IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento numero in epigrafe, sentito all'udienza in camera di consiglio il p.m., l'imputato ed il difensore. O s s e r v a In data 21 gennaio 1997 il difensore dell'imputato, all'uopo nominato procuratore speciale, ha presentato istanza di applicazione della pen ex art. 444 c.p.p. in nome e per conto del suo assistito Fiini Massimiliano, in atti generalizzato, imputato nel presente procedimento in ordine al reato p. e p. dall'art. 2 legge 24 dicembre 1974 n. 695, perche', ammesso a svolgere il servizio sostitutivo civile, rifiutava di prestarlo perche' "Testimone di Geova"; in Pavia, il 24 aprile 1996. A mezzo della prodotta istanza il difensore richiedeva la applicazione della pena di mesi 10 e giorni 20 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, computando la pena da irrogarsi a partire dal minimo edittale di due anni di reclusione ed applicando le diminuzioni di pena di 1/3 ciascuna relative alla concessione delle attenuanti generiche nonche' al riconoscimento della diminuente ex art. 444 c.p.p. Il p.m. ha prestato il suo consenso in ordine al rito alternativo richiesto trasmettendo gli atti a questo g.i.p. per la relativa decisione. La fattispecie sottoposta a giudizio e' l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 8, comma primo, legge 15 dicembre 1972 n. 772, sostituito dall'art. 2 legge 24 dicembre 1974 n. 695, e cioe' la condotta di chi "ammesso ai benefici della presente legge, rifiuti il servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile"; tale condotta e' sanzionata, se il fatto non costituisca piu' grave reato, con la reclusione da due a quattro anni. Nel caso di specie la condotta descritta nel capo di imputazione e' da qualificarsi giuridicamente ai sensi della disposizione citata. Questo giudice, ove ritenesse la applicazione delle circostanze prospettate dalle parti corretta e congrua la pena proposta, dovrebbe disporre con sentenza la applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. in assenza di elementi, stante il tenore della comunicazione di notizia di reato, per provvedere ex art. 129 c.p.p.. Nell'ipotesi in esame appare, tuttavia, preliminare esaminare la norma che dovrebbe trovare applicazione il cui trattamento sanzionatorio sembra conforme al disposto degli artt. 3, comma primo, e 27, comma terzo, della Costituzione. Emerge, infatti, in primo luogo la disparita' di trattamento fra l'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 8 citato e la disposizione del comma secondo del medesimo art. 8 che prevede, in seguito alla pronunzia della Corte costituzionale n. 409/1989, la pena edittale minima di sei mesi e massima di due anni per il soggetto che, al di fuori dei casi di ammissione ai benefici disciplinati dalla legge n. 772/1972 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza), rifiuti in tempo di pace, prima di assumerlo, il servizio militare di leva, adducendo i motivi di cui all'art. 1 legge n. 772/1992. A tale conclusione la C.C. era pervenuta confrontando l'ipotesi di cui al comma secondo dell'art. 8 citato, in origine sanzionata con la reclusione da due a quattro anni, con la fattispecie di cui all'art. 151 c.p.m.p. (mancanza alla chiamata del militare di leva) e ravvisando l'illegittimita' dell'art. 8, comma secondo cit., per contrasto con l'art. 3, comma primo, Cost. La Corte costituzionale aveva, in conseguenza, individuato la sanzione da applicarsi in caso di violazione dell'art. 8, comma secondo, cit. in quella edittale comminata dall'art. 151 c.p.m.p. (pena da sei mesi a due anni). Il diverso trattamento sanzionatorio fra le ipotesi di cui al comma primo ed al comma secondo dell'art. 8 cit. non era stata prevista ab origine dal legislatore che aveva stabilito la stessa sanzione, e cioe' la reclusione da due a quattro anni, tanto per la condotta di cui al comma primo dell'art. 8 cit. quanto per la condotta di cui al comma secondo dell'art. 8 cit. E' ben vero che tali condotte appaiono obiettivamente diverse l'una dall'altra; tuttavia, nel caso di specie, la discrezionalita' legislativa era stata attuata prevedendo per entrambe la stessa pena minima e massima e, quindi, attribuendo sostanzialmente a ciascuna di esse, prescindendo dai diversi comportamenti di cui ai rispettivi precetti, il medesimo disvalore sociale evidenziato dalla identita' di pena prevista. Nell'attuale ordinamento, nel quale la pronunzia della C.C. n. 409/1989 ha determinato l'affievolimento della sanzione per l'ipotesi di cui al comma secondo del citato art. 8 legge n. 722/1972 e succ. modif., non pare rispondente ad alcun criterio di ragionevolezza il trattamento sanzionatorio maggiormente afflittivo che dovrebbe applicarsi nell'ipotesi di cui al comma primo dell'art. 8 cit. (da due a quattro anni di reclusione) rispetto a quello ora applicabile nell'ipotesi di cui al comma secondo dello stesso art. 8 (da sei mesi a due anni di reclusione), quale parificato a quello previsto dall'art. 151 c.p.m.p.. Peraltro, il comma primo dell'art. 8 cit., sostituito dall'art. 2 legge n. 695/1974 (che ha integralmente confermato tale comma non sembra neppure conforme al disposto dell'art. 27, comma terzo, della Costituzione apparendo la sanzione prevista per l'ipotesi in esame, quanto alla misura della reclusione (da due a quattro anni), eccessivamente afflittiva in relazione al disvalore sociale della condotta scritta e tenuto conto altresi' della finalita' rieducativa che la pena deve comunque perseguire; tale finalita' implica che debba essere rispettato costantemente il principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da un lato, e offesa dall'altro. Diversamente, risulterebbe vanificato il fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione. Il bilanciamento di interessi che presiede alla determinazione della misura della pena dovrebbe tenere conto quindi del mutato assetto, nell'attuale ordinamento, quale gia' evidenziato e conseguente alla pronunzia della Corte costituzionale n. 409/1989. Peraltro, la attuale diversita' sanzionatoria fra il comma primo ed il comma secondo dell'art. 8 cit. non trova rispondenza nella regolamentazione che l'art. 8 legge n. 772/1972 e succ. modif. predispone, identicamente, in caso di domanda da parte dell'interessato, sia esso imputato o condannato, ex comma quarto dell'art. 8 cit., per la assegnazione al servizio sostitutivo civile; l'accoglimento di tale domanda infatti determina, tanto per l'ipotesi di cui al comma primo quanto per l'ipotesi di cui al comma secondo dell'art. 8 cit., l'estinzione del reato e, se vi e' stata condanna, comporta la cessazione dell'esecuzione della condanna, delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale. Il che sembrerebbe confermare l'intento del legislatore di attuare la completa parificazione in termini punitivi fra le ipotesi considerate anche con riguardo alla disciplina del recupero sociale del reo. La questione sottoposta al vaglio della Corte costituzionale appare rilevante ai fini della decisione nel giudizio pendente avanti a questo ufficio. Le parti hanno, infatti, concordato la pena in relazione all'attuale trattamento sanzionatorio non potendo addivenire, allo stato, ad una diversa quantificazione della sanzione. L'esame della questione proposta e' pertanto preliminare alla valutazione che questo giudice deve compiere circa la congruita' della pena, da determinarsi entro i limiti di cui all'art. 132 c.p. e secondo i criteri di cui all'art. 133 c.p.. Ove il rilievo sottoposto alla cognizione della Corte costituzionale fosse condiviso, l'imputato potrebbe beneficiare, con il consenso del p.m., di un piu' favorevole trattamento sanzionato. Consegue la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.