LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  emesso  la  seguente ordinanza sui ricorsi proposti da Cattaneo
 Marco Fabrizio, avv. accert. 4471008113.95;  Bedetti  Riccardo  +  1,
 avv.   accert.   4471008080.95;   Brescia   Domenico,   avv.  accert.
 4471008079.95; Cattaneo Maria  Teresa,  avv.  accert.  4471008114.95;
 Cattaneo  Santino + 1, avv. accert. 447100815.95; avverso uff. ii.dd.
 Como.
   1.   -   Con   separati   ricorsi   i   contribuenti    impugnavano
 tempestivamente  gli  avvisi in epigrafe con i quali l'ufficio II.DD.
 di  Como  aveva  accertato  nei  loro  confronti,   su   segnalazione
 dell'ufficio  II.DD.    di  Saronno, un reddito di partecipazione non
 dichiarato.
   Assumevano i ricorrenti che sulla scorta  delle  risultanze  di  un
 p.v.  della G. di F., recepite acriticamente dagli uffici impositori,
 era stata ritenuta l'esistenza di una societa' di fatto tra  essi  ed
 altre   persone,   determinato   il  patrimonio  del  preteso  gruppo
 (Cattaneo)  ed  accertato  il  reddito   societario   e   quello   di
 partecipazione,  ancorche'  il  giudice penale avesse gia' escluso la
 sussistenza  e/o  configurabilita'   dell'ipotesi   formulata   dalla
 Finanza.
   All'udienza  camerale  del  10  gennaio  1997 - avendo i ricorrenti
 chiesto la sospensione dei provvedimenti impugnati, subito seguiti da
 iscrizione del terzo - veniva prodotta copia  della  decisione  della
 Commissione  tributaria  di Busto Arsizio che aveva accolto i ricorsi
 proposti dalla "pretesa" societa' e  dai  "soci"  relativamente  agli
 esercizi precedenti.
   I  ricorrenti  riferivano  che  la  trattazione  del  ricorso della
 societa' relativo all'esercizio in esame non era stata ancora fissata
 dalla competente Commissione tributaria provinciale di Varese,  nella
 cui  competenza  rientrava  dal  1  aprile  1996  il  territorio gia'
 compreso nella circoscrizione  della  cessata  Commissione  di  primo
 grado  di Busto Arsizio; riportandosi alle predette controdeduzioni -
 nelle quali era stato chiesto di "esaminare la pretesa fiscale  (...)
 in  conformita' alla decisione che sara' adottata nei confronti della
 sunnominata societa' della quale il soggetto accertato e' partecipe"
  il rappresentante dell'ufficio dichiarava di non disporre  di  copia
 del  p.v.  essendosi  proceduto  sulla scorta della segnalazione - da
 parte del competente ufficio - dell'accertamento societario.
   Con ordinanza in pari data e' stata accolta l'istanza  cautelare  e
 disposta la sospensione dei provvedimenti impugnati.
   Con la presente ordinanza, ritenendo non manifestamente infondata -
 per  le  ragioni  di  seguito  brevemente  esposte  - la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 39 e  47,  comma  6,  decreto
 legislativo    n.  546/92,  la Commissione dispone la sospensione del
 processo.
    2. - L'art. 39 del decreto legislativo n. 546 non contempla tra le
 cause  di  sospensione  il  rapporto  di  pregiudizialita'  tra   due
 controversie rientranti nella competenza giurisdizionale dello stesso
 giudice tributario; ne' sembra, d'altra parte, possa soccorrere a tal
 fine  l'applicazione  dell'art. 295 c.p.c. Secondo l'art. 1, comma 2,
 decreto legislativo cit.  "i giudici tributari applicano le norme del
 decreto e, per quanto da esse non disposto e  con  esse  compatibili,
 quelle  del  codice di procedura civile": in mancanza di un esplicito
 rinvio alla disciplina del codice di procedura - come  di  frequente:
 v.,  ad es., l'art. 42 segg. in tema di impugnazioni - sembra doversi
 ritenere che la disposizione contenga tutte le ipotesi di sospensione
 consentite, escludendone  ogni  altra.  Se  tale  interpretazione  e'
 corretta,  talche' il giudice tributario deve procedere all'esame del
 ricorso  indipendentemente  dalla definizione di quello pregiudiziale
 ancorche' da essa dipenda la decisione del  primo  -  le  conseguenze
 sono evidenti.
   In  primo  luogo si rende possibile, anzi inevitabile, il contrasto
 fra le due decisioni - donde la necessita' del successivo esperimento
 dei mezzi previsti  dall'ordinamento  per  rimuoverlo  -  benche'  lo
 stesso   legislatore  delegato  manifesti  chiaramente  l'intento  di
 evitarlo:  le molteplici previsioni in tema di riunione (art. 29),  e
 perfino  quelle  relative  all'assegnazione  di ricorsi che involgano
 identiche questioni (art. 27), sembrano da leggere in tale direzione.
   La mancanza di disciplina si pone  in  evidente  violazione  di  un
 principio sicuramente individuale nel sistema processuale, di portata
 generale, e sembra ledere precetti costituzionali:
     a) l'art. 3 Cost., per l'ingiustificato trattamento differenziato
 che ne discende.
   Ove  tutti  i  ricorsi  pendano  davanti  allo  stesso  giudice, la
 riunione ne consente la simultanea definizione con una sola sentenza;
 se il  domicilio  fiscale  di  tutti  non  rientra  nella  competenza
 territoriale  di  un unico giudice, il ricorso sara' invece deciso in
 via autonoma, indipendentemente, e  prima,  della  definizione  della
 causa pregiudiziale;
     b)  l'art.  24  Cost.,  per  le limitazioni e/o l'impedimento che
 inevitabilmente derivano all'esercizio della difesa  del  ricorrente,
 non  sempre  in  grado  di apprestare le difese che il ricorrente del
 ricorso pregiuiziale presentera' successivamente al giudice investito
 della relativa decisione.
   La questione rileva con ogni evidenza ai fini della definizione dei
 ricorsi in epigrafe.
   Il  reddito  di  partecipazione  e'   conseguenziale   al   reddito
 societario;  alla  sua  rettifica  l'ufficio tributario del domicilio
 fiscale del socio procede sulla base  di  una  semplice  segnalazione
 dell'ufficio che ha accertato il primo (v. verb. ud.).
   Di  conseguenza,  ne'  l'ufficio,  ne'  il  socio  -  specie se non
 amministratore - dispongono  degli  elementi  necessari  alla  difesa
 delle  rispettive, divergenti posizioni; come ricordato, l'ufficio ha
 chiesto decidersi "in conformita' alla decisione che  sara'  adottata
 nei confronti della societa'" (v. ded.).
   3.  -  Nella  prassi  giudiziaria il possibile conflitto tra le due
 decisioni viene evitato - di fatto - rinviando  l'esame  del  ricorso
 "pregiudicato"  fino alla definizione di quello pregiudiziale; sembra
 doversi ritenere tuttavia che la  mancata  previsione/disciplina  del
 rapporto  di  pregiudizialita'  possa  condizionare  la stessa tutela
 cautelare  introdotta  con  l'art.  47,  aspetto  qualificante  della
 riforma  del  processo tributario. A norma dell'art. 47, comma 6, nel
 caso di sospensione la trattazione  della  controversia  deve  essere
 fissata  non  oltre  novanta giorni dalla pronuncia: la disposizione,
 obbligatoria per il giudice, stabilisce la temporaneita' della tutela
 prima della decisione di merito.
   Ora e' evidente che ove il giudice non  sia  in  grado  di  fissare
 l'udienza di trattazione entro tale termine - perche', appunto, pende
 il  ricorso  pregiudiziale  -  una  siffatta situazione puo' incidere
 sulla concessione della misura; se ne imporrebbe comunque la  revoca,
 ove  non fosse possibile fissare l'udienza di trattazione nel termine
 anzidetto.
   La  mancanza di una precisa disciplina sembra dunque influire sulla
 tutela cautelare - che pacificamente riveste valenza costituzionale -
 cosi' violando l''art. 24 Cost., indipendentemente  dalla  fondatezza
 della  questione  sub  2: ammesso che il rapporto di pregiudizialita'
 sia disciplinato dall'art. 295 c.p.c. - in forza del  rinvio  di  cui
 all'art.  1 del decreto - il termine previsto (novanta giorni) non si
 coerenzia all'esercizio del potere di sospensione.
   La questione rileva nel caso di specie essendo  stata  disposta  la
 sospensione   dei  provvedimenti  impugnati  ed  occorrendo  pertanto
 fissare la data dell'udienza di trattazione, benche' non sia definito
 il ricorso contro l'accertamento del  reddito  societario  e  neppure
 fissata l'udienza di discussione (v. verb. ud.).