Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 1238 del 14 febbraio 1997 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 18 febbraio 1997 (rep. n. 62898) rogata al notaio dott. Pierluigi Mott del Collegio notarile di Trento e Rovereto (doc. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5; contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione che non spetta allo Stato di emanare con decreto ministeriale, in assenza di base normativa e comunque illegittimamente, norme in materia di affidamento dei cani randagi; nonche' per il conseguente annullamento del decreto del Ministro della sanita' 14 ottobre 1996, avente tale oggetto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 1996; Per violazione: dell'autonomia legislativa ed amministrativa della provincia, come in particolare stabilita dall'art. 9, primo comma, n. 10, e dell'art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di attuazione; dei principi e regole costituzionali relativi ai rapporti tra funzioni statali normative e di indirizzo e corrispondenti funzioni regionali e provinciali; per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o Con il contestato decreto il Ministro della sanita' ha emanato Norme in materia di affidamento dei cani randagi. Con tale atto viene disciplinata l'attivita' dei servizi veterinari delle Aziende unita' sanitaria locali e dei canili e rifugi comunali in relazione all'affidamento a privati ed associazioni. A tal fine l'art. 1 del decreto dispone che i cani randagi accalappiati debbano essere trattenuti per un certo periodo nei canili comunali, per essere sottoposti a osservazione, controllo sanitario, trattamento profilattico, nonche' identificazione, registrazione e tatuaggio, da parte dei servizi sanitari. Trascorso tale periodo, i cani possono essere collocati presso i rifugi, per essere successivamente affidati, sia in forma temporanea (forma questa niente affatto prevista dalla legge) che in forma definitiva, a privati o ad associazioni protezionistiche espressamente riconosciute e registrate dal servizio veterinario regionale. L'art. 2 stabilisce limitazioni al numero degli affidi ed obblighi di comunicazione e documentazione nei riguardi del servizio veterinario. L'art. 3 dispone le modalita' di documentazione dell'affidamento avvenuto da parte del servizio veterinario, cui viene anche fatto onere di tornare a svolgere gli accertamenti sanitari in caso di nuovo affido. L'art. 4 disciplina gli obblighi informativi del servizio veterinario dell'unita' sanitaria locale rispetto al servizio veterinario regionale, e gli obblighi informativi di questo rispetto al Ministero della sanita'. L'art. 5 prevede che il Ministro della sanita' stabilisca le modalita' di affido ad associazioni protezionistiche estere. Nel complesso, e' palese che la normativa in questione concerne, nell'ambito del territorio provinciale, l'attivita' di uffici provinciali o di autorita' e servizi amministrativi soggetti alla potesta' legislativa ed amministrativa della provincia autonoma di Trento. Ma tale disciplina, che interferisce con l'esercizio delle prerogative costituzionali della riccorrente provincia, appare illegittima per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Interferenza con le potesta' legislative ed amministrative provinciali in assenza di qualunque base giuridica. Va in primo luogo osservato che la materia disciplinata dalla legge 14 agosto 1991, n. 281, legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, mette capo, nel complesso, alla sanita', comprensiva degli aspetti relativi alla assistenza e polizia veterinaria, come e' stato sancito da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 123 del 1992. Cio' non esclude, naturalmente, che singoli aspetti della legge possano attenere ad altra materia: e nella stessa sentenza ora ricordata codesta Corte ha in particolare ritenuto che l'art. 5, comma 2, della legge n. 281 del 1991, "nella parte in cui stabilisce il termine di sessanta giorni trascorso il quale, se un cane vagante non tatuato catturato non viene reclamato, puo' essere ceduto a privati o ad associazioni protezioniste", attiene alla materia dei rapporti di diritto privato (per i quali "sussiste l'esigenza che la legge statale assicuri una sostanziale uniformita' di disciplina su tutto il tettitorio nazionale"), in quanto la norma detta "la condizione il cui verificarsi integra l'avvenuta derelictio del cane". Cio' detto tuttavia, e' evidente che il decreto del Ministro della sanita' del 14 ottobre 1996 non riguarda affatto i rapporti di diritto privato (il che pure, come si dira', non lo salverebbe dalla piu' totale illegittimita'), ma riguarda invece l'assetto sanitario ed organizzativo del servizio di affidamento. D'altronde, che tale, e non gli aspetti privatistici, sia l'oggetto della disciplina ministeriale risulta non soltanto dalla semplice considerazione del suo contenuto, ma anche dalla considerazione che l'esigenza di una disciplina uniforme degli aspetti privatistici, che la sentenza n. 123/1992 ha riconosciuto, non puo' trovare espressione che in una disciplina legislativa. Riconosciuto che la normativa qui contestata ha per oggetto proprio cio' che e' riservato all'attivita' legislativa ed amministrativa delle regioni e province autonome, va osservato che il decreto del Ministro della Sanita' 14 ottobre 1996 non appare avere alcun preciso fondamento legislativo, ne' d'altronde di altro genere Nel preambolo di esso si rinvia genericamente agli atti normativi "a monte", cioe' in particolare al t.u. delle leggi sanitarie, al regolamento di polizia veterinaria ed alla legge quadro in materia di randagismo sopra ricordata, senza indicare quale disposizione prevederebbe le norme ministeriali in questione; e cio' non a caso, dato che in effetti nei predetti atti non se ne rinviene alcuna. E' appena da osservare che nessun valore di fondazione di un potere ministeriale in materia puo' avere la presunta "necessita' di disciplinare specificamente gli aspetti relativi agli affidi dei cani randagi fissando altresi' le opportune procedure che consentano l'adeguata tutela dei suddetti animali nel quadro delle norme di coordinamento statale di cui alla citata legge n. 281/1991". AI contrario, proprio il riferimento di per se' esatto al "quadro delle norme di coordinamento statale" rende evidente che entro quel quadro la sola competenza attuativa e' quella della normazione e della amministrazione locale. La constatazione della totale assenza di base giuridica del decreto qui contestato fornisce da sola motivazione sufficiente al presente ricorso, essendo ad avviso della ricorrente provincia palese il carattere invasivo di una normativa che interferisce nella materia ad essa riservata senza alcun fondamento giuridicamente rilevante. 2. - Illegittimita' del decreto del Ministro della sanita' del 14 ottobre 1996 se considerato in particolare come atto di indirizzo e coordinamento. La stessa constatazione vale infatti a condannare l'atto qui contestato anche se lo si volesse considerare quale espressione della funzione di indirizzo e coordinamento. Infatti, a prescindere dalla considerazione che gli aspetti essenziali di coordinamento sono gia' stati stabiliti dal legislatore statale nella legge n. 281/1991, che aveva appunto tale scopo, e' principio consolidato e pacifico, a partire dalla sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 150 del 1982, che l'esercizio di tale funzione - quando non avvenga in forma legislativa - richiede comunque espresso fondamento legislativo, che possa considerarsi idoneo (alla luce delle caratteristiche concrete della questione) a fornire all'atto governativo i necessari parametri di legalita' sostanziale. Dell'atto di indirizzo mancherebbero comunque anche gli elementi procedurali e formali. 3. - Illegittimita' del decreto del Ministro della sanita' del 14 ottobre 1996 se considerato in particolare come atto regolamentare. In realta' il decreto qui contestato dovrebbe essere qualificato, quanto al contenuto, come un regolamento di esecuzione della legge. Considerato come tale, esso sarebbe illegittimo se anche non vi fosse la competenza in materia delle regioni e province autonome. Infatti, una competenza odinaria per i regolamenti di esecuzione e' prevista soltanto per il Consiglio dei ministri, secondo quanto disposto dall'art. 17, comma 1, lett. a) della legge n. 400 del 1988. Per i singoli ministri, invece (come ben noto), il potere regolamentare esiste soltanto "quando la legge espressamente conferisca tale potere", come dispone il comma 3 della norma ora citata. Inoltre, i regolamenti sia governativi che ministeriali sono soggetti a preventivo parere del Consiglio di Stato, che non sembra sia stato nella specie acquisito. Intervenendo in materia regionale, o comunque interferendo con materia regionale, l'illegittimita' di qualunque norma regolamentare risulta palese, a prescindere da quella specifica che riguardi l'esercizio del potere regolarmentare come tale. E' infatti ancora principio pacifico e consolidato che "i regolamenti governativi, compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale o provinciale" (cosi' espressamente la sentenza n. 482 del 1995, punto 8 in diritto). Si noti che tale regola, che vale per tutte le autonomie, trova per il Trentino-Alto Adige particolare conferma nei disposti del d.P.R. n. 266 del 1992, proprio in quanto le garanzie ivi previste hanno riferimento soltanto alle leggi e agli atti di indirizzo e coordinamento: evidentemente nel presupposto che non esista un problema di rapporto con la fonte regolamentare, in quanto questa non e' rivolta a disciplinare in alcun modo rapporti tra Stato e regioni o province autonome. Diversamente, infatti le garanzie disposte risulterebbero facilissimamente aggirabili, solo ricorrendo al regolamento in luogo che all'atto di indirizzo. 4. - Illegittimita' per le ragioni dette delle singole disposizioni dell'atto. L'illegittimita' qui lamentata concerne l'atto nella sua interezza e nella sua stessa esistenza, essendo il contenuto delle singole disposizioni rilevante sopra tutto nel senso di rivelare l'illegittimita' incidenza e interferenza dell'atto statale sulle funzioni costituzionali. In ogni modo, tale illegittima interferenza ed incidenza puo' essere agevolmente illustrata per le singole disposizioni. Come detto in narrativa, l'art. 1 del decreto dispone che i cani randagi catturati debbano essere ricoverati e trattenuti per almeno sessanta giorni nei canili comunali, per essere sottoposti a osservazione, controllo sanitario, trattamento profilattico, nonche' identificazione, registrazione e tatuaggio, da parte dei servizi veterinari. Trascorso tale periodo, i cani possono essere collocati presso i rifugi, per essere successivamente affidati, sia in forma temporanea che in forma definitiva, a privati o ad associazioni protezionistiche espressamente riconosciute e registrate dal servizio veterinario regionale. La disposizione che, in quanto non meramente ripetitiva dei disposti della legge, interferisce palesemente con l'organizzazione dei servizi e piu' in generale con la potesta' legislativa ed amministrativa della provincia, impone una "registrazione" che non puo' essere prevista e disciplinata da siffatto atto. Essa e' poi anche arbitraria la' dove ammette, sia pure come "temporaneo", un affidamento anche prima dei sessanta giorni richiesti per il verificarsi della derelictio: un affidamento la cui giustificazione appare molto problematica sia sul piano dell'opportunita', creando vincoli anche rispetto al disposto legislativo, secondo cui gli animali possono essere ceduti solo se non reclamati. L'art. 2 non solo disciplina in luogo della competente provincia le comunicazioni e documentazioni di servizio, ma arbitrariamente prevede una facolta' di "subaffido" ignota alla disciplina legislativa, che interferisce con i compiti propri del servizio pubblico. La previsione e' inoltre priva - come data la sua natura non puo' non essere - di ogni aspetto relativo alla vigilanza o alle garanzie, risultando cosi' praticamente ineffettuale. L'art. 3 disciplina in luogo della provincia le modalita' di documentazione dell'affidamento avvenuto da parte del servizio veterinario, cui viene anche fatto specifico onere di tornare a svolgere gli accertamenti sanitari in caso di nuovo affido. L'art. 4 disciplina in luogo della provincia gli obblighi informativi del servizio veterinario dell'unita' sanitaria locale rispetto al servizio veterinario regionale, ed inoltre disciplina senza averne alcun potere obblighi informativi di questo rispetto al Ministero della sanita'. L'art. 5 prevede che il Ministro della sanita' stabilisca le modalita' di affido ad associazioni protezionistiche estere "d'intesa con le omologhe autorita' sanitarie degli altri Paesi", creando dal nulla una funzione di carattere internazionale che, se esistesse (e non pare ve ne sia ragione) non potrebbe non avere essa stessa un fondamento legislativo, e non puo' invece essere autocreata dal Ministro, privo di ogni conferimento di potere.