IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Premessa. Il procedimento di prevenzione in oggetto aveva inizio con la proposta del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere, del 21 maggio 1994, che richiedeva l'applicazione nei confronti di Gaudino Giuseppe della misura della sorveglianza speciale di p.s., ai sensi della legge n. 1423/l956, con l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza. A seguito di un differimento per l'astensione degli avvocati della locale camera penale, l'avv. Maiorano, difensore di fiducia del proposto; depositava in data 4 novembre 1996 una richiesta di rinvio della trattazione della procedura nei confronti del proprio assistito, in quanto occupato in Napoli dinanzi alla V sezione penale del tribunale per una procedura di Riesame interessante il detenuto Marotta Paolo. Il difensore allegava alla richiesta, a prova della sussistenza del prospettato impedimento, l'avviso di fissazione dell'udienza camerale per il giorno 5 novembre 1996, ore 9.30, presso il tribunale di Napoli. All'udienza camerale del 5 novembre 1996 veniva preliminarmente considerata l'istanza del difensore. Il pubblico ministero si opponeva alla valutazione dell'impedimento, se sussistente, in ragione della inapplicabilita', sul punto, della disciplina prevista per l'udienza dibattimentale alla procedura camerale. Altro difensore, nominato d'ufficio, insisteva nella richiesta di differimento. Il tribunale si riservava la decisione, a scioglimento della quale osserva quanto segue. Preliminarmente occorre disporre la riunione fra i procedimenti n. 12/1994 e n. 13/1994, entrambi nei confronti di Gaudino Giuseppe, promossi dall'autorita' proponente al fine di ottenere la applicazione della medesima misura. Pertanto, stante la connessione oggettiva e soggettiva ne va disposta la riunione. Il triunale ritiene che debba sollevarsi questione di costituzionalita'. In particolare, in riferimento all'art. 4, comma quinto, della legge n. 1423 del 1956 nella parte in cui non prevede l'applicazione della disciplina contenuta nell'art. 486 c. 5 c.p.p., relativa alla valutabilita' dell'impedimento del difensore a partecipare all'udienza camerale ed, in particolare, a quella di trattazione del procedimento di prevenzione. Come e' noto al procedimento di prevenzione devono applicarsi le norme previste in sostituzione degli artt. 636 e 637 c.p.p. abrogato, vale a dire gli artt. 678-666 c.p.p. Infatti, per le forme previste dall'art. 4, 5 comma, l. 27 dicembre 1956 n. 1423, il richiamo agli art. 636 e 637 c.p.p. abr. deve intendersi ora come fatto all'art. 678 c.p.p. vigente, che a sua volta richiama il precedente art. 666 c.p.p ((in questo senso la costante giurisprudenza della suprema Corte; vedi Cass., sez. I, 11 marzo 1994, Cicciu, Cass. pen., 1995, 698; Cass., sez. V, 25 ottobre 1993, Ascione, Cass. pen., 1994, 2535; Cass., sez. I, 31 gennaio 1992, Prudentino, Mass. Cass. pen., 1992, fasc. 3, 80 (m)). Tanto premesso, va rilevato come il comma quarto dell'art. 666 c.p.p. stabilisce che "l'udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero". In relazione alla necessita' della partecipazione del difensore ed alla connessa valutazione deve osservarsi che la giurisprudenza prevalente intende come sufficiente e necessaria la sola presenza di un difensore, anche nominato d'ufficio in sostituzione di quello di fiducia, eventualmente impedito. Difatti, in piu' occasioni si e' ritenuto non applicabile all'udienza camerale il dettato dell'art. 486, comma quinto, c.p.p. In relazione al procedimento di sorveglianza, infatti, la Corte di cassazione osservava che non trova applicazione il disposto dell'art. 486, comma 5 c.p.p., che prevede la sospensione o il rinvio del dibattimento nel caso di assenza del difensore dovuta a impossibilita' di comparire per legittimo impedimento (Cass., sez. I, 23 febbraio 1995, Siniscalchi, Mass. Cass. pen., 1995, fasc. 5, 32); anologamente seppur in relazione alla fase dibattimentale, la Corte rilevava che il giudice deve sospendere o rinviare il dibattimento in caso di assenza del difensore se quest'ultimo abbia previamente comunicato l'assoluta impossibilita' a comparire per legittimo impedimento; la disciplina di cui all'art. 486, comma 5, c.p.p. e' applicabile nel giudizio di primo grado o d'appello, ovvero in cassazione, esclusa l'ipotesi di procedimento d'esecuzione o sorveglianza (Cass., sez. I, 22 settembre 1992, Salvo, Giur. it., 1994, II, 34); e, in special modo per il procedimento di esecuzione, in relazione ad un caso analogo a quello del procedimento de quo il giudice di legittimita' affermava che non costituisce impedimento assoluto, che giustifichi il rinvio dell'udienza camerale nel giudizio di esecuzione, l'impegno del difensore in altra sede giudiziaria per il giorno fissato per la trattazione del procedimento, sebbene l'esistenza di tale impegno professionale fosse stato tempestivamente e documentalmente rappresentato, giacche' il disposto dell'art. 486, comma 5, trova applicazione solo con riguardo alle udienze dibattimentali, con esclusione quindi di quelle camerali, ivi comprese quelle disciplinate dall'art. 666 c.p.p.; ed infatti, l'aver qualificato come "necessaria" la presenza del difensore non vale ad assumere carattere determinante ai fini dell'applicabilita' per le udienze camerali dell'art. 486, comma 5, posto che alla mancanza del difensore di fiducia per impossibilita' legittima dello stesso a comparire ben puo' sopperirsi mediante la nomina di un sostituto processuale ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p. (Cass., sez. I, 24 febbraio 1994, Curti, Giust. pen., 1994, III, 312). Questo giudice, a ben vedere, ritiene che tali decisioni siano sotto il profilo strettamente formale esatte. Il dettato dell'art. 486 c.p.p., sia per la collocazione nell'ambito del libro VII, titolo II, relativa al giudizio dibattimentale, sia anche per l'assenza di norme che ne estendano l'efficacia a vicende procedimentali extradibattimentali, appare applicabile solo agli impedimenti prospettati dal difensore in dibattimento. D'altro canto, pero', non puo' evitarsi di rilevare le discrasie del sistema e le violazioni dei valori costituzionali che tale interpretazione, rigorosa ma non per questo costituzionalmente corretta, determina. La scelta del legislatore di prevedere la necessita' del difensore, ma non di fiducia se assolutamente impedito, viene per un verso cosi' spiegata: "la partecipazione del pubblico ministero e del difensore non e' poi soltanto consentita, ma necessaria: la natura e l'importanza delle questioni trattate impongono un contraddittorio effettivo e non meramente eventuale" (vedi la relazione al Progetto preliminare, sul punto in questione sostanzialmente immutato); per altro, invece, l'effettivita' del contraddittorio e' stata ritenuta salva con la possibilita' di nomina del difensore d'ufficio ex art. 97 c.p.p. Se tale valutazione appare esatta e frutto di una valutazione legata comunque alla necessita' della celere definizione dei procedimenti camerali, pur nella rilevanza delle questioni trattate, non altrettanto puo' dirsi per il caso, che qui interessa, dell'assoluto impedimento prospettato dal difensore di fiducia che e' impossibilitato a comparire nel procedimento di prevenzione. E difatti, le ipotesi non dibattimentali nelle quali vi e' necessita' della presenza del difensore sono innumerevoli. Attivita' di indagine (es. sommarie informazioni rese dall'indagato; ispezioni; confronto), attivita' svolte nell'interesse ed a garanzia dell'indagato (interrogatorio del fermato o dell'arrestato dinanzi al giudice dell'udienza di convalida), attivita' svolte su richiesta del pubblico ministero (udienza preliminare) o a tutela della liberta' personale (udienza camerale ex art. 309-310 c.p.p.). In tutte tali ipotesi, pero', vi e' una pregnante esigenza che il legislatore ha ritentito di poter garantire con la presenza di un sostituito senza richiedere la valutazione di eventuali impossibilita' a comparire: per un verso la celerita', peraltro il regolare espletamento di attivita' di indagine. E cosi', per l'udienza di riesame o di convalida, il bene del diritto di difesa in relazione alla liberta' personale e' stato bilanciato con la necessaria celerita' della procedura (a tutela dell'interessato). Negli atti svolti durante le indagini preliminari, per i quali e' necessaria la partecipazione del difensore, e' stato ritenuta idonea anche la presenza di un difensore di ufficio, essendo quella attivita' da svolgersi in presenza di un contraddittore in grado di controllare la regolarita' formale dell'espletamento dell'atto. Infine, le procedure camerali previste per l'esecuzione e per la sorveglianza, attengono a pene gia' passate in giudicato, quindi a questioni non definitorie nel merito. A fronte di tali ipotesi, in cui la necessita' della presenza del difensore non si concreta nella valutazione delle ragioni dell'assenza del difensore di fiducia, ben si differenzia il procedimento di prevenzione. Gia' la Corte costituzionale il 25 maggio 1970, con sentenza n. 76, dichiarava l'incostituzionalita' dell'art. 4, comma secondo, legge 1423 del 1956, nella parte in cui, disciplinando la misura della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, da adottarsi dal tribunale in camera di consiglio, non prevedeva l'assistenza obbligatoria del difensore. Tale pronuncia rinviava ad una pronuncia, di poco precedente, con la quale la medesima censura veniva apportata agli art. 636-637 c.p.p. in relazione al procedimento di sorveglianza (Corte cost., 29 maggio 1968 n. 53, Ferrari, in Foro it., 1968, I, 1372). Ebbene, il giudice delle leggi con quest'ultima sentenza chiariva che prioritario doveva considerarsi ai fini della decisione l'interesse umano oggetto del procedimento, vale a dire quello supremo della liberta' personale. Ed inoltre rilevava come, secondo lo spirito della norma costituzionale - art. 24, comma secondo - spetti sempre al soggetto il diritto allo svolgimento di una difesa integrale, mediante l'assistenza tecnica del difensore. Ed inoltre, la Corte affermava che al di la' della specifica tutela sancita dall'art. 24, appare manifesto che gli artt. 13 e 111, secondo comma, interpretati nello spirito delle supreme esigenze fissate dalla Costituzione, conferiscono alla liberta' personale una propria e particolare rilevanza costituzionale, con il conseguente diritto ad una effettiva difesa integrale di questo supremo interesse del cittadino. Ebbene e' fuor di dubbio che tali principi vanno rapportati all'evoluzione del diritto processuale penale che, nel frattempo, ha subito radicali mutamenti in merito alla dialettica delle parti. Il procedimento di prevenzione ha ormai, tanto per la giurisprudenza quanto per la dottrina, valore "giurisdizionale". Ne consegue che l'introduzione delle regole del nuovo processo penale incide anche sulla disciplina del procedimento di prevenzione, non solo per il diverso riferimento normativo, ma anche per la assoluta novita' delle relazioni fra accusa e difesa. E cio' analogamente a quanto accade per altri istituti del processo penale veicolati analogicamente nel procedimento di prevenzione. Il diritto di difesa nel corso del procedimento di prevenzione appare, allo stato, di certo meno effettivo ed integrale di quanto accada nel corso del dibattimento penale. Se e' vero che il giudizio dei due procedimenti ha natura diversa quanto al grado di deliberazione degli elementi probatori a carico ed a discarico, e' indubbio che l'uno e l'altro si conchiudono con una pronuncia avente carattere definitorio nel merito. E, tanto per l'uno quanto per l'altro, la valutazione positiva della rilevanza degli elementi a carico del proposto o dell'imputato deterinina come sanzione la restrizione della liberta' personale (con l'irrogazione della condanna a pena detentiva e con l'applicazione della misura della sorveglianza speciale con o senza obbligo di soggiorno). Ne deriva che, mentre la diversa intensita' dell'indagine giustifica la diversita' delle regole del contraddittorio dibattimentale, in un caso, camerale nell'altro - gli effetti di tale indagine non paiono tanto diseguali da determinare la rinuncia a quella difesa effettiva ed integrale che gia' la Corte affermava ineludibile presupposto di tutela del bene della liberta' personale. Per queste ragioni appare del tutto irragionevole e frutto di una disparita' di trattamento - in violazione dell'art. 3 Cost. - la mancata previsione dell'estensione anche al giudizio di prevenzione della disciplina prevista dal quinto comma dell'art. 486 c.p.p. Tale disparita' di trattamento appare evidente alla luce di uno dei criteri utili ad acclarare l'effettivita' e l'interezza del diritto di difesa tecnica: quello della comparazione con i poteri dell'accusa. Il pubblico ministero nel corso del procedimento camerale di prevenzione esercita una vera e propria azione diretta ad ottenere come con l'azione penale in dibattimento, una pronuncia definitiva eventualmente sfavorevole all'interessato. A fronte di tale medesima situazione, in entrambi i casi potenzialmente lesiva del bene della liberta' dell'individuo, la difesa appare meno effettiva ed integra nel procedimento di prevenzione, laddove l'impedimento legittimo del difensore non puo' in alcun modo essere valutato, con conseguente sacrificio per l'interessato che si ritrova spogliato della difesa tecnica che quel professionista, scelto personalmente e non altri deve potergli assicurare. E cio', quindi, in violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione ed in assenza di altri beni costituzionalmente garantiti che giustifichino, nel caso in esame, la compressione del diritto di difesa. A fronte di oggettive difficolta' a presenziare per il difensore, che pur andrebbero valutate con il rigore propriamente affermato dalla suprema Corte, appare, quindi, palese la violazione del diritto di difesa del proposto, il quale, spesso a fronte di questioni complesse anche per la pluralita' dei fatti oggetto di valutazione, verrebbe a subire una pronuncia privato della effettiva ed integrale difesa. E, a ben vedere, la necessita' di tale razionalizzazione del sistema riguarda solo, fra quelli camerali in genere, il procedimento di prevenzione che si definisce con una pronuncia atta a divenire cosa giudicata, seppur rebus sic stantibus. Non altrettanto pare possa affermarsi in relazione ad altre fasi camerali del procedimento penale che, come su detto, risultano endoprocedimentali (udienza preliminare, udienza ex art. 309-310 c.p.p. ecc.) e, soprattutto, prive del carattere definitorio che si sostanzia nel decreto di prevenzione o nella sentenza, che sole incidono sulla liberta' personale dell'interessato con il carattere della irrevocabilita'. Ne consegue l'incostituzionalita' dell'art. 4 c. 5 della legge n. 1423 del 1956 nella parte in cui non prevede che possa trovare applicazione il dettato dell'art. 486 c. 5 c.p.p., cosi da consentire la presenza del difensore di fiducia ed una difesa adeguata perche' integrale ed effettiva. Evidente appare, alla luce di quanto detto, la non manifesta infondatezza della questione, che incide sulla liberta' personale del proposto e che, a ben vedere, se positivamente risolta consentirebbe di rendere ulteriormente garantito - in una prospettiva di diritto costituzionalmente orientato - un procedimento che, per quanto ritenuto conforme ai principi della Carta costituzionale, va comunque aggiornato e conformato all'evoluzione di quei valori, consacrati nel diritto di difesa e nel bene della liberta' personale, che pure appaiono mutati alla luce della nuova procedura penale e della rilevanza assoluta che nella stessa hanno il contraddittorio delle parti ed una azione difensiva effettiva ed anche propositiva (si pensi anche al potere di indagine difensiva). Anche la rilevanza della sollevata questione nel caso in esame non appare dubbia, dovendo il tribunale conseguentemente sciogliere la riserva sulla richiesta di differimento o valutando nel merito l'impedimento prospettato dal difensore o, diversamente, dichiarandolo inammissibile perche' non ne e' prevista la valutazione dalla norma. Letti gli artt. 134, 136 Cost.; 1, legge Cost.; 9 febbraio 1948, n. 1; 23, 24, legge 11 marzo 1953, n. 87;