IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 386 del 1993,
 proposto da  Fulgenzi  Giovanni,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Domenico  Spadafora,  e  successivamente,  in  seguito  al decesso di
 questi, dagli avv.ti Francesco  Scalzi  e  Raffaele  de'  Salvia,  ed
 elettivamente  domiciliato  nello studio dell'originario difensore in
 Catanzaro, alla via XX settembre, n. 63;
   contro il Ministero di grazia e giustizia, in persona del  Ministro
 in  carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello
 Stato di Catanzaro presso la cui sede in  via  Gioacchino  da  Fiore,
 domicilia per legge;
   per l'annullamento previa sospensione, del mancato arruolamento nel
 corpo  di  polizia  penitenziaria disposto con comunicazione 8 maggio
 1993, prot. n. 64897/EFF.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Amministrazione
 intimata;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore alla pubblica udienza dell'8 novembre  1996 il consigliere
 dr. Massimo Calveri e udito l'avv. Pullano, in sostituzione dell'avv.
 de'  Salvia,  per il ricorrente e l'avv. dello Stato Scaramuzzino per
 l'Amministrazione  resistente;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Premette  il  ricorrente,  signor  Giovanni   Fulgenzi,   di   aver
 presentato domanda di arruolamento nel corpo di polizia penitenziaria
 e  che,  a seguito dell'espletamento, con esito positivo, delle prove
 psico-attitudinali  gli  veniva  richiesto  di  produrre   tutta   la
 prescritta documentazione, tra cui la copia del foglio matricolare.
   Non  avendo, poi, ricevuto notizie in ordine all'accoglimento della
 propria istanza di  arruolamento,  l'interessato  ne  sollecitava  la
 comunicazione  che  seguiva  con  il  provvedimento  in  epigrafe del
 seguente testuale tenore: "Con  riferimento  all'istanza  diretta  ad
 ottenere  l'arruolamento  nel  corpo  di polizia penitenziaria, si fa
 presente che non  e'  possibile  procedere  in  senso  favorevole  in
 quanto, dall'esame del foglio matricolare, si e' rilevato che la S.V.
 ha  riportato  durante  il  servizio  militare,  un  giudizio  finale
 complessivo insufficiente  e,  pertanto,  non  riunisce  i  requisiti
 previsti  dall'art.  4,  comma  8,  del d.l.l. 21 agosto 1945 n. 508,
 mantenuto in vigore dall'art.  29 della legge 15  dicembre  1990,  n.
 395,  dal  d.-l.  29  gennaio  1992,  n.  36, convertito con legge 29
 febbraio 1992, n. 213 e dal d.-l.  8 giugno 1992, n. 306,  convertito
 con legge 7 agosto 1992, n. 356".
   Avverso  tale  provvedimento  il  Fulgenzi  e' insorto, con ricorso
 notificato il 30 giugno 1993, deducendo  violazione  di  legge  -  in
 particolare, della normativa concernente la materia - nonche' eccesso
 di potere sotto diversi profili.
   Costituendosi  in  giudizio,  l'Amministrazione intimata ha opposto
 l'infondatezza del ricorso nella considerazione che l'interessato era
 privo di  uno  dei  requisiti  di  ammissione  al  corpo  di  polizia
 penitenziaria,  individuato,  nella  specie,  dal  non aver riportato
 qualifiche inferiori a quella di buono durante il servizio militare.
   A  riprova  della   legittimita'   dell'impugnata   determinazione,
 l'Amministrazione  ha  depositato  il quadro E del foglio matricolare
 del Fulgenzi, dal quale risulta  che  durante  il  servizio  militare
 questi  ha  riportato  la qualifica di insufficiente sia nel grado di
 idoneita' nell'assolvimento dell'incarico  di  radiofonista  che  nel
 giudizio finale.
   Con  atto  notificato  il  9 marzo 1994, il ricorrente, premesso di
 aver avuto contezza dell'allegato quadro E solo  all'udienza  del  14
 gennaio  1994,  ha  proposto motivi aggiunti al ricorso impugnando il
 giudizio di insufficienza attribuitogli durante  la  prestazione  del
 servizio militare.
   In   ordine  alla  presentazione  dei  motivi  aggiunti  la  difesa
 dell'Amministrazione   (memoria   depositata   l'11   aprile   1994),
 nell'evidenziare  che  essi, in realta', concernono l'impugnativa del
 giudizio di insufficienza in questione,  ha  eccepito  l'infondatezza
 del    proposto    mezzo    di   gravame   perche'   non   notificato
 all'Amministrazione  emanante,   individuata,   nella   specie,   nel
 Ministero della difesa.
   Con  decisione  n.  961 del 7 ottobre 1994, il tribunale, decidendo
 sull'ammissibilita'  dei  motivi  aggiunti,  riconosciuta   la   mera
 irregolarita'  della  notifica  di  questi  ultimi in quanto disposta
 all'Avvocatura    distrettuale     dello     Stato     in     persona
 dell'Amministrazione  penitenziaria e non del Ministero della difesa,
 ne ha disposto la rinnnovazione  assegnando  al  ricorrente  apposito
 termine per l'evocazione in giudizio dell'Amministrazione competente.
   Alla pubblica udienza dell'8 novembre 1996, sulle conclusioni delle
 parti, il ricorso e' stato trattenuto in decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  Con decisione parziale, deliberata nella camera di consiglio
 dell'8 novembre 1996, il Collegio, preso atto  dell'inosservanza  del
 termine    assegnato    al    ricorrente   per   l'integrazione   del
 contraddittorio  nei  riguardi  dell'Amministrazione  competente,  ha
 dichiarato  la  decadenza  dei  motivi  aggiunti dedotti in ordine al
 giudizio di non sufficienza riportato dal ricorrente medesimo durante
 la prestazione del servizio militare.
   2. - Puo' quindi passarsi all'esame del  merito  del  ricorso  che,
 come  esposto  nelle premesse di fatto, si appunta contro il diniego,
 opposto dal Ministero di grazia e giustizia con  provvedimento  prot.
 n.  64897/EFF in data 8 maggio 1993, di accoglimento dell'istanza del
 ricorrente tendente ad ottenere l'arruolamento nel Corpo  di  polizia
 penitenziaria.
   Tale  provvedimento  negativo  si  sostiene  sulla circostanza che,
 avendo l'interessato "riportato, durante  il  servizio  militare,  un
 giudizio  finale  insufficiente",  egli  non  riunirebbe "i requisiti
 previsti dall'art. 4, comma ottavo, del  d.l.l.  21  agosto  1945  n.
 508,  mantenuto  in vigore dall'art. 29 della legge 15 dicembre 1990,
 n. 395, dal d.-l. 29 gennaio 1992, n. 36,  convertito  con  legge  29
 febbraio  1992,  n. 213 e dal d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito
 con legge 7 agosto 1992, n. 356".
   Avverso   la   sfavorevole   determinazione   il   ricorrente    ha
 fondamentalmente   dedotto  eccesso  di  potere  per  erroneita'  dei
 presupposti e travisamento dei fatti, asserendo che l'Amministrazione
 sarebbe incorsa in evidente errore materiale  dal  momento  che  egli
 risultava  in  possesso  di  tutti  i requisiti previsti, ai fini del
 reclutamento, dal menzionato art.  4 del d.lgs.lgt. n. 508 del 1945.
   In  verita',  la  semplice  visione  del  foglio  matricolare   del
 ricorrente  (in  particolare, il relativo quadro E), depositato dalla
 resistente, vale a smentire l'assunto difensivo avendo  l'interessato
 riportato  la qualifica di "insufficiente" sia nel grado di idoneita'
 raggiunto nell'assolvimento dell'incarico di "radiofonista"  che  nel
 giudizio complessivo finale.
   Su  tale  inconfutabile  risultanza  documentale, e alla luce della
 riportata previsione legislativa che condiziona  l'ammissibilita'  "a
 servire  nel  Corpo  degli  agenti di custodia" (ora Corpo di polizia
 penitenziaria: art. 1, legge 15 dicembre 1990, n. 395) al  fatto  che
 gli aspiranti non abbiano "riportato qualifiche inferiori a quella di
 buono  durante  il  servizio  militare",  dovrebbe  pervenirsi  a una
 decisione di reiezione della proposta impugnativa.
   Appare  in  proposito  opportuno  puntualizzare  che, come indicato
 nell'impugnato  provvedimento  dell'Amministrazione  giudiziaria,  la
 norma  di  cui  all'art.  4  del  d.lgs.lgt.  n.  50/1945,  e'  stata
 effettivamente mantenuta  in  vigore  dalla  normativa  in  proposito
 richiamata  (art.   29, comma 2, legge 15 dicembre 1990, n. 395; art.
 1, comma 3, d.-l.  29 gennaio 1992, n. 36; art. 17, comma 2, d.-l.  8
 giugno  1992,  n.   306), dovendosi ulteriormente soggiungere che una
 stessa norma risultava gia' inserita nell'art. 4, n. 7, del  r.d.  30
 dicembre 1937, n. 2584 , contenente il regolamento per il Corpo degli
 agenti  di  custodia  degli  Istituti di prevenzione e di pena, ed e'
 stata ulteriormente mantenuta ferma  dall'art.  126  della  legge  18
 febbraio   1963,   n.  173,  disciplinante  lo  stato  giuridico  dei
 sottufficiali e dei militari di truppa  del  Corpo  degli  agenti  di
 custodia.
   3.   -   Cio'   premesso,  si  osserva,  pero',  che  la  precitata
 disposizione di cui all'art. 4, n. 8, del d.lgs.lgt. n.  508/1945,  e
 la  connessa  normativa  legislativa che la mantiene in vigore, nella
 parte in cui individua tra i requisiti  di  ammissione  al  Corpo  di
 polizia  penitenziaria l'assenza di "qualifiche inferiori a quella di
 buono durante il servizio militare", non sembra risultare conforme  a
 Costituzione.  Di conseguenza, ritiene il Collegio di dover sollevare
 d'ufficio  apposita  questione  di   costituzionalita',   ritenendola
 rilevante  ai  fini della decisione e non manifestamente infondata ai
 sensi e per gli effetti dell'art.   1 della  legge  costituzionale  9
 febbraio  1948,  n.  1  e dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo
 1953, n. 87, e cio' nei limiti e per le considerazioni che seguono.
   4. - Quanto alla rilevanza, essa appare di intuitiva  evidenza  ove
 si   consideri   che   la   fondatezza   della   sollevata  eccezione
 comporterebbe  l'accoglimento  della  domanda  di  arruolamento   del
 ricorrente,  dal momento che questi aveva favorevolmente sostenuto le
 prove psico-attitudinali e l'unico impedimento al  suo  ingresso  nel
 Corpo  di  polizia  penitenziario  e'  da individuarsi nel contestato
 giudizio di insufficienza.
   5.  -  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  sollevata
 questione  di  legittimita'  costituzionale, essa e' da rinvenire nel
 contrasto della norma di cui si dubita con  i  principi  posti  dagli
 artt. 4, 3 e 52 della Costituzione.
   5.1.  -  L'art.  4,  comma  primo,  della Costituzione solennemente
 proclama che "la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il  diritto
 di  lavoro  e  promuove  le  condizioni  che rendono effettivo questo
 diritto".
   Dal complessivo contesto dell'ora riportata disposizione si  ricava
 che  il  diritto  al  lavoro,  riconosciuto  ad ogni cittadino, e' da
 considerare quale fondamentale diritto della persona  umana,  che  si
 estrinseca  nella  scelta  e  nel  modo  di  esercizio dell'attivita'
 lavorativa.
   L'esegesi  della  norma,  costantamente  ribadita  anche   da   una
 risalente  giurisprudenza  della Corte costituzionale (Corte cost., 9
 giugno 1965, n. 45; idem 14 aprile 1969, n.   81), e' nel  senso  che
 all'evidenziata   situazione   giuridica   attiva  del  cittadino  fa
 riscontro, per quanto riguardo lo Stato, un duplice  limite:  da  una
 parte,  il  divieto  di  creare o lasciar sussistere nell'ordinamento
 norme che pongono limiti discriminatori a tale liberta',  ovvero  che
 direttamente  o  indirettamente la rinneghino; dall'altro, l'obbligo,
 il   cui   adempimento  e'  ritenuto  dalla  Costituzione  essenziale
 all'effettiva realizzazione del diritto in  questione,  d'indirizzare
 l'attivita'  di  tutti i pubblici poteri, e dello stesso legislatore,
 alla creazione di condizioni, che consentano  l'impiego  di  tutti  i
 cittadini idonei al lavoro.
   Orbene,  con riferimento agli esposti principi non vi e' dubbio che
 la sussistenza nell'ordinamento della norma de qua sia idonea a porsi
 nei riguardi del cittadino, aspirante al reclutamento  nel  Corpo  di
 polizia  penitenziario,  come limite discriminatore all'accesso di un
 posto  di  lavoro,  limite  peraltro  affatto  privo  di  ragionevole
 giustificazione.
   Ed  infatti, la disposizione secondo cui per l'ammissione nel Corpo
 di polizia  in  questione  occorre  "non  aver  riportato  qualifiche
 inferiori  a  quella  di  buono  durante  il  servizio  militare", e'
 suscettibile di precludere ogni aspettativa di impiego in ragione  di
 valutazioni,  ritenute  insufficienti,  che  conseguano  ad attivita'
 svolte durante il servizio di leva anche in settori che non attengano
 allo specifio ambito dell'addestramento e della disciplina militare.
   In proposito il caso all'esame appare davvero emblematico.
   Secondo quanto risulta dal quadro  E  del  foglio  matricolare  del
 ricorrente,  questi  ha  riportato  un giudizio complessivo finale di
 "insufficiente" che  corrisponde  al  grado  di  idoneita'  raggiunto
 nell'assolvimento dell'incarico di specializzazione di "radiofonista"
 conferitogli.
   Sembra  verosimile  ritenere  che  il  giudizio  finale  sia  stato
 significativamente  condizionato  dal   giudizio   di   insufficienza
 riportato    dal    militare   nell'espletamento   dell'incarico   di
 specializzazione che, si badi  bene,  afferisce  a  materia  (settore
 "trasmissioni"   nell'arma)   niente  affatto  coerente  con  la  sua
 preparazione culturale e professionale specifica (il ricorrente e' in
 possesso del diploma  di  qualifica  professionale  di  "congegnatore
 meccanico":  v.  domanda di arruolamento, e disimpegna il mestiere di
 "operaio specializzato").
   Sul punto e' appena il caso di  segnalare  che  non  e'  del  tutto
 infrequente,  durante  il  servizio  di  leva,  l'assoggettamento del
 militare  alla  frequenza  di  corsi  di   specializzazioni   affatto
 dissonanti  rispetto  alle  sua esperienze formative e professionali;
 donde l'eventualita' di esiti valutativi e  operativi  plausibilmente
 non soddisfacenti ma idonei - come dimostra la situazione di cui alla
 presente  controversia  -  a  rifluire  negativamente  sul  "destino"
 occupazionale   del   cittadino   pesantemente   mortificandone    le
 aspettative di lavoro.
   Ma  la  previsione  legislativa,  della  cui  costituzionalita'  si
 dubita, appare priva di razionalita' anche sotto un ulteriore  e  non
 meno significativo aspetto.
   Invero,  se  puo',  in  via  generale, ammettersi che il diritto al
 lavoro garantito  dall'art.  4  della  Costituzione  non  esclude  la
 facolta'  del  legislatore  di regolare l'esercizio della liberta' di
 scelta dell'attivita' lavorativa  mediante  l'adozione  di  opportune
 cautele  che  valgano  a tutelare altri interessi ed esigenze di piu'
 pregnante valenza sociale (Corte cost., 28 luglio 1976, n. 194),  non
 si  vede  quale  sostanziale  e ragionevole esigenza superindividuale
 sottenda - anche in relazione all'ormai acquisita  qualificazione  di
 "Corpo  civile"  del  Corpo  di  polizia  penitenziaria,  per effetto
 dell'art.    1  della  legge  15 dicembre 1990, n. 395 recante il suo
 nuovo ordinamento  -  il  possesso  del  requisito  in  questione  in
 presenza  peraltro di una specifica disciplina (artt. 127 e 128 della
 legge 18 febbraio 1963, n. 173) che prevede  apposite  modalita'  per
 l'accertamento  dell'idoneita'  fisica  e attitudinale dell'aspirante
 all'arruolamento nel Corpo, con l'affidamento delle relative indagini
 a due distinte e qualificate commissioni da nominarsi dal Ministro di
 grazia e giustizia.
   La sussistenza dell'ora indicata fase sub-procedimentale (la quale,
 e' il  caso  di  rimarcarlo,  e'  stata  positivamente  percorsa  dal
 ricorrente)  individua,  per  vero,  l'unica  ed  effettiva attivita'
 valutativa  dell'idoneita'  dell'aspirante  a  svolgere   i   compiti
 istituzionali  propri  dell'agente di polizia penitenziaria; sicche',
 anche a voler concedere in ordine alla ragionevolezza  dell'esistenza
 nell'ordinamento  della  normativa  legislativa  de  qua, apparirebbe
 comunque arbitrario e incongruente, in presenza di un'ulteriore  fase
 di  valutazione  dell'attitudine  del  reclutando,  non  prevedere la
 possibilita' che il superamento di  quest'ultima  (specie,  allorche'
 come  nel  caso  l'accertamento  attitudinale  intervenga  a notevole
 distanza di tempo dall'espletamento del  servizio  di  leva)  assorba
 eventuali  qualifiche inferiori a quella di "buono" riportate durante
 il servizio militare.
   Che,  sotto  altro  verso,  il  conseguimento   di   qualifiche   e
 valutazioni varie durante il servizio di leva non possano in concreto
 rifluire   sull'assunzione   degli   agenti   nel  Corpo  di  polizia
 penitenziaria,  e'  significativamente  comprovato  dalla  successiva
 normativa  di cui all'ordinamento del relativo personale, e cioe' dal
 d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, emanato in applicazione dell'art. 14,
 comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395. Il  relativo  art.  5,
 nel   premettere  che  l'assunzione  degli  agenti  avviene  mediante
 pubblico concorso, al quale possono partecipare i cittadini  italiani
 in  possesso,  tra  gli  altri, del requisito dell'"idoneita' fisica,
 psichica  e  attitudinale  al  servizio  di  polizia  penitenziaria",
 prevede,  infatti,  tassative  ipotesi  di  esclusione  dal  concorso
 (soggetti  espulsi  dalle  forze  armate  e  dai  corpi  militarmente
 organizzati,  o  destituiti  dai pubblici uffici; o condannati a pena
 detentiva  per  delitto  non  colposo  o  sottoposti  a   misura   di
 prevenzione)  tra  le  quali  non  risultano  comprese  quelle di cui
 all'art. 4 del d.lgs.lgt. n. 508 del 1945, definitivamente  innovando
 rispetto  alla  normativa,  di  cui  si sospetta la non conformita' a
 Costituzione, che ha costantemente reiterato nel tempo l'operativita'
 di detto art. 4.
   5.2. - Ritiene, peraltro, il Collegio che la normativa in questione
 urti anche contro il principio di uguaglianza, tutelato dall'art.   3
 della Costituzione, per il fatto che essa, con la previsione del piu'
 volte   menzionato   requisito,   introduce   per  gli  aspiranti  al
 reclutamento  nel  Corpo  di  polizia  penitenziaria  una  disciplina
 giuridica   differenziata   discriminando  in  maniera  arbitraria  e
 ingiustificata l'aspirazione occupazionale di tali soggetti  rispetto
 ad altre categorie di lavoratori.
   Invero,  si  e'  dell'avviso  che  la  disciplina  differenziata in
 contestazione   non   trovi   alcuna   ragionevole    giustificazione
 vertendosi,  in  definitiva,  in  materia  di assunzione in un "Corpo
 civile" dello Stato, tale essendo qualificato  il  Corpo  di  polizia
 penitenziaria  dal  nuovo  ordinamento  di  tale particolare forza di
 polizia (precitato art. 1 della legge n. 395/1990).
   Il principio di uguaglianza risulta, poi, vieppiu' vulnerato ove si
 consideri che le qualifiche, che non attingono alla soglia valutativa
 di "buono" durante il servizio di leva, possono impingere  non  tanto
 all'addestramento   e   alla   formazione  militare,  quanto  (e  non
 infrequentemente) a settori culturali e/o professionali non  coerenti
 al  percorso  formativo  (titoli  di studio ed esperienze lavorative)
 gia' seguito dal chiamato alla leva.
   5.3. - Infine, le disposizioni legislative in esame  cozzano  anche
 con   il   principio  fissato  dall'art.  52,  comma  secondo,  della
 Costituzione  nella  parte  in  cui  afferma  che  l'adempimento  del
 servizio  militare  non  deve pregiudicare la posizione di lavoro del
 cittadino.
   Infatti, nel caso all'esame, non potrebbe di certo dirsi rispettata
 - proprio nell'attuale delicata fase  socio-economica  caratterizzata
 da  notevoli difficolta' di inserimento nella realta' lavorativa - la
 proclamata garanzia costituzionale la quale, ove le norme legislative
 non fossero espunte  dall'ordinamento,  risulterebbe  compromessa,  e
 cio'  indubbiamente  in  assenza  di un interesse pubblico o comunque
 superindividuale meritevole di plausibile e prevalente tutela.
   6. - Per le suesposte considerazioni, a norma dell'art.  23,  comma
 secondo,  della  legge  11 marzo 1953, n. 87, va disposta l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della  questione  incidentale  di  costituzionalita' di cui trattasi,
 disponendosi conseguentemente la sospensione del giudizio  instaurato
 con il ricorso in epigrafe.