LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  sull'appello  proposto  da
 Gammino  Vincenzo  avverso la decisione della sezione giurisdizionale
 per la regione siciliana n. 155 del 23 settembre 1994;
   Visto l'atto di appello iscritto al n.  194/IC/A  del  registro  di
 segreteria;
   Visti gli atti e documenti di causa;
   Uditi  alla  pubblica udienza del giorno 30 aprile 1996 il relatore
 cons.  Francesco  Pezzella,  l'avv.  Angelo  Pappalardo,  nonche'  il
 pubblico  ministero  nella  persona  del  vice  procuratore  generale
 Cinthia Pinotti.
   Premesso che:
     a) con decisione  n.  155  del  23  settembre  1994,  la  sezione
 giurisdizionale  per  la  regione  siciliana  ha  condannato  Gammino
 Vincenzo, sindaco pro-tempore del comune  di  Valverde  (Catania),  a
 risarcire  all'erario comunale la somma di L. 20.000.000, comprensiva
 di interessi e di rivalutazione, oltre che al pagamento  delle  spese
 di giudizio;
     b)  il danno per cui e' stata pronunciata condanna e' conseguito,
 secondo i giudici regionali, a due sentenze del tribunale di  Catania
 in  data  31  marzo  1980,  e  da  cui il comune di Valverde, rimasto
 contumace, veniva condannato a risarcire agli attori i  danni  subiti
 per  l'occupazione abusiva e per la definitiva illegittima privazione
 dei terreni di loro proprieta';
      c) avverso detta  decisione  il  Gammino  ha  proposto  appello,
 deducendo  da  un lato che il danno nella specie sofferto dall'erario
 comunale risale esclusivamente alla mancata costituzione  del  comune
 nel  giudizio  civile  e alla mancata impugnazione delle sentenze del
 tribunale di Catania, evenienze entrambe  a  lui  non  imputabili,  e
 dall'altro  l'insussistenza di elementi di colpa a suo carico sia per
 le difficolta' economiche del comune  che  avrebbero  determinato  il
 mancato   pagamento  delle  indennita'  di  espropriazione,  sia  per
 l'impossibilita', in un comune come quello di Valverde,  laddove  per
 l'esiguo   numero  dei  dipendenti  e  la  complessita'  dei  servizi
 comunali, non poteva esistere un modulo organizzatorio di  efficienza
 e  funzionalita',  che  il  sindaco  potesse  curare  direttamente  e
 sovrintendere alle numerosissime  pratiche  del  settore  dei  lavori
 pubblici.
   Ritenuto    di    dover    sollevare    d'ufficio    questione   di
 costituzionalita' del primo comma, lettera a), dell'art. 3 del  d.-l.
 23  ottobre  1996,  n. 543, nella parte in cui, sostituendo l'art. 1,
 comma  1,  della  legge  14  gennaio   1994,   n.   20,   limita   la
 responsabilita'  dei  soggetti  sottoposti  alla  giurisdizione della
 Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica ai fatti  e  alle
 omissioni commessi con dolo o colpa grave.
   Considerato in punto di rilevanza che:
     a)  il  secondo  comma  dell'art. 3 del d.-l. 23 ottobre 1996, n.
 543 espressamente estende la disciplina di cui al  comma  1,  lettera
 a), ai giudizi in corso;
     b)   di   conseguenza   questo  giudice  d'appello,  ritenuta  la
 sussistenza nei confroni  dell'appellante  della  colpa  normale,  e'
 chiamato, nella fattispecie, ad applicare proprio il comma 1, lettera
 a)  dell'art.   3 del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 543 e, cioe', proprio
 la norma della cui costituzionalita' dubita.
   Considerato in punto di non manifesta infondatezza che:
     a) la questione di  costituzionalita'  di  nome  che  hanno,  nel
 passato, limitato la responsabilita' amministrativa di amministratori
 o  dipendenti  pubblici ai soli casi di dolo e di colpa grave ha gia'
 formato  oggetto  di  varie  pronunce  della   Corte   costituzionale
 (sentenze  nn.  112  del  1973,  54 del 1975, 164 del 1982 e 1032 del
 1988);
     b)  in  particolare,  con  le  sentenze nn. 54 del 1975 e 164 del
 1982, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art. 52 del  r.d.  31  agosto  1993,  n.  1592
 (sollevata  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, 28, 42, 54 e 97 della
 Costituzione), nel rilievo, tra l'altro, che la norma  impugnata  non
 solo  non  arrecava  pregiudizio  ai  principi  del  buon andamento e
 dell'imparzialita' dell'amministrazione, ma, al contrario, si  poneva
 in  armonia con tali principi, perche' conteneva una disciplina della
 responsabilita' di una certa  categoria  di  amministratori  pubblici
 (amministratori  delle  universita'  e  degli  istituti di istruzione
 superiore), limitandola razionalmente alle  obiettive  particolarita'
 della situazione (cfr.  anche sentenza n. 108 del 1967);
     c)  con  le  sentenze  nn. 132 del 1973 e 1032 del 1988, la Corte
 costituzionale  ha,  poi,  dichiarato  infondata  la   questione   di
 costituzionalita'  dell'art.  52,  primo  comma,  della legge regione
 siciliana 23 marzo 1971, n. 7 (sollevata in riferimento agli artt. 3,
 97 e 103, secondo comma, della Costituzione e all'art. 14 dello stat.
 sic.), ritenendo anche in questo caso  ragionevole  una  disposizione
 che,  attraverso  la limitazione della responsabilita' dei dipendenti
 regionali ai soli casi di dolo e colpa grave, era diretta a garantire
 un   piu'   sollecito   ed   efficiente    svolgimento    dell'azione
 amministrativa  da  parte  degli uffici della regione, senza per cio'
 intaccare sostanzialmente  il  principio  della  responsabilita'  dei
 pubblici dipendenti verso l'amministrazione;
     d) in tutte le sentenze sopra considerate (e, quindi, anche nelle
 sentenze  nn.  132  del  1973  e 1032 del 1988, con le quali e' stata
 ritenuta  la  conformita'  a  costituzione   della   limitazione   di
 responsabilita'  ai  soli  casi  di dolo o colpa grave in riferimento
 all'universo  dei  dipendenti  considerati  piuttosto  che   a   piu'
 contenute  fattispecie  caratterizzate  da  circostanze  o situazioni
 particolari),  il  giudice  delle   leggi,   proprio   laddove   nega
 l'esistenza  di  "un principio di non rilevanza del grado della colpa
 che regoli in modo rigido e assoluto la responsabilita' dei  pubblici
 dipendenti"  e, quindi, di un correlato "principio di inderogabilita'
 per detti dipendenti  delle  comuni  regole  della  responsabilita'",
 specularmente   riconosce   l'esistenza,   sempre  per  i  dipendenti
 pubblici, della regola della comune responsabilita' per colpa  lieve,
 regola  che deve essere mantenuta ferma anche se puo' essere derogata
 dal legislatore, al cui apprezzamento discrezionale compete,  secondo
 lo stesso giudice delle leggi, la determinazione e la graduazione dei
 tipi  e  dei  limiti  di responsabilita' che, in relazione alle varie
 categorie  di  dipendenti  pubblici  o  alle  particolari  situazione
 regolate, appaiano come le forme piu' idonee a garantire l'attuazione
 dei   principi  costituzionali  del  buon  andamento  della  pubblica
 amministrazione e del controllo contabile;
      e) all'opposto, il primo comma,  lettera  a),  dell'art.  3  del
 d.-l. 23 ottobre 1996, n. 543, inserito tra altro nel contesto di una
 normativa  d'urgenza  piu' volte reiterata senza modifiche (da ultimo
 pochi giorni prima della pubblicazione  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale   n.   30   del  1996,  che  ha  tratto,  dal  disegno
 costituzionale, un implicito divieto di iterazione o reiterazione dei
 decreti-legge), lungi dal determinare e graduare i tipi e i limiti di
 responsabilita' piu' idonei, in relazione  alle  varie  categorie  di
 dipendenti  o  alle  particolari  situazioni  regolate,  a  garantire
 l'attuazione     dei     principi     costituzionali,     appiattisce
 l'organizzazione  dei  pubblici   uffici   su   di   una   forma   di
 responsabilita'   unica   e   indifferenziata,   estendendo  a  tutto
 l'universo dei pubblici dipendenti e dei pubblici  amministratori  la
 limitazione  della responsabilita' ai soli casi di dolo e colpa grave
 e sostituendo, cosi',  nell'ordinamento  dei  pubblici  uffici,  alla
 regola  della  comune responsabilita' per colpa lieve, la regola, per
 ora senza eccezioni, della responsabilita' per dolo e colpa grave;
     f) ne consegue  l'irragionevole  livellamento  al  piuu'  intenso
 grado  della  colpa grave di una responsabilita' che, nella sua forma
 comune (per colpa lieve), non sempre puo' essere considerata a  guisa
 di  inopportuno  ostacolo  al  sollecito  ed  efficiente  svolgimento
 dell'azione amministrativa ed anzi va  piu'  spesso  riguardata,  con
 salvezza  delle  necessarie  eccezioni  per  determinate categorie di
 dipendenti o per particolari situazioni, come indispensabile presidio
 al corretto esercizio delle funzioni pubbliche;
     g)  e'  quanto  basta,  potendosi  e  dovendosi  riservare   ogni
 ulteriore approfondimento alla sede piu' propria del giudizio dinanzi
 la Corte costituzionale, per considerare non manifestamente infondata
 la  sollevata questione di costituzionalita' del primo comma, lettera
 a), dell'art.  3 del d.-l. 23 ottobre 1996, n.  543,  in  riferimento
 all'art. 3 della Costituzione;
     h)   la   rilevata  limitazione  di  responsabilita',  per  ilsuo
 carattere generale, si presta intuitivamente  ad  assumere  un  ruolo
 permissivo   e,   quindi,   a   determinare   situazioni  di  incuria
 nell'esercizio delle pubbliche funzioni  e  nello  svolgimento  delle
 pubbliche mansioni, con sottrazione, nel contempo, alla giurisdizione
 contabile  di una serie di comportamenti lesivi di beni la cui tutela
 la Costituzione affida a quella giurisdizione;
     i)  e'  prospettabile,  percio',  nella  fattispecie,  anche   la
 violazione  degli artt. 97 e 103, secondo comma, della Costituzione e
 cioe' dei gia' ricordati principi del buon andamento  della  pubblica
 amministrazione  e  del  controllo  contabile,  i  quali  sono legati
 entrambi dal comune fine di assicurare l'efficienza e la  regolarita'
 della   gestone   finanziaria  e  patrimoniale  degli  enti  pubblici
 (sentenze della Corte costituzionale nn. 68 del 1971, 63 del  1973  e
 1032 del 1988);
     l)  di  conseguenza,  la sollevata questione di costituzionalita'
 appare non manifestamente infondata anche in riferimento  agli  artt.
 97 e 103, secondo comma, della Costituzione.