ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 60 della  legge
 24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con
 ordinanza emessa il 28 settembre  1995  dal  pretore  di  Verona  nel
 procedimento  penale  a carico di Facchini Michele ed altri, iscritta
 al n. 1 del registro  ordinanze  1996  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,  prima serie speciale, dell'anno
 1996;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 13 novembre 1996 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Facchini
 Michele e altri, ai quali era stato contestato il  delitto  di  falsa
 testimonianza (contemplato dall'art. 372 del codice penale, nel testo
 antecedente  alla sua sostituzione ad opera dell'art. 11 del d.-l.  8
 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto  1992,  n.  356,
 che  ha  elevato  da  tre  a  sei  anni di reclusione la pena massima
 prevista per tale reato), gli imputati, con il consenso del  pubblico
 ministero,  avanzavano  davanti  al  pretore  di  Verona richiesta di
 applicazione della  pena  ex  art.  444  e  seguenti  del  codice  di
 procedura penale, pena da sostituirsi a norma dell'art. 53 e seguenti
 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
     che  il  giudice  a  quo,  premesso  di  non  poter accedere alla
 richiesta, per essere il reato di falsa  testimonianza  espressamente
 escluso  dal  regime  delle sanzioni sostitutive delle pene detentive
 brevi,  ha  allora  sollevato,  in  riferimento  all'art.   3   della
 Costituzione,  questione  di legittimita' dell'art. 60 della legge n.
 689 del 1981, "nella parte in cui non consente  l'applicazione  delle
 sanzioni  sostitutive  nei  confronti  di  chi sia imputato del reato
 previsto dall'art. 372 c.p.";
     che, pero',  la  preclusione  derivante  dalla  norma  denunciata
 risulterebbe  del  tutto ingiustificata, considerando che altri reati
 aventi la  medesima  obiettivita'  giuridica  e  pari  o  addirittura
 maggiore  gravita'  (si  pensi  al  reato  di  false  informazioni al
 pubblico ministero e al reato di calunnia) sono, invece, suscettibili
 di essere ricondotti nell'ambito della disciplina di cui all'art.  53
 della  legge  n. 689 del 1981, cosi' da invocare, anche relativamente
 alla falsa testimonianza, la medesima ratio decidendi delle  sentenze
 costituzionali  n.  249  del  1993  (dichiarativa dell'illegittimita'
 costituzionale dell'art.  60 della legge n. 689 del 1981, nella parte
 in cui rende inapplicabile il regime delle  sanzioni  sostitutive  ai
 reati  previsti  dall'art.    590,  secondo e terzo comma, del codice
 penale) e n. 254 del 1994 (che ha dichiarato  illegittimo  lo  stesso
 articolo  della  legge  n.    689  del  1981 nella parte cui preclude
 l'applicazione del regime delle sanzioni sostitutive in relazione  ai
 reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319 del 1976);
     che  nel  giudizio  non  si e' costituita la parte privata ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Considerato  che  -  come  gia'  rilevato  da  questa  Corte  nella
 ordinanza  n.  46  del  1996,  concernente  la medesima questione, ma
 depositata successivamente alla ordinanza del  giudice  a  quo  nella
 presente causa - la questione e' manifestamente infondata, per essere
 assunte  come termini di raffronto fattispecie non omogenee sul piano
 sanzionatorio:   cioe', da un  lato,  la  falsa  testimonianza  quale
 disciplinata  antecedentemente  alle  innovazioni che hanno coinvolto
 l'art. 372 del codice penale, in forza dell'art.  11,  comma  2,  del
 d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n.
 356, da cui e' scaturito un aumento della misura della pena edittale,
 originariamente prevista nella reclusione da sei mesi a tre anni (nel
 vigente sistema e', invece, comminata la pena della reclusione da due
 a sei anni), dall'altro lato, l'art. 371-bis introdotto dall'art. 11,
 comma 1, dello stesso decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella
 legge  n. 356 del 1992, che prevede la pena della reclusione da uno a
 cinque anni per il reato di false informazioni al pubblico ministero;
 con la conseguenza che, per essere soltanto questi ultimi i possibili
 termini  di  raffronto  (il  delitto  di  calunnia non potendo essere
 correttamente  assunto  come  tale,  considerata   la   sua   diversa
 obiettivita'  specifica  rispetto  a  quella  riferibile  alla  norma
 censurata), la norma  adesso  denunciata  non  appare  irrazionale  e
 contrastante con il principio di eguaglianza mancando fino al termine
 della vigenza del precetto dell'originario art. 372 del codice penale
 il  tertium  comparationis indicato dal giudice a quo; il tutto senza
 che venga vulnerato il principio di  ragionevolezza  con  riferimento
 alla  esclusione  della falsa testimonianza, sia nel testo previgente
 sia nel testo "riformato", dal regime delle sanzioni sostitutive;
     che, dunque, non informato a criteri di assoluto rigore appare il
 richiamo alle sentenze n. 249 del 1993 e n. 254  del  1994,  entrambe
 riferite  a  fattispecie coesistenti nell'ordinamento e rispetto alle
 quali  le  esclusioni  oggettive   dal   beneficio   delle   sanzioni
 sostitutive delle ipotesi di reato contemplate dalle norme sottoposte
 al vaglio di legittimita' venivano a risultare arbitrarie, prevedendo
 l'art.    60  della  legge  24  novembre  1981,  n. 689, nell'un caso
 l'impossibilita' di applicare le sanzioni  sostitutive  al  reato  di
 lesioni  colpose  previsto  dall'art. 590, secondo e terzo comma, del
 codice penale, limitatamente ai fatti commessi con  violazione  delle
 norme  per  la  prevenzione  degli  infortuni  sul  lavoro o relative
 all'igiene  del  lavoro,  che  abbiano  determinato  le   conseguenze
 previste dal primo comma, numero 2, e dal secondo comma dell'art. 583
 del  codice  penale,  sanzioni  che  restavano,  invece,  applicabili
 all'omicidio  colposo  previsto  dall'art.  589  del  codice  penale,
 commesso  con  violazione  delle  stesse  norme  (sentenza n. 249 del
 1993); e nell'altro caso la insostituibilita' delle pene per i  reati
 previsti  dagli  artt.    21  e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319
 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), per la discrasia
 scaturente dall'assenza di analoghe norme di sbarramento nella stessa
 specifica  materia,  cosi'  da  farne   derivare   "la   sopravvenuta
 irragionevolezza  del  permanere  di  un regime preclusivo rispetto a
 fattispecie di  reato  conformate  in  modo  tale  da  provocare  una
 disciplina  ingiustificatamente  piu'  severa  nonostante l'identita'
 dell'interesse protetto ed i giudizi di valore  ancor  piu'  negativi
 espressi  sotto il profilo sanzionatorio delle successive previsioni"
 (sentenza n. 254 del 1994).
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.