ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  secondo
 comma,  della  legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla
 disciplina militare), promosso con ordinanza emessa l'11 gennaio 1996
 dal tribunale amministrativo regionale  della  Liguria,  sul  ricorso
 proposto  da  Razzano  Gennaro  e  Ministero  della  Difesa ed altro,
 iscritta al n. 457 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  21, prima serie speciale,
 dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12  marzo 1997 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un giudizio  amministrativo  -  promosso  da  un
 sottufficiale  dell'arma  dei  Carabinieri  per l'annullamento di una
 sanzione  disciplinare  di  corpo  -  il   tribunale   amministrativo
 regionale  della  Liguria, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1996, ha
 sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della  Costituzione
 -  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 16, secondo
 comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di  principio  sulla
 disciplina  militare),  nella  parte  in  cui dispone che "avverso le
 sanzioni disciplinari di corpo non e' ammesso ricorso giurisdizionale
 se prima non e' stato esperito ricorso gerarchico o  siano  trascorsi
 novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso".
   Affermata  la  rilevanza  della  questione  nel  giudizio a quo, in
 ragione della sollevata eccezione d'inammissibilita' della domanda in
 mancanza  della  previa  proposizione  del  ricorso   amministrativo,
 osserva il rimettente che - pur essendo quella gerarchica la naturale
 sede   di   soluzione   dei   conflitti   riguardanti   le  decisioni
 sanzionatorie,  data  la  specialita'  che caratterizza l'ordinamento
 militare - proprio il forte vincolo di subordinazione,  che  presiede
 ai rapporti tra i vari gradi dell'apparato militare, ed i conseguenti
 condizionamenti  portano a dubitare della bonta' dell'obbligatorieta'
 di tale rimedio, rispetto alla  facolta'  di  opzione  tra  questo  e
 quello giurisdizionale immediato.
   Secondo  il  giudice  a  quo,  se  e'  teoricamente  vero che detta
 obbligatorieta' comporta una  maggiore  possibilita'  di  difesa  per
 l'interessato,  che  ha  a  disposizione una pluralita' di rimedi, il
 ritardato  accesso  alla  giurisdizione,  oltre  a   privarlo   della
 possibilita'    di    richiedere    cautelarmente    la   sospensione
 dell'esecuzione della  sanzione  irrogata,  comporta  la  persistente
 soggezione  dello  stesso  agli  effetti,  spesso  irreversibili, del
 provvedimento sanzionatorio. Inoltre, la limitata ed  il  piu'  delle
 volte  atecnica  difesa  svolta  davanti al superiore gerarchico puo'
 sortire conseguenze deleterie ed anch'esse irreversibili  davanti  al
 giudice    amministrativo,    a   cagione   sia   della   preclusione
 dell'introduzione di nuovi elementi o motivi,  sia  delle  disarmonie
 create  dalle  possibili  diverse decisioni dell'autorita' gerarchica
 decidente.
   Per  il  rimettente,  dunque,  la  norma   censurata   genera   una
 discriminazione  tra  il  personale  militare  e  gli  altri pubblici
 dipendenti - che possono scegliere liberamente  la  via  del  ricorso
 amministrativo o quella del ricorso giurisdizionale (ex art. 20 della
 legge  n.  1034  del  1971) - impedendo nel contempo all'incolpato di
 perseguire la tutela dei propri interessi in modo pieno e  libero  da
 condizionamenti.
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha  concluso
 per  l'infondatezza  della questione, osservando come - nonostante la
 progressiva omogeneizzazione delle posizioni soggettive dei  militari
 e  dei  dipendenti  civili  dello  Stato  - non si possano ignorare i
 connotati  di  specialita'  che  i  corpi   militari   continuano   a
 presentare,  tali  da giustificare, anche nella materia in esame, una
 disciplina piu' fortemente caratterizzata dal rapporto gerarchico. La
 norma che recupera nell'a'mbito dell'ordinamento militare  la  regola
 della  definitivita'  dell'atto  impugnabile  in sede giurisdizionale
 opera, dunque, un  equo  contemperamento  delle  due  esigenze  della
 tutela del singolo e dell'effettivita' della disciplina militare.
   L'Avvocatura  ricorda  infine  che  l'art. 3 del d.P.R. n. 1199 del
 1971  prevede,  anche  con  riferimento  al  ricorso  gerarchico,  la
 possibilita'   della   sospensione   (d'ufficio   o  su  domanda  del
 ricorrente) del provvedimento impugnato.
                         Considerato in diritto
   1. -  Il tribunale amministrativo regionale  della  Liguria  dubita
 della  legittimita' costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della
 legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme  di  principio  sulla  disciplina
 militare),  nella  parte  in  cui  dispone  che  "avverso le sanzioni
 disciplinari di corpo non e' ammesso ricorso giurisdizionale se prima
 non e' stato esperito ricorso gerarchico o  siano  trascorsi  novanta
 giorni dalla data di presentazione del ricorso".
   Secondo  il  rimettente,  la norma si porrebbe in contrasto: a) con
 l'art. 3 Cost., per la disparita' di  trattamento  tra  il  personale
 militare  e  gli  altri  pubblici dipendenti, i quali - per ricorrere
 avverso le sanzioni disciplinari loro irrogate - possono scegliere di
 adire   la   sede   amministrativa   ovvero   immediatamente   quella
 giurisdizionale (ex art. 20 della legge n. 1034 del 1971); b) con gli
 artt. 24 e 113 Cost., in quanto impedisce al  militare  incolpato  di
 perseguire  la tutela dei propri interessi in modo pieno e libero dai
 condizionamenti gerarchici.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1. - Il sistema normativo introdotto dalla legge n. 382 del  1978
 risulta  intimamente  connotato  dalla  volonta'  (che emerge in modo
 chiaro anche dai lavori preparatori) di rendere positiva una  visione
 moderna  del  concetto di disciplina militare, in linea con le mutate
 esigenze della societa' nel presente contesto storico ed  ossequiente
 al  disposto  costituzionale,  secondo  cui l'ordinamento delle forze
 armate  dev'essere   informato   allo   spirito   democratico   della
 Repubblica.   Tale visione, peraltro, viene necessariamente correlata
 con la peculiarita' della posizione del cittadino  militare,  che  si
 caratterizza  tra  l'altro per la stretta sottoposizione di questo al
 rapporto gerarchico ed alla disciplina militare:  elementi,  senza  i
 quali  "sarebbe  impossibile  strutturare le forze armate in modo che
 esse siano in grado  di  assolvere  la  funzione  fondamentale  della
 difesa  della  Patria, loro assegnata dalla Costituzione" (Camera dei
 deputati, relazione alle proposte di legge riunite  nn.  407,  526  e
 625/A).
   Trattasi   della   disciplina   militare  intesa  come  "osservanza
 consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione
 ai compiti istituzionali delle forze armate ed alle esigenze  che  ne
 derivano",   la   quale  viene  teleologicamente  elevata  a  "regola
 fondamentale per  i  cittadini  alle  armi  in  quanto...  principale
 fattore  di  coesione  ed efficienza" (art. 2, comma 1, del d.P.R. 18
 luglio 1986, n. 545, recante il regolamento  di  disciplina  militare
 emesso  ai  sensi  dell'art.   5, primo comma, della legge n. 382 del
 1978). Tanto che,  in  caso  di  violazione  del  particolare  dovere
 d'obbedienza   gravante   sul   cittadino  inserito  nell'ordinamento
 militare, risultano previste specifiche "sanzioni di corpo",  affatto
 sconosciute agli altri pubblici dipendenti.
   2.1.1.  -  La  valutazione della denunciata norma, condotta appunto
 alla luce dei princi'pi ispiratori del   nuovo  sistema  disciplinare
 militare, consente allora di escludere la sussistenza di un vulnus al
 principio  di uguaglianza.
   Cio',  in  primo luogo, perche' risulta d'immediata percezione come
 la  peculiarita'  dello  status  del  militare   -      ripetutamente
 sottolineata  da  questa  Corte  (v., da ultimo, ordinanza n. 396 del
 1996) - renda inappropriato  il riferimento, in  termini  di  tertium
 comparationis,  alle regole generali dettate per il pubblico impiego.
 E, in secondo  luogo,  perche'  il  consentire  l'accesso  alla  sede
 giurisdizionale   dopo   l'esperimento   del  rimedio  gerarchico  (o
 l'inutile decorso  del  termine  di  novanta  giorni  dalla  data  di
 proposizione del ricorso stesso), rappresenta un'opzione  legislativa
 non   irrazionale,  diretta  com'e'  a  perseguire  la  finalita'  di
 assicurare  anche  in  tempo  di  pace  l'ordinato  svolgimento   del
 servizio,  costituente  valore  primario per l'andamento stesso della
 vita militare (cfr. sentenza  n. 37 del 1992).
   2.1.2. - Parimenti, non e' ravvisabile la prospettata lesione degli
 artt. 24 e 113 della Costituzione.
   Come  questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,  l'assoggettamento
 all'onere del  previo  esperimento  dei  rimedi  amministrativi,  con
 conseguente  differimento della proponibilita' dell'azione a un certo
 termine decorrente  dalla  data  di  presentazione  del  ricorso,  e'
 legittimo  se  giustificato  da  esigenze  di ordine generale (v., da
 ultimo,  sentenza  n.  233  del  1996),  nonche'   allorquando   tale
 limitazione tenda ad evitare un uso in concreto eccessivo del diritto
 alla tutela giurisdizionale, tanto piu' ove l'adempimento dell'onere,
 lungi  dal  costituire  uno svantaggio per il titolare della pretesa,
 rappresenti il modo di soddisfazione della posizione sostanziale piu'
 pronto e meno dispendioso (v. sentenza n. 82 del 1992).
   Ebbene, nella specie, la scelta del legislatore di privilegiare  la
 via  gerarchica  quale  naturale  e immediata sede di soluzione delle
 controversie in ordine all'irrogazione delle sanzioni  -  dove  oltre
 tutto   la   possibilita'  di  proporre  motivi  di  merito  consente
 all'interessato di ottenere un complessivo e piu' penetrante  riesame
 del   fatto   -   e'   da  considerarsi  il  risultato  d'un  congruo
 bilanciamento tra l'esigenza di coesione dei corpi militari e  quella
 di tutela dei diritti individuali (cfr. sentenza n. 22 del 1991).
   D'altra  parte,  proprio  al  fine di evitare i paventati possibili
 condizionamenti derivanti dal vincolo di subordinazione, la normativa
 prevede in modo espresso che il superiore,  per  il  cui  tramite  va
 proposto  il  ricorso  gerarchico,  debba  inoltrarlo  sollecitamente
 "senza pareri  o  commenti  all'autorita'  gerarchica  immediatamente
 superiore  a  quella che ha inflitto la sanzione" (art. 72 del d.P.R.
 n. 545 del 1986): con cio'  realizzandosi  un'ulteriore  garanzia  di
 imparzialita'  della decisione amministrativa, la quale, ove ritenuta
 ancora insoddisfacente dal militare, potra' essere allora liberamente
 impugnata in via giurisdizionale.
   Se poi e' vero che in quest'ultima sede opera  la  norma  dell'art.
 21  della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (richiamata dal rimettente),
 ai sensi della quale  il  giudice  amministrativo  puo'  disporre  la
 sospensione  del  provvedimento  amministrativo, non e' da trascurare
 che anche nella fattispecie e'  pur  sempre  possibile  ottenere,  ai
 sensi  dell'art.    3  del  d.P.R.  24  novembre  1971,  n.  1199, la
 sospensione dell'esecuzione dell'impugnato atto da parte  dell'organo
 decidente,  sospensione  che  costituisce  un  rimedio  cautelare  di
 generale applicazione.