ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 60 della legge
 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi  con
 ordinanze  emesse  il  10  ottobre 1995 dal pretore di Saluzzo, il 18
 aprile 1996 dal pretore di Torino ed il 24 settembre 1996 dalla Corte
 di cassazione, rispettivamente iscritte ai nn. 345, 1287 e  1300  del
 registro  ordinanze  1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica nn. 17 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito nella camera di consiglio del 12  febbraio  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Citata a giudizio davanti al pretore di Saluzzo per rispondere
 del reato di commercio colposo di medicinali scaduti, l'imputata, con
 il  consenso  del  pubblico  ministero, chiedeva l'applicazione della
 pena a norma dell'art. 444  del  codice  di  procedura  penale  nella
 misura  di  mesi due di reclusione, pena da sostituirsi con quella di
 lire  4.500.000  di multa, previa qualificazione del fatto contestato
 nell'ipotesi di reato prevista dagli  artt.  452  e  443  del  codice
 penale  (commercio o somministrazione colposa di medicinali guasti) e
 concessione delle circostanze attenuanti generiche.
   Il Pretore, premesso di  non  poter  accogliere  la  richiesta  per
 l'ostacolo  derivante  dall'art.  60 della legge 24 novembre 1981, n.
 689,  ha  sollevato,  su  eccezione  della   difesa,   questione   di
 legittimita'   costituzionale,   in   riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, della detta disposizione della legge n. 689  del  1981,
 nella  parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino
 ai reati previsti dall'art. 452 del codice penale.
   Secondo il giudice a quo il principio di  eguaglianza  risulterebbe
 vulnerato  per  l'irragionevole  disparita'  di  trattamento, ai fini
 dell'applicazione delle sanzioni sostitutive, riservata a  chi  ponga
 in essere il reato di omicidio colposo e di lesioni colpose (anche se
 con  violazione  delle  norme  per la prevenzione degli infortuni sul
 lavoro o relative all'igiene del lavoro che  abbiano  determinato  le
 conseguenze  previste nel primo comma, numero 2, o dal secondo comma,
 dell'art. 583 del codice penale: v. sentenza n.  249  del  1993)  che
 puo'  essere  ammesso  al  detto regime pur avendo leso il bene della
 vita e dell'incolumita' individuale, con  un  comportamento,  per  di
 piu'  (nel  caso  dell'omicidio  colposo),  assoggettato ad un regime
 sanzionatorio di maggior rigore, e chi abbia semplicemente  posto  in
 pericolo  il  bene  della  vita  o  dell'incolumita'  personale,  non
 ammesso, invece, ad usufruire del detto  regime  (si  richiamano,  al
 riguardo, le sentenze n. 249 del 1993 e n. 254 del 1994).
   2.   -   Nel   corso   di  un  processo  penale  per  il  reato  di
 somministrazione colposa di medicinali guasti, reato  previsto  dagli
 artt.   443   e   452   del   codice   penale,  l'imputata  domandava
 l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 e seguenti del codice
 di  procedura  penale,  con  richiesta  di  sostituzione  della  pena
 detentiva nella pena pecuniaria corrispondente; il pubblico ministero
 rifiutava  il  consenso  per l'ostacolo derivante dall'art. 60, primo
 comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, alla applicazione  delle
 sanzioni sostitutive al reato contestato.
   Con  ordinanza  del  18  aprile 1996 il pretore di Torino ha allora
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 60, primo comma, della legge n.
 689 del 1981, nella parte in cui non  consente  l'applicazione  delle
 sanzioni  sostitutive  previste  dalla medesima legge al reato di cui
 all'art. 452, ultimo comma, del codice penale, in relazione  all'art.
 443 dello stesso codice.
   Premette  il giudice a quo che la ratio della esclusione dal regime
 delle sanzioni sostitutive, da individuare  qui  in  una  particolare
 rilevanza   della   tutela   della   salute   pubblica,  e'  divenuta
 contraddittoria  sia  alla  stregua  della  sopravvenuta   produzione
 normativa  sempre  volta  alla protezione del medesimo bene giuridico
 sia con riferimento all'estensione dell'applicabilita' delle sanzioni
 sostitutive  per  effetto  dell'istituto  del   "patteggiamento"   ed
 all'innalzamento  dei  limiti  di pena stabiliti per l'applicabilita'
 delle diverse sanzioni sostitutive.
   Sotto il primo profilo, si sottolinea come l'art. 23, comma 3,  del
 d.lgs.  29  maggio  1991, n. 178, commini l'arresto fino ad un anno e
 l'ammenda fino a lire dieci milioni per la condotta di chi "mette  in
 commercio   specialita'   medicinali  per  le  quali  non  sia  stata
 rilasciata,  ovvero sia stata sospesa o revocata l'autorizzazione del
 Ministero   della   sanita'".   Una    fattispecie    che,    benche'
 contravvenzionale,  appare volta a reprimere anche comportamenti piu'
 gravi di quelli previsti dagli artt. 443 e 452 del codice penale  (si
 fa  l'esempio  della  commercializzazione  di  un  farmaco rivelatosi
 dannoso per il quale sia stata revocata  o  sospesa  l'autorizzazione
 del  Ministero  della  sanita')  e  che,  nonostante  cio', non e' di
 ostacolo all'applicazione delle sanzioni sostitutive.
   Donde l'irrazionalita' di una  simile  diversita'  di  trattamento,
 accentuata  dal fatto che, mentre i reati rientranti nella previsione
 dell'art.  452  del  codice  penale  sono  esclusivamente  di  natura
 colposa,  l'art. 23 del decreto legislativo n. 178 del 1991 comprende
 anche violazioni dolose nei  confronti  delle  quali,  applicando  le
 sanzioni sostitutive, puo' essere irrogata la sola pena pecuniaria.
   Sotto  il secondo profilo, il giudice a quo, premesso come e' ormai
 tutto l'impianto delle esclusioni  oggettive  previsto  dall'art.  60
 della   legge   n.   689   del   1981   a  risultare  intrinsecamente
 contraddittorio, addita, con riferimento alla medesima tipologia  del
 reato  contestato,  la  previsione  dell'art.  441  del codice penale
 (adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica
 salute) non compresa nell'elenco dei reati esclusi dal  regime  delle
 sanzioni sostitutive malgrado sia punito con la pena della reclusione
 da  uno  a  cinque  anni  (o  con  la  multa  non  inferiore  a  lire
 seicentomila). Con la conseguenza, davvero irrazionale, alla  stregua
 del  disposto dell'art. 452, secondo comma, del codice penale, che lo
 stesso fatto se commesso con dolo e'  assoggettato  al  regime  della
 sostituzione, mentre se commesso con colpa ne resta escluso.
   3.  -  Con  ordinanza del 24 settembre 1996 la Corte di cassazione,
 pronunciando su ricorso del procuratore generale presso la  Corte  di
 appello  di  Torino avverso la sentenza della stessa Corte di appello
 che aveva condannato un imputato del delitto di cui agli artt. 444  e
 452  del  codice  penale  (commercio  colposo  di sostanze alimentari
 nocive) alle pene di mesi due, giorni  venti  di  reclusione  e  lire
 300.000  di  multa,  con sostituzione della pena detentiva con quella
 pecuniaria determinata in lire due milioni, premesso che  il  ricorso
 avrebbe    dovuto    trovare   accoglimento,   per   la   preclusione
 all'applicabilita' delle sanzioni sostitutive derivante dal  disposto
 dell'art.  60,  primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale di tale norma della legge n. 689 del 1981
 nella parte in cui esclude l'applicabilita' "di  dette  sanzioni"  al
 reato  "di cui all'art. 452, con riferimento all'art. 444" del codice
 penale.
   Sottolinea il giudice  a  quo  lo  "squilibrio"  determinatosi  nel
 sistema  a  seguito  dell'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689
 del 1981, ad opera dell'art. 5, comma 1-bis del d.-l. 14 giugno 1993,
 n.  187,  convertito  nella  legge  12  agosto  1993,  n.  294,  che,
 consentendo  l'applicazione  delle sanzioni sostitutive anche a reati
 non  attribuiti  alla   competenza   del   pretore,   autorizza   ora
 l'operativita'  di  tali sanzioni per violazioni non ricomprese nella
 previsione   della   norma   denunciata    perche'    precedentemente
 appartenenti   alla   cognizione   del   tribunale.  Con  conseguenze
 irragionevoli solo soffermandosi all'esame di previsioni di reati che
 tutelano  beni omogenei, come la salute pubblica protetta dalla norma
 incriminatrice  nella  specie  contestata.   Cosi'   da   autorizzare
 l'operativita'  del  regime di cui all'art. 53 e seguenti della legge
 n. 689 del 1981 relativamente a reati previsti  nella  forma  dolosa,
 come  quello  contemplato  dall'art.  441 del codice penale, e da non
 consentirla, invece, per reati che, pur tutelando  il  medesimo  bene
 giuridico, sono previsti nella forma colposa.
   4.  -  In  nessuno dei tre giudizi e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei Ministri ne' si e' costituita la parte privata.
                        Considerato in diritto
   1. - Le ordinanze di rimessione  sollevano  questioni  identiche  o
 analoghe.  I  relativi  giudizi  vanno,  pertanto, riuniti per essere
 decisi con un'unica sentenza.
   2. - Comune oggetto di censura e' l'art.  60,  primo  comma,  della
 legge  24  novembre  1981,  n.  689,  nella parte in cui non consente
 l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive contemplate dall'art.  53
 e  seguenti  della  stessa  legge  al  reato  previsto dall'art. 452,
 secondo comma, del codice penale.
   Piu'  in  particolare,  tutte  le  ordinanze   di   rimessione   si
 inseriscono  nell'ambito  di  procedure  di  applicazione  di pena su
 richiesta delle parti o gia' instaurate e concluse (cosi' l'ordinanza
 della Corte di cassazione,  pronunciata  a  seguito  di  ricorso  del
 pubblico  ministero  che  aveva contestato la sostituzione della pena
 operata dal giudice di merito, per essere il reato  di  cui  all'art.
 452,  secondo  comma,  del codice penale sottratto all'applicabilita'
 del regime delle  sanzioni  sostitutive)  ovvero  di  cui  era  stata
 richiesta  l'instaurazione (cosi' le ordinanze del pretore di Saluzzo
 e del pretore di Torino, pronunciate nel corso di procedimenti per  i
 reati  derivanti  dal  combinato  disposto  degli  artt. 452, secondo
 comma, e 443 del codice penale,  l'una  adottata  in  presenza  della
 richiesta  dell'imputato  e  del  concomitante  consenso del pubblico
 ministero, l'altra conseguente alla sola richiesta  dell'imputato  di
 fronte  alla  quale  il  pubblico  ministero  aveva  espresso  il suo
 dissenso).
   Dunque,  pur  nella  varieta'  delle  fattispecie   concrete   (nei
 procedimenti  davanti ai pretori di Saluzzo e di Torino l'imputazione
 "patteggiata" nel primo caso, e la richiesta  di  applicazione  della
 pena  ex  art.    444  e  seguenti  del  codice  di procedura penale,
 nell'altro  caso,  concernevano  l'aver  detenuto  per  il  commercio
 medicinali guasti; nel procedimento davanti alla Corte di cassazione,
 invece, la sentenza di applicazione della pena su richiesta era stata
 illegittimamente  pronunciata  per  il  reato  di  cui  al  combinato
 disposto degli artt. 452, secondo comma, e  444  del  codice  penale,
 vale  a  dire,  commercio  di  sostanze  alimentari nocive), tutte le
 ordinanze perseguono il medesimo petitum denunciando l'art. 60  della
 legge  n.  689  del  1981  in quanto non prevede l'applicabilita' del
 regime della sostituzione delle pene detentive brevi al reato colposo
 di cui all'art. 452, secondo comma, del codice penale.
   Comune e', ancora, il parametro  invocato,  cioe'  l'art.  3  della
 Costituzione  sotto  il  profilo  della  irragionevole  disparita' di
 trattamento, ai fini dell'applicabilita' del regime di  cui  all'art.
 53  e  seguenti  della  legge n. 689 del 1981, fra tipologie di reato
 relativamente alle quali la possibilita'  di  accesso  alle  sanzioni
 sostitutive  resta  irrimediabilmente  preclusa  (l'art. 452, secondo
 comma,  del  codice  penale,  nelle  sue  diverse combinazioni con le
 previsioni  descrittive  di  reati  dolosi   ciascuna   delle   quali
 assimilabile,  sul piano della struttura materiale della fattispecie,
 al corrispondente schema colposo) e  altre  ipotesi  di  reato  tutte
 richiamate  dalla  previsione  ora  ricordata  ma caratterizzate, sul
 piano  soggettivo,  dalla  natura  intenzionale   del   comportamento
 addebitato.
   Non  unanime  e'  pero'  l'indicazione  del  tertium comparationis.
 Infatti, il richiamo ad  una  categoria  omogenea  di  reati,  ognuno
 caratterizzato dalla lesione o dalla messa in pericolo della pubblica
 salute,  fa  emergere come dato cruciale di rilevanza interpretativa,
 dal quale poi procedere al  vaglio  della  legittimita'  della  norma
 denunciata, il capovolgimento di regime derivante dall'applicabilita'
 delle  sanzioni  sostitutive  a  taluni  dei  reati dolosi e, piu' in
 particolare, a quello  previsto  dall'art.  441  del  codice  penale,
 ammesso  alla sostituzione, a differenza della corrispondente ipotesi
 colposa, tanto da accostarsi, evocando tale precetto - non risultando
 nei processi a quibus alcuna imputazione che coinvolga  il  combinato
 disposto  di  questa  norma con l'art. 452, secondo comma, del codice
 penale -  alla  censura  di  irrazionalita'  intrinseca.  Non  manca,
 peraltro, chi, esorbitando dalla comparazione comunemente utilizzata,
 addita  come  ulteriore  canone  di  raffronto  una  disciplina extra
 codicistica volta a tutelare  il  medesimo  bene  giuridico  protetto
 dall'art.  452,  secondo  comma,  del  codice  penale.    E'  il caso
 dell'ordinanza del pretore  di  Torino  che,  pur  non  omettendo  di
 operare  il  consueto  raffronto  tra  le  norme  del  codice  penale
 contemplanti ipotesi colpose ed ipotesi dolose di reato, individua un
 diverso, forse ancor piu' specifico, tertium. Proprio avuto  riguardo
 all'imputazione  nella  specie elevata, il giudice a quo ha, infatti,
 ravvisato come ulteriore indice della disparita'  di  trattamento  la
 previsione  contenuta  nell'art. 23, comma 3, del decreto legislativo
 29 maggio 1991, n.  178, che, recependo una direttiva della comunita'
 economica europea in materia di  medicinali,  reprime  con  l'arresto
 fino  ad  un anno e con l'ammenda fino a lire sei milioni la condotta
 di chi "mette in commercio specialita' medicinali per  le  quali  non
 sia  stata  rilasciata  o  confermata,  ovvero  sia  stata  sospesa o
 revocata  l'autorizzazione  del   Ministero   della   sanita'",   una
 fattispecie,  dunque,  rispetto alla quale la pena e' sostituibile, a
 norma dell'art. 60 della legge n.   689 del  1981,  a  differenza  di
 quella comminata dall'art. 452, secondo comma, del codice penale.
   Ancora, tutte e tre le ordinanze di rimessione invocano la medesima
 ratio  decidendi delle sentenze n. 249 del 1993 e n. 254 del 1994; in
 un caso, peraltro (quello preso in esame  dal  pretore  di  Saluzzo),
 introducendo  come  termine  di  raffronto  anche la norma risultante
 dalla  dichiarazione  di  illegittimita'  pronunciata   dalla   prima
 decisione   di   questa   Corte  adesso  ricordata.  E  cio'  perche'
 l'illegittimita' dell'art. 60 della legge  n.  689  del  1981,  nella
 parte  in  cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al
 reato previsto dall'art.   590, secondo e  terzo  comma,  del  codice
 penale,  limitatamente  ai  fatti commessi per violazione delle norme
 per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o  relative  all'igiene
 del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo
 comma,  numero  2,  o  dal  secondo comma, dell'art. 583 dello stesso
 codice,  segnala  l'ulteriore  disparita'  di  trattamento  ai   fini
 dell'ammissione  al regime delle sanzioni sostitutive tra il reato di
 cui all'art. 452, secondo comma, di natura colposa, che pone soltanto
 in pericolo la vita e l'incolumita' individuale, e i  reati  previsti
 dagli  artt.  589  e 590, pur essi connotati dal medesimo atteggiarsi
 dell'elemento  soggettivo,  ammessi  al   detto   regime   nonostante
 contemplino   ipotesi   di  effettiva  lesione  della  vita  o  della
 incolumita' personale.
   3. - La questione e' fondata.
   E' necessario, anzi tutto, ricordare - anche per  le  indifferibili
 iniziative  di  cui,  alla  stregua delle argomentazioni che seguono,
 dovra' farsi necessariamente carico il legislatore, al  quale  questa
 Corte aveva gia' da tempo segnalato l'incongruita' della disposizione
 adesso  denunciata  -  che il regime delle esclusioni oggettive dalle
 sanzioni sostitutive quale delineato  dall'art.  60  della  legge  24
 novembre 1981, n. 689, rispondeva, al momento della sua introduzione,
 ad una precisa ratio di prevenzione generale che sembra ormai essersi
 dissolta  in  conseguenza  delle  novazioni  normative  nel frattempo
 intervenute.  Del resto, fin dall'entrata in vigore della  legge  ora
 citata  di  "Modifiche  al  sistema  penale",  non  si era mancato di
 rilevare come il catalogo  delle  esclusioni,  il  piu'  delle  volte
 conformato  in  rapporto  a  specifiche fattispecie di reato, avrebbe
 potuto provocare, nel  caso  di  introduzione  di  nuove  fattispecie
 accostabili,  sul piano dell'interesse protetto dalla norma penale, a
 quella  esclusa,  uno  squilibrio  nell'intero   microsistema   delle
 esclusioni  oggettive.  Una  conseguenza  non  riparabile altrimenti,
 stante l'impossibilita' di un  automatico  inserimento  nel  medesimo
 elenco,  ove  l'esclusione  gia'  prevista non risultasse individuata
 attraverso l'indicazione dell'interesse protetto o  di  categorie  di
 interessi  protetti,  se non utilizzando la tecnica legislativa - non
 informata, certo, a criteri di rigore - dell'immediata inclusione del
 nuovo reato nel catalogo di cui all'art. 60. Al contempo, essendo  le
 fattispecie  criminose  in  ordine alle quali le sanzioni sostitutive
 erano di possibile applicazione circoscritte ai reati  di  competenza
 del  pretore,  diveniva  chiaro  come  sarebbe  stato  sufficiente un
 ampliamento di tale  competenza  per  compromettere  la  razionalita'
 dell'intera  disciplina  delle esclusioni oggettive tutte le volte in
 cui alla cognizione pretorile venissero attribuiti reati diretti alla
 protezione del medesimo bene giuridico, ma contrassegnati da maggiore
 gravita' sul piano  sanzionatorio,  proprio  perche'  precedentemente
 attribuiti  alla  cognizione  del tribunale e, quindi, non oggetto di
 possibile sostituzione.
   Una  previsione  non  avveratasi  in  conseguenza  delle  modifiche
 apportate  alla competenza pretorile in forza della parziale modifica
 dell'art.   31 del codice di procedura  penale  del  1930  a  seguito
 dell'aggiunta  di  un secondo comma ad opera dell'art. 11 della legge
 31 luglio 1984, n. 400, forse soltanto per  la  disomogeneita'  degli
 interessi  tutelati  dalle  previsioni di reato attribuite alla nuova
 competenza del pretore rispetto a quelle  escluse  dall'accesso  alla
 sostituzione,   ma   che  avrebbe,  invece,  rivelato  tutta  la  sua
 rispondenza all'assetto normativo in tal modo  strutturato  dall'art.
 60   della   legge  n.  689  del  1981,  cosi'  da  segnalare  subito
 l'incongruenza della norma ora denunciata e la sua impossibilita'  di
 vivere  ancora  a  lungo  nel sistema, in conseguenza dell'entrata in
 vigore del nuovo codice di procedura penale.
   Il   codice  del  1988,  infatti,  da  un  lato,  inserendo  fra  i
 procedimenti semplificati di deflazione dei  dibattimenti  l'istituto
 dell'applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti,  ha reso
 possibile, a seguito dell'accordo fra imputato e pubblico  ministero,
 l'applicazione   di   una   sanzione   sostitutiva   entro  i  limiti
 quantitativi  indicati  dall'art.    444,  comma  1,  del  codice  di
 procedura  penale (con in piu' la previsione di un'apposita riduzione
 "premiale"); mentre, dall'altro lato, con l'innalzare, ratione poenae
 e ratione  materiae  (quest'ultimo  per  ipotesi  di  reato  indicate
 nominatim)   la   competenza   pretorile,   non  avrebbe  potuto  non
 determinare, per la  latitudine  delle  innovazioni,  quel  paventato
 squilibrio  tra fattispecie "nuove" non ricomprendibili nel perimetro
 dell'art. 60 e fattispecie escluse proprio in forza di detta norma in
 quanto non appartenenti all'originaria cognizione pretorile.
   D'altro canto, il  rischio  del  sopravvenire  di  vere  e  proprie
 disparita'  di  trattamento, insite nella indicazione, ad excludendum
 di singole ipotesi di reato era, sin dalla sua  genesi,  destinato  a
 prospettarsi  tutte  le  volte  in  cui  fossero  assoggettate ad una
 disciplina  sanzionatoria  di  pari  o  di  maggiore  gravita'  reati
 contrassegnati dalla comune protezione di un interesse omogeneo.
   4.   -   La   problematica  concernente  i  rapporti  tra  sanzioni
 sostitutive e "patteggiamento", non manco' di investire questa  Corte
 in  epoca  immediatamente successiva all'entrata in vigore del codice
 del 1988, incentrandosi la parte piu' significativa delle denunce  di
 illegittimita'   costituzionale   sull'ampliamento  della  competenza
 pretorile rispetto a processi in corso alla data di entrata in vigore
 del  nuovo  codice  di  procedura  penale  e   che   proseguono   con
 l'applicazione  delle  norme  anteriormente  vigenti; ma la Corte (v.
 ordinanza n. 489 del 1990), ritenendo che  fosse  stato  erroneamente
 chiamato in causa l'art. 444 del codice di procedura penale, dovendo,
 invece,  il giudice a quo dolersi sia della normativa transitoria sia
 dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981 e dell'art. 7 del codice  di
 procedura   penale,   dichiaro'   manifestamente   inammissibile   la
 questione.
   I sintomi di una  vera  e  propria  rottura  sistematica  emergono,
 ancora,   dal   reiterato   ricorso   al  controllo  di  legittimita'
 costituzionale, in relazione  a  reati  di  competenza  del  pretore,
 esclusi  dall'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive,  e taluni
 reati di competenza del tribunale non  compresi  nell'elenco  di  cui
 all'art.  60 della legge n. 689 del 1981, ma per i quali l'accesso al
 regime della sostituzione restava impedito dal disposto dell'art.  54
 della  stessa legge, che riservava ai soli reati la cui cognizione e'
 attribuita  al  pretore  il  ricorso   ad   un   simile   trattamento
 sanzionatorio  (v.  ordinanze,  di manifesta infondatezza, n. 442 del
 1991, n. 319 del 1992).
   5. -  La  seconda  problematica,  quella  interna  al  procedimento
 davanti  al  pretore,  avrebbe  presto mostrato le incongruenze di un
 assetto normativo che, facendo irrompere nella cognizione del pretore
 reati gia'  di  competenza  del  tribunale,  avrebbe  inevitabilmente
 comportato,  anche  (ma  non  solo)  utilizzando  la procedura di cui
 all'art.  444  e  seguenti  del  codice  di  procedura   penale,   la
 possibilita'  di  accedere  al  regime  delle sanzioni sostitutive di
 fattispecie omologhe pur se assoggettate ad una piu' severa  sanzione
 penale  per  l'incidenza  del  comportamento sull'interesse protetto,
 fino a far ravvisare un vero e proprio rapporto di progressivita' tra
 le  fattispecie,  rispetto  a  quelle  ricomprese  nell'elenco di cui
 all'art. 60 della legge n.  689 del 1981.
   Con sentenza n. 249 del 1993 questa Corte, infatti,  pronuncio'  la
 prima  delle dichiarazioni di illegittimita' dell'art. 60 della legge
 n. 689 del 1981, nella parte in cui stabiliva che le pene sostitutive
 non si applicano al reato di lesioni colpose previsto dall'art.  590,
 secondo  e  terzo  comma,  del  codice penale, limitatamente ai fatti
 commessi  con  violazione  delle  norme  per  la  prevenzione   degli
 infortuni  sul  lavoro  o  relative all'igiene del lavoro che abbiano
 determinato le conseguenze previste dal primo comma, numero 2, o  dal
 secondo comma dell'art. 583 dello stesso codice.
   Una  questione,  quella  sottoposta  allora  all'esame della Corte,
 scaturente dalla chiara disparita' di trattamento  ravvisata  tra  il
 reato  di  lesioni colpose commesse con violazione delle norme per la
 prevenzione degli infortuni sul  lavoro  o  relative  all'igiene  del
 lavoro,  che  abbiano  determinato  l'indebolimento  permanente di un
 senso o di un organo ovvero una malattia da  definire  gravissima  ai
 sensi  del  secondo  comma  dell'art.  583 del codice penale, escluso
 dalle sanzioni sostitutive, ed il  reato  di  omicidio  colposo  che,
 invece,  nonostante la sua maggiore gravita', avrebbe potuto accedere
 al regime di sostituzione della pena.
   L'evidente   distonia    creatasi    nel    sistema    a    seguito
 dell'attribuzione  alla  cognizione pretorile del delitto di omicidio
 colposo  aveva,  infatti,  comportato  la   perdita   automatica   di
 "qualsiasi  ragion  d'essere"  della preclusione sancita dall'art. 60
 della legge n.  689  del  1981,  che  inibisce  l'applicazione  delle
 sanzioni   sostitutive   al   reato  di  lesioni  colpose  (sia  pure
 qualificato dalla tipologia delle  norme  violate  e  dalla  gravita'
 della  malattia  prodotta);  considerando  il  rapporto  "di naturale
 continenza che lega fra loro il delitto di omicidio colposo e  quello
 di   lesioni  personali  colpose  nell'ipotesi  in  cui  entrambe  le
 fattispecie siano state realizzate con violazione delle  norme  volte
 alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del
 lavoro,  finisce per risultare ictu oculi carente di ragionevolezza e
 si  presenta  percio'  stesso  fortemente  lesivo  del  principio  di
 eguaglianza, un complesso normativo che consente di beneficiare delle
 sanzioni  sostitutive  chi  ha  posto  in  essere,  fra  due condotte
 gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata da  maggiore
 gravita',  discriminando, invece, il fatto che meno offende lo stesso
 valore giuridico" (sentenza n. 249 del 1993).
   Sembra utile rammentare che lo stesso legislatore delegato  ebbe  a
 prospettarsi  il  problema  della  congruita'  della permanenza delle
 esclusioni oggettive previste dall'art. 60 della  legge  n.  689  del
 1981  (anche  con riferimento alla norma dichiarata illegittima dalla
 sentenza ora richiamata) nel corso dei lavori preparatori del  codice
 di rito.
   Piu'  in  particolare,  la  relazione al progetto preliminare (pag.
 238),   dopo   aver   premesso   che   "caratteristica   del    nuovo
 ''patteggiamento  e' anche la sua generale applicabilita', nei limiti
 di pena della direttiva 45, in quanto non  sono  previste  esclusioni
 soggettive (del genere di quelle dell'art. 80 l. n. 689) od oggettive
 (in  relazione  a  specifici  reati  o  categorie  di  reati)'',  nel
 richiamare le successive stesure di quello che sarebbe divenuto, poi,
 l'art.  2,  numero  45,  della  legge-delega,  ebbe  a  precisare che
 l'espressione ''l'applicazione delle sanzioni  sostitutive  nei  casi
 consentiti''  stava  ad  indicare,  ''da  un lato, che il legislatore
 delegato non ha il compito di specificare, al di la' delle previsioni
 del delegante, i casi in cui e' consentita l'applicazione delle  pene
 su  richiesta  delle  parti  e,  dall'altro, che l'applicazione delle
 sanzioni sostitutive su richiesta e' ammessa nei  soli  casi  in  cui
 queste  sanzioni risultano applicabili in generale (indipendentemente
 cioe' dalla richiesta delle parti) in base alla l. n. 689  del  1981,
 che le ha introdotte nel nostro sistema e le disciplina''". E, pur se
 venne  posta  in  risalto  la  necessita'  di  un apposito intervento
 normativo, da operare "probabilmente in sede  di  coordinamento",  al
 precipuo   scopo   di   "cancellare   la   distonia  derivante  dalla
 inapplicabilita', a norma dell'art. 60, primo comma, della  legge  24
 novembre  1981,  n.  689,  delle sanzioni sostitutive (ex officio o a
 istanza di parte, previste dall'art. 53 e seguenti di detta legge) al
 reato di lesioni colpose in relazione a fatti commessi con violazione
 delle  norme  sull'igiene  del  lavoro  che  abbiano  determinato  le
 conseguenze  previste  dal  primo  comma,  n.  2, e dal secondo comma
 dell'art. 583  del  codice  penale",  e  che,  "invece,  resterebbero
 applicabili all'omicidio colposo commesso con violazione delle stesse
 norme",  l'unica  risposta  intervenuta  in tale sede (art. 234 delle
 norme di coordinamento) resta l'abrogazione degli artt. 77, 78, 79  e
 80  della  legge  24  novembre 1981, n. 689. Cio' proprio perche' "la
 fisionomia attribuita al patteggiamento nel nuovo  codice  non  lasci
 incertezze  in  ordine  al  carattere  assorbente  di tale disciplina
 rispetto a quella risalente alla legge n. 689/1981 (v.  Relazione  al
 Progetto  preliminare  delle  norme di attuazione, di coordinamento e
 transitorie)". Significativo del riconoscimento dell'importanza della
 tematica in questione appare, peraltro, il  suggerimento  (anche  se,
 forse,  non  del tutto appropriato, attesa la natura dell'intervento,
 di predominante valenza sostanziale) formulato, in sede di parere sul
 Progetto definitivo delle norme di coordinamento,  dalla  Commissione
 parlamentare  (secondo  parere, pag. 8), di "prendere attentamente in
 esame, nell'espletamento di quanto previsto dalla  legge  delega,  la
 possibilita' di una modifica del codice di procedura penale".
   6.  -  La  "novellazione"  della legge 24 novembre 1981, n. 689, ad
 opera  del  d.-l.  14  giugno   1993,   n.   187,   convertito,   con
 modificazioni, nella legge 12 agosto 1993, n. 296, ha reso ancor piu'
 palesi  le additate discrasie, sia per la parte in cui il detto testo
 normativo ha  disposto,  sia  per  la  parte  in  cui  ha  omesso  di
 provvedere.
   Sotto il primo profilo, per un verso, l'art. 53 della legge n.  689
 del  1981  e' stato modificato dall'art. 5 del detto d.-l. n. 187 del
 1993, prevedendosi  un'estensione  quoad  poenam  dell'applicabilita'
 delle  sanzioni  sostitutive  (un  anno  anziche'  sei  mesi  per  la
 semidetenzione,  sei  mesi  anziche'  tre  mesi   per   la   liberta'
 controllata,  tre  mesi anziche' un mese per la pena pecuniaria), per
 un altro verso, l'art.  5, comma 1-bis   dello stesso  decreto-legge,
 ha  abrogato  l'art.  54  della  legge  n.  689  del  1981,  cosi' da
 sopprimere quella condizione precedentemente operante per le sanzioni
 sostitutive  costituita  dall'essere  i  reati  per  cui  si  procede
 attribuiti  alla  cognizione  del  pretore  (anche  se giudicati, per
 effetto  della  connessione,  da  un  giudice  superiore).  L'effetto
 abrogativo,  infatti,  anche  per la sua complementarita' con i nuovi
 contenuti dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981, consente, dunque,
 l'accesso alle sanzioni sostitutive, considerate sia  le  diminuzioni
 ordinarie   di  pena  sia  (nel  caso  di  definizione  del  processo
 attraverso la pena patteggiata) la  diminuzione  "speciale"  prevista
 dall'art.  444, comma 1, del codice di procedura penale, pure a reati
 di particolare gravita', tenuto conto della possibilita' di applicare
 il  disposto  dell'art.  53  della  legge n. 689 del 1981 ai reati di
 competenza del tribunale e della corte di assise.
   Sotto il secondo profilo, rimaneva intatta l'obsoleta catalogazione
 contenuta nell'art. 60 della legge ora ricordata e  che,  soprattutto
 per  le ipotesi di esclusione previste nominatim (ma non soltanto per
 queste), diveniva un dato  normativo  suscettibile  di  far  emergere
 incongruenze  nell'intero  sistema  delle  esclusioni  oggettive, mai
 neppure ritoccato in sede legislativa.
   7. - Proprio l'indicazione  nominativa  delle  fattispecie  escluse
 dalla sostituzione ha determinato questa Corte ad incidere nuovamente
 sull'art.  60  della  legge  n. 689 del 1981. Con sentenza n. 254 del
 1994, e' stata, infatti, dichiarata l'illegittimita'  di  tale  norma
 "nella  parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai
 reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge  10  maggio  1976,  n.
 319, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento".
   Pure  qui  viene  in  considerazione  il  principio  di eguaglianza
 attraverso  la  concomitante  evocazione  di   tertia   comparationis
 individuati  in  fattispecie di reato, sopravvenute alla norma di cui
 e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale, tali da indicare
 la  predisposizione  di  "un  vero  e  proprio   sistema   repressivo
 ''antinquinamento'',  talora con dirette interferenze nell'area della
 legge n. 319 del 1976 - dal quale rimaneva  estraneo  il  regime  dei
 divieti  di  cui all'art.   60 della legge n. 689 del 1981". Cosi' da
 pervenire  alla  conclusione   che   "fattispecie   aventi   identica
 obiettivita'  giuridica"  rispetto  alla  normativa  denunciata,  pur
 essendo piu' gravemente sanzionate, rimangono comunque  ammesse  alla
 sostituzione della pena.
   Di qui la constatazione dell'esistenza di un "sistema assolutamente
 squilibrato, restando assoggettate al trattamento preclusivo soltanto
 le  previsioni espressamente indicate dalla norma denunciata": con la
 conseguente arbitrarieta' di tale preclusione.  Un'arbitrarieta'  non
 intrinseca alla singola esclusione, sicuramente congrua al momento di
 entrata  in  vigore  della legge n. 689 del 1981, ma scaturente dalla
 sopravvenienza di analoghe norme protettive nella specifica materia.
   Non manco', peraltro,  la  Corte  di  additare  al  legislatore  la
 necessita' "al fine di scongiurare il prodursi di ulteriori squilibri
 e  di  ulteriori arbitrarie discriminazioni" di pervenire ad una piu'
 puntuale opera di coordinamento del regime dei divieti, rifuggendo da
 una  parcellizzazione  normativa  per  ipotesi  di   reato   previste
 nominatim  (cosi',  ancora,  la sentenza n. 254 del 1994), segnalando
 come la modifica legislativa intervenuta nel 1993 avesse direttamente
 inciso sull'istituto dell'applicazione della pena su richiesta,  "una
 volta  affermata  la  cumulabilita'  delle  due richieste" (quella di
 "patteggiamento" e quella  volta  all'applicazione  di  una  sanzione
 sostitutiva), "i cui conseguenti effetti deflattivi possono risultare
 consistentemente  rafforzati".  Il  che non poteva significare se non
 che l'immobilita' delle previsioni dell'art. 60 della  legge  n.  689
 del  1981  rischiasse  di  porsi  anche  in  linea  di controtendenza
 rispetto ai fini perseguiti dal  legislatore  con  la  "novellazione"
 dell'art.  53  e  l'abrogazione  dell'art.  54 della legge n. 689 del
 1981.
   L'accresciuto,  insistente  ricorso  successivo  al   giudizio   di
 legittimita'  costituzionale  sta,  del  resto,  ancora  una volta, a
 dimostrare (al di la' del contenuto delle singole decisioni  adottate
 da  questa Corte) l'esistenza di un diffuso inquietante malessere dei
 giudici a quibus nella applicazione del limite  preclusivo  stabilito
 dalla norma pure adesso denunciata.
   8.  -  Ad  una pronuncia di illegittimita' costituzionale non puo',
 dunque, sottrarsi l'art. 60 della legge n. 689 del 1981, nella  parte
 in   cui   preclude   l'applicabilita'   delle  sanzioni  sostitutive
 relativamente ai reati previsti dall'art.  452,  secondo  comma,  del
 codice penale (delitti colposi contro la salute pubblica).
   Nonostante  la varieta' dei tertia  evocati, l'illegittimita' della
 norma denunciata emerge, in forza dei due  termini  di  comparazione,
 entrambi  indicati dal pretore di Torino ed uno solo di essi chiamato
 in causa dalla Corte di cassazione: si tratta, da un lato,  dell'art.
 23,  comma  3, del d.lgs. 29 maggio 1991, n. 178, e, dall'altro lato,
 dell'art. 441 del codice penale.
   Che queste debbano essere le norme da utilizzare per la  necessaria
 opera  di raffronto deriva, piu' in particolare, dalla considerazione
 che voler far derivare l'illegittimita'  della  norma  ora  ricordata
 dalla  dichiarazione  di illegittimita' della preclusione all'accesso
 alle  sanzioni  sostitutive  relativamente  al  delitto  di   lesioni
 colpose,  appare operazione non corretta, sia per l'impossibilita' di
 utilizzare come tertium tanto l'art. 589 quanto l'art. 590 del codice
 penale contrassegnati da un'obiettivita' giuridica non  riferibile  a
 quella  alla  base  delle  previsioni dei "delitti di comune pericolo
 mediante frode",  sia  perche'  la  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale  pronunciata  dalla  sentenza  n.  249  del 1993 resta
 rigorosamente ancorata, non soltanto al principio di  "progressivita'
 della  violazione",  ma  anche  alla  irruzione nel sistema, in forza
 dell'art. 7, comma 2, lettera h del codice di procedura penale, della
 norma che attribuisce al pretore la cognizione del reato di  omicidio
 colposo,  anche  se  commesso  con  violazione  delle  norme  per  la
 prevenzione degli infortuni sul  lavoro  o  relative  all'igiene  del
 lavoro.
   9.  -  Ancora  una  volta,  dunque,  cosi' come si e' verificato in
 occasione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale di cui
 alla sentenza n. 254 del 1994, e' una norma sopravvenuta  a  rivelare
 subito  l'irragionevolezza  di  un  sistema  normativo  che  preclude
 l'applicabilita' delle sanzioni  sostitutive  relativamente  a  reati
 qualificabili   come   meno   gravi,   consentendola,   invece,   per
 l'immobilita' dell'elenco previsto dall'art. 60 della  legge  n.  689
 del  1981,  relativamente  a  fattispecie  da  considerare  di pari o
 maggiore gravita', incidenti  nella  medesima  materia,  ma  tuttavia
 ammessi alla sostituzione.
   Si  tratta, piu' in particolare, del d.lgs. 29 maggio 1991, n. 178,
 che, nel recepire le direttive della comunita' economica  europea  in
 materia  di  specialita'  medicinali,  punisce (art. 23, comma 3) con
 l'arresto sino a un anno  chiunque  mette  in  commercio  specialita'
 medicinali  per le quali l'autorizzazione all'immissione al commercio
 non  sia  stata  rilasciata  o  confermata ovvero sia stata sospesa o
 revocata, o specialita' medicinali aventi una composizione dichiarata
 diversa da quella autorizzata.
   La comune obiettivita' giuridica di tale  disposizione  rispetto  a
 quelle  di  cui  al  capo  III,  del titolo VI, del libro secondo del
 codice penale (ricavabile univocamente dal riferimento alle  sostanze
 medicinali  da parte degli artt. 440, terzo comma, 441, 443, 445, del
 codice penale, tutti richiamati dall'art. 452, secondo  comma,  dello
 stesso  codice),  conduce  alla  conclusione che, al di la' della sua
 natura contravvenzionale,  la  violazione  e'  da  ritenere,  sia  in
 rapporto   alla   sanzione   comminata,   sia  con  riferimento  alla
 possibilita' che la condotta rilevi anche nella  forma  intenzionale,
 di  maggiore gravita' rispetto alla previsione dell'art. 452, secondo
 comma, del codice penale, che contempla la riduzione da un terzo alla
 meta' della pena prevista per i reati di cui agli  artt.  443  e  444
 dello  stesso  codice, quando gli stessi siano commessi per colpa. Il
 tutto,  peraltro,  con  il  frequente  rilievo   del   principio   di
 specialita'  -  significativo proprio nei casi sottoposti al giudizio
 del pretore di Saluzzo e del  pretore  di  Torino  -  che  conduce  a
 ravvisare  una  irragionevole  disparita'  di trattamento in punto di
 applicazione delle sanzioni sostitutive.
   Ma  un  contributo  decisivo,  questa  volta  interno  al   sistema
 codicistico,   al   fine   di  pervenire  all'univoco  riconoscimento
 dell'incongruenza della norma censurata, deriva  dalla  constatazione
 della   irragionevolezza   dell'assoggettamento   di  una  previsione
 colposa, avente ad oggetto la commercializzazione, lato sensu intesa,
 di sostanze alimentari (e  di  medicinali)  ad  un  trattamento  piu'
 severo,   relativamente   all'accesso   al   regime   delle  sanzioni
 sostitutive, rispetto a quella dolosa contemplata con  riguardo  alle
 medesime sostanze.
   Significativa  e',  appunto, la previsione dell'art. 441 del codice
 penale che punisce con la reclusione da uno a cinque anni  e  con  la
 multa   non   inferiore  a  lire  seicentomila  chiunque  adultera  o
 contraffa', in modo pericoloso per la salute pubblica, cose destinate
 al commercio diverse dalle sostanze alimentari; un reato la cui  pena
 e'  sostituibile  se commesso intenzionalmente, e la cui sostituzione
 ove assuma la forma colposa resta  preclusa  dal  precetto  dell'art.
 452, secondo comma, del codice penale.
   Ma,  solo  se  appena  si prosegua nella verifica delle fattispecie
 previste dal capo II del titolo  III,  ancor  piu'  irragionevole  si
 rivela  il  raffronto,  ora  istituibile  in  forza  dell'abrogazione
 dell'art.  54 della legge n. 689 del 1981,  con  il  reato,  previsto
 nell'art.    440 del codice penale, di adulterazione o contraffazione
 di  sostanze  alimentari,  con  un  aumento  di  pena  in   caso   di
 adulterazione  o  contraffazione  di  sostanze medicinali, per cui e'
 comminata la reclusione da tre a dieci anni. Una  pena  sostituibile,
 in forza della possibile applicazione di attenuanti e della riduzione
 premiale  nella  forma  dolosa  e  non  sostituibile, sempre in forza
 dell'art. 452, secondo comma, del codice penale, nella forma colposa.
   Con  la  conseguenza  che   non   puo',   certo,   sottrarsi   alla
 dichiarazione  di illegittimita' costituzionale l'art. 60 della legge
 689 del 1981 la' dove esclude  dalla  applicabilita'  delle  sanzioni
 sostitutive  tutte  le  ipotesi  contemplate  dall'art.  452, secondo
 comma, del codice penale, e cio' perche' quest'ultima norma, oltre  a
 caratterizzarsi  per  il  richiamo  alle  singole fattispecie dolose,
 resta definita dall'omogenea modalita' di determinazione  della  pena
 (riduzione  da un terzo a un sesto rispetto alla pena prevista per le
 corrispondenti fattispecie dolose).
   La matrice comune delle previsioni colpose rispetto a quelle dolose
 conduce, dunque, a ravvisare nel combinato disposto  degli  artt.  60
 della  legge  n. 689 del 1981 e 452, secondo comma, del codice penale
 una norma   istituente  una  discriminazione  palesemente  arbitraria
 quanto  alla  possibilita'  di  accedere  al  regime  delle  sanzioni
 sostitutive.
   10. - La dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in
 cui  esclude  che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti
 dall'art. 452, secondo comma, del codice penale,  non  e'  in  grado,
 peraltro,  di  cancellare la distonia, gia' piu' volte stigmatizzata,
 dell'intero microsistema delle esclusioni  oggettive  dalle  sanzioni
 sostitutive.
   L'applicabilita'  di  tali sanzioni a prescindere dalla competenza,
 per  di  piu',  ma  non  soltanto,  attraverso  l'utilizzazione   del
 "patteggiamento",  rende,  percio',  indifferibile  un intervento del
 legislatore che  ridetermini  l'ambito  delle  esclusioni  oggettive,
 secondo  criteri  che  precludano  il perpetuarsi delle disparita' di
 trattamento inevitabilmente ricollegata alle successioni normative  -
 tanto  di  natura  sostanziale  quanto  di natura processuale - sopra
 ricordate.
   Tutto cio' pure al fine di scongiurare  l'eventualita'  che,  dalla
 fino  ad  ora necessaria parcellizzazione degli interventi demolitori
 di   questa   Corte,   debba   pervenirsi   alla   dichiarazione   di
 illegittimita'  costituzionale dell'intero art. 60 della legge n. 689
 del 1981, con la conseguenza di eliminare ogni preclusione  oggettiva
 all'accesso   alle  sanzioni  sostitutive,  mentre  tali  preclusioni
 potrebbero  esplicare,  secondo  valutazioni  peraltro   rimesse   al
 legislatore,  in  relazione agli interessi di volta in volta protetti
 dalla norma penale, una efficace funzione di prevenzione  generale.