IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa 2 grado iscritta al n. 22/1996 r. g., promossa cono ricorso depositato il 19 giugno 1996 da: I.N.P.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti. dom. A. Formicola e C. Dolcher, per procure generali alle liti del 18 novembre 1987, elettivamente domiciliato presso la sede provinciale in Gorizia, piazza della Vittoria n. 1, appellante, contro Franco Veglia, Kos Stefania, Jakoncic Francesca, Mezzorana Maria, Capel Teresa, Zoff Alda, Cucit Elisabetta, Colavetta Maddalena, Canzut Rosamila, rappresentati e difesi dall'avv. R. De Mitri, con domicilio eletto presso il patronato INAC, corso Verdi n. 96, appellante. Oggetto: appello avverso la sentenza del pretore del lavoro di Gorizia n. 36/1996 del 19 marzo/3 aprile 1996. Udienza collegiale del 16 gennaio 1997. Svolgimento del processo Franco Veglia, Kos Stefania, Jakoncic Francesca, Mezzorana Maria, Capel Teresa, Zoff Alda, Cucit Elisabetta, Colavetta Maddalena, Canzut Rosamila proponevano ricorso al pretore di Gorizia, in funzione di Giudice del lavoro, chiedendo che l'I.N.P.S. venisse condannata alla riliquidazione delle rispettive pensioni di reversibilita' nel rispetto di quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 31 dicembre 1993. All'esito del giudizio di primo grado veniva pronunciata sentenza che accertava e dichiarava "il diritto dei ricorrenti alla riliquidazione della pensione di reversibilita' nella misura dei 60% dell'ultimo importo della pensione diretta comprensivo dell'integrazione al minimo e per l'effetto", condannava "l'ente resistente... a riliquidare in tal senso e ab initio le pensioni di reversibilita' con le perequazioni di legge e a pagare ai ricorrenti i ratei pregressi e futuri", nonche' la "svalutazione calcolata ex art. 150 d. att. cpc" e gli "interessi legali sulle somme via via rivalutate con decorrenza dal provvedimento di liquidazione e dalle successive scacenze dei singoli ratei" e, infine "le spese che, ridotte a 1/3 per compensazione parziale." liquidava in complessive L. 1.820.000. L'I.N.P.S. proponeva tempestivo appello rilevando che il decreto-legge n. 166 del 28 marzo 1996, successivo alla pronuncia di primo grado (reiterato con il decreto-legge n. 295 del 27 giugno 1996) all'art. 1 aveva disposto l'integrale definizione "del pagamento di quanto spettante agli aventi diritto", prevedendo in particolare al comma 3 la declaratoria di estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti, con compensazione delle spese tra le parti, e l'inefficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato. Precisava l'appellante che l'impugnazione era peraltro imposta dalla natura del provvedimento normativo de quo (decretazione d'urgenza non ancora convertita in legge) e dall'intervenuta apposizione della formula esecutiva sulla sentenza impugnata. Chiedeva quindi che il tribunale adito dichiarasse estinto il giudizio e priva di qualsiasi effetto la sentenza pretorile appellata. Le appellate si costituivano osservando: che il decreto-legge in questione era stato reiterato, da ultimo, con il decreto-legge n. 499 del 24 settembre 1996, decaduto il 25 novembre 1996, e non piu' reiterato; che comunque il Governo aveva presentato in Parlamento un disegno ai legge di analogo contenuto che qualora fosse divenuto legge dello Stato, prima dell'udienza di discussione avrebbe dovuto essere considerato costituzionalmente illegittimo "per violazione del principio di uguaglianza e della garanzia previdenziale, del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giurisdizionale". Concludevano chiedendo il rigetto dell'appello proposto dall'I.N.P.S., con condanna del medesimo alla rifusione delle spese di lite del secondo grado di giudizio, ovvero la rimessione della causa alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 3, 38, 104 della Costituzione da parte delle norme contenute nel disegno di legge anzidetto approvato dal Parlamento. All'udienza odierna del 16 gennaio 1996, previa relazione da parte del Giudice relatore e discussione dalle parti, il collegio e' pervenuto alla presente determinazione. Motivi della decisione Come paventato dalle appellate con la legge del 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 1996, suppl. ord., s. gen. n. 233) sono state approvate anche disposizioni sostanzialmente analoghe a quelle di cui ai decreti-legge decaduti. I commi 181, 182 e 183, dell'art. 1 prevedono infatti: a) che il rimborso delle somme, maturate fino ai 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, e effettuato mediante assegnazione, agli aventi dritto, di titoli di Stato aventi libera circolazione: b) che tale rimborso avverra' in sei annualita', sulla base di elenchi riepilogativi che gli enti provvederanno annualmente ad inviare al Ministero del tesoro; c) che il diritto al rimborso delle somme arretrate de quibus spetta ai soli interessati nonche' ai superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla data del 30 marzo 1996, con esclusione di coloro che siano subentrati nel patrimonio degli originari creditori per successione mortis causa; d) che nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria: e) che la verifica annuale del requisito reddituale per il diritto all'integrazione del trattamento e' effettuata anche con riferimento ai redditi degli anni successivi a quelli del 1983; f) che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge aventi ad oggetto le questioni di cui al punto a) vanno dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti, restando privi di effetto i provvedimenti giudiziali non ancora definitivi. Orbene le appellate sono tutte ricomprese tra i destinatari del rimborso disciplinato dalle disposizioni della legge n. 662/1996 citate, sicche', ex art. 1, comma 183, della medesima, d'ufficio questo giudice d'appello dovrebbe dichiarare l'estinzione del giudizio, con integrale compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi. Diversamente da quanto domandato dall'appellante, seppure in relazione ai decreti-legge decaduti, non rientra tra i poteri del giudicante dichiarare l'inefficacia del provvedimento impugnato in quanto dal tenore letterale della disposizione de qua l'inefficacia opererebbe ex lege, e comunque la domanda di accertamento e/o di declaratoria di inefficacia proposta in questo grado dall'I.N.A.I.L. sarebbe comunque nuova e quindi inammissibile. Ad avviso del collegio il comma 183 dell'art. 1 citato e' invece di dubbia legittimita' costituzionale in relazione agli artt. 24 e 3 della Costituzione, imponendo la declaratoria di estinzione in un giudizio correttamente instaurato dalle odierne appellanti, con compensazione delle spese di tutti i gradi, senza che la sopravvenuta normativa contempli l'integrale accoglimento delle pretese delle appellanti stesse. Infatti nel sancire i limiti di costituzionalita' di previsioni legislative di estinzione dei giudizi in corso la Corte Costituzionale ha gia' piu' volte affermato che il diritto d'azione non e' violato se la pretesa azionata innanzi al giudice sia stata sostanzialmente soddisfatta per via legislativa, avendo quindi determinato il legislatore, con un proprio provvedimento, la cessazione della materia ael contendere (Corte cost. 10 aprile 1987, n. 123, e 31 marzo 1995 n. 103); al contrario se lo ius superveniens frustra le pretese degli interessati ovvero contrasta con la giurisprudenza ad essi favorevole, la previsione dell'estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti da' luogo ad una vera e propria vanificazione della intentata via giudiziaria, con violazione del diritto d'agire di cui all'art. 24 Cost. Ed invero nelcaso di specie l'assegnazione di titoli di Stato, il cui pagamento e' addirittura dilazionato in sei annualita', in luogo del preteso immediato versamento di denaro liquido, non puo' certo considerarsi, neppure in astratto, satisfattorio, ma imposizione di datio in solutum, in totale spregio del principio civilistico di cui all'art. 1197 c.c. che prescrive il consenso del creditore, quale conditio sine qua non; ancora, assolutamente in contrasto con la pretesa delle odierne appellate, e con il principio sanzionato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 495/1993, e' certamente l'espressa esclusione nell'importo maturato sino al 31 dicembre 1995 degli interessi e della rivalutazione monetaria. Ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale, alla luce degli artt. 3 e 24 Cost., investe inoltre la previsione della compensazione integrale delle spese tra le parti (cio' anche se lo ius superveniens avesse effettivamente comportato una sostanziale cessazione della materia del contendere), invero la condotta dell'I.N.P.S. ha comunque costretto i pensionati ad adire le vie legali, sicche' il permanere a loro carico, ex lege, delle spese affrontate integra un evidente compressione del diritto d'azione, nonche' una disparita' di trattamento rispetto a tutti gli altri soggetti che, avendo azionato asseriti crediti verso l'I.N.P.S. abbiano ottenuto pronuncia giudiziale favorevole con conseguente vittoria anche in punto spese. Del resto sulla previsione del pagamento con l'assegnazione di titoli di credito, dilazionata in sei annualita', aleggia un autonomo sospetto di incostituzionalita' in relazione all'art. 3, primo comma, Cost. atteso che questo particotare sistema di adempimento, dal quale non deriva l'immediata ed integrale ricostruzione del patrimonio del creditore, ed anzi e' affetto da un'innegabile aspetto aleatorio (la variazione del valore dei titoli), e' destinato all'area piu' indigente e svantaggiata dei pensionati (siccome titolari di integrazione ai minimo), sui quali vengono scaricate in misura preponderante, rispetto agli altri cittadini, le conseguenze delle oggettive difficolta' di bilancio dello Stato; parimenti sempre assumendo come paradigma costituzionale l'art. 34 primo comma, Cost., la stessa esclusione del rimborso degli interessi legali e della rivalutazione appare di dubbia costituzionalita', posto che se per consolidata interpretazione giurisprudenziale gli interessi e la rivalutazione sono sempre dovuti nelle prestazioni di natura previdenziale, sembra in contrasto con il principio di eguaglianza negare ex lege detti accessori, e soprattutto negarli alle fasce sociali piu' indigenti. Per quanto sopra esposto appare dunque non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale del comma 183 dell'art. 1 legge n. 662 del 23 dicembre 1996; e' altresi evidente come la questione sia rilevante al fine di decidere la concreta controversia de qua, l'illegittimita' del comma anzidetto comporterebbe il rigetto dell'appello essendo l'applicazione della disposizione che prevede la declaratoria d'ufficio di estinzione del giudizio l'unico motivo d'appello.