Ricorso del presidente della regione  siciliana  pro-tempore  on.le
 prof.  Giuseppe Provenzano, autorizzato a ricorrere con deliberazione
 della Giunta regionale n. 94  del  25  marzo  1997,  rappresentato  e
 difeso  sia  congiuntamente  che  disgiuntamente, dall'avv. Francesco
 Torre e  dall'avv.  Giovanni  Lo  Bue  ed  elettivamente  domiciliato
 nell'ufficio  della regione in Roma, via Marghera, 36, giusta procura
 a margine del presente atto contro il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  pro-tempore,  domiciliato  per la carica a Roma, presso gli
 uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Palazzo  Chigi  e
 difeso per legge dell'Avvocatura dello Stato, per la dichiarazione di
 incostituzionalita'  degli  artt. 5, comma 1, lett. a) e 7, del d.-l.
 31 dicembre 1996, n. 669, recante "Disposizioni  urgenti  in  materia
 tributaria,  finanziaria e contabile a completamento della manovra di
 finanza pubblica per l'anno 1997", convertito con modificazioni dalla
 legge 28 febbraio 1997, n. 30, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.
 50 del 1 marzo 1997.
   1.1. - L'art. 5 del d.-l. 31 dicembre 1996, n. 669, come modificato
 dalla  relativa  legge  di  conversione  n.  30   del   1997   recita
 testualmente:
   1. - Al decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n.
 43,   concernente  il  servizio  di  riscossione  dei  tributi,  sono
 apportate le seguenti modificazioni:
     a) nell'art. 26, comma 1, primo periodo, concernente gli obblighi
 del commissario governativo, dopo  le  parole  "come  riscosso"  sono
 inserite  le  seguenti:  "salva  la  facolta'  per  il Ministro delle
 finanze,  d'intesa   con   il   Ministro   del   tesoro   e   sentita
 l'amministrazione  regionale interessata, di stabilire, in situazioni
 particolari, l'esonero da tale obbligo;" ..... omissis .....
   L'amministrazione  regionale  "interessata" alla disposizione sopra
 riportata, che attribuisce al Ministro per le finanze  il  potere  di
 derogare    in    favore   del   commissario   governativo   delegato
 provvisoriamente alla riscossione al principio del "non riscosso come
 riscosso", non puo' che essere quella  della  regione  siciliana,  la
 quale, a differenza delle altre regioni, anche ad autonomia speciale,
 e'  dotata di competenza propria, sia pure concorrente, in materia di
 riscossione dei tributi alla stessa spettanti (Corte  cost.  sentenze
 nn. 162 del 1974; 428 e 959 del 1988; 105 e 367 del 1991).
   Ora,  la  regione siciliana ha istituito e disciplinato il servizio
 di riscossione per il proprio territorio con  la  legge  5  settembre
 1990,  n.  35,  (secondo  la  previsione  dell'art. 132 del d.lgs. 28
 gennaio 1988, n. 43) piu' volte scrutinata positivamente  da  codesta
 Corte  (sentenze nn. 105 e 367 del 1991; ordinanza n. 445/1991). Tale
 legge, al capo V, concernente il  "Commissario  governativo  delegato
 provvisoriamente    alle   riscossione"   attribuisce   all'assessore
 regionale per il bilancio e  le  finanze  il  potere  di  nomina  del
 commissario  (art.  18),  senza  innovare,  quanto  agli  obblighi di
 quest'ultimo, l'art. 26 d.P.R.  n. 43/1988 cit.,  modificato  con  la
 norma  impugnata.  Onde  dall'applicazione  in  Sicilia  della stessa
 discende l'illogica conseguenza che l'eventuale esonero  dall'obbligo
 del  non  riscosso  come  riscosso,  anziche'  essere inserito tra le
 clausole del provvedimento assessoriale di affidamento  del  servizio
 di riscossione al predetto gestore provvisorio verrebbe rimesso ad un
 provvedimento  del  Ministro  pressoche'  unilaterale,  come si dira'
 infra, incidente sulle casse regionali.
   Non pare dubbio pertanto che la  disposizione  censurata  confligga
 con il combinato-disposto dagli artt. 17 e 36 dello statuto siciliano
 e dell'art. 2 delle relative norme di attuazione approvate con d.P.R.
 26  luglio  1965, n. 1074, limitatando arbitrariamente la potesta' di
 riscossione dei tributi della regione siciliana.
   1.2. - In linea subordinata, si rileva altresi' la  violazione  del
 principio  di leale collaborazione tra lo Stato e la regione. Anche a
 voler ammettere che le eventuali deroghe all'obbligo del non riscosso
 come riscosso - principio cardine dell'esazione  dei  tributi  -  non
 possano      essere      lasciate      all'iniziativa     unilaterale
 dell'"amministrazione regionale interessata", appare evidente come la
 previsione  che  quest'ultima  venga  semplicemente   "sentita"   dal
 Ministro per le finanze declassi la partecipazione al procedimento da
 parte  della  regione  al  rango  di  mera  attivita' consultiva, non
 vincolante (Corte cost. sentenza n. 747 del 1988). Codesta Corte, sin
 dall'inizio della sua  attivita'  addito'  nell'intesa  lo  strumento
 giuridico  piu'  idoneo a disciplinare i rapporti fra Stato e regioni
 in materie interferenti (sentenze nn. 23/1957; 5, 37,  82  del  1958;
 174/1970;  35/1972;  203/1974).  Tale  strumento  si sostanzia in una
 paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto, da  realizzare  e
 ricercare,  laddove  occorra, attraverso reiterate trattative volte a
 superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento  dell'accordo
 (Corte  cost.  sentenze  nn.  337/1989;  21  e 351 del 1991). Si puo'
 discutere sull'intensita' "debole" o "forte" dell'intesa  secondo  le
 varie ipotesi di concorrenza di poteri statali e regionali; e' certo,
 comunque, che all'ente interessato deve essere riconosciuto un potere
 di  effettiva  partecipazione  all'esercizio  della competenza di cui
 trattasi (cfr. Corte cost. sentenza n. 302 del 1994).
   Onde e' da ritenersi che la norma impugnata, nella parte in cui non
 attribuisce una partecipazione di maggior peso alla regione dotata di
 autonomia  speciale,  determini  una  illegittima  compressione delle
 competenze statutarie regionali (cfr. Corte cost. sentenza n. 21  del
 1991).
   2.  -  Con  l'art.  7 e' stata inserita anche nel testo legislativo
 impugnato la clausola devolutiva all'erario delle "entrate  derivanti
 dal  presente  decreto"  per  finalita'  di  risanamento del bilancio
 statale (comma 1), con la previsione di un decreto del  Ministro  per
 le  finanze  volto  a  definire  le  relative modalita' di attuazione
 (comma 2).  Ora  il  capo  I  del  decreto-legge  n.  669/1996,  come
 modificato  dalla legge n. 30/1997, contiene diverse norme in materia
 tributaria, che, seguendo un sistema di interventi gia' adottato  con
 la  legge  23 dicembre 1996, n. 662 (finanziaria 1997) danno luogo ad
 incrementi di entrata non conseguenti ad atti impositivi nuovi  o  ad
 aumenti  di  aliquota,  bensi'  a  semplici  rimodulazioni delle basi
 imponibili di tributi esistenti e costituenti proventi della  finanza
 regionale.
   I  predetti  interventi  sulla base imponibile di tributi esistenti
 pur  essendo  sostanzialmente   rivolti   a   procurare,   in   forme
 trasversali,  maggiori  entrate,  non  costituiscono  "nuove  entrate
 tributarie", che e' la  condizione  precisa  posta  dall'art.  2  del
 d.P.R.  n.  1074/1965  alla  facolta'  dello  Stato  di riservarsi le
 entrate spettanti alla regione.
   Invero, com'e' noto, secondo la giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma
 Corte,   la   "novita'   dell'entrata",   che  costituisce,  appunto,
 "requisito indefettibile" per la devoluzione allo Stato delle entrate
 tributarie riscosse nell'ambito territoriale regionale,  caratterizza
 "le  imposte  di  nuova  istituzione"  o  "le entrate derivanti da un
 incremento  dell'importo  delle  aliquote  di  imposte   presistenti"
 (sentenza n. 429/1996).
   Nel  caso  di  specie,  non  trattandosi  di  nuovo  tributo ne' di
 elevazione di aliquota di  tributi  esistenti,  la  devoluzione  allo
 Stato  dei  maggiori  proventi  disposta  dalle  norme  impugnate  si
 appalesa illegittima.
   Come osserva la Corte nella sentenza n. 61 del  1987  l'apposizione
 di  "cautele"  da  parte dell'art. 2 del decreto del Presidente della
 Repubblica n. 1074/1965 (in specie la  "novita'  dell'entrata")  alla
 citata facolta' di riserva, del cui esercizio costituisce condizione,
 e'  volta  "a  rendere  possibile il controllo politico sull'esatto e
 corretto esercizio della deroga"  contenuta  nel  richiamato  art.  2
 della normativa di attuazione.
   Detta   cautela   (novita'   del   provento)  costituisce  pertanto
 essenziale garanzia  di  legittimita'  costituzionale  della  riserva
 operata   dalle  norme  impugnate.  Ma  in  queste  ultime  non  v'e'
 indicazione alcuna dei criteri per la selezione del provento nuovo da
 quello che nuovo non e' di guisa che e' impedito  alla  regione  e  a
 codesta  Corte  in  questa  sede  il  controllo  sull'esercizio della
 deroga.
   La norma impugnata invero si limita a  rinviare  ad  un  successivo
 decreto  ministeriale  quanto  alle variazioni di bilancio occorrenti
 per  l'attuazione  del  provvedimento  legislativo,  impedendo   quel
 controllo sul corretto esercizio della deroga sul punto della novita'
 del  provento  che, come detto, codesta  Corte ha qualificato siccome
 statutaria cautela della regione siciliana. Vien meno in tal modo  la
 prevedibilita'  delle  decisioni  che  saranno  adottate dagli organi
 ministeriali preposti  all'applicazione  delle  norme  impugnate  con
 conseguente  palese  violazione  del  principio  della  certezza  del
 diritto.
   Il grado di tutela dell'autonomia  finanziaria  di  cui  e'  dotata
 statutariamente  la  regione  siciliana  risulta infatti direttamente
 proporzionale al grado di definizione della normativa.
   In altri termini, perche' si abbia effettivita' di tutela,  occorre
 che   le   norme  che  afferiscono  alla  materia  finanziaria  siano
 sufficientemente precise e dettagliate, nonche'  ancorate  a  precisi
 indicatori quantitativi.
   Anche  tale  norma  viola  quindi  l'art. 36 st. si. e l'art. 2 del
 decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del 1965  recante  le
 relative norme di attuazione.