tali
 alloggi non perche' il bisogno abitativo possa  essere  tramite  essi
 direttamente  soddisfatto,  visto che a tale caso provvede l'art.  2,
 lettera c), che esclude chi "sia titolare del diritto di proprieta' o
 di altri diritti reali di godimento  su  un  alloggio  adeguato  alle
 esigenze   del  nucleo  familiari  nell'ambito  territoriale  cui  si
 riferisce il bando di concorso". La circostanza e' peraltro  evidente
 nel  caso  di  specie,  dove  gli  immobili  che hanno determinato la
 pronuncia di decadenza si trovano in provincia di  Matera  mentre  il
 ricorrente risiede, con la sua famiglia, a Milano.
   Il dato preso in considerazione dalle norme e' invece l'entita' del
 reddito  che  tali alloggi consentono (il valore locativo ex legge n.
 392/1978 per i criteri CIPE), che viene  cosi'  isolato  dall'importo
 globale  degli  introiti  di cui un nucleo dispone. Tale impostazione
 vanifica le finalita'  stesse  dell'edilizia  residenziale  pubblica,
 visto  che  discrimina i soggetti non in base ad indici significativi
 che consentano di individuare o escludere il loro  bisogno  abitativo
 bensi' unicamente alla provenienza di un determinato reddito: in base
 alla  natura  di  tale fonte a parita' di importi si potra' incorrere
 nella decadenza o avere diritto alla permanenza.
   Non solo.  Posto  che  il  livello  di  reddito  che  determina  la
 decadenza  e' rapportato ad un ipotetico equo canone di locazione, la
 norma e' in grado di espellere dal patrimonio pubblico  soggetti  che
 versano in una situazione economica ben piu' deteriore, disponendo ad
 esempio unicamente di tale reddito, rispetto a quelli a cui e' invece
 consentita la permanenza.
   Appare  al  collegio  incomprensibile  il  motivo per cui i redditi
 conseguibili da locazione di propri alloggi, una volta  assodato  che
 questi  non  soddisfano  il  bisogno  abitativo dell'assegnatario per
 essere ubicati  altrove  rispetto  al  territorio  in  cui  si  trova
 l'alloggio  ERP siano ex se suscettibili di provocare l'estromissione
 a    prescindere    dalla    situazione     economica     complessiva
 dell'assegnatario,  a  differenza  di  quanto  avviene  per i redditi
 provenienti da un  diverso  impiego  del  capitale,  come  quelli  di
 impresa  o  derivanti  da  titoli  pubblici  o  privati o da depositi
 bancari.
   Appare  infatti  manifestamente  irragionevole  che, fermi i limiti
 complessivi  di  reddito,  un  soggetto  possa  continuare  a  godere
 dell'alloggio  pubblico  se aliena gli immobili la cui titolarita' e'
 considerata a cio' ostativa per impiegare in altro modo  il  ricavato
 della vendita.
   Ne'  sembra che la sola titolarita' di uno o piu' immobili dimostri
 in maniera particolarmente significativa la mancanza del  bisogno  di
 alloggio  nel  territorio  in  considerazione,  essendo constatazione
 ovvia che una simile conclusione potrebbe ben piu' agevolmente trarsi
 considerando  altre  fonti  di  reddito   o   indici   di   ricchezza
 particolarmente eloquenti.
   Va   peraltro  ricordato  come,  pur  relativamente  a  fattispecie
 diverse, la Corte abbia affermato "che posto un  limite  come  indice
 dell'insufficienza  del reddito del familiare per il suo mantenimento
 autonomo, rimaneva del tutto irrilevante il riferimento  alla  natura
 ed alla provenienza dei redditi" (sentenze 21-28 maggio 1975, n. 128,
 14 gennaio 1986, n. 8).
   5.  - La norma regionale desta dubbi di legittimita' costituzionale
 anche ove le prospettate questioni non siano giudicate fondate.
   Appare infatti subito evidente che, mentre la lettera d)  dell'art.
 3  dei  criteri  CIPE - cosi' come, d'altronde, il previgente art. 2,
 lettera e) d.P.R. n. 1035/1972 - prende in considerazione il  reddito
 ovvero  il  "valore locativo complessivo" di uno o piu' "alloggi", la
 legge regionale pone in evidenza, accanto a questi, la titolarita' di
 diritti "su altri beni immobili".
   Il contrasto con tali "criteri" e' manifesto,  vista  la  rilevanza
 attribuita dal legislatore regionale al possesso di qualunque reddito
 di provenienza immobiliare.
   Posto  che  il  d.P.R.  24  luglio 1977, n. 616 (art. 88, n. 13) ha
 riservato  allo  Stato  "la  determinazione  dei   criteri   per   le
 assegnazioni di alloggi e per la fissazione dei canoni"; che la legge
 5 agosto 1978, n. 457 ha affidato (art. 2, n. 2 del secondo comma) al
 CIPE la determinazione, su proposta del CER, dei criteri generali per
 le assegnazioni; che la predetta delibera (art. 1) ha inteso dettare,
 ai  sensi  delle  norme appena richiamate, criteri che "rappresentano
 principi direttivi cui le regioni debbono uniformarsi  nell'esercizio
 della  loro  attivita'  legislativa  in  materia  di  assegnazione  e
 locazione degli alloggi di edilizia residenziale  pubblica  ...",  ne
 discende  il  contrasto  dell'art. 22, lettera e), nella parte in cui
 richiama ai fini della pronuncia di decadenza l'art. 2, primo  comma,
 lettera b), con il predetto criterio e quindi con gli artt. 117 e 118
 della Costituzione.
   6.  -  La norma risulta peraltro del tutto superata dall'entrata in
 vigore dell'art. 11 d.-l. 11 luglio 1992,  n.  333,  convertito,  con
 modificazioni,  con legge 8 agosto 1992, n. 359 in base alla quale le
 disposizioni  di  cui  alla  legge  n.   392/1978   non   sono   piu'
 inderogabili.
   Il  parametro  statale  di riferimento della normativa regionale si
 rivela ormai del tutto superato non essendovi  piu'  alcuna  garanzia
 che  il  soggetto  dichiarato  decaduto  possa trovare sul mercato un
 alloggio il cui canone sia corrispondente al reddito da  immobili  di
 cui dispone.
   La  normativa  sopravvenuta  rende  quella  regionale  in ulteriore
 contrasto con gli artt. 3, 117 e 118, posto che la regione non poteva
 evitare  di  adeguare  il  testo  normativo  alle   modifiche   della
 legislazione statale che, per la loro diretta rilevanza sulla materia
 in  questione, non possono non costituire nuovi principi fondamentali
 limitante la potesta' legislativa regionale.