ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale del  combinato  disposto:
 dell'art.  6,  primo comma, lettera b), del d.-l.  12 settembre 1983,
 n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per  il
 contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per vari settori
 della  pubblica  amministrazione  e  proroga  di   taluni   termini),
 convertito,  con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638;
 dell'art.  4, comma 1, lettera b), (esattamente: dell'art.  4,  comma
 1)  del d.lgs.   30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento
 del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a  norma
 dell'art.    3  della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato
 dall'art.   11, comma 38,  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537
 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14,
 della  legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico
 obbligatorio e complementare); dell'art.  3,  comma  1,  lettera  s),
 della  legge  23  ottobre  1992,  n.    421 (Delega al Governo per la
 razionalizzazione e la  revisione  delle  discipline  in  materia  di
 sanita',   di   pubblico   impiego,   di   previdenza  e  di  finanza
 territoriale); giudizio promosso con ordinanza emessa il  19  gennaio
 1996 dal pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Maria
 Merlino  e  l'INPS,  iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  12,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996.
   Visti gli atti di costituzione dell'INPS e di Maria Merlino nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  dicembre  1996  il  giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
   Uditi gli avvocati  Edoardo  Ghera  per  Maria  Merlino,  Carlo  De
 Angelis  per  l'INPS  e  l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -   Con ordinanza emessa il 19 gennaio  1996  nel  corso  di  un
 giudizio  promosso dalla titolare di pensione diretta che chiedeva la
 condanna  dell'Istituto  nazionale   della   previdenza   sociale   a
 corrisponderle  l'integrazione  al  trattamento minimo, il pretore di
 Genova ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  delle
 norme   che,   ai  fini  del  riconoscimento  di  tale  integrazione,
 attribuiscono  rilievo  al  reddito  del   coniuge   dell'assicurato,
 escludendo  il  diritto  all'integrazione  stessa nel caso di persona
 coniugata,  non  legalmente  ed  effettivamente  separata,  che   sia
 titolare  di  redditi  propri  per  un  importo inferiore a due volte
 l'ammontare  annuo  del  trattamento  minimo   del   Fondo   pensioni
 lavoratori  dipendenti,  ma  che  sia  tuttavia  titolare di redditi,
 cumulati con quelli del coniuge, per un importo superiore  a  quattro
 volte il trattamento minimo (con elevazione del limite a cinque volte
 il   trattamento   minimo   per   i  lavoratori  andati  in  pensione
 successivamente al 31 dicembre 1993 e fino al 31 dicembre 1994).
   Il pretore di Genova denuncia specificamente il combinato disposto:
 dell'art. 6, primo comma, lettera b), del d.-l. 12 settembre 1983, n.
 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e  sanitaria  e  per  il
 contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per vari settori
 della   pubblica   amministrazione  e  proroga  di  taluni  termini),
 convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n.  638;
 dell'art.    4, comma 1, lettera b), (esattamente: dell'art. 4, comma
 1) del d.lgs.  30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per  il  riordinamento
 del  sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma
 dell'art.  3 della legge 23 ottobre 1992, n.  421),  come  modificato
 dall'art.    11,  comma  38,  della  legge  24  dicembre 1993, n. 537
 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14,
 della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico
 obbligatorio  e  complementare);  dell'art.  3,  comma 1, lettera s),
 della legge 23 ottobre 1992, n.    421  (Delega  al  Governo  per  la
 razionalizzazione  e  la  revisione  delle  discipline  in materia di
 sanita',  di  pubblico  impiego,   di   previdenza   e   di   finanza
 territoriale).
   Il  pretore  di Genova dubita che possa essere in contrasto con gli
 artt. 3, 31, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della
 Costituzione avere  attribuito  rilievo,  ai  fini  dell'integrazione
 della  pensione  al  trattamento minimo, ai redditi del coniuge e non
 solo ai redditi propri del titolare della pensione.
   Il    giudice    rimettente,    richiamando    la    giurisprudenza
 costituzionale,  ritiene che il trattamento pensionistico costituisca
 un prolungamento, a fini previdenziali, della retribuzione  percepita
 in  costanza  del  rapporto  di  lavoro, sicche' anche il trattamento
 pensionistico dovrebbe essere proporzionato alla qualita' e quantita'
 di lavoro prestato e tale da assicurare mezzi adeguati alle  esigenze
 di vita dei lavoratori (artt. 38, secondo comma, e 36 Cost.), in modo
 da  mantenere  il  tenore di vita conseguito nel corso dell'attivita'
 lavorativa.
   L'istituto dell'integrazione della pensione al  trattamento  minimo
 sarebbe,  appunto, diretto ad assicurare ai lavoratori mezzi adeguati
 alle esigenze di vita, anche quando il calcolo della pensione in base
 ai contributi accreditati risulti,  in  mancanza  di  altri  redditi,
 inferiore  a  quanto  necessario.  L'integrazione  non avrebbe natura
 assistenziale, bensi' previdenziale,  sicche'  la  valutazione  dello
 stato  di  bisogno  o  di non abbienza dovrebbe essere effettuata con
 riferimento al singolo lavoratore e non al suo nucleo familiare,  che
 potrebbe  essere  preso  in  considerazione  solo quando si tratti di
 prestazioni assistenziali.
   Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  disciplina   legislativa
 denunciata  violerebbe  l'art.  3 della Costituzione, perche' sarebbe
 palesemente   irrazionale   e   determinerebbe   una   ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  tra  titolari  di  pensione  diretta con
 identica  posizione  contributiva,  i  quali  percepirebbero  o  meno
 l'integrazione  della  pensione  al  trattamento minimo a seconda del
 reddito del coniuge. L'eguaglianza sarebbe violata anche sotto  altro
 profilo,  giacche'  non  si  terrebbe in alcun modo conto dei redditi
 dell'intero nucleo familiare in relazione al numero di persone che lo
 compongono.
   La disciplina denunciata, inoltre, favorirebbe ed incoraggerebbe le
 famiglie di fatto  e  le  separazioni  tra  coniugi,  cosi'  violando
 l'obbligo  di  agevolare  con  misure  economiche la formazione della
 famiglia (art. 31, primo comma, Cost.).
   2.  -  Si  e'  costituita  Maria  Merlino,  ricorrente nel giudizio
 principale,   chiedendo   che   sia    dichiarata    l'illegittimita'
 costituzionale delle norme denunciate.
   La   parte   privata   sostiene  che,  nell'evoluzione  legislativa
 dell'istituto, il diritto all'integrazione al minimo  della  pensione
 e'  sempre  stato  collegato  al reddito personale del pensionato (in
 particolare, art.  6 del decreto-legge n. 463 del  1983).  Il  cumulo
 con  i  redditi del coniuge non legalmente separato e' stato preso in
 considerazione solo con l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n.
 503 del 1992 e con le modifiche introdotte dall'art.  11,  comma  38,
 della  legge  n.  537  del  1993.  Il  diritto  del pensionato ad una
 prestazione adeguata alle esigenze di vita minime e'  stato,  in  tal
 modo, trasformato da previdenziale in assistenziale, disattendendo la
 natura  dell'istituto,  che  e'  diretto  ad assicurare al lavoratore
 mezzi adeguati alle esigenze di vita (art. 38, secondo comma, Cost.).
   Ad avviso della parte privata,  condizionare  l'integrazione  della
 pensione  al  reddito  del  coniuge determinerebbe una irrazionale ed
 ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  situazioni  omogenee,
 discriminate  non  in  ragione  dello  stato  di  bisogno,  alla  cui
 sovvenzione e' finalizzata la prestazione integrativa, ma in  ragione
 dello stato civile (di coniugato o non coniugato) del destinatario.
   Il  principio  di  proporzionalita'  e adeguatezza alle esigenze di
 vita della prestazione pensionistica, che ha  natura  sostanzialmente
 retributiva  (artt.  36  e  38  Cost.),  imporrebbe  di assicurare il
 trattamento minimo a tutti i lavoratori che si  trovino  a  percepire
 una   pensione   inferiore   al   minimo   vitale.  Se  nel  valutare
 l'adeguatezza della prestazione pensionistica alle esigenze  di  vita
 si  dovesse  prendere  in considerazione il reddito del coniuge, tale
 considerazione  dovrebbe  riguardare  non  solo  la  integrazione  al
 minimo, ma la generalita' dei trattamenti pensionistici.
   La  parte privata prospetta, inoltre, la violazione degli artt.  29
 e 37 della Costituzione, che l'ordinanza  di  rimessione  non  indica
 quali parametro del giudizio di legittimita' costituzionale.
   3.  - Si e' costituito in giudizio anche l'Istituto nazionale della
 previdenza sociale (INPS), chiedendo che la questione di legittimita'
 costituzionale sia dichiarata non fondata.
   L'INPS sostiene che il principio di solidarieta', che e' alla  base
 dell'integrazione  al  minimo,  fa gravare tale erogazione su persone
 diverse dal beneficiario e, in definitiva, su tutta la collettivita'.
 Il ricorso alla solidarieta' generale sarebbe talmente vasto  da  far
 considerare  al legislatore l'opportunita' di evitarlo quando non sia
 necessario, come nel caso in  esame,  nel  quale  l'interessato  puo'
 trovare  adeguato  sostegno  nell'aiuto del coniuge, che ha, nei suoi
 confronti, un obbligo di assistenza anche materiale  (art.  143  cod.
 civ.).
   4.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente
 infondata.
   L'Avvocatura osserva che l'ordinanza  di  rimessione  denuncia  una
 ingiustificata  disparita' di trattamento, in contrasto con l'art.  3
 della Costituzione, tra titolari di  pensione  diretta  con  identica
 situazione contributiva, a seconda del reddito percepito dal coniuge,
 senza  tenere  conto che del nucleo familiare possono far parte altre
 persone titolari  di  redditi  ai  quali  non  si  attribuisce  alcun
 rilievo.
   Ad   avviso  dell'Avvocatura,  il  riferimento  alla  identita'  di
 situazione contributiva non sarebbe pertinente, perche', a parita' di
 anni di contribuzione, la base pensionistica e'  identica  per  tutti
 gli  assicurati,  siano  essi  coniugati  o  meno.  L'integrazione al
 minimo,  difatti,  prescinde  dai  contributi   e   rappresenta   una
 elargizione che il legislatore ha stabilito secondo criteri del tutto
 discrezionali.
   Non  sussisterebbe neanche la denunciata violazione degli artt.  36
 e  38  della  Costituzione,  in  base  ai  quali  il  trattamento  di
 quiescenza,  che  della  retribuzione  costituisce il prolungamento a
 fini  previdenziali,  deve  essere  proporzionato  alla  qualita'   e
 quantita'  di lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore ed alla
 sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di  vita.  Le  disposizioni
 denunciate  tratterebbero  in  modo  eguale  i lavoratori, siano essi
 coniugati o non coniugati, in relazione alla qualita' e quantita'  di
 lavoro   prestato.  Per  quanto  riguarda  l'assicurazione  di  mezzi
 adeguati alla famiglia, il legislatore  avrebbe  tenuto  conto  della
 concreta   situazione   familiare,   dettando   discrezionalmente  la
 disciplina di dettaglio in considerazione delle varie esigenze.
   5. - In prossimita' dell'udienza la parte privata ha depositato una
 memoria per illustrare ulteriormente  le  argomentazioni  prospettate
 nell'atto  di  costituzione,  unendo anche una valutazione attuariale
 degli   oneri   complessivi   che   deriverebbero   dalla   eventuale
 dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale  delle  norme  che
 limitano il diritto alla  integrazione  al  minimo  in  relazione  al
 reddito del coniuge.
   La  parte  privata  sottolinea,  in  particolare,  che nel rapporto
 previdenziale  la  solidarieta'  e'  interna   alla   categoria   dei
 lavoratori;   ribadisce,   inoltre,  che  la  oggettiva  garanzia  di
 adeguatezza della prestazione previdenziale  alle  esigenze  di  vita
 minime  del  lavoratore  prescinde  dalle  condizioni  soggettive del
 destinatario. Far riferimento non piu' ai  soli  redditi  propri  del
 pensionato,  bensi'  anche ai redditi del coniuge, determinerebbe una
 lesione  del  diritto  alla  tutela  previdenziale,  che   garantisce
 direttamente  il  pensionato contro lo stato di bisogno e che solo in
 via sussidiaria puo' presupporre il ricorso ai familiari obbligati  a
 prestare gli alimenti (artt. 433 e 438 cod. civ.).
   La   memoria   prospetta   un   ulteriore  dubbio  di  legittimita'
 costituzionale per l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n.  503
 del 1992, che, in violazione dell'art. 76 Cost., eccederebbe i limiti
 della delega conferita con l'art. 3 della legge n. 421 del 1992.
                         Considerato in diritto
   1.  -    La  questione  di  legittimita'  costituzionale investe la
 disciplina   della   integrazione   al   minimo    del    trattamento
 pensionistico,   che  prevede,  se  il  titolare  della  pensione  e'
 coniugato  e  non  legalmente   ed   effettivamente   separato,   che
 l'integrazione  non  spetta  a chi possegga redditi propri o cumulati
 con quelli del coniuge per un  importo  superiore  da  tre  a  cinque
 volte,  a seconda delle disposizioni che si sono succedute nel tempo,
 il trattamento minimo.
   Il pretore di Genova denuncia il combinato disposto: dell'art.   6,
 primo  comma, lettera b), del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure
 urgenti in materia previdenziale e sanitaria e  per  il  contenimento
 della  spesa  pubblica,  disposizioni per vari settori della pubblica
 amministrazione   e  proroga  di  taluni  termini),  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 11 novembre 1983,  n.  638;  dell'art.  4,
 comma  1,  del  d.lgs.    30  dicembre  1992,  n.  503  (Norme per il
 riordinamento del sistema  previdenziale  dei  lavoratori  privati  e
 pubblici,  a norma dell'art.  3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
 come modificato dall'art.   11, comma 38,  della  legge  24  dicembre
 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art.
 2,  comma  14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema
 pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art.  3,  comma  1,
 lettera  s),  della legge 23 ottobre 1992, n.  421 (Delega al Governo
 per la razionalizzazione e la revisione delle discipline  in  materia
 di   sanita',  di  pubblico  impiego,  di  previdenza  e  di  finanza
 territoriale),  nella   parte   in   cui   da'   rilievo,   ai   fini
 dell'attribuzione  dell'integrazione  della  pensione  al trattamento
 minimo, al reddito del coniuge dell'assicurato. Il giudice rimettente
 ritiene che tener conto  dei  redditi  del  coniuge,  oltre  che  dei
 redditi propri del titolare di pensione diretta, sia in contrasto con
 gli  artt.  36,  primo comma, 38, secondo comma, 3 e 31, primo comma,
 della Costituzione, giacche':
     a) l'importo della pensione dovrebbe  essere  proporzionato  alla
 qualita' e quantita' del lavoro prestato ed assicurare mezzi adeguati
 alle condizioni di vita del lavoratore; l'integrazione al trattamento
 minimo,  avendo natura previdenziale, dovrebbe considerare il singolo
 lavoratore e non essere condizionata da redditi di  altri  componenti
 della  famiglia,  rilevanti  solo  per  l'erogazione  di  prestazioni
 assistenziali;
     b)  si  determinerebbe   una   palese   irrazionalita'   ed   una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra titolari di pensione
 diretta con identica situazione contributiva, a seconda che  siano  o
 meno  coniugati;  sotto altro profilo, ignorare i redditi dell'intero
 nucleo  familiare,  in  relazione  al  numero  di  persone   che   lo
 compongono, lederebbe il principio di eguaglianza;
     c)  non  verrebbe  agevolata la formazione della famiglia, mentre
 sarebbero incoraggiate le separazioni tra coniugi e  le  famiglie  di
 fatto.
   2.  - I termini della questione di legittimita' costituzionale sono
 quelli fissati dall'ordinanza di  rimessione  e  non  possono  essere
 estesi  o modificati successivamente dalle parti (da ultimo, sentenze
 nn. 386 e 79 del  1996).  Non  possono,  pertanto,  essere  presi  in
 considerazione  gli  ulteriori  parametri costituzionali ed i profili
 proposti dalla  parte  privata  nell'atto  di  costituzione  e  nella
 successiva memoria.
   3. - La questione e' infondata.
   Nel  contesto  della disciplina complessiva delle pensioni a carico
 dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed  i
 superstiti,  l'istituto della integrazione al trattamento minimo, pur
 variamente regolato nel tempo, risponde all'esigenza di assicurare  a
 tutti  i  lavoratori  pensionati  mezzi sufficienti per le necessita'
 della vita.
   L'integrazione,  tuttavia,  non  costituisce   una   maggiorazione,
 stabile  e  permanente,  del trattamento   pensionistico calcolato in
 base ai contributi versati ed agli anni di  servizio  prestato;  essa
 costituisce,  piuttosto,  una  prestazione  eventuale e variabile nel
 tempo,  che puo' essere condizionata, per la sua erogazione e nel suo
 ammontare,  dall'esistenza  e  dalla  consistenza  di  altri  redditi
 personali  del  pensionato  e,  talvolta,  di  componenti  del nucleo
 familiare.
   4. - La giurisprudenza costituzionale, collegando gli artt. 36 e 38
 della Costituzione (tra le molte, sentenze nn. 119 e 96 del 1991 e n.
 173 del 1986), ha ritenuto  che  il  trattamento  di  quiescenza  dei
 lavoratori,  come  la  retribuzione,  debba essere proporzionato alla
 quantita' e qualita' del lavoro prestato. In ogni caso devono  essere
 assicurati,  secondo  quanto prevede l'art. 38 della Costituzione, al
 lavoratore pensionato, ed alla  sua  famiglia,  mezzi  adeguati  alle
 esigenze di vita. Anche nel sistema previdenziale si esprime, dunque,
 il  generale dovere di solidarieta' (v. sentenze n. 132 del 1984 e n.
 62 del 1977), che caratterizza sin dai principi fondamentali la Carta
 costituzionale (art. 2 Cost.).
   5. - L'integrazione  della  pensione  al  minimo,  pur  considerato
 istituto  previdenziale  (sentenza  n. 240 del 1994), non riflette la
 caratteristica del  trattamento  pensionistico,  quale  prolungamento
 della   retribuzione   lavorativa,  in  quanto  tale  correlato  alla
 quantita' e qualita' del lavoro prestato. Sotto questo profilo e'  il
 calcolo  della  pensione  cui  si  ha  diritto  in base ai contributi
 accreditati a dover rispecchiare sia la durata della vita  lavorativa
 che    l'ammontare    della   retribuzione   percepita   nel   tempo.
 L'integrazione al minimo si discosta da questi parametri di calcolo e
 costituisce,   piuttosto,   un'erogazione   ulteriore   rispetto   al
 trattamento  pensionistico  dovuto  in base ai contributi versati, al
 quale si aggiunge per  assicurare  al  lavoratore  in  quiescenza  il
 reddito  minimo,  considerato necessario per far fronte alle esigenze
 di vita del titolare della pensione e della sua famiglia.
   In relazione a tale caratteristica, il  legislatore  -  cui  spetta
 determinare,  in  adesione  ai  principi  costituzionali  e  tenendo,
 quindi,  anche  conto  delle  risorse  finanziarie  disponibili   (v.
 sentenze  n.    99  del  1995  e  n.  119  del 1991), l'ampiezza e le
 modalita'   dell'intervento   solidaristico   -   puo'   condizionare
 l'attribuzione   e  l'ammontare  della  integrazione  della  pensione
 contributiva agli altri redditi del pensionato e della sua famiglia.
   Se, difatti, l'integrazione della pensione deve assicurare  che  la
 prestazione  previdenziale  consenta  di  far fronte alle esigenze di
 vita minime dell'assicurato e della sua famiglia, per converso non si
 puo' escludere che per valutare le necessita' della famiglia, cui  si
 debba  sovvenire  con  l'intervento  solidaristico,  si considerino i
 redditi percepiti da altri componenti della famiglia medesima.
   Il legislatore puo' dunque, senza  che  ne  risultino  violati  gli
 artt.  36  e  38  della Costituzione, considerare anche i redditi del
 coniuge,  per  attribuire  o  meno  al  titolare  della  pensione  la
 integrazione  al minimo; sempre che, tuttavia, l'importo dei redditi,
 propri o cumulati con quelli del coniuge, ostativo alla  attribuzione
 del  beneficio, sia determinato ragionevolmente, per poter far fronte
 alle esigenze di vita minime della famiglia.  Cio'  implica  che,  in
 caso  di  cumulo  con  i  redditi  del coniuge, l'importo che esclude
 l'attribuzione  della  integrazione  al  minimo  della  pensione   in
 godimento  sia adeguatamente superiore all'importo dei redditi propri
 del titolare della pensione che determina la medesima esclusione.
   Le  disposizioni  denunciate,  nel  considerare anche i redditi del
 coniuge tra i requisiti di reddito per l'integrazione al  trattamento
 minimo,  rispondono  al criterio di una differente determinazione del
 loro importo, che richiede un maggior ammontare, in caso  di  cumulo,
 rispetto  a  quello  determinato per i redditi propri del pensionato.
 Cio' consente di escludere la fondatezza del  vizio  di  legittimita'
 costituzionale,  denunciato  per  la  regola  in  se'  del cumulo dei
 redditi, del titolare della pensione e del coniuge, senza che vengano
 posti in discussione i criteri per  la  determinazione  dei  relativi
 importi.
   6. - Anche la denunciata irrazionalita' e disparita' di trattamento
 tra titolari di pensione diretta con identica situazione contributiva
 non e' fondata.
   L'integrazione  al  minimo  costituisce, come si e' gia' precisato,
 prestazione aggiuntiva rispetto a quella che risulterebbe dal calcolo
 in base ai contributi  accreditati,  i  quali  danno  diritto  ad  un
 trattamento   pensionistico   egualmente  commisurato,  per  tutti  i
 lavoratori,  alla  quantita'   e   qualita'   di   lavoro   prestato.
 L'attribuzione  della  integrazione,  diretta ad assicurare il minimo
 necessario al lavoratore pensionato e  alla  sua  famiglia,  richiede
 ulteriori  requisiti  di  reddito,  che,  proprio  in  ragione  delle
 esigenze familiari, possono legittimamente riferirsi,  sia  pure  con
 diversita' di importi, oltre che ai redditi propri del titolare della
 pensione,  anche  ai  redditi  del  coniuge,  che  pure  concorrono a
 soddisfare i medesimi bisogni.
   Non vi  e'  dunque,  sotto  questo  profilo,  quella  identita'  di
 situazione  che  viene  presupposta  per  dedurre  una  disparita' di
 trattamento.    Le  disposizioni  denunciate  non  discriminano   tra
 soggetti  coniugati  e  non  coniugati,  ma stabiliscono un criterio,
 quello  dell'ammontare  del  cumulo  dei  redditi  dei  coniugi,  per
 escludere  il bisogno che da' diritto all'intervento solidaristico di
 integrazione della pensione (v. sentenza n. 75 del 1991).
   La violazione del principio di  eguaglianza  e'  prospettata  anche
 considerando  che  i  requisiti  di  reddito  per   l'integrazione al
 trattamento minimo si riferiscono ai redditi  propri  del  pensionato
 cumulati  con  quelli  del   coniuge, ma non attribuiscono rilievo ai
 redditi dell'intero nucleo familiare in  relazione  al  numero  delle
 persone che lo compongono.
   Nel  prevedere un intervento solidaristico, quale e' l'integrazione
 al minimo, il legislatore  ha,  non  irragionevolmente,  considerato,
 nell'ambito  della  sua discrezionalita', il reddito dei coniugi, sui
 quali solitamente gravano gli oneri relativi alle  esigenze  di  vita
 della  famiglia.  Cio' non esclude che siano giustificati anche altri
 criteri, tra  i  quali  potrebbe  rientrare  quello  prefigurato  dal
 giudice rimettente, per stabilire quando o come il reddito del nucleo
 familiare condizioni l'erogazione di prestazioni solidaristiche.
   7.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale non e' fondata
 neppure in riferimento all'art. 31, primo comma, della  Costituzione,
 il  quale,  secondo  l'ordinanza  di  rimessione, sarebbe violato dal
 cumulo dei redditi propri del titolare della pensione e  del  coniuge
 ai   fini   della   integrazione   al  trattamento  minimo,  che  non
 agevolerebbe  la  formazione  della  famiglia  ma  incoraggerebbe  le
 famiglie di fatto e la separazione tra coniugi.
   Riconoscendo  i  diritti  della famiglia fondata sul matrimonio, la
 Costituzione impegna ad agevolarne la  formazione e l'adempimento dei
 compiti (rispettivamente artt. 29, primo comma, e  31,  primo  comma,
 Cost.),    con misure in ordine alle quali si dispiega la valutazione
 discrezionale del legislatore (v. sentenze n. 1067 del 1988 e n.   81
 del 1966).
   Il  principio  di  favore  e  di  sostegno  per  la famiglia non e'
 contraddetto quando,  nell'esercizio  di  tale  discrezionalita',  il
 legislatore    condiziona    l'attribuzione    di   una   prestazione
 solidaristica, quale e' l'integrazione della pensione al  trattamento
 minimo,  ai redditi non solo del titolare della pensione ma anche del
 coniuge,  purche'  l'importo  dei  redditi  cumulati  che   escludono
 l'integrazione    sia    ragionevolmente    determinato   in   misura
 adeguatamente superiore a quello dei redditi  propri  del  pensionato
 che determinano analoga esclusione.
   Non  si  puo', infine, ritenere di minore favore per la famiglia il
 cumulo dei redditi dei  coniugi,  non  legalmente  ed  effettivamente
 separati,  ai  fini dell'integrazione al minimo, cumulo che non opera
 in caso di convivenza di fatto o di separazione coniugale. Difatti la
 mancanza  o  il  diverso  atteggiarsi   dell'obbligo   giuridico   di
 assistenza  diversifica  le  altre situazioni considerate dal giudice
 rimettente  dalla  condizione  della  famiglia  legittima  e  non  ne
 consente  il  raffronto  (sentenze n. 75 del 1991 e n. 644 del 1988),
 giacche' solo il rapporto coniugale e' caratterizzato da stabilita' e
 certezza e dalla reciprocita' e corrispettivita' di diritti e  doveri
 che nascono dal matrimonio (sentenza n. 8 del 1996).