IL PRETORE
   Letti gli atti del processo;
   Rilevato che il prevenuto, imputato dei reati  di  cui  agli  artt.
 81,   610,  594  c.p.,  esercita  la  professione  legale  in  questo
 circondario e distretto, quale avvocato iscritto all'albo dell'Ordine
 degli avvocati e dei procuratori di Padova;
   Ritenuto che, in relazione alla competenza territoriale  di  questo
 pretore,  appare  non manifestamente infondata e certamente rilevante
 nel presente giudizio la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 11 c.p.p. in relazione all'art. 3 Cost., nella parte in cui
 non prevede che la disciplina li' dettata per i magistrati sia estesa
 anche agli iscritti all'albo di uno degli Ordini degli avvocati e dei
 procuratori del distretto;
   Ritenuto  in  particolare,  quanto alla non manifesta infondatezza,
 che sembra potersi affermare che le ragioni che fondano la disciplina
 speciale per i magistrati, e che  paiono  riconducibili  all'esigenza
 innanzitutto   di  assicurare  oggettivamente  un  giudizio  il  piu'
 possibile scevro da inevitabili condizionamenti ambientali ed il  cui
 esito  comunque non pregiudichi il normale svolgimento dell'attivita'
 di ufficio e, in  secondo  luogo,  di  valorizzare  pubblicamente  il
 requisito  della  terzieta' del giudice rispetto ai soggetti comunque
 coinvolti nelle cause che deve decidere (la garanzia della  serenita'
 ed  obiettivita'  dei  giudizi,  la  imparzialita' e la terzieta' del
 giudice, la salvaguardia del diritto di difesa  e  del  principio  di
 uguaglianza  dei  cittadini  -  ex  sentenza  n.  390/1991 - siano le
 medesime che giustificherebbero, sul piano della razionale disciplina
 ispirata  alla  parita'  di  trattamento  di   situazioni   analoghe,
 l'estensione  della disciplina medesima agli esercenti la professione
 forense;
   Rilevato in proposito che la condanna a vivere insieme che accomuna
 magistrati e legali (come, con locuzione vivace ma certo  felicemente
 emblematica della peculiare natura dei rapporti di lavoro tra gli uni
 e  gli altri, e' stato detto) e' del tutto idonea a comportare quelle
 stesse conseguenze negative che  la  disciplina  ex  art.  11  c.p.p.
 vuole  evitare,  sia  sui  normali e necessari rapporti professionali
 interpersonali (e v. ord. n.  593/1989)  sia  nell'immagine  pubblica
 dell'amministrazione  della  giustizia, specialmente in un'epoca come
 l'attuale  nella  quale  per   la   crescente   conflittualita'   sia
 l'eventuale  doveroso  esercizio  dell'azione  penale che l'esito del
 giudizio  medesimo  possono  ulteriormente  prestarsi  a  valutazioni
 strumentali;
   Ritenuto  che  la  qualificazione della normativa ex art. 11 c.p.p.
 quale eccezionale non sembra ostare alla richiesta estensione, atteso
 che questa  riguarderebbe  situazione  che,  ove  si  condividano  le
 premesse  argomentazioni, presenta le medesime peculiarita' di quella
 oggetto della disciplina speciale;
   Ritenuto che, ovviamente, l'esistenza dell'obbligo di astensione  e
 della  facolta' di ricusazione sono irrilevanti, giacche' attengono a
 situazioni diverse che, e la considerazione e' assorbente,  non  sono
 mai   state   ritenute   sufficienti   a   superare  la  problematica
 espressamente disciplinata prima  dagli  artt.  60  e  quindi  41-bis
 c.p.p. 1930 ed ora dall'art. 11 c.p.p.;
   Ritenuto  che  la  norma  costituzionale  per  il  giudizio  di non
 manifesta infondatezza va individuata nell'art. 3;
   Ritenuto che  la  questione  e'  rilevante  nel  presente  giudizio
 perche'  ove  accolta  la  competenza  al  giudizio  dovrebbe  essere
 riconosciuta all'Autorita' giudiziaria di Trieste;
   Rilevato che debbono essere  adottati  i  provvedimenti  ordinatori
 conseguenziali.