Ricorso   della   regione   Toscana,   in  persona  del  presidente
 pro-tempore  a  cio'  autorizzato  con  deliberazione  della   giunta
 regionale  n.  255  del  10  marzo  1997, rappresentato e difeso, per
 mandato a margine del presente atto, dagli  avvocati  Vito  Vacchi  e
 Fabio  Lorenzoni,  domiciliato  presso  lo  studio di quest'ultimo in
 Roma,  via  del  Viminale n. 43 nei confronti dello Stato, in persona
 del Presidente pro-tempore del Consiglio  dei  Ministri,  domiciliato
 per  la  carica  in  Roma,  palazzo  Chigi  per  la  dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale per invasione della sfera di competenza
 regionale, degli artt. 5, sesto comma, 13, quarto  comma,  18,  primo
 comma,  lett.  n),  22, nono comma del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22,
 "Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui  rifiuti,  91/689/CEE  sui
 rifiuti  pericolosi  e  94/62/CEE  sugli  imballaggi e sui rifiuti di
 imballaggio", pubblicato  sul  supplemento  ordinario  alla  Gazzetta
 Ufficiale  n. 38 del 15 febbraio 1997 - serie generale, per contrasto
 con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, cosi' come attuati  dagli
 artt. 80 e 101 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
   Con  leggi  22  febbraio  1994,  n. 146 e 6 febbraio 1996, n. 52 il
 Governo  e'  stato  delegato  ad  adottare  decreti  legislativi  per
 l'attuazione  delle direttive comunitarie 91/156 relativa ai rifiuti,
 91/689 sui rifiuti pericolosi e 94/62 sugli imballaggi e sui  rifiuti
 di imballaggio.
   In  attuazione della normativa comunitaria, si supera la logica del
 mero smaltimento dei rifiuti, a favore della loro gestione: la  nuova
 filosofia muove da un sistema di prevenzione che consenta - a monte -
 di  sviluppare tecnologie pulite sia di produzione che di smaltimento
 e - a  valle  -  di  recuperare  piu'  facilmente  mediante  riciclo,
 reimpiego e riutilizzo; l'obiettivo e' quindi la gestione complessiva
 e ottimale del rifiuto non piu' circoscritta alle fasi di smaltimento
 come invece prevedeva l'ormai abrogato d.P.R. n. 915/1982.
   E' indubbia la rilevanza della nuova normativa; tuttavia il decreto
 delegato   ha  introdotto  alcune  disposizioni  che  si  pongono  in
 contrasto  con  le  competenze  regionali  in   materia   di   tutela
 ambientale,  con particolare riferimento alla prevenzione e controllo
 dell'igiene   del   suolo   e   alla   disciplina   della   raccolta,
 trasformazione  e  smaltimento  dei rifiuti e in matera di disciplina
 dell'uso del territorio.
    1. - L'art. 5, sesto comma, dispone che  dal  1  gennaio  2000  lo
 smaltimento  in  discarica  sara' consentito limitatamente ai rifiuti
 inerti, ai rifiuti individuati da specifiche  norme  tecniche  ed  ai
 rifiuti che residuano da riciclaggio, recupero e da alcune operazioni
 di  smaltimento. E' poi previsto che in casi di comprovata necessita'
 e per periodi di tempo  determinati,  il  presidente  della  regione,
 d'intesa   con   il  Ministro  dell'ambiente,  possa  autorizzare  lo
 smaltimento  in  discarica  nel  rispetto  di  apposite  prescrizioni
 tecniche e delle norme vigenti in materia.
    L'art.  13, dopo avere disciplinato i presupposti per l'emanazione
 delle ordinanze contingibili ed ugenti con una durata limitata a  sei
 mesi,  al  quarto  comma, prevede che le stesse ordinanze non possano
 essere reiterate per piu' di due volte; il  presidente  della  giunta
 regionale tuttavia, solo d'intesa con il Ministro dell'ambiente, puo'
 adottare  ordinanze  anche  oltre  i  predetti  termini  a  fronte di
 comprovate necessita'.
   Entrambe   le   disposizioni   considerate,   quindi,   subordinano
 l'esercizio  di  poteri regionali alla previa intesa con il Ministero
 dell'ambiente.
   In merito, pur nella impossibilita' di ricondurre l'intesa  ad  una
 nozione  di  carattere  unitario,  stante  il  riconosciuto carattere
 flessibile   dell'istituto,   si   rileva   che   dall'esame    della
 giurisprudenza   costituzionale  e'  possibile  trarre  dei  principi
 fondamentali che regolano l'istituto stesso. In particolare:
     l'intesa  e' "un paradigma di concertazione, di coordinamento, di
 leale cooperazione", e quindi  strumento  per  l'esercizio  in  forma
 collaborativa del potere, che ha lo scopo di conciliare gli interessi
 di  cui  sono  portatori  Stato  e  regioni, per la risoluzione delle
 possibili  interferenze  tra  le  diverse  funzioni  loro   assegnate
 (sentenze Corte costituzionale nn. 203/1974; 21/1991; 304/1994);
     ove  sia  prevista  l'intesa, quale che sia la sua natura, l'ente
 cui spetta esprimere il proprio consenso, in quanto  titolare  di  un
 potere  di  effettiva partecipazione all'esercizio di una competenza,
 deve  essere  coinvolto  nella  determinazione  del   contenuto   del
 provvedimento (sentenza n. 747/1988);
     in  certi  casi  l'intesa  diviene  una  forma  di  coordinamento
 paritario o di determinazione paritaria del contenuto di un atto;  e'
 l'intesa  c.d.  in senso forte, che ha i connotati tipici del modello
 convenzionale, a fronte  di  materie  interferenti  e  di  competenze
 concorrenti   di   due   soggetti   istituzionali.  Qui  "i  soggetti
 partecipanti  sono  posti  sullo  stesso  piano  in  relazione   alla
 decisione  da adottare nel senso che quest'ultima deve risultare come
 il prodotto di un accordo e quindi di una negoziazione diretta tra il
 soggetto cui la decisione giuridicamente imputata  e  quello  la  cui
 volonta'   deve  concorrere  alla  decisione  stessa"  (sentenze  nn.
 337/1989; 220/1990; 116/1994).
   Naturale corollario di tale intesa in senso forte e' che la mancata
 intesa tra le parti inibisce il proseguimento del procedimento;
     in altri casi l'istituto assume i caratteri dell'intesa c.d.   in
 senso  debole,  che  comporta  un  obbligo  di  trattare  con l'altro
 soggetto, o di acquisirne il parere o di esplicitare i motivi per cui
 si procede pur in mancanza di intesa (sentenze nn.  514  e  1031  del
 1988;  180/1989). In queste ipotesi, quindi, il modulo procedimentale
 dell'intesa  non  ha  effetti   paralizzanti   dell'esercizio   delle
 competenze  di cui un ente e' titolare, perche' la leale cooperazione
 e' ritenuta assicurata dalla partecipazione  al  procedimento,  senza
 che  sia  pero'  necessario pervenire alla codeterminazione paritaria
 del contenuto dell'atto.
   Nel caso in esame il decreto delegato - in entrambe le disposizioni
 richiamate  -  sancisce  l'obbligatorieta'  intesa  con  il  Ministro
 dell'ambiente   da   parte   dell'amministrazione   regionale,  senza
 prevedere l'attivazione  di  strumenti  che  comunque  consentano  la
 conclusione  del  procedimento di competenza regionale, anche in caso
 di mancata intesa.
   Da cio' si deduce, dunque, il carattere di "intesa  forte"  che  si
 vuol  attribuire  all'istituto  nel  caso  in  esame, con conseguente
 necessario consenso espresso dallo Stato sulle scelte regionali.
   Ma,  come  gia'  accennato,  l'intesa  in  senso  forte  si   rende
 necessaria  per  risolvere  le  possibili  interferenze  tra  diverse
 funzioni assegnate allo Stato e alle  regioni,  mentre  nel  caso  in
 esame  non  ricorre  tale  esigenza,  in  quanto  il decreto delegato
 distingue i compiti dello Stato da quelli delle regioni (artt.  18  e
 19)  e  riconosce alle regioni il potere di emanare atti contingibili
 ed urgenti a fronte di comprovata emergenza (fermi restando i  poteri
 del  presidente  della  provincia  e  del  sindaco,  nel  caso di cui
 all'art. 13, primo comma).
    Quindi  la introduzione di detta intesa forte non assolve alla sua
 funzione specifica di strumento  di  cooperazione  a  fronte  di  una
 molteplicita'  di  competenze  tra  esse  interferenti  riferibili  a
 soggetti diversi  a  tutti  di  rilievo  costituzionale,  ma  diviene
 piuttosto  un  modo  per  attribuire  allo  Stato  una  posizione  di
 supremazia e  di  vigilanza,  non  prevista  dalla  Costituzione,  su
 funzioni  di competenza delle regioni e da esse esercitate, imponendo
 alle stesse amministrazioni regionali, nell'ambito di settori di loro
 spettanza, illegittimi "moduli  procedimentali  che  condizionano  in
 radice  l'esercizio delle riconosciute attribuzioni", (sentenza Corte
 costituzionale n. 483/1991).
   Pertanto il previsto potere ministeriale e' lesivo delle competenze
 regionali in  materia  di  tutela  ambientale  e  organizzazione  dei
 servizi  di  gestione  dei rifiuti, di cui agli artt. 117 e 118 della
 Costituzione come attuati dall'art. 101, secondo comma, lett. b), del
 d.P.R. n.  616/1977.
   2. - L'art. 18, primo comma, lett. n), dispone tra l'altro, che  lo
 Stato  determina i criteri per individuare gli interventi di bonifica
 di interesse nazionale; da tale riconoscimento discende che una serie
 di competenze relative agli interventi di bonifica  e  di  ripristino
 ambientale passano dalla regione allo Stato (art. 17).
   Si   tratta   quindi  di  un  effetto  fortemente  incidente  sulle
 competenze regionali non solo in materia  di  tutela  ambientale,  ma
 anche  di  pianificazione  territoriale, in quanto l'autorizzazione a
 realizzare il progetto approvato (dallo Stato in caso  di  intervento
 di   interesse   nazionale)   comporta   variazione   agli  strumenti
 urbanistici  e  sostituisce  tutti  gli   atti   necessari   per   la
 realizzazione dell bonifica stessa (art.  17, settimo comma).
   Detta  incidenza  rilevante  sulle  attribuzioni regionali - che la
 regione ricorrente ha gia' esercitato con proprie leggi ed atti (l.r.
 12 maggio 1993, n. 29 e successive modifiche, concernente  i  criteri
 di utilizzo di aree inquinate soggette a bonifica e relativo piano di
 bonifica  delle  aree  inquinate approvato con delibera del Consiglio
 regionale  n.  167/1993)  avrebbe  imposto  un  coinvolgimento  delle
 regioni invece non sancito dalla disposizione impugnata.
   Infatti questa si limita a prevedere che gli atti di determinazione
 dei  criteri  per  l'individuazione  degli  interventi  di  interesse
 nazionale siano adottati  sentita  la  Conferenza  permanente  per  i
 rapporti  tra  lo  Stato,  regioni  e  province  autonome di Trento e
 Bolzano (art. 18, terzo comma).
   Ma il parere della Conferenza Stato-regioni sui criteri e'  diverso
 dal  parere  espresso  in relazione a singoli interventi di interesse
 nazionale e quindi non fungibile con  quest'ultimo:  "la  distinzione
 tra  pareri  delle  singole  regioni  e  il  parere  della Conferenza
 Stato-regioni risulta con  evidenza  dalla  stessa  disciplina  delle
 funzioni  della Conferenza. Nel caso in cui le regioni siano chiamate
 ad esprimere  pareri  nell'ambito  di  un  procedimento  statale  che
 interessi  le  loro  competenze, tali pareri sono resi dai presidenti
 delle regioni nell'ambito della Conferenza (art. 6, sesto  comma  del
 d.lgs.  16  dicembre 1989, n. 418), ma conservano la loro consistenza
 di autonomo atto del procedimento" (sentenza Corte costituzionale  n.
 33/1994).
   Nel  caso  in  esame  -  dato  che il riconoscimento dell'interesse
 nazionale dell'intervento priva  le  regioni  delle  loro  competenze
 istituzionali  -  il  principio  di  leale  cooperazione,  piu' volte
 richiamato dalla giurisprudenza costituzionale anche a  tutela  delle
 potesta'   regionali   (sentenza  n.  85/1990),  avrebbe  imposto  la
 previsione  della  partecipazione   regionale   non   solo   per   la
 determinazione  dei  criteri  di  individuazione  degli interventi di
 interesse nazionale,  ma  anche  per  l'individuazione  concreta  dei
 singoli  interventi di interesse nazionale e in quanto tali riservati
 allo Stato: cio' invece e' stato del  tutto  omesso  dal  legislatore
 delegato,  con  conseguente  lesione  delle attribuzioni regionali ex
 artt. 117 e 118 della Costituzione.
   3. - L'art. 22, nono  comma,  prevede  un  potere  sostitutivo  del
 Ministro  dell'ambiente  nel  caso in cui le autorita' competenti non
 realizzino  gli  interventi  previsti  nel   piano   regionale,   con
 possibilita',  per  lo  stesso  Ministro, di adottare i provvedimenti
 necessari ed idonei per l'attuazione del medesimo piano.
    Anche  tale  disposizione  interferisce  illegittimamente  con  le
 attribuzioni regionali in materia di tutela ambientale.
    Essa  infatti attribuisce esclusivamente al Ministro dell'ambiente
 il potere di controllare lo stato di attuazione del  piano  regionale
 ai fini dell'adozione dei conseguenti poteri sostitutivi.
    In  tal modo si rende di fatto priva di efficacia la vigilanza che
 la regione esercita sulla realizzazione del proprio piano, perche' in
 caso di inerzia dei soggetti attuatori non puo' intervenire.
    Inoltre va considerato che  il  piano  regionale,  di  norma,  non
 contiene    disposizioni   puntuali,   specifiche,   prescrittive   e
 applicabili in modo automatico, ma implica, proprio per la sua natura
 di atto di pianificazione, scelte discrezionali  sulle  modalita'  di
 attuazione.
    La  norma in questione viene pertanto a privare la regione di tale
 potere discrezionale in  merito  alle  modalita'  di  attuazione  del
 piano, con ulteriore vulnus delle competenze regionali, sia perche' a
 fronte dell'inerzia degli enti attuatori il potere sostitutivo non e'
 posto,  in prima battuta, in capo alle regioni, sia perche' comunque,
 non si prevede  una  partecipazione  effettiva  delle  regioni  nella
 determinazione  degli  interventi  sostitutivi  posti  in  essere dal
 Ministro dell'ambiente.