IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza sulle cause riunite nn. 1103/96, 1289/96, 1309/96, 1317/96, 1320/96, 1345/96 r.g. promosse da: Franchi Claudia, con gli avv.ti Ghiretti e Prosperi e da Gabelli Marco, Federico Luigi, Gruzzi Lorena, Fusaro Nicola Angelo, Varsalona Roberto, con il dott. proc. Michele Dalla Valle, contro Ente Poste italiane, con gli avv.ti Ennio Baldi e Patrizia Bruno dell'avvocatura dell'Ente stesso, Bologna, a scioglimento della riserva di deliberare, ritiene quanto segue. Con ricorso depositato il 1 luglio 1996, Franchi Claudia, esponendo di avere lavorato con contratto di lavoro a tempo determinato dal 13 maggio 1995 al 26 giugno 1995, con successiva proroga al 10 agosto 1995, e poi ancora dal 2 novembre 1995 fino al 31 dicembre 1995, con proroga al 31 gennaio 1996, per svolgere mansioni dapprima di addetta allo sportello e poi di portalettere, chiedeva che venisse accertato che il rapporto era sorto sin dall'inizio come a tempo indeterminato, giacche' non ricorrevano i presupposti per la valida stipulazione di contratti a termine ai sensi della legge n. 230/1962 e quindi che l'Ente Poste venisse condannato a ripristinare il rapporto di lavoro ed a pagare le differenze retributive dovute. Con ricorso depositato il 27 agosto 1996, Gabelli Marco, assunto dall'Ente Poste italiane con contratto a tempo determinato dal 10 maggio 1995 al 23 giugno 1995, poi prorogato al 7 agosto 1995, per svolgere le mansioni di postino esterno; nuovamente assunto dal 23 novembre 1995 al 31 dicembre 1995, con proroga al 9 febbraio 1996, proponeva contro l'Ente Poste italiane analoghe domande. Altri ricorsi col medesimo contenuto presentavano il 29 agosto 1996, il 2 settembre 1996, il 3 settembre 1996 ed il 12 settembre 1996, rispettivamente Federico Luigi, assunto inizialmente per il periodo dall'11 settembre 1995 al 25 ottobre 1995, con proroga fino al 9 dicembre 1995 e poi di nuovo dal 26 gennaio 1996 al 13 marzo 1996, con proroga fino al 27 aprile 1996; Gruzzi Lorena, assunta dal 21 novembre 1995 al 31 dicembre 1995, con proroga all'11 febbraio 1996; Fusaro Nicola Angelo, assunto dal 15 luglio 1995 al 13 ottobre 1995; Varsalona Roberto, assunto dal 10 maggio 1995 al 23 giugno 1995, e con proroga al 7 agosto 1995 e poi successivamente dal 2 settembre 1995 al 18 dicembre 1995. Si costituiva in tutti i giudizi l'Ente Poste italiane chiedendo il rigetto delle domande; sosteneva di non aver violato le prescrizioni della legge n. 230/1962 in quanto il c.c.n.l., a norma dell'art. 23 della legge n. 56/87 aveva ampliato la possibilita' di assunzioni a tempo determinato. Faceva rilevare, comunque, che ai sensi dell'art. 9, comma 21, della legge 28 novembre 1996 n. 608, i contratti non potevano essere convertiti in contratti a tempo indeterminato. I giudizi venivano riuniti ed i procuratori dei ricorrenti eccepivano l'incostituzionalita' dell'art. 9, comma 21, della legge n. 608/96 per violazione agli artt. 70, 77, 101, 102, 104, 3, 24, 25, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41 della Costituzione. Il pretore riservava la decisione. All'evidente scopo di cercare di sanare eventuale situazioni di non corrispondere alle norme della legge n. 230/62 di assunzione fatte dall'Ente Poste italiane, fu voluto il d.-l. 2 agosto 1996, n. 404 che pero' non venne convertito nei termini prescritti. Venne quindi emanato il d.-l. 1 ottobre 1996 n. 608 convertito nella legge 28 novembre 1996 n. 608. Questa, al comma 21, dell'art. 9, cosi' dispone "...Le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'Ente Poste italiane a decorrere dalla data della sua costituzione, e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto". I ricorrenti tutti assumono che le loro assunzioni a tempo determinato, con le successive proroghe e riassunzioni, sono state fatte in assenza dei presupposti prescritti dalla legge n. 230/1962 e quindi chiedono che si accerti che i rapporti, sin dall'inizio, sono stati costituiti come a tempo indeterminato. E' evidente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della norma in base alla quale i contratti oggetto di causa, quali che siano state le particolari situazioni delle loro stipulazioni a tempo inderminato. I ricorrenti sostengono che sarebbe stato violato l'art. 77 della Costituzione perche' la norma, contenuta in un precedente decreto-legge non convertito, non poteva essere riprodotta in un successivo decreto-legge e cio' ai sensi della recente sentenza 17 ottobre 1996 n. 360 della Corte costituzionale. Ritiene il pretore che sotto questo profilo l'eccezione e' manifestamente infondata posto che la norma e' stata poi recepita in una legge, regolarmente approvata dal Parlamento; e' proprio la Corte costituzionale nella sentenza citata a dichiarare che "Restano, peraltro, salvi gli effetti dei decreti-legge iterati o reiterati gia' convertiti in legge o la cui conversione risulti attualmente in corso, ove la stessa intervenga nel termine fissato dalla Costituzione", il che nel caso di specie e' accaduto. La norma sarebbe contraria anche gli artt. 70, 101, 102 e 104 della Costituzione perche' sarebbe stata emanata al preciso scopo di incidere sui giudici in corso; si richiamano i ricorrenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 194/82 e 155/90 e sostengono che ci si troverebbe di fronte ad un caso di eccesso di potere legislativo, esercitato, cioe', per un fine diverso da quello previsto dalla Costituzione. Ritiene il pretore che le attribuzioni del potere giudiziario non sembrano in questo caso violate; nulla induce a ritenere che scopo della norma sia stato quello di limitare l'esercizio del potere giurisdizionale e non piuttosto quello di venire incontro alle pressanti esigenze dell'Ente Poste, passato da un regime di diritto pubblico ad un regime di diritto privato con carenze di strutture e incondizioni di non potere adempiere ai molteplici compiti suoi propri con i mezzi ordinari. Allo stesso modo non sembre violato l'art. 25 della Costituzione che non riguarda la retroattivita' di una norma civile, la cui legittimita' costituzionale e' sempre stata ammessa, salvo il rispetto delle altre garanzie costituzionali. Nemmeno sembra violato l'art. 39 della Costituzione: il fatto che il contratto collettivo avesse previsto solo alcune ipotesi di contratti a termine oltre quelle regolate dalla legge n. 230/62 non impedisce al parlamento di intervenire diversamente sulla materia. Appaiano invece non manifestamente infondati gli altri motivi di illegittimita' e quindi la questione deve essere rimessa all'esame della Corte costituzionale. La violazione dell'art. 3 della Costituzione sembra a questo pretore molto evidente. La norma in oggetto, lungi dall'essere generale ed astratta, e' invece particolare e concreta: essa riguarda un unico datore di lavoro: l'Ente Poste italiane ed un determinato periodo di tempo, in parte trascorso ed in parte ancora da trascorrere. L'Ente Poste viene a godere di una particolare posizione rispetto a tutti gli altri datori di lavoro privati, che non trova giustificazione neppure per le condizioni di particolare difficolta' in cui esso puo' essersi venuto a trovare, giacche' sono esclusi dall'ambito di operativita' della norma altri datori di lavoro che, eventualmente, potessero trovarsi nelle stesse condizioni. Come fa rilevare il procuratore della ricorrente Franchi, dagli atti parlamentari relativi alla seduta del 27 novembre 1996 della Camera dei deputati emerge che la norma fu emanata (ordine del giorno Boghetta, Strambi) proprio perche' l'Ente Poste faceva uso illegittimo dei contratti di lavoro a tempo determinato con la conseguenza che i lavoratori precari venivano a maturare il diritto all'assunzione a tempo indeterminato. Si tratta di una norma voluta al solo scopo di favorire un unico particolare Ente, discriminando rispetto a tutti gli altri datori di lavoro e discriminando i lavoratori che da questo Ente sono stati assunti rispetto a quelli assunti da altri datori di lavoro. La norma sembra constrastare anche con i principi costituzionali dettati in materia di lavoro, in particolare con l'art. 35. Non si puo' proprio dire che sia stato tutelato il lavoro con una norma che retroattivamente si propone di impedire ed impedisce che si riconosca come validamente instaurato un rapporto di lavoro a tempo inderminato, secondo le norme al momento vigenti. Oltre che per violazione del principio di non discriminazione, la norma e' incostituzionale anche per violazione del principio di ragionevolezza, giacche' va contro i fondamentali principi del nostro ordinamento giuridico per il quale la norma di legge non puo' essere che generale ed astratta. Sembra che la norma contrasti anche con l'art. 24 della Costituzione perche' con la sua efficacia retroattiva viene a limitare le possibilita' per i cittadini di agire in giudizio a tutela dei loro diritti; perche' viene a render inutile e vano un giudizio instaurato e senza alcuna disposizione transitoria per i giudizi in corso. I giudizi in corso devono quindi essere sospesi e gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale.