ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato disposto: dell'art. 6, primo comma, lettera b), del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; dell'art. 4, comma 1, lettera b), (esattamente: dell'art. 4, comma 1) del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art. 3, comma 1, lettera s), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale); giudizio promosso con ordinanza emessa il 19 gennaio 1996 dal pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Maria Merlino e l'INPS, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1996. Visti gli atti di costituzione dell'INPS e di Maria Merlino nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1996 il giudice relatore Cesare Mirabelli; Uditi gli avvocati Edoardo Ghera per Maria Merlino, Carlo De Angelis per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 19 gennaio 1996 nel corso di un giudizio promosso dalla titolare di pensione diretta che chiedeva la condanna dell'Istituto nazionale della previdenza sociale a corrisponderle l'integrazione al trattamento minimo, il pretore di Genova ha sollevato questione di legittimita' costituzionale delle norme che, ai fini del riconoscimento di tale integrazione, attribuiscono rilievo al reddito del coniuge dell'assicurato, escludendo il diritto all'integrazione stessa nel caso di persona coniugata, non legalmente ed effettivamente separata, che sia titolare di redditi propri per un importo inferiore a due volte l'ammontare annuo del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, ma che sia tuttavia titolare di redditi, cumulati con quelli del coniuge, per un importo superiore a quattro volte il trattamento minimo (con elevazione del limite a cinque volte il trattamento minimo per i lavoratori andati in pensione successivamente al 31 dicembre 1993 e fino al 31 dicembre 1994). Il pretore di Genova denuncia specificamente il combinato disposto: dell'art. 6, primo comma, lettera b), del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; dell'art. 4, comma 1, lettera b), (esattamente: dell'art. 4, comma 1) del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art. 3, comma 1, lettera s), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale). Il pretore di Genova dubita che possa essere in contrasto con gli artt. 3, 31, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione avere attribuito rilievo, ai fini dell'integrazione della pensione al trattamento minimo, ai redditi del coniuge e non solo ai redditi propri del titolare della pensione. Il giudice rimettente, richiamando la giurisprudenza costituzionale, ritiene che il trattamento pensionistico costituisca un prolungamento, a fini previdenziali, della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, sicche' anche il trattamento pensionistico dovrebbe essere proporzionato alla qualita' e quantita' di lavoro prestato e tale da assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori (artt. 38, secondo comma, e 36 Cost.), in modo da mantenere il tenore di vita conseguito nel corso dell'attivita' lavorativa. L'istituto dell'integrazione della pensione al trattamento minimo sarebbe, appunto, diretto ad assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita, anche quando il calcolo della pensione in base ai contributi accreditati risulti, in mancanza di altri redditi, inferiore a quanto necessario. L'integrazione non avrebbe natura assistenziale, bensi' previdenziale, sicche' la valutazione dello stato di bisogno o di non abbienza dovrebbe essere effettuata con riferimento al singolo lavoratore e non al suo nucleo familiare, che potrebbe essere preso in considerazione solo quando si tratti di prestazioni assistenziali. Ad avviso del giudice rimettente, la disciplina legislativa denunciata violerebbe l'art. 3 della Costituzione, perche' sarebbe palesemente irrazionale e determinerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra titolari di pensione diretta con identica posizione contributiva, i quali percepirebbero o meno l'integrazione della pensione al trattamento minimo a seconda del reddito del coniuge. L'eguaglianza sarebbe violata anche sotto altro profilo, giacche' non si terrebbe in alcun modo conto dei redditi dell'intero nucleo familiare in relazione al numero di persone che lo compongono. La disciplina denunciata, inoltre, favorirebbe ed incoraggerebbe le famiglie di fatto e le separazioni tra coniugi, cosi' violando l'obbligo di agevolare con misure economiche la formazione della famiglia (art. 31, primo comma, Cost.). 2. - Si e' costituita Maria Merlino, ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle norme denunciate. La parte privata sostiene che, nell'evoluzione legislativa dell'istituto, il diritto all'integrazione al minimo della pensione e' sempre stato collegato al reddito personale del pensionato (in particolare, art. 6 del decreto-legge n. 463 del 1983). Il cumulo con i redditi del coniuge non legalmente separato e' stato preso in considerazione solo con l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 503 del 1992 e con le modifiche introdotte dall'art. 11, comma 38, della legge n. 537 del 1993. Il diritto del pensionato ad una prestazione adeguata alle esigenze di vita minime e' stato, in tal modo, trasformato da previdenziale in assistenziale, disattendendo la natura dell'istituto, che e' diretto ad assicurare al lavoratore mezzi adeguati alle esigenze di vita (art. 38, secondo comma, Cost.). Ad avviso della parte privata, condizionare l'integrazione della pensione al reddito del coniuge determinerebbe una irrazionale ed ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni omogenee, discriminate non in ragione dello stato di bisogno, alla cui sovvenzione e' finalizzata la prestazione integrativa, ma in ragione dello stato civile (di coniugato o non coniugato) del destinatario. Il principio di proporzionalita' e adeguatezza alle esigenze di vita della prestazione pensionistica, che ha natura sostanzialmente retributiva (artt. 36 e 38 Cost.), imporrebbe di assicurare il trattamento minimo a tutti i lavoratori che si trovino a percepire una pensione inferiore al minimo vitale. Se nel valutare l'adeguatezza della prestazione pensionistica alle esigenze di vita si dovesse prendere in considerazione il reddito del coniuge, tale considerazione dovrebbe riguardare non solo la integrazione al minimo, ma la generalita' dei trattamenti pensionistici. La parte privata prospetta, inoltre, la violazione degli artt. 29 e 37 della Costituzione, che l'ordinanza di rimessione non indica quali parametro del giudizio di legittimita' costituzionale. 3. - Si e' costituito in giudizio anche l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata non fondata. L'INPS sostiene che il principio di solidarieta', che e' alla base dell'integrazione al minimo, fa gravare tale erogazione su persone diverse dal beneficiario e, in definitiva, su tutta la collettivita'. Il ricorso alla solidarieta' generale sarebbe talmente vasto da far considerare al legislatore l'opportunita' di evitarlo quando non sia necessario, come nel caso in esame, nel quale l'interessato puo' trovare adeguato sostegno nell'aiuto del coniuge, che ha, nei suoi confronti, un obbligo di assistenza anche materiale (art. 143 cod. civ.). 4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. L'Avvocatura osserva che l'ordinanza di rimessione denuncia una ingiustificata disparita' di trattamento, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, tra titolari di pensione diretta con identica situazione contributiva, a seconda del reddito percepito dal coniuge, senza tenere conto che del nucleo familiare possono far parte altre persone titolari di redditi ai quali non si attribuisce alcun rilievo. Ad avviso dell'Avvocatura, il riferimento alla identita' di situazione contributiva non sarebbe pertinente, perche', a parita' di anni di contribuzione, la base pensionistica e' identica per tutti gli assicurati, siano essi coniugati o meno. L'integrazione al minimo, difatti, prescinde dai contributi e rappresenta una elargizione che il legislatore ha stabilito secondo criteri del tutto discrezionali. Non sussisterebbe neanche la denunciata violazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione, in base ai quali il trattamento di quiescenza, che della retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionato alla qualita' e quantita' di lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita. Le disposizioni denunciate tratterebbero in modo eguale i lavoratori, siano essi coniugati o non coniugati, in relazione alla qualita' e quantita' di lavoro prestato. Per quanto riguarda l'assicurazione di mezzi adeguati alla famiglia, il legislatore avrebbe tenuto conto della concreta situazione familiare, dettando discrezionalmente la disciplina di dettaglio in considerazione delle varie esigenze. 5. - In prossimita' dell'udienza la parte privata ha depositato una memoria per illustrare ulteriormente le argomentazioni prospettate nell'atto di costituzione, unendo anche una valutazione attuariale degli oneri complessivi che deriverebbero dalla eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme che limitano il diritto alla integrazione al minimo in relazione al reddito del coniuge. La parte privata sottolinea, in particolare, che nel rapporto previdenziale la solidarieta' e' interna alla categoria dei lavoratori; ribadisce, inoltre, che la oggettiva garanzia di adeguatezza della prestazione previdenziale alle esigenze di vita minime del lavoratore prescinde dalle condizioni soggettive del destinatario. Far riferimento non piu' ai soli redditi propri del pensionato, bensi' anche ai redditi del coniuge, determinerebbe una lesione del diritto alla tutela previdenziale, che garantisce direttamente il pensionato contro lo stato di bisogno e che solo in via sussidiaria puo' presupporre il ricorso ai familiari obbligati a prestare gli alimenti (artt. 433 e 438 cod. civ.). La memoria prospetta un ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale per l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 503 del 1992, che, in violazione dell'art. 76 Cost., eccederebbe i limiti della delega conferita con l'art. 3 della legge n. 421 del 1992. Considerato in diritto 1. - La questione di legittimita' costituzionale investe la disciplina della integrazione al minimo del trattamento pensionistico, che prevede, se il titolare della pensione e' coniugato e non legalmente ed effettivamente separato, che l'integrazione non spetta a chi possegga redditi propri o cumulati con quelli del coniuge per un importo superiore da tre a cinque volte, a seconda delle disposizioni che si sono succedute nel tempo, il trattamento minimo. Il pretore di Genova denuncia il combinato disposto: dell'art. 6, primo comma, lettera b), del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; dell'art. 4, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 11, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), e dall'art. 2, comma 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare); dell'art. 3, comma 1, lettera s), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), nella parte in cui da' rilievo, ai fini dell'attribuzione dell'integrazione della pensione al trattamento minimo, al reddito del coniuge dell'assicurato. Il giudice rimettente ritiene che tener conto dei redditi del coniuge, oltre che dei redditi propri del titolare di pensione diretta, sia in contrasto con gli artt. 36, primo comma, 38, secondo comma, 3 e 31, primo comma, della Costituzione, giacche': a) l'importo della pensione dovrebbe essere proporzionato alla qualita' e quantita' del lavoro prestato ed assicurare mezzi adeguati alle condizioni di vita del lavoratore; l'integrazione al trattamento minimo, avendo natura previdenziale, dovrebbe considerare il singolo lavoratore e non essere condizionata da redditi di altri componenti della famiglia, rilevanti solo per l'erogazione di prestazioni assistenziali; b) si determinerebbe una palese irrazionalita' ed una ingiustificata disparita' di trattamento tra titolari di pensione diretta con identica situazione contributiva, a seconda che siano o meno coniugati; sotto altro profilo, ignorare i redditi dell'intero nucleo familiare, in relazione al numero di persone che lo compongono, lederebbe il principio di eguaglianza; c) non verrebbe agevolata la formazione della famiglia, mentre sarebbero incoraggiate le separazioni tra coniugi e le famiglie di fatto. 2. - I termini della questione di legittimita' costituzionale sono quelli fissati dall'ordinanza di rimessione e non possono essere estesi o modificati successivamente dalle parti (da ultimo, sentenze nn. 386 e 79 del 1996). Non possono, pertanto, essere presi in considerazione gli ulteriori parametri costituzionali ed i profili proposti dalla parte privata nell'atto di costituzione e nella successiva memoria. 3. - La questione e' infondata. Nel contesto della disciplina complessiva delle pensioni a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, l'istituto della integrazione al trattamento minimo, pur variamente regolato nel tempo, risponde all'esigenza di assicurare a tutti i lavoratori pensionati mezzi sufficienti per le necessita' della vita. L'integrazione, tuttavia, non costituisce una maggiorazione, stabile e permanente, del trattamento pensionistico calcolato in base ai contributi versati ed agli anni di servizio prestato; essa costituisce, piuttosto, una prestazione eventuale e variabile nel tempo, che puo' essere condizionata, per la sua erogazione e nel suo ammontare, dall'esistenza e dalla consistenza di altri redditi personali del pensionato e, talvolta, di componenti del nucleo familiare. 4. - La giurisprudenza costituzionale, collegando gli artt. 36 e 38 della Costituzione (tra le molte, sentenze nn. 119 e 96 del 1991 e n. 173 del 1986), ha ritenuto che il trattamento di quiescenza dei lavoratori, come la retribuzione, debba essere proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. In ogni caso devono essere assicurati, secondo quanto prevede l'art. 38 della Costituzione, al lavoratore pensionato, ed alla sua famiglia, mezzi adeguati alle esigenze di vita. Anche nel sistema previdenziale si esprime, dunque, il generale dovere di solidarieta' (v. sentenze n. 132 del 1984 e n. 62 del 1977), che caratterizza sin dai principi fondamentali la Carta costituzionale (art. 2 Cost.). 5. - L'integrazione della pensione al minimo, pur considerato istituto previdenziale (sentenza n. 240 del 1994), non riflette la caratteristica del trattamento pensionistico, quale prolungamento della retribuzione lavorativa, in quanto tale correlato alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. Sotto questo profilo e' il calcolo della pensione cui si ha diritto in base ai contributi accreditati a dover rispecchiare sia la durata della vita lavorativa che l'ammontare della retribuzione percepita nel tempo. L'integrazione al minimo si discosta da questi parametri di calcolo e costituisce, piuttosto, un'erogazione ulteriore rispetto al trattamento pensionistico dovuto in base ai contributi versati, al quale si aggiunge per assicurare al lavoratore in quiescenza il reddito minimo, considerato necessario per far fronte alle esigenze di vita del titolare della pensione e della sua famiglia. In relazione a tale caratteristica, il legislatore - cui spetta determinare, in adesione ai principi costituzionali e tenendo, quindi, anche conto delle risorse finanziarie disponibili (v. sentenze n. 99 del 1995 e n. 119 del 1991), l'ampiezza e le modalita' dell'intervento solidaristico - puo' condizionare l'attribuzione e l'ammontare della integrazione della pensione contributiva agli altri redditi del pensionato e della sua famiglia. Se, difatti, l'integrazione della pensione deve assicurare che la prestazione previdenziale consenta di far fronte alle esigenze di vita minime dell'assicurato e della sua famiglia, per converso non si puo' escludere che per valutare le necessita' della famiglia, cui si debba sovvenire con l'intervento solidaristico, si considerino i redditi percepiti da altri componenti della famiglia medesima. Il legislatore puo' dunque, senza che ne risultino violati gli artt. 36 e 38 della Costituzione, considerare anche i redditi del coniuge, per attribuire o meno al titolare della pensione la integrazione al minimo; sempre che, tuttavia, l'importo dei redditi, propri o cumulati con quelli del coniuge, ostativo alla attribuzione del beneficio, sia determinato ragionevolmente, per poter far fronte alle esigenze di vita minime della famiglia. Cio' implica che, in caso di cumulo con i redditi del coniuge, l'importo che esclude l'attribuzione della integrazione al minimo della pensione in godimento sia adeguatamente superiore all'importo dei redditi propri del titolare della pensione che determina la medesima esclusione. Le disposizioni denunciate, nel considerare anche i redditi del coniuge tra i requisiti di reddito per l'integrazione al trattamento minimo, rispondono al criterio di una differente determinazione del loro importo, che richiede un maggior ammontare, in caso di cumulo, rispetto a quello determinato per i redditi propri del pensionato. Cio' consente di escludere la fondatezza del vizio di legittimita' costituzionale, denunciato per la regola in se' del cumulo dei redditi, del titolare della pensione e del coniuge, senza che vengano posti in discussione i criteri per la determinazione dei relativi importi. 6. - Anche la denunciata irrazionalita' e disparita' di trattamento tra titolari di pensione diretta con identica situazione contributiva non e' fondata. L'integrazione al minimo costituisce, come si e' gia' precisato, prestazione aggiuntiva rispetto a quella che risulterebbe dal calcolo in base ai contributi accreditati, i quali danno diritto ad un trattamento pensionistico egualmente commisurato, per tutti i lavoratori, alla quantita' e qualita' di lavoro prestato. L'attribuzione della integrazione, diretta ad assicurare il minimo necessario al lavoratore pensionato e alla sua famiglia, richiede ulteriori requisiti di reddito, che, proprio in ragione delle esigenze familiari, possono legittimamente riferirsi, sia pure con diversita' di importi, oltre che ai redditi propri del titolare della pensione, anche ai redditi del coniuge, che pure concorrono a soddisfare i medesimi bisogni. Non vi e' dunque, sotto questo profilo, quella identita' di situazione che viene presupposta per dedurre una disparita' di trattamento. Le disposizioni denunciate non discriminano tra soggetti coniugati e non coniugati, ma stabiliscono un criterio, quello dell'ammontare del cumulo dei redditi dei coniugi, per escludere il bisogno che da' diritto all'intervento solidaristico di integrazione della pensione (v. sentenza n. 75 del 1991). La violazione del principio di eguaglianza e' prospettata anche considerando che i requisiti di reddito per l'integrazione al trattamento minimo si riferiscono ai redditi propri del pensionato cumulati con quelli del coniuge, ma non attribuiscono rilievo ai redditi dell'intero nucleo familiare in relazione al numero delle persone che lo compongono. Nel prevedere un intervento solidaristico, quale e' l'integrazione al minimo, il legislatore ha, non irragionevolmente, considerato, nell'ambito della sua discrezionalita', il reddito dei coniugi, sui quali solitamente gravano gli oneri relativi alle esigenze di vita della famiglia. Cio' non esclude che siano giustificati anche altri criteri, tra i quali potrebbe rientrare quello prefigurato dal giudice rimettente, per stabilire quando o come il reddito del nucleo familiare condizioni l'erogazione di prestazioni solidaristiche. 7. - La questione di legittimita' costituzionale non e' fondata neppure in riferimento all'art. 31, primo comma, della Costituzione, il quale, secondo l'ordinanza di rimessione, sarebbe violato dal cumulo dei redditi propri del titolare della pensione e del coniuge ai fini della integrazione al trattamento minimo, che non agevolerebbe la formazione della famiglia ma incoraggerebbe le famiglie di fatto e la separazione tra coniugi. Riconoscendo i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, la Costituzione impegna ad agevolarne la formazione e l'adempimento dei compiti (rispettivamente artt. 29, primo comma, e 31, primo comma, Cost.), con misure in ordine alle quali si dispiega la valutazione discrezionale del legislatore (v. sentenze n. 1067 del 1988 e n. 81 del 1966). Il principio di favore e di sostegno per la famiglia non e' contraddetto quando, nell'esercizio di tale discrezionalita', il legislatore condiziona l'attribuzione di una prestazione solidaristica, quale e' l'integrazione della pensione al trattamento minimo, ai redditi non solo del titolare della pensione ma anche del coniuge, purche' l'importo dei redditi cumulati che escludono l'integrazione sia ragionevolmente determinato in misura adeguatamente superiore a quello dei redditi propri del pensionato che determinano analoga esclusione. Non si puo', infine, ritenere di minore favore per la famiglia il cumulo dei redditi dei coniugi, non legalmente ed effettivamente separati, ai fini dell'integrazione al minimo, cumulo che non opera in caso di convivenza di fatto o di separazione coniugale. Difatti la mancanza o il diverso atteggiarsi dell'obbligo giuridico di assistenza diversifica le altre situazioni considerate dal giudice rimettente dalla condizione della famiglia legittima e non ne consente il raffronto (sentenze n. 75 del 1991 e n. 644 del 1988), giacche' solo il rapporto coniugale e' caratterizzato da stabilita' e certezza e dalla reciprocita' e corrispettivita' di diritti e doveri che nascono dal matrimonio (sentenza n. 8 del 1996).