ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 34, comma 2, e
 299  cod.  proc.  pen. e del combinato disposto degli artt. 34, 279 e
 299 dello stesso codice, promossi con ordinanze emesse il 17 novembre
 1995 dalla Corte d'assise di Reggio Calabria, il 16 aprile  1996  dal
 tribunale  di  Catanzaro  e  il  4 marzo 1996 dalla Corte d'assise di
 Reggio Calabria, rispettivamente iscritte ai nn. 210, 611 e  617  del
 registro  ordinanze  1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica nn. 11 e 27, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 13 novembre 1996 il giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 17 novembre
 1995 (reg. ord. n. 210 del 1996) ed il 4 marzo  1996  (reg.  ord.  n.
 617  del 1996), la Corte d'assise di Reggio Calabria ha sollevato, in
 relazione agli artt. 3, primo  comma,  e  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  34,
 comma  2,  del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non
 prevede che non possa partecipare al  giudizio  il  giudice  che  nel
 dibattimento    ha   adottato   misure   coercitive   nei   confronti
 dell'imputato.
   Nei due giudizi la  Corte  d'assise,  competente  ad  applicare  le
 misure  cautelari  quale  "giudice  che procede" (art. 279 cod. proc.
 pen.), aveva disposto, su richiesta del pubblico  ministero  e  nella
 medesima  composizione,  la custodia cautelare in carcere di imputati
 nel procedimento in corso.
   Il giudice rimettente osserva che questa situazione e' distinta  da
 quella  che  ha  dato  luogo  alla  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale dello stesso art. 34, comma 2, cod. proc. pen.,  nella
 parte  in  cui  non  prevedeva  l'incompatibilita'  a  partecipare al
 giudizio del giudice per le indagini preliminari che avesse applicato
 una misura cautelare personale (sentenza n. 432 de 1995).  Essendo  i
 casi  di incompatibilita' tassativi, il giudice rimettente ritiene di
 non  poter  dare alla disposizione che li prevede una interpretazione
 analogica  o  estensiva.  Tuttavia  lo  stesso  giudice  ricorda  che
 l'applicazione   di   misure   che  limitano  la  liberta'  personale
 presuppone l'esistenza di gravi  indizi  di  colpevolezza.  In  altri
 termini   occorrono  elementi  probatori  che,  nel  loro  complesso,
 consentano di pervenire ad un giudizio di alta probabilita' in ordine
 all'esistenza del reato ed  alla  sua  attribuibilita'  all'imputato.
 Questa  valutazione  del  giudice chiamato ad applicare all'imputato,
 nel corso del dibattimento, la custodia cautelare in carcere, non  ha
 carattere   formale,   bensi'  di  contenuto,  giacche'  riguarda  la
 probabile fondatezza dell'accusa e l'inesistenza  di  condizioni  che
 possano legittimare il proscioglimento.
   Anche  in  questo caso, come in quello del giudice del dibattimento
 che quale giudice per le indagini preliminari ha adottato un  analogo
 provvedimento,  vi sarebbe un legittimo interesse dell'imputato a non
 essere giudicato da  un  giudice  che  ha  gia'  espresso,  sia  pure
 doverosamente,   una  valutazione  dei  medesimi  fatti  oggetto  del
 giudizio.  Si dovrebbero, pertanto, estendere anche  a  questo  nuovo
 caso  i  principi  sulla incompatibilita' del giudice, gia' enunciati
 dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 432 del 1995).
   2. - E' intervenuto nei due giudizi il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
   L'Avvocatura  ritiene  che  l'incompatibilita'  dedotta dalla Corte
 d'assise  di  Reggio  Calabria  trovi   origine   nella   occasionale
 discontinuita'   temporale,   dovuta   alla   durata  dell'istruzione
 dibattimentale, tra il momento in cui e' stata emessa l'ordinanza  di
 custodia  cautelare e quello in cui sara' pronunciata la sentenza che
 definisce il dibattimento.  Il dubbio di legittimita'  costituzionale
 non  avrebbe  avuto  ragione di essere sollevato, se il provvedimento
 cautelare  e  la  definizione  del  giudizio  avessero  avuto   luogo
 contestualmente, nella stessa udienza.
   Ad  avviso  dell'Avvocatura,  si  tratterebbe  di  verificare se il
 giudice del dibattimento, dopo aver emesso  l'ordinanza  che  applica
 una  misura  cautelare  personale all'imputato, ritenendo sussistenti
 gravi indizi di colpevolezza,  possa  procedere  al  giudizio  finale
 senza  che  vi  sia  sospetto  di prevenzione. La questione, valutata
 prescindendo dagli elementi accidentali costituiti  dalla  pluralita'
 di  udienze  dibattimentali  e  dalla  discontinuita'  temporale  dei
 provvedimenti, sarebbe del  tutto  infondata.  L'opinione  contraria,
 difatti,  porterebbe  a  negare  al  giudice  il  potere  di disporre
 qualsiasi cosa nel dibattimento, giacche' ogni provvedimento  implica
 l'assunto,  da  dimostrare  mediante l'istruzione dibattimentale, che
 l'accusa sia provvista di un certo fondamento.
   3.  -  Il  tribunale  di  Catanzaro,  investito   nel   corso   del
 dibattimento  della  decisione  sulla istanza dell'imputato di revoca
 della custodia in carcere, ha sollevato, con ordinanza emessa  il  16
 aprile   1996   (reg.  ord.  n.  611  del  1996),  due  questioni  di
 legittimita' costituzionale, che riguardano:
     a) l'art. 299 cod. proc. pen., che - nella parte in cui preclude,
 dopo  il  decreto  di  rinvio  a  giudizio,  la   valutazione   della
 persistenza della gravita' degli indizi di colpevolezza che legittima
 il  mantenimento  della  misura  cautelare  personale  -  sarebbe  in
 contrasto con gli artt.  3, primo comma, e 24, secondo  comma,  della
 Costituzione;
     b)  il  combinato  disposto  degli artt. 34, 279 e 299 cod. proc.
 pen.,  che  -  nella  parte  in  cui  attribuisce  al   giudice   del
 dibattimento,   anziche'  ad  un  diverso  ed  autonomo  giudice,  la
 competenza a decidere sull'istanza di revoca della  misura  cautelare
 proposta  dall'imputato,  determinando una manifesta incompatibilita'
 per il giudizio principale - sarebbe in contrasto con  gli  artt.  3,
 primo   comma,   24,   secondo   comma,  e  25,  primo  comma,  della
 Costituzione.
   Il tribunale di Catanzaro rileva  che,  secondo  la  giurisprudenza
 prevalente,  dopo  il  decreto che dispone il giudizio (art. 429 cod.
 proc. pen.) sarebbe precluso un nuovo  esame  della  sussistenza  dei
 gravi  indizi di colpevolezza. Lo stesso giudice ricorda che e' stata
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli artt. 309 e 310 cod.
 proc. pen., nella parte in cui non  prevedevano  la  possibilita'  di
 valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi
 in  cui  fosse stato emesso il decreto di rinvio a giudizio (sentenza
 n. 71 del 1996). Ad avviso del giudice rimettente,  se  si  ritenesse
 che  tale  pronuncia non comprenda anche la valutazione delle istanze
 di revisione di provvedimenti cautelari nel corso  del  dibattimento,
 dovrebbe  essere  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  anche
 dell'art. 299 cod. proc. pen., nella parte in cui preclude,  dopo  il
 rinvio  a giudizio, la valutazione della sussistenza dei gravi indizi
 di colpevolezza.
   Il tribunale di Catanzaro ritiene di  dovere,  comunque,  procedere
 all'esame  nel  merito  dell'istanza di revoca della misura cautelare
 proposta dall'imputato, essendo  stati  dedotti  fatti  nuovi,  e  di
 dovere  prendere  cognizione  non  solo  degli atti che compongono il
 fascicolo dibattimentale o  sono  stati  allegati  dalla  parti  alle
 rispettive richieste, ma anche degli atti contenuti nel fascicolo del
 pubblico  ministero.  In  tal modo, tuttavia, verrebbe compromessa la
 terzieta' e la necessaria neutralita' del giudice  del  dibattimento.
 Difatti,  decidere in materia cautelare comporterebbe l'apprezzamento
 della esistenza di  gravi  indizi  di  colpevolezza  che,  attraverso
 l'esame  delle  risultanze  investigative, implicherebbe un controllo
 inquisitorio, sia pure incidentale, estraneo alla  fase  accusatoria,
 che  caratterizza  il giudizio dibattimentale. Sicche', ad avviso del
 giudice rimettente, l'attribuzione (stabilita dal combinato  disposto
 degli  artt.  34,  279  e  299  cod.  proc.  pen.) della competenza a
 decidere sulle istanze in materia di custodia  cautelare  al  giudice
 del  dibattimento,  anziche'  ad  un  diverso  ed  autonomo  giudice,
 determinerebbe  un'incompatibilita'  a  giudicare  il  merito   della
 questione principale.
   Il   dubbio   di  legittimita'  costituzionale  e'  prospettato  in
 riferimento:
     a) all'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,  giacche',  a
 seguito  della  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale della
 mancata previsione dell'incompatibilita' per il giudizio del  giudice
 per  le indagini preliminari che ha applicato all'imputato una misura
 cautelare  personale  (sentenza  n.  432  del  1995),  la  situazione
 considerata  resterebbe  regolata  in  modo  diverso  senza  che  sia
 giustificata una differente disciplina;
     b)  all'art.  24,  secondo comma, della Costituzione, giacche' la
 pronuncia del giudice del  dibattimento  sulla  revoca  della  misura
 cautelare influenzerebbe l'imparzialita' del giudizio di merito;
     c)  all'art.  25,  primo  comma,  della Costituzione, perche' non
 sarebbe rispettato il principio del  giudice  naturale,  che  sarebbe
 invece  garantito  se  la  competenza  sulle  istanze  concernenti la
 liberta' personale  fosse  attribuita  al  giudice  per  le  indagini
 preliminari, considerato giudice di cognizione inquisitoria.
                         Considerato in diritto
   1. -  I dubbi di legittimita' costituzionale riguardano:
     a)  l'incompatibilita' del giudice del dibattimento che ha emesso
 o debba pronunciarsi su di un provvedimento di custodia cautelare nei
 confronti dell'imputato;
     b) la preclusione, dopo il decreto di rinvio  a  giudizio,  della
 possibilita'   di   valutare  la  persistenza  dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza, ai  fini  del  mantenimento  della  custodia  cautelare
 dell'imputato.
   1.1. - Le questioni concernenti l'incompatibilita' del giudice sono
 state proposte con distinte prospettive.
   La  Corte  d'assise di Reggio Calabria - competente ad applicare le
 misure cautelari quale "giudice che procede"  (art.  279  cod.  proc.
 pen.)  -  dopo  aver emanato, su richiesta del pubblico ministero, un
 provvedimento di custodia in carcere nei  confronti  degli  imputati,
 ritiene  che  l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui
 non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice  che  ha
 applicato  al medesimo imputato, nei confronti del quale si svolge il
 giudizio, una misura coercitiva, contrasti con  gli  artt.  3,  primo
 comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.
   Si  tratterebbe  di una situazione analoga a quella del giudice del
 dibattimento che, quale  giudice  per  le  indagini  preliminari,  ha
 applicato  una  misura  cautelare personale, situazione questa per la
 quale la  mancata  previsione  dell'incompatibilita'  e'  gia'  stata
 dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 432 del 1995).
   Inoltre   la   valutazione   dell'esistenza   di  gravi  indizi  di
 colpevolezza a  carico  dell'imputato,  che  e'  il  presupposto  per
 l'adozione  della  custodia  cautelare, inciderebbe sul diritto a non
 essere giudicato da un giudice che ha espresso  una  valutazione  sui
 medesimi fatti oggetto del giudizio.
   1.2.  -  Il  tribunale  di Catanzaro, chiamato a pronunciarsi sulla
 istanza dell'imputato di revoca della  custodia  cautelare,  richiama
 gli  stessi  principi  sopra enunciati in materia di incompatibilita'
 del  giudice,  ma  prospetta  in  modo  diverso   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale.  Difatti denuncia il contrasto, con gli
 artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e  25,  primo  comma,  della
 Costituzione,  del  combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 cod.
 proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  attribuisce  la   competenza   a
 pronunciarsi  sui  provvedimenti  cautelari  concernenti  la liberta'
 personale dell'imputato al giudice del dibattimento, anziche'  ad  un
 diverso   ed  autonomo  giudice,  determinando  cosi'  una  manifesta
 incompatibilita' a giudicare il merito del giudizio principale.
   1.3. - Altra  e  diversa  questione,  sollevata  dal  tribunale  di
 Catanzaro  in  riferimento  agli  artt. 3, primo comma, e 24, secondo
 comma, della Costituzione, investe l'art. 299 cod. proc. pen.,  nella
 parte  in cui, secondo il diritto vivente, precluderebbe di valutare,
 dopo il decreto di rinvio a giudizio, la persistenza dei gravi indizi
 di colpevolezza, ai fini della revoca di una misura cautelare.
   2.  -  Le  diverse  questioni,  attinenti  all'incompatibilita' del
 giudice ed all'adozione di misure cautelari, sono connesse e  possono
 essere decise con unica pronuncia.
   3.  -  La  questione  che  investe l'art. 34 cod. proc. pen. per la
 omessa  previsione  dell'incompatibilita'  del  giudice   che   abbia
 adottato,  in  dibattimento,  la  misura  della custodia cautelare in
 carcere dell'imputato,
  e' inammissibile.
   La Corte d'assise di Reggio Calabria rileva che  la  competenza  ad
 adottare  misure  cautelari  personali  spetta al giudice che procede
 (art. 279 cod. proc. pen.) e, quindi,  al  giudice  del  dibattimento
 quando  sia  investito  del  giudizio.  Si  tratta  di una competenza
 accessoria, che si radica in capo al giudice  in  ragione  di  quella
 principale, che gli e' propria, del giudizio sul merito.
   Il  giudice  rimettente vorrebbe che, esercitata incidentalmente la
 competenza accessoria, venga sostanzialmente meno quella  principale,
 a causa dell'incompatibilita' che ritiene si determini.
   L'esito  prefigurato  finirebbe  con  l'attribuire  alle  parti  la
 potesta' di determinare l'incompatibilita' nel corso del giudizio del
 quale il giudice e' gia' investito. Difatti, in qualsiasi momento del
 dibattimento, il pubblico ministero potrebbe chiedere  l'applicazione
 di  una misura cautelare nei confronti dell'imputato, e quest'ultimo,
 la'  dove  la  misura  sia  stata,  anche  in  precedenza,  adottata,
 chiederne  la  revoca.    Con  l'effetto,  configurabile in base alla
 prospettazione della questione delineata dal giudice rimettente,  che
 il  giudice  gia'  investito  del  giudizio  verrebbe  spogliato  del
 giudizio stesso in ragione del compimento di un atto processuale  cui
 e'   tenuto,  a  seguito  dell'istanza  di  una  parte.  Alla  scelta
 processuale  di  quest'ultima  sarebbe,  in  definitiva,  rimessa  la
 permanenza  della  titolarita' del giudizio in capo al giudice che ne
 e' investito. Esito, questo, non  solo  irragionevole,  ma  anche  in
 contrasto  con  il  principio  del giudice naturale precostituito per
 legge, dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe  chiedere  di  essere
 distolto.
   Difatti,  per  un  verso, con la pronuncia sulla custodia cautelare
 non solo verrebbe meno la possibilita' di proseguire il  dibattimento
 ma,  addirittura,  tale  situazione,  determinata  da  istanze sempre
 riproponibili dalle parti, potrebbe ripetersi  indefinitamente  anche
 nel  dibattimento  che, a seguito della incompatibilita', abbia avuto
 di nuovo inizio con una diversa composizione dell'organo  giudicante.
 Per  altro  verso,  affermandosi una incompatibilita' derivante dalla
 pronuncia accessoria sulla liberta' personale, il giudizio principale
 verrebbe sottratto, quale effetto dell'iniziativa e della  scelta  di
 una parte, al giudice gia' investito del merito.
   Cosi'  come  prospettata  dal  giudice rimettente, la questione non
 puo', dunque, avere ingresso.
   4. - Egualmente inammissibile, ma per una diversa  ragione,  e'  la
 questione   relativa   alla  medesima  incompatibilita'  del  giudice
 proposta dal tribunale  di  Catanzaro  chiamato  a  pronunciarsi,  in
 dibattimento,   sull'istanza   di  revoca  di  una  misura  cautelare
 personale.
   Anche  il  tribunale  di  Catanzaro  prende  in  considerazione  la
 competenza, principale, del giudice del dibattimento per il  giudizio
 di  merito,  e la competenza, accessoria, dello stesso giudice per la
 pronuncia  sulle   misure   cautelari   personali   nel   corso   del
 dibattimento.   Ma,  diversamente  dalla  Corte  d'assise  di  Reggio
 Calabria, vorrebbe che l'effetto di incompatibilita' per il giudizio,
 che ritiene si determini con la pronuncia incidentale sulla  liberta'
 personale dell'imputato a causa della conoscenza degli atti contenuti
 nel  fascicolo  del  pubblico  ministero,  possa  essere prevenuto ed
 escluso attribuendo ad altro e diverso giudice  la  competenza  sulle
 misure cautelari.
   La  questione,  cosi'  come viene prospettata, indipendentemente da
 ogni valutazione nel merito, implica o prefigura  molteplici  scelte,
 rimesse  al  legislatore.  Difatti  non  sarebbe l'unica, ne' sarebbe
 necessitata, la soluzione adombrata dal giudice rimettente - e  senza
 qui  valutare se si tratti di un'ipotesi correttamente percorribile -
 di una permanente competenza per  le  misure  coercitive  rimessa  al
 giudice  per  le  indagini  preliminari, quale giudice piu' idoneo in
 ragione di una  (asserita)  connotazione  inquisitoria  del  giudizio
 cautelare.
   5.  - Il tribunale di Catanzaro dubita, inoltre, della legittimita'
 costituzionale dell'art. 299 cod. proc. pen.,  nella  parte  in  cui,
 secondo    l'interpretazione    che    considera   diritto   vivente,
 precluderebbe, nel giudizio di revoca  delle  misure  coercitive,  di
 valutare  nuovamente,  dopo  il  decreto  di  rinvio  a  giudizio, la
 persistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
   La questione e' infondata.
   La Corte ha gia' affermato (sentenza  n.  71  del  1996;  ed  anche
 ordinanze  nn. 123, 212 e 314 del 1996) che il decreto che dispone il
 giudizio non puo' ritenersi in alcun modo  assorbente  rispetto  alla
 valutazione   dei   gravi  indizi  di  colpevolezza,  che  sostengono
 l'adozione ed il mantenimento delle misure cautelari personali, ed ha
 quindi dichiarato l'illegittimita' costituzionale  delle  norme  che,
 nel  riesame o nell'appello in materia di misure cautelari (artt. 309
 e 310 cod. proc. pen.), non prevedono la possibilita' di valutare  la
 sussistenza  dei gravi indizi di colpevolezza quando sia stato emesso
 il decreto che dispone il giudizio (art. 429 cod. proc.  pen.).  Tale
 decisione  si  riflette,  evidentemente,  anche  sulla revoca e sulla
 sostituzione delle misure cautelari. Difatti il decreto  che  dispone
 il  giudizio,  pur  dando ingresso alla successiva fase del processo,
 non ha piu' il valore di una definitiva valutazione dell'esistenza di
 gravi  indizi,  tale  da  fondare  la  previsione  di  una  probabile
 condanna.
   Rimane,  dunque,  esclusa  la  preclusione,  ipotizzata dal giudice
 rimettente, di un nuovo apprezzamento  della  sussistenza  dei  gravi
 indizi  di  colpevolezza,  nel  giudizio  sulla  revoca  delle misure
 cautelari personali.