IL PRETORE
   All'udienza del 27 giugno 1996 ha pronunciato la seguente ordinanza
 nella  causa  n.  4035/95  r.g. pendente tra Randazzo Francesco Paolo
 contro l'Azienda municipalizzata autotrasporti di Palermo (A.M.I.A.).
   Con ricorso depositato il 29  settembre  1995,  Randazzo  Francesco
 Paolo  ha  convenuto  in  giudizio  l'Azienda  municipalizzata  igene
 ambientale di Palermo (A.M.I.A.), chiedendo  dichiararsi  il  proprio
 diritto  all'avviamento  al  lavoro  quale  operatore  ecologico  (II
 livello) fin dal mese di aprile 1995 e, per l'effetto, condannarsi la
 convenuta  al  risarcimento  dei danni patiti a cagione della mancata
 tempestiva assunzione, da liquidarsi in misura pari alle retribuzioni
 percipiende fino  all'effettiva  assunzione,  con  gli  accessori  di
 legge.
   Ha  esposto  di essere iscritto presso le liste di collocamento fin
 dal 1982,  quale  disoccupato,  aggiungendo  che,  con  nota  del  19
 dicembre  1994,  l'Ufficio  di  collocamento  lo  aveva designato per
 l'avviamento a selezione presso l'azienda convenuta.
   Ha lamentato che, nonostante i ripetuti solleciti,  l'A.M.I.A.  non
 aveva  proceduto  alla  sua  assunzione,  adducendo,  a  sostegno del
 rifiuto, il superamento dell'eta' massima  consentita  per  l'accesso
 all'impiego.
   Ritualmente instauratosi il contraddittorio, ha resistito l'azienda
 convenuta,   rilevando,  nel  merito,  l'infondatezza  delle  domande
 attoree, delle quali ha chiesto il rigetto.
   Cio' premesso e' pacifico tra le parti che  il  ricorrente  non  e'
 stato  assunto  in  quanto l'azienda convenuta ha ritenuto che avesse
 superato l'eta' massima consentita per l'accesso all'impiego.
   Deduce in particolare l'A.M.I.A. che il ricorrente,  alla  data  di
 adozione  della  delibera  n.  520  del  1993  - avente ad oggetto la
 richiesta  all'U.P.L.M.O.  di  avviare  al  lavoro  n.  58  operatori
 ecologici  -,  aveva  compiuto  anni 44, mesi 8 e giorni 26, sicche',
 avendo diritto all'elevazione fino a 44 anni (in relazione ai carichi
 familiari:  moglie e tre figli), non poteva ritenersi titolare di  un
 diritto all'assunzione.
   Sul punto, giova rilevare che, nonostante l'A.M.I.A. abbia motivato
 il  proprio  rifiuto all'assunzione del ricorrente richiamandosi alla
 previsione del CCNL di settore - che, all'art. 6,  punto  3,  dispone
 che,  ai  fini  dell'assunzione,  "...  non  si  puo' prescindere dal
 possesso dei seguenti requisiti: (...) c) eta' compresa tra i 18 e  i
 40  anni,  fatte salve le elevazioni di legge", la fonte dell'obbligo
 dell'azienda e' direttamente costituita  dall'art.  216  della  legge
 regionale  n.    16  del  1963  (modificato  dall'art.  1 della legge
 regionale n. 7 del  1989  e  applicabile  a  tutti  gli  enti  locali
 siciliani,  ivi  comprese  le aziende municipalizzate, stante il loro
 carattere di organi con personalita' giuridica dei comuni), il quale,
 al primo comma, n.   4, fissa in 40 anni  (elevabile  a  45  anni  in
 presenza  delle  condizioni  di legge: art. 216 cit., terzo comma) il
 limite massimo d'eta' per l'accesso agli  impieghi  presso  gli  enti
 locali.   La   riproduzione   del  testo  di  legge  nell'ambito  del
 regolamento negoziale non varrebbe a mutare, nel caso di  specie,  il
 carattere  normativo  primario  della  fonte  medesima, atteso che il
 predetto CCNL non manca di precisare che i requisiti per l'assunzione
 sono di volta in volta stabiliti dalla commissione amministratrice  "
 ... nel rispetto delle vigenti norme di legge".
   Ma  anche  se  si  volesse  ritenere  che  il  predetto regolamento
 negoziale costituisca la fonte esclusiva  dell'obbligo  dell'azienda,
 la  questione  di  costituzionalita'  della  predetta  norma verrebbe
 comunque in rilievo in quanto questione afferente a norme legislative
 utilizzabili quale parametro per valutare la liceita' del regolamento
 negoziale.
   Non  puo'  infatti tacersi del fatto che detto limite d'eta', oltre
 ad essere previsto nella citata legislazione regionale, si rinveniva,
 tale e quale, nell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica
 n. 3 del 1957 (c.d. testo unico degli impiegati civili  dello  Stato)
 ed  e'  riprodotto  nell'art.  2  del  decreto  del  Presidente della
 Repubblica n. 487 del 1994 (emanato a seguito  dell'approvazione  del
 decreto   legislativo   n.   29   del  1993,  recante  norme  per  la
 razionalizzazione   dell   'organizzazione   delle    amministrazioni
 pubbliche e la revisione della disciplina del pubblico impiego), onde
 ben difficilmente potrebbe dichiararsi, in ipotesi, la nullita' della
 predetta  disposizione  negoziale collettiva per contrarieta' a norme
 imperative di legge, presentandosi - all'opposto - la  previsione  di
 detto  limite  d'eta'  quale principio dell'ordinamento in materia di
 assunzione,  ancorche'  in  regime  privatistico,  presso  gli   enti
 pubblici.
   Tuttavia,  ad avviso di questo giudicante, la predetta disposizione
 suscita non poche  perplessita',  ove  raffrontata  al  principio  di
 razionalita',    desumibile   dall'art.   3,   comma   primo,   della
 Costituzione.
   Appare infatti  intrinsecamente  irragionevole  la  previsione  del
 limite  d'eta'  di  quarant'anni per l'accesso all'impiego presso gli
 enti  pubblici  in  presenza  di  un  fenomeno,  comune  alla   quasi
 totalita'  dei  paesi  industrializzati,  di  innalzamento della vita
 media della popolazione, che ha indotto il nostro  legislatore  (cfr.
 legge  n.   335 del 1995) addirittura a prevedere, in forma generale,
 l'innalzamento dell'eta' pensionabile.
   Se  infatti  il  prolungamento   dell'eta'   lavorativa   fino   al
 sessantacinquesimo   anno   di  eta'  appare  ormai  quale  principio
 dell'ordinamento,   ancorche'   in   via   di   formazione,    sembra
 irragionevole  prevedere  un  limite d'eta' per l'accesso all'impiego
 presso gli enti pubblici cosi marcatamente inferiore. La  soglia  dei
 sessantacinque  anni,  all'opposto,  ben puo' rappresentare un valido
 tertium comparationis, data  l'evidente  affinita'  delle  situazioni
 raffrontate,   ancorche'   considerate   l'una   sotto   il   profilo
 dell'accesso al lavoro, l'altra sotto il  profilo  della  fuoriuscita
 dal  lavoro.  In  questione,  infatti, e' pur sempre la capacita' del
 singolo di erogare la propria energia fisica o mentale per conseguire
 un dato risultato; e'  proprio  tale  capacita'  che  il  legislatore
 (statale)  sicuramente  riconosce  allorche'  prevede  l'innalzamento
 dell'eta' pensionabile  a  sessantacinque  anni  ed  e'  la  medesima
 capacita'  che  lo  stesso  legislatore (regionale, ma anche statale)
 sembra negare quando pone il limite dei  quarant'anni  per  l'accesso
 all'impiego presso gli enti pubblici.
   Inoltre,  la  norma in esame appare potenzialmente confliggente con
 il  principio  desumibile   dall'art.   3,   secondo   comma,   della
 Costituzione.
   Non  va  infatti dimenticato che - essendo compito della Repubblica
 la rimozione degli  ostacoli  di  ordine  economico  e  sociale  che,
 limitando  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei  cittadini,
 impediscono il pieno  sviluppo  della  persona  umana  e  l'effettiva
 partecipazione  di  tutti  i  lavoratori all'organizzazione politica,
 economica e sociale del Paese - la previsione, in forma  generale  ed
 indiscriminata,  di un limite d'eta' per l'accesso all'impiego presso
 gli enti pubblici, puo' costituire - e, di fatto,  costituisce  -  un
 ostacolo alla emancipazione dal bisogno di quei soggetti che, proprio
 a   causa   della  non  piu'  giovane  eta',  risultano  maggiormente
 penalizzati nell'accesso al lavoro e, conseguentemente, al reddito.
   Va infatti sottolineato che  il  sistema  normativo  di  protezione
 sociale  e' connotato dalla difficolta' di accedere ad un reddito che
 non sia compenso  di  un  lavoro  o  indennizzo  per  una  situazione
 provvisoria  di  disoccupazione o pensione di anzianita', vecchiaia o
 invalidita', sicche' l'accesso al sistema di protezione economica  da
 parte  degli adulti lontani dall'eta' pensionabile, privi di handicap
 e non rientranti nel sistema di garanzie previsto per i lavoratori e'
 spesso  formalmente  precluso.  Piu'  in  particolare,  il  cittadino
 infrasessantacinquenne,  non  invalido  ne'  inabile,  che  si  trovi
 disoccupato  senza  aver  avuto  almeno  una   pregressa   esperienza
 lavorativa  sufficiente a radicare il diritto alle prestazioni per il
 caso  di  disoccupazione,  si  trova  potenzialmente  sprovvisto   di
 qualunque  sostentamento,  non conoscendo il nostro ordinamento forme
 di reddito garantito di cittadinanza come  il  supplementary  benefit
 del sistema inglese, o il revenu minimum d'insertion dell'ordinamento
 francese o, ancora, il Bundessozialhilfe tedesco. Per costui, quindi,
 il   reddito   da  lavoro  costituisce  l'unica  forma  possibile  di
 emancipazione dal bisogno.
   Vero e', peraltro, che  l'impiego  presso  gli  enti  pubblici  non
 rappresenta  l'unica  modalita' per accedere ad un reddito da lavoro,
 potendo in ipotesi prospettarsi  l'assunzione  da  parte  di  persone
 fisiche  o  giuridiche  private. Ma non puo' tacersi dell'ostacolo di
 fatto  che,  per  gli  ultratrentaduenni,  e'   rappresentato   dalla
 normativa che, attraverso molteplici forme di incentivazione, tende a
 favorire  l'assunzione,  da  parte dei soggetti privati, dei giovani,
 attraverso il sistema dei c.d. contratti di formazione e lavoro.  Per
 chi  abbia superato il limite d'eta' previsto per la stipula di detti
 contratti, l'accesso all'impiego presso gli enti pubblici resta  cosi
 l'unica alternativa alla miseria, specialmente in realta' geografiche
 -  tra  le  quali,  indubbiamente,  quella  siciliana  - afflitte dal
 fenomeno della disoccupazione di massa.
   Sono questi, ad avviso del giudicante, i motivi per  cui  la  norma
 dell'art.  216, primo comma, n. 4, della legge regionale siciliana n.
 16 del 1963, nella parte  in  cui  pone,  quale  limite  massimo  per
 l'accesso  all'impiego presso gli enti locali regionali, l'eta' di 40
 anni, sembra suscettibile di conflitto con l'art. 3,  commi  primo  e
 secondo, della Costituzione.
   La   sollevata   questione   di   legittimita'   costituzionale  va
 conseguentemente  rimessa  all'esame  della   Corte   costituzionale,
 sospendendosi, in attesa della decisione, il presente giudizio.