ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 410,  comma  1,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23
 febbraio 1996 dal giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 tribunale  di  Venezia,  negli atti relativi alla querela proposta da
 Tanis Asim,  iscritta  al  n.  498  del  registro  ordinanze  1996  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 23, prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale  di
 Venezia, investito della richiesta d'archiviazione in un procedimento
 per  diffamazione a mezzo stampa, con ordinanza emessa il 23 febbraio
 1996  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  76  della  Costituzione, in relazione
 all'art. 2, comma 1,  direttiva  numero  51,  della  legge-delega  16
 febbraio  1987, n. 81, dell'art. 410, comma 1, cod. proc. pen., nella
 parte in cui prescrive  a  pena  d'inammissibilita'  che  la  persona
 offesa    indichi    nell'atto   di   opposizione   l'oggetto   della
 investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, anziche'  i
 soli motivi dell'opposizione.
   Il giudice rileva che l'opposizione del querelante era da ritenersi
 inammissibile  ai  sensi  del  comma 1 dell'art. 410 cod. proc. pen.,
 perche'   non   conteneva   indicazioni   circa    l'oggetto    della
 investigazione  suppletiva  e  i relativi elementi di prova, anche se
 era ampiamente motivata in ordine alla sussistenza della  fattispecie
 delittuosa  denunciata  e,  quindi,  appariva  fornita  dei requisiti
 previsti dalla legge-delega nella direttiva numero 51.
   Di conseguenza, ad avviso del rimettente, l'art. 410, comma 1, cod.
 proc. pen., nella parte in cui prescrive a pena  di  inammissibilita'
 che  la  persona  offesa  indichi  nell'atto di opposizione l'oggetto
 della investigazione suppletiva  e  i  relativi  elementi  di  prova,
 sarebbe  in contrasto con la citata direttiva della legge-delega, che
 prevede semplicemente la "facolta' della persona offesa dal reato ...
 di formulare al giudice istanza motivata di  fissazione  dell'udienza
 preliminare", violando, quindi, l'art. 76 della Costituzione.
   La   disciplina  dell'opposizione  della  persona  offesa  regolata
 dall'art.     410  contrasterebbe  inoltre   con   l'art.   3   della
 Costituzione:   in   via   generale,   perche'   sarebbe   priva   di
 ragionevolezza la differente tutela accordata alla persona offesa, la
 quale, nel caso in cui il pubblico ministero, per scarsa diligenza  o
 per   altra   ragione,  non  abbia  completato  le  indagini,  ha  la
 possibilita' di proporre opposizione ammissibile, con cui far  valere
 anche   le  sue  diverse  valutazioni  in  diritto  o  sul  materiale
 acquisito, mentre quando  il  pubblico  ministero  ha  esaurito  ogni
 indagine  e'  in  concreto privata di tale facolta'. L'ingiustificata
 disparita' di trattamento della persona offesa  sarebbe  ancora  piu'
 irragionevole  nell'ipotesi  -  che  ricorre  nel caso di specie - di
 reati di diffamazione a mezzo stampa, per i quali - non  essendo  per
 la  maggior  parte dei casi necessario espletare indagine alcuna - la
 persona offesa avrebbe possibilita' di intervento  assai  ridotte  in
 sede  di opposizione alla richiesta di archiviazione: e cio' malgrado
 il  legislatore  abbia  ritenuto  che  per  i  reati  di  ingiuria  e
 diffamazione  il patrimonio morale delle persone offese meritasse una
 piu' energica tutela, come puo' desumersi dal fatto  che  l'art.  577
 cod.  proc.  pen.    prevede  eccezionalmente  la  loro  facolta', se
 costituite parte civile, di proporre impugnazione anche agli  effetti
 penali.
   2.  -  Nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei Ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non
 fondata.
   L'Avvocatura sostiene che la delega ha offerto  al  legislatore  un
 discreto    margine    di   manovra   in   relazione   al   contenuto
 dell'opposizione    all'archiviazione.    Nell'ambito    di    questa
 discrezionalita',   la   scelta   legislativa   e'   di  evitare  che
 l'opposizione all'archiviazione si risolva in proposizione di temi  o
 mezzi  di prova manifestamente superflui o irrilevanti, tanto e' vero
 che la giurisprudenza ha ritenuto inammissibile l'opposizione che  si
 risolva nella mera valutazione critica delle indagini e che si limiti
 a  sollecitare approfondimenti generici.  L'impianto sarebbe, secondo
 l'Avvocatura, coerente con la disciplina generale dell'art.  90  cod.
 proc.  pen., in relazione alla veste processuale della persona offesa
 e al contributo che la stessa puo' offrire nell'indicazione dei mezzi
 di prova, e con l'art. 187 cod. proc. pen., per il quale tra i  fatti
 oggetto  di  prova  non  rientra  l'interpretazione delle norme (iura
 novit curia).
   La disparita' di trattamento sarebbe  poi  esclusa  dal  fatto  che
 ragionevolmente    dispongono    dello   strumento   dell'opposizione
 ammissibile solo coloro che - in relazione a qualsiasi reato -  siano
 in  grado  di  dimostrare  la  necessita'  di completare il materiale
 probatorio gia' acquisito.
   Da  ultimo  l'Avvocatura  osserva  che  comunque  il  giudizio   di
 costituzionalita'   andrebbe   esteso   all'art.   156   disposizioni
 attuazione che si riferisce all'archiviazione disposta dal pretore.
                        Considerato in diritto
   1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale  di
 Venezia dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 410, comma
 1,  del  codice di procedura penale, nella parte in cui prescrive che
 nell'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione  la  persona
 offesa   indichi   a   pena   di   inammissibilita'  l'oggetto  della
 investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova,  mentre  la
 direttiva  numero  51  dell'art.  2,  comma  1, della legge-delega 16
 febbraio 1987, n.  81, si limita a stabilire che  la  persona  offesa
 deve   formulare   istanza   motivata   di   fissazione  dell'udienza
 preliminare.
   La disciplina dettata dall'art. 410,  comma  1,  cod.  proc.  pen.,
 violerebbe quindi l'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega,
 e  contrasterebbe  inoltre  con  l'art. 3 della Costituzione, a causa
 dell'ingiustificata  e  irragionevole   disparita'   di   trattamento
 riservata  alla  persona  offesa a seconda che il pubblico ministero,
 per scarsa diligenza o  per  altra  ragione,  abbia  svolto  indagini
 incomplete,  ovvero  abbia  compiuto tutte le indagini necessarie: in
 tale ultimo caso la persona offesa - secondo il giudice rimettente  -
 rimarrebbe infatti priva della possibilita' di presentare opposizione
 basata  su una diversa prospettazione dei fatti ovvero su valutazioni
 in diritto difformi da quelle sostenute dal pubblico ministero.
   La disparita' di trattamento sarebbe ancora piu' irragionevole  nei
 confronti  di quei reati - tra cui il delitto di diffamazione a mezzo
 stampa, oggetto del giudizio a quo - per i quali  non  e'  in  genere
 necessario   espletare  alcuna  indagine.  Nel  caso  di  specie,  la
 disparita' di trattamento si porrebbe in ulteriore contrasto  con  la
 piu'  energica  tutela  riservata dal legislatore alle persone offese
 dai reati di ingiuria e di  diffamazione,  eccezionalmente  abilitate
 dall'art. 577 cod. proc. pen., se costituite parte civile, a proporre
 impugnazione anche agli effetti penali.
   2.  -  La  questione  e'  infondata  con  riferimento ad entrambi i
 parametri invocati.
   3. - Il profilo di illegittimita' per eccesso di  delega  e'  stato
 prospettato sulla base di un'erronea interpretazione della disciplina
 apprestata   dall'art.   410,   commi   1   e  2,  cod.  proc.  pen..
 Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal  giudice  rimettente,   dal
 combinato disposto dei commi primo e secondo di tale norma non emerge
 infatti  che  il  codice  abbia  predisposto una tutela della persona
 offesa opponente minore di quella voluta dalla  direttiva  numero  51
 della legge-delega.
   E'  vero che l'art. 410, comma 1, cod. proc. pen. prescrive che con
 l'atto di opposizione la persona offesa chieda la prosecuzione  delle
 indagini  e  indichi,  a  pena  di  inammissibilita', l'oggetto della
 investigazione suppletiva e i relativi elementi di  prova  (requisiti
 non  richiesti  dalla  direttiva numero 51 della legge-delega), ma il
 comma  2  stabilisce  che  la  pronuncia  immediata  del  decreto  di
 archiviazione    e'   subordinata   alla   duplice   condizione   che
 l'opposizione sia  inammissibile  e  che  la  notizia  di  reato  sia
 infondata.  In  questo  senso  si  e'  costantemente  e uniformemente
 pronunciata  la  giurisprudenza  di  legittimita',  che  ha   appunto
 sostenuto  la necessita' di entrambe le condizioni perche' il giudice
 possa pronunciare de plano decreto di archiviazione.
   Sulla base di questa disciplina, una opposizione che  non  contenga
 l'oggetto  della  investigazione  suppletiva e i relativi elementi di
 prova non preclude quindi al giudice che non  ravvisi,  ad  un  primo
 esame, l'infondatezza della notizia di reato, di fissare l'udienza in
 camera di consiglio a norma dell'art. 409, comma 2, cod. proc.  pen.,
 cosi'  assicurando  alla  persona  offesa la medesima forma di tutela
 prescritta dalla direttiva numero 51  della  legge-delega.  Anzi,  in
 tale  ipotesi il codice garantisce maggiormente la persona offesa, in
 quanto l'art. 410, comma 2, cod. proc. pen.  indica  espressamente  i
 due  presupposti  (inammissibilita'  dell'opposizione  e infondatezza
 della notizia di reato) che legittimano la pronuncia del  decreto  di
 archiviazione de plano, mentre alla stregua della direttiva numero 51
 della  legge-delega l'obbligo di fissare l'udienza viene meno in ogni
 caso in cui il giudice non ritenga  di  dover  disporre  direttamente
 l'archiviazione.
   In  definitiva,  la  disciplina dettata dall'art. 410, commi 1 e 2,
 cod.  proc.  pen.  ha  voluto  introdurre  un  meccanismo  idoneo   a
 contrastare   istanze   di   prosecuzione  delle  indagini  meramente
 pretestuose o dilatorie, offrendo  in  tali  ipotesi  al  giudice  lo
 strumento per disporre direttamente il decreto di archiviazione.
   L'equivoco  interpretativo  in  cui e' caduto il giudice rimettente
 puo' trovare spiegazione nel rilievo che il  comma  1  dell'art.  410
 cod.  proc.  pen.  disciplina l'opposizione solo con riferimento alla
 situazione - che ricorre certamente con maggior frequenza - in cui la
 persona offesa si duole per l'insufficienza e  l'incompletezza  delle
 indagini svolte dal pubblico ministero. Al riguardo, e' significativo
 che,  nell'individuare  i  vari strumenti di garanzia volti a rendere
 effettivo il principio di obbligatorieta' dell'azione penale in  caso
 di  inerzie  e  lacune  investigative  del pubblico ministero, questa
 Corte  abbia  indicato  anche  l'opposizione  della  persona   offesa
 (sentenza  n. 88 del 1991), facendo espresso richiamo alla disciplina
 descritta dall'art. 410 cod. proc. pen..
   L'opposizione  motivata  dalla  incompletezza  delle  indagini  del
 pubblico  ministero non e' peraltro l'unico strumento per contrastare
 la richiesta di archiviazione: nelle situazioni in  cui  le  indagini
 siano  state  esaurientemente espletate, ovvero il titolo del reato o
 le  concrete  modalita'  di  realizzazione  del  fatto  rendano   non
 necessaria   alcuna  indagine,  la  persona  offesa  puo'  egualmente
 presentare atto di opposizione, indicando motivi volti  a  dimostrare
 la  non  infondatezza  della  notizia di reato. Ove le argomentazioni
 della persona offesa siano  convincenti,  il  giudice  deve  comunque
 fissare l'udienza in camera di consiglio a norma dell'art. 409, comma
 2,  peraltro  espressamente  richiamato  dall'art. 410, comma 3, cod.
 proc. pen., cosi' assicurando alla persona offesa la medesima  tutela
 prevista  in  caso  di  opposizione  volta a ottenere la prosecuzione
 delle indagini preliminari.
   4. - Le considerazioni sinora svolte  in  ordine  all'insussistenza
 del  profilo  di  illegittimita'  per  eccesso  di  delega valgono ad
 escludere  anche   la   supposta   violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione. La disciplina apprestata dall'art. 410, commi 1, 2 e 3,
 cod.  proc.  pen.,  e'  infatti  idonea  a  tutelare le ragioni della
 persona offesa sia nel caso in cui questa intenda contrastare carenze
 e lacune investigative, sia quando l'opposizione sia  basata  su  una
 valutazione  dei fatti ovvero su ragioni in diritto diverse da quelle
 poste a base della richiesta di archiviazione del pubblico ministero.
 Non assume, cioe', rilievo che il  pubblico  ministero  abbia  svolto
 indagini  esaustive  ed esaurienti, ovvero che le indagini presentino
 lacune e carenze tali da consentire alla persona offesa  di  indicare
 l'oggetto  della  investigazione  suppletiva e i relativi elementi di
 prova, cosi' come e' irrilevante che il titolo del reato,  ovvero  le
 concrete  modalita'  della  sua  realizzazione,  non  consentano alla
 persona  offesa  di   chiedere   la   prosecuzione   delle   indagini
 preliminari:  in  ogni  caso  l'atto di opposizione e' potenzialmente
 idoneo ad impedire la pronuncia di un  decreto  di  archiviazione  de
 plano  e  ad  indurre  il  giudice  a  fissare l'udienza in camera di
 consiglio  per  l'esame  delle  ragioni  della  persona   offesa   in
 contraddittorio con le altre parti.
   5.  - In conclusione, dal sistema del codice emerge chiaramente che
 in sede di opposizione la persona offesa, nei casi in  cui  si  trovi
 nella  impossibilita'  di  chiedere  la  prosecuzione  delle indagini
 preliminari, puo' comunque fare valere le ragioni volte a contrastare
 la richiesta di archiviazione, in accordo del resto con la  facolta',
 riconosciutale  in  via  generale  dall'art.  90  cod. proc. pen., di
 presentare memorie al giudice: ove le  argomentazioni  della  persona
 offesa  siano  fondate  e  convincenti, il giudice non accogliera' la
 richiesta di archiviazione, ma fissera' a norma dell'art. 409,  comma
 2,  cod.  proc.    pen.  l'udienza  in  camera  di  consiglio,  cosi'
 pervenendo ad un risultato analogo a quello previsto dalla  specifica
 disciplina  apprestata  dai  primi tre commi dell'art. 410 cod. proc.
 pen..