IL PRETORE
   Ha  pronunziato  e  pubblicato  mediante lettura del dispositivo la
 seguente ordinanza nei confronti di: Sances  Giovanni;  Sances  Aldo;
 Sunna  Carlo  Roberto;  Picciolo  Carla;  Gallinaccio  Maria; Sannino
 Vittorio; Pietrangeli  Elisabetta.
   Imputati tutti, in concorso tra loro, del reato p. e p. dagli artt.
 110 c.p. 81, c.p., 18, 19 e 20 lett. C) legge 47/85 per  aver,  nelle
 rispettive    qualita'    sopra    indicate,   concorso   all'abusiva
 lottizzazione dell'area sita in localita' Spiritosanto, posta per tre
 lati al confine del centro urbano, in zona qualificata  agricola  con
 vincolo  cimiteriale,  con  obbligo  di non alterazione e con divieto
 assoluto di edificazione; area tutta originariamente in proprieta' di
 altri coimputati mediante numerosi e ripetuti frazionamenti di  lotti
 di  superficie variabile tra i 600 ed i 2000 mq. predisposti, in modo
 tale da consentire la viabilita' interna  e  l'accesso  alle  singole
 particelle attraverso lotti riservati a tale scopo e collegati con la
 viabilita'   esterna;   lotti   che   oltre   che   per  la  predetta
 predisposizione di opere di urbanizzazione, mostravano,  per  numero,
 dimensioni  e  posizionamenti,  la univoca destinazione edificatoria,
 peraltro  evidenziata  anche  dal  prezzo  di   vendita   (pressapoco
 corrispondente   a   quello   delle   aree   edificabili  e  comunque
 sproporzionato per  la  dichiarata  destinazione  agricola)  e  dalla
 qualita'  degli acquirenti, con l'effettiva realizzazione delle opere
 edili a ciascuno  specificatamente  contestate  che  comportavano  la
 progressiva illecita trasformazione urbanistico-edilizia, dell'intera
 area.
   Il tutto con l'illecito e decisivo concorso di Ancora Francesco che
 disponeva,   quale   geometra   interessato,  i  frazionamenti  e  li
 depositava presso il comune di Gallipoli  (condizione  indispensabile
 per  l'approvazione  del  frazionamento  da  parte dell'UTE) dove, in
 particolare, per i frazionamenti depositati in data 28 novembre 1987,
 10 luglio 1989 e  9  febbraio  1990  contestualmente  egli  ricopriva
 incarichi di assessore e consigliere delegato all'urbanistica.
   In Gallipoli a tutto il 13 ottobre 1993.
   Gli  stessi imputati: del reato p. e p. dall'art. 20 lett. C) legge
 47/85 per aver eseguito, nell'ambito della lottizzazione  abusiva  di
 cui al capo A di imputazione di cui sopra, le opere edili indicate di
 seguito  alle  generalita'  di  ciascuno, sprovviste della necessaria
 concessione edilizia; il tutto accertato in Gallipoli,  l'11  gennaio
 1992 in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
                               F a t t o
   Con  decreto  in  data  29  dicembre  1993, il S. Procuratore della
 Repubblica presso la Pretura  Circondariale  di  Lecce  disponeva  la
 citazione a giudizio, davanti a questa Sezione Distaccata di Pretura,
 degli  imputati  indicati in epigrafe per rispondere dei reati di cui
 in rubrica.
   Dopo alcune udienze, in quella del 7 novembre  1995,  gli  imputati
 Sances  Giovanni;  Sances  Aldo; Summa Carlo Roberto; Picciolo Carla;
 Gallinaccio Maria; Sannino Vittorio; Pietrangeli Elisabetta,  tramite
 i  propri  difensori,  chiedevano  di patteggiare la pena per i reati
 loro ascritti nella misura indicata in verbale ed il  p.m.  d'udienza
 prestava  il proprio consenso, anche in ordine alla sospensione della
 pena; ma, contestualmente,  chiedeva  che  il  pretore  ordinasse  la
 confisca dei lotti con le relative costruzioni abusive realizzate, ex
 art.  19 della legge n. 47/85.
   In  seguito all'opposizione dei difensori a quest'ultima richiesta,
 gli stessi ed il p.m. argomentavano diffusamente in merito  con  ampi
 richiami  dottrinari  e  giurisprudenziali  di  cui  in  atti  e  con
 specifico riferimento al richiamato art. 19 della legge n.  47/85  ed
 agli  artt.   18 della stessa legge 240 c.p. e 445 c.p.p. All'udienza
 del  7  novembre  1995  questo  pretore,  ritiratosi  in  Camera   di
 Consiglio, emetteva l'ordinanza con il dispositivo letto in udienza.
                           Per questi motivi
   Il  p.m.,  nel  prestare  il  suo consenso alla pena proposta degli
 imputati  per  i  reati  loro  ascritti,   -   compreso   quello   di
 lottizzazione  abusiva  ex art. 18, legge 47/85 - ha chiesto, come si
 e' gia' detto nella  narrativa,  che  questo  pretore  disponesse  la
 confisca ex art.  19 della stessa legge, richiamando l'attenzione del
 giudicante  sul  alcune sentenze della Corte di cassazione sul punto,
 che,  per  compiutezza  d'indagine  -  stante   la   loro   possibile
 pertinenza,  -  si  riportano  testualmente:  Cass.  n.  15478 del 21
 novembre 1990; "Dall'insieme dei poteri conferiti al  giudice  penale
 dalla  legge 28 febbraio 1985, n. 47 - nell'ambito dei quali assumono
 un  significato  emblematico  il  potere  di  confisca  dei   terreni
 lottizzati  abusivamente  e delle opere edilizie su di essi costruite
 nonche' l'ordine  di  demolizione  delle  opere  abusive  -,  risulta
 confermata  la  legittimita'  della  subordinazione della sospensione
 della pena  alla  condizione  della  demolizione  dell'opera  abusiva
 ordinata  dal giudice penale. Tale ordine emesso ex art. 7 u.c. legge
 cit.,  si  configura  come   sanzione   di   natura   sostanzialmente
 amministrativa,  di  tipo ablatorio, funzionalmente assimilabile alla
 confisca e si  riconnette,  non  ad  una  pretesa  "supplenza"  della
 autorita'   amministrativa,   ma   all'interesse   statuale   sotteso
 all'esercizio della potesta' penale; mentre la  ratio  dell'art.  165
 c.p.  attiene  all'acclaramento  di quel provvedimento del condannato
 utile ai fini della concessione  della  sospensione  della  pena,  da
 comprovarsi  con  l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato,
 salvo  che  la  legge  abbia  optato  riguardo  ad  esse  per  misure
 alternative";  Cass.  n.  06578  del  13  giugno 1991; n. 6380 del 10
 giugno 1991; n. 10272 dell'11 ottobre 1991.
   L'ordine di demolizione delle opere  abusive  previsto  dall'ultimo
 comma  dell'art.  7, legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell'ultimo comma
 dell'art. 23, legge 2 febbraio 1974  n.  64  ha  natura  di  sanzione
 amministrativa  di  tipo  ablatorio, funzionalmente assimilabile alla
 confisca, e non di pena accessoria.
   Esso, quindi, deve essere pronunciato anche  con  la  sentenza  che
 applica  la  pena su richiesta"; Cass. n. 16483 del 18 dicembre 1990:
 "La confisca  dei  terreni  abusivamente  lottizzati  e  delle  opere
 abusivamente  costruite  deve  esser  obbligatoriamente disposta ogni
 qual volta il Giudice penale accerti che vi  e'  stata  lottizzazione
 abusiva  e  quindi  anche  quando  non  venga pronunciata sentenza di
 condanna,  ma  sentenza  di   proscioglimento   per   causa   diversa
 dall'insussistenza  del  fatto-reo  (nel  caso  di  specie  era stata
 pronunciata sentenza di proscioglimento per prescrizione";  Cass.  n.
 05777  del  15  maggio  1992:  "L'ordine  di  demolizione delle opere
 edilizie abusive previsto dall'art. 7, comma nono, legge 28  febbraio
 1985 n. 47 puo' essere impartito anche con la sentenza che applica la
 pena  su  richiesta  delle  parti,  atteso  che  detto  provvedimento
 giurisdizionale e' equiparato ad una sentenza di condanna a tutti gli
 effetti diversi da quelli espressamente previsti dall'art. 445, comma
 primo, c.p.p. (Conf. sez. un. n. 10, 27 marzo 1992"; Cass.  n.  00876
 del  21  maggio  1993:  "La lottizzazione abusiva si configura, ad un
 tempo, come illecito amministrativo e come reato ed, in ordine a tale
 ultima qualificazione, e' prevista  l'applicazione,  non  solo  delle
 pene  di  cui  all'art.  20, lett. c), ma della confisca obbligatoria
 come lascia intendere l'art. 19 di tale legge; una  confisca  che  ha
 per  oggetto  tanto  i  terreni  lottizzati tanto le opere su di essi
 costruite";  Cass.  n.  04954  del  30  aprile  1994:  "In  tema   di
 lottizzazione abusiva, la formulazione legislativa dell'art. 19 della
 legge  28  febbraio  1985  n.  47  e la differente terminologia usata
 rispetto all'ipotesi di cui all'art.  7,  ult.  comma  stessa  legge,
 lasciano intendere che, mentre la demolizione presuppone la condanna,
 la  confisca di cui al detto art. 19 prevede solo, quale presupposto,
 la esistenza effettiva  della  lottizzazione,  prescindendo  da  ogni
 altra  considerazione e rilievo, con esclusione solo della ipotesi di
 insussistenza del fatto"; Cass. 3 marzo 24 aprile 1995 n.  4362:  "La
 sentenza  che  dispone  l'applicazione  della pena su richiesta delle
 parti e' equiparata a una sentenza di condanna a tutti  gli  effetti,
 tranne  quelli  espressamente  previsti  dall'art.  445, comma 1, del
 cpp..
   In  conseguenza,  se  a  detto  provvedimento  giurisdizionale sono
 ricollegabili gli effetti della sentenza di condanna, e' evidente che
 l'ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate - che  ha
 natura  di  sanzione amministrativa e non di pena accessoria -, debba
 essere impartito dal giudice anche con la sentenza  di  cui  all'art.
 444 del Cpp, pur nell'ipotesi che non sia stato compreso nell'accordo
 tra  le  parti,  stante  la  natura  obbligatoria  di  esso,  sancita
 dall'art.  7, ultimo comma, della legge n. 47/1985.  Da  cio'  deriva
 che  la  impugnata  decisione  deve essere annullata senza rinvio nel
 punto  relativo  all'omesso  ordine  di   demolizione   delle   opere
 abusivamente eseguite; ordine che - essendo esterno all'accordo delle
 parti  ed  obbligatoriamente  previsto  dalla legge come corollario a
 sentenza di condanna - puo' essere impartito in questa sede".
   A loro volta, i difensori degli imputati, osservavano quanto segue:
 "circa la confisca, sollecitata dal  p.m., siamo dell'avviso  che  il
 problema  non  esiste,  atteso  che l'art. 445 c.p.p. dispone che "la
 sentenza prevista dall'art. 444, comma 2 non comporta la condanna  al
 pagamento  delle  spese  del  procedimento ne' l'applicazione di pene
 accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione  della  confisca
 nei casi previsti dall'art. 240, comma 2 c.p.
   Nel caso di specie, la confisca per il reato di lottizzazione (art.
 19, legge n. 47/85) trovasi in una legge speciale, che, in quanto non
 richiamata  dal  suddetto  art.  445  c.p.p.,  non  e' applicabile in
 definizione del giudizio penale per patteggiamento.
   E  quanto  e'  dato  apprendere  dall'orientamento  costante  della
 giurisprudenza  di legittimita'". Nella ipotesi di applicazione della
 pena su richiesta delle parti, e'  esclusa,  a  norma  dell'art.  445
 c.p.p., la possibilita' di disporre la confisca ad eccezione dei casi
 previsti  dall'art.  240, 2 comma c.p. e tale eccezione non si presta
 ad essere interpretata come rinvio a tutte  le  ipotesi  di  confisca
 obbligatoria  prevista nelle leggi speciali" (cosi' Cass. 10 febbraio
 1994; Cass. 19 novembre 1993; Cass. 18 marzo  1993;  Cass.  17  marzo
 1993). Il tutto trova giustificazione in una valutazione prevista del
 legislatore,  desumibile  dal  regime  di  largo  favore che il nuovo
 codice di procedura penale attribuisce ai riti alternativi;  fino  ad
 escludere  l'applicabilita'  delle  misure  di  sicurezza personali e
 delle pene accessorie, il cui contenuto afflittivo  e'  indubbiamente
 maggiore    rispetto    alla    sanzione    patrimoniale,    verrebbe
 illegittimamente vulnerato e ristretto se si consentisse di  disporre
 la confisca anche di cose esulanti dalla specifica ed unica eccezione
 imposta dalla legge.
   Ed in tal senso si sono espresse anche le sezioni unite della Corte
 di  cassazione (15 dicembre 1992 n. 807), le quali hanno sottolineato
 che  l'art.  455  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  fissa   la   regola
 dell'inapplicabilita'  delle  misure di sicurezza nel patteggiamento,
 si inserisce in una serie di disposizioni  con  carattere  "premiale"
 (intese a favorire la diffusione del rito alternativo ed a bilanciare
 la  rinuncia  dell'imputato  al  dibattimento  ed  alla  facolta'  di
 contestare l'accusa)  e  la  previsione  della  applicabilita'  della
 confisca  nei  casi dell'art. 240 cpv c.p.  e' qualificabile come una
 eccezione alla regola suddetta,  eccezione  che,  proprio  in  quanto
 tale,  deve  essere  mantenuta  nei  limiti espressamente fissati dal
 legislatore e non puo' essere estesa ad ipotesi disciplinate da norme
 speciali". Le citate sezioni  unite  hanno  trovato  un  conforto  di
 siffatte  conclusioni  nella  seguente  circostanza: "Il fatto che il
 legislatore,  a  breve  distanza  di tempo dall'entrata in vigore del
 nuovo c.p.p. - e percio' della  innovatrice  norma  dell'art.  445  -
 abbia  ritenuto  necessario  disporre  che  la  confisca delle cose -
 prevista, obbligatoriamente, dall'art. 301 d.P.R. n. 43 del 1973  sui
 reati  di  contrabbando  - va ordinata anche con la sentenza emessa a
 norma dell'art. 444, implica  inequivocabilmente  che  la  previsione
 normativa,   ed   eccezionale,   dell'art.  445  si  riferisce  solo,
 testualmente, alle ipotesi dell'art. 240 cpv, e non a tutti i casi di
 confisca  obbligatoria;  e  con  una,  sostanziale,   interpretazione
 autentica, il legislatore ha cosi' ritenuto che senza la specifica, e
 speciale,  norma  della  legge  citata  del  1991,  non sarebbe stato
 possibile, con la sentenza di "patteggiamento", disporre la confisca,
 pur prevista come obbligatoria,  dal  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica del 1973 sui reati di contrabbando".
   Il  tutto  a  conferma  dell'antico brocardo che il legislatore ubi
 voluit dixit  ubi  noluit  tacuit:  non  e'  del  resto  il  caso  di
 sottolineare che di occasioni per apportare modifiche in tal senso il
 legislatore  ne  ha  avute non poche (la legge n. 47/85 e' modificata
 quasi mensilmente).   Occorre, a questo punto,  evidenziare  come  la
 fattispecie  in  questione non sia assolutamente riconducibile quanto
 previsto dal capoverso dell'art. 240 c.p. in  merito  ad  ipotesi  di
 confisca obbligatoria:
     a)  Non  rientra nel n. 1) che prevede la confisca delle cose che
 costituiscono il prezzo del reato, atteso che per prezzo del reato si
 intende  il  compenso  dato  o  promesso  per  indurre,  istigare   o
 determinare un altro soggetto e commettere il reato (cosi' Cass. sez.
 un. cit.);
     b) Non rientra neppure nel n. 2), atteso che, secondo la dottrina
 dominante  (cosi',  per  tutti,  Manzini,  trattato di diritto penale
 italiano, Massa; Confisca, in Enc. dir.).
   L'obbligatorieta' della confisca di cui al n. 2 dell'art. 240  cpv,
 deriverebbe  dalla  pericolosita'  intrinseca  delle  cose,  la quale
 renderebbe superfluo qualsiasi accertamento  concreto  da  parte  del
 Giudice.  La  unanime  giurisprudenza  ha  inteso meglio precisare il
 concetto  della  confisca  obbligatoria  delle  sole  intrinsecamente
 criminose  in  quelle  che  non  possono  essere  destinate ad un uso
 consentito dalla legge (ad es. droga, apparecchi automatici da gioco,
 documenti falsi) (in tal senso Cass. 16 dicembre 1963, Cass. 8 giugno
 1961, Cass. 4 dicembre 1968, cass. 11 ottobre 1971, Cass. sez. un. 22
 gennaio 1983; Cass.  15 aprile 1993): e' inutile sottolineare che  un
 immobile non e' bene intrinsecamente criminoso".
   I  difensori aggiungevano che: "in numerose decisioni della Suprema
 Corte  regolatrice  del  diritto  si  trova,  infatti,  affermato  il
 principio secondo cui in tema di applicazione della pena su richiesta
 delle  parti ex art. 444 c.p.p. il Giudice non e' tenuto ad accertare
 in modo approfondito la concreta sussistenza dei reati contestati sia
 sotto il profilo materiale sia psicologico, essendo  sufficiente  che
 sulla  base  degli atti appaia in modo evidente che non ricorrano gli
 estremi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai  sensi
 dell'art. 129 c.p.p. (Cass. 7 luglio 1994 n. 2228).
   Ma vi e' di piu'| In altra decisione (Cass. 23 agosto 1994 n. 2717)
 la   Cassazione   ha   dichiarato  in  maniera  esplicita  l'assoluta
 estraneita' al contenuto della sentenza  applicativa  della  pena  su
 richiesta delle parti del concreto accertamento della responsabilita'
 e della sua declaratoria.
   Infatti, allorche' l'imputato abbia fatto richiesta di applicazione
 della  pena, con cio' rinunziando a far valere le proprie eccezioni e
 difese sia in  ordine  alle  accuse  che  in  ordine  alle  questioni
 processuali   ed  il  p.m.  abbia  riconosciuto  il  contributo  alla
 sollecitata  definizione  del  caso  e  cosi'  vi  sia  stata  quella
 convergenza  di  volonta'  costituente  il  presupposto del contenuto
 della sentenza applicativa della pena, il patto e' l'oggetto primario
 dell'esame del Giudice,  diretto  in  senso  positivo  alla  verifica
 dell'esistenza  dell'accordo,  della correttezza della qualificazione
 giuridica  del  fatto,  dell'applicazione  e  delle  comparizioni  di
 eventuali  circostanze,  della  congruita'  della  pena ai fini e nei
 limiti dell'art. 27  della  Costituzione,  della  concedibilita'  del
 richiesto  beneficio  della sospensione condizionale della pena ed in
 senso negativo, all'accertamento dell'inesistenza  di  cause  di  non
 punibilita', di improcedibilita' o di estinzione del reato:
   Cio'  e'  sufficiente  ad escludere che la sentenza con la quale si
 applica la pena su richiesta delle parti possa essere  equiparata  ad
 una  sentenza  di  accertamento  di  responsabilita'.    Orbene, sono
 proprie le argomentazioni  fin  qui  svolte  circa  la  natura  della
 sentenza  ex  art. 444 c.p.p. che inducono necessariamente a ritenere
 che con il  suddetto  provvedimento  l'organo  giudicante  non  possa
 disporre  la  confisca  dei  terreni  abusivamente lottizzati e delle
 opere abusivamente costruite, per l'ovvia  ragione  che,  non  avendo
 esso il carattere di sentenza di accertamento di responsabilita', non
 possono applicarsi ne' le pene accessorie ne' si noti bene, le misure
 di  sicurezza. Ora, per costante orientamento giurisprudenziale (vedi
 Cass. 24 febbraio 1994 n. 2330; Cass. 12 aprile 1994 n. 1166; Cass. 6
 giugno 1994 n. 6624; Cass. 12 maggio 1993 n.  705)  la  confisca  dei
 beni   rientra   proprio   nell'ambito   delle  misure  di  sicurezza
 patrimoniali, sia pure atipiche, e non gia' in quello delle  sanzioni
 amministrative.     Tra  l'altro  e'  d'uopo  notare  la  sottile  ma
 essenziale differenza che intercorre tra il  citato  art.  19,  legge
 47/85  e  l'ultimo  comma  dell'art. 7 della medesima legge, il quale
 prevede che il Giudice, con la sentenza di condanna per il  reato  di
 cui  all'art.  17, lett.  b) legge 10/77, ordina la demolizione delle
 opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita; Orbene,  e'
 persino   superfluo   sottolineare   che   proprio  perche'  in  tale
 disposizione si parla di sentenza di condanna (e non  gia',  si  noti
 bene,  di  sentenza  di accertamento come fa l'art. 19) alla quale la
 sentenza che dispone l'applicazione della  pena  su  richiesta  delle
 parti  e'  equiparata  per  tutti  gli  effetti  che non siano quelli
 espressamente previsti dall'art.  445,  comma  1  c.p.p.,  spiega  il
 perche'  l'ordine  di demolizione delle opere edilizie abusive che, a
 differenza della confisca, ha natura di sanzione amministrativa  puo'
 essere impartito anche con la sentenza ex art. 444 c.p.p., secondo un
 ormai  consolidato orientamento giurisprudenziale (da ultimo Cass.  9
 marzo-24 aprile 1995 n. 4362).
   Per quanto esposto e nella convinzione  che  la  legge  n.  47/1985
 abbia   creato  una  commissione  di  ruoli  e  funzioni  tra  potere
 amministrativo e penale che non si attaglia al  rito  speciale  della
 pena  su  richiesta  delle parti, si insiste nel sostenere l'assoluta
 incompatibilita' ed estraneita' della confisca alla sentenza ex  art.
 444  c.p.p.  e  della  richiesta  di  applicazione  della  pena  come
 richiesta dalle parti.
   Ritiene il giudicante, pure meritevoli di  considerazione  -  quali
 premesse  e presupposti delle questioni di costituzionalita' indicate
 nell'ordinanza di rimessione di cui si e' detto nella narrativa -  le
 seguenti  decisioni:  Cass. 26 marzo 1993, n. 2996: "In tema di reati
 edilizi, l'art. 7 ultimo comma, legge 28 febbraio 1985 n. 47  prevede
 che  il  giudice  con  la  sentenza  di  condanna per il reato di cui
 all'art. 17 lett.  B)  della  legge  28  gennaio  1977  n.  10,  come
 modificato  dall'art.  20  della  detta  legge 47 del 1985, ordini la
 demolizione delle opere stesse se non sia stata altrimenti  eseguita.
 Pertanto,  il  giudice  penale,  al quale la legge attribuisce in via
 eccezionale un potere di natura amministrativa, deve  limitarsi,  una
 volta  acertata  la  violazione  del  citato  art. 20, ad ordinare la
 demolizione dell'edificio abusivo, secondo  una  interpretazione  non
 estensiva della norma, trattandosi di un potere normalmente riservato
 all'autorita' amministrativa.
   Ne  consegue che deve ritenersi quale provvedimento abnorme, e come
 tale sottratto al potere del giudice penale l'ordine impartito da  un
 pretore,  con  la  sentenza  di  applicazione della pena su richiesta
 delle parti per il reato di cui al succitato art. 20 di rimettere gli
 atti al sindaco  per  l'abbattimento  o  la  confisca  dell'edificio.
 (Nella  specie  la confisca era stata dal pretore sottoposta altresi'
 alla  condizione  che  la  stessa  fosse   confermata   dal   giudice
 amministrativo  innanzi  al  quale pendeva il giudizio sulla adozione
 delle sanzioni amministrative); Cass. 13 gennaio  1994  n.  190:  "ai
 fini   della  ipotizzabilita'  della  confisca  obbligatoria  di  cui
 all'art. 240, secondo comma, n.  2 c.p., il carattere intrinsecamente
 criminoso della cosa da sottoporre a confisca non  puo'  rilevare  ex
 se',  occorrendo,  invece,  verificare  se, in relazione al titolo di
 reato contestato, la confisca risulti  in  grado  di  prevenire  ogni
 ulteriore,  specifico  comportamento  penalmente  rilevante, cosi' da
 corrispondere alla funzione assegnatagli dalla legge.  Ne'  il  fatto
 che  il legislatore abbia disposto che e' sempre ordinata la confisca
 confermerebbe la soluzione che l'intrinseca  criminosita'  della  res
 assume  una  tale valenza da prescindere dalla tipologia di pronuncia
 adottata.   L'espressione "sempre", infatti va  modulata  proprio  in
 relazione al provvedimento decisorio della res iudicanda, perche', in
 caso  di  proscioglimento,  i  criteri  di verifica della sussistenza
 delle condizioni per la  confisca  obbligatoria  restano  di  stretta
 interpretazione,     corrispondentemente    all'esigenza    che    al
 proscioglimento in merito non conseguano effetti di  ordine  negativo
 nella  sfera  giuridica dell'interessato.  Non cosi' pare debba dirsi
 in caso di condanna o di decisione "equiparata" ad  una  sentenza  di
 condanna  in quanto fondata sul riconoscimento dell'addebito da parte
 dell'imputato.  In tal caso, la funzione della confisca  finisce  per
 interagire  con  il  comportamento  criminoso che giustifica, insieme
 alla qualita' della res, l'effetto ablatorio  previsto  dalla  legge.
 (Fattispecie  in  cui  la  Corte  ha  affermato la legittimita' della
 decisione del giudice di merito  che,  nell'applicare  all'esito  del
 dibattimento  la  pena richiesta dall'imputato relativamente al reato
 di abusivo esercizio della  professione  di  medico  dentista,  aveva
 disposto  la  confisca  dell'attrezzatura  sanitaria  utilizzata  per
 l'esercizio dell'attivita' abusiva)"; Cass. Sez. un. 20  aprile  1995
 n. 2: "Piu' in generale si e' ritenuto che ai fini della disposizione
 in  questione  il  carattere intrinsecamente criminoso della cosa non
 puo' rilevare ex se', occorrendo invece verificare se,  in  relazione
 al  titolo  di  reato  contestato,  la  confisca  risulti in grado di
 prevenire  ogni   ulteriore,   specifico   comportamento   penalmente
 rilevante  cosi' da corrispondere alle funzioni assegnate dalla legge
 (sez. VI, ud. 11 ottobre 1993: Lattisi).  E questo l'orientamento che
 le  Sezioni  unite  ritengono  di  dover  condividere.  Infatti,   il
 carattere  criminoso  della  cosa non puo' essere rilevato ex se', in
 quanto  non  e'   concepibile   una   situazione   di   pericolosita'
 indipendentemente da una azione e da un soggetto.  Non puo', infatti,
 concepirsi  una  "criminosita'"  della  cosa  staccata dalla condotta
 umana,  perche'  altrimenti  essa  non  potrebbe  mai  costituire  il
 substrato della misura di sicurezza, che per sua natura e' diretta ad
 incidere su cose considerate pericolose perche' si riconnettono ad un
 fatto concreto preveduto dalla legge come reato.
   Che  la  qualita'  della  cosa  che  ne  comporta  la  confisca sia
 collegata al reato e al suo autore e'  confermato  dall'ultimo  comma
 dell'art.    240 c.p., che rende inoperante la disposizione del comma
 2, n. 2 dello  stesso  articolo  se  la  cosa  appartiene  a  persona
 estranea  al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione
 o l'alienazione possono  essere  consentiti  mediante  autorizzazione
 amministrativa.    La  disposizione rende chiaro che la confisca puo'
 essere evitata se la cosa puo' uscire dalla situazione di  illiceita'
 in cui per il rapporto con l'agente e' venuta a trovarsi.
   E  cio'  significa  che la criminosita', o meglio la pericolosita',
 non costituisce un carattere  della  cosa  in  se'  ma  deriva  dalla
 relazione  tra questa e l'agente"; Corte cost. 22 luglio 1994 n. 334:
 "E'   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 445, comma 2 c.p.p., e dell'art. 240, comma
 2, c.p., sollevata, in riferimento all'art. 76 Cost., nella parte  in
 cui  l'art.  445,  comma 1 c.p.p., consente la confisca nei soli casi
 previsti dall'art. 240, comma 2 c.p. e di  quest'ultima  disposizione
 nella  parte  in  cui  non  prevede  l'obbligatorieta' delle cose che
 costituiscono il profilo del reato (la  Corte  ha  osservato  che  la
 direttiva  n.  45  della  legge-delega per il nuovo codice di rito ha
 lasciato al legislatore delegato ampio margine di discrezionalita' al
 fine  di  incentivare  il   ricorso   al   "patteggiamento").      E'
 manifestamente   inammissibile   l'identica  questione  sollevata  in
 riferimento agli art. 41, comma 2, 27,  commi  2  e  3  Cost.  (nella
 motivazione,  la Corte ha osservato che il giudice a quo sollecita un
 intervento  additivo  che  rientra  nella   esclusiva   sfera   della
 discrezionalita'   legislativa)".    Non  a  caso  il  giudicante  ha
 riportato diffusamente quanto evidenziato, sia dalle parti, sia dalla
 giurisprudenza (di legittimita' e di merito e  costituzionale)  sulle
 complesse  tematiche  e  problematiche sviluppatesi in relazione agli
 artt. 18 settimo, ottavo e nono comma e 19 della  legge  28  febbraio
 1985,  n.  47  e  suc. modif., 240, secondo comma del codice penale e
 444,  445  del  codice   procedura   penale   novellato.      Invero,
 dall'accurato  esame  di cio' che e' stato esposto, non emergono  , a
 parere dello stesso giudicante problemi esclusivamente interpretativi
 di ciascuna norma sopra indicata da affrontarsi e risolversi ex art.
  12  e  14  delle  Disposizione della legge in generale; e, comunque,
 sulla base dei consueti metodi di ermeneutica,  tenendo  conto  anche
 del  principi  generali dell'Ordinamento.   Trattasi, invece, come si
 esplicitera', di possibili discrasie insite nelle suddette norme  con
 conseguente      non   manifesta   infondatezza   di   questioni   di
 costituzionalita' da sottoporre doverosamente all'esame  del  giudice
 delle  leggi  con riferimento alle norme costituzionali che gia' sono
 state indicate nel dispositivo dell'ordinanza di  rimessione.    Cio'
 puo'  dirsi,  anzitutto,  con  riferimento ai rapporti tra i provvedi
 menti amministrativi adottati dal sindaco ex art. 18 della  legge  n.
 47/1985  ("Nel  caso  in  cui  il  sindaco accerti l'effettuazione di
 lottizzazione di terreni a scopo  edificatorio  senza  la  prescritta
 autorizzazione
  ... ne dispone la sospensione.
   Il  provvedimento  comporta l'immediata interruzione delle opere in
 corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle  opere  stesse  con
 atto  tra  vivi  e  deve  essere  trascritto  a tal fine nei registri
 immobiliari.  Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la  revoca
 del  provvedimen    to  previsto  di  cui al comma precedente le aree
 lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio del comune il  cui
 sindaco  deve  provvedere  alla  demolizione  delle opere. In caso di
 inerzia del sindaco si applicano le disposizioni concernenti  ipotesi
 sostitutivi  di cui all'art. 7.  Gli atti aventi per aggetto lotti di
 terreno, per i quali sia stato emesso il provvedimento  previsto  dal
 settimo comma sono nulli e non possono essere stipulati, ne' in forma
 pubblica ne' in forma privata dopo la trascrizione di cui allo stesso
 comma  e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta
 inefficacia del provvedimento del sindaco"); e quello che e' previsto
 dall'art. 19 della stessa legge, secondo cui: "La sentenza definitiva
 del giudice penale che accerta che vi e' stata lottizzazione  abusiva
 dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere
 abusivamente  costruite.    Per effetto della confisca i terreni sono
 acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui
 territorio  e'  avvenuta  la  lottizzazione  abusiva.   La   sentenza
 definitiva  e'  titolo  per  la  immediata  trascrizione nei registri
 immobiliari".
   Sul punto, e sulla precisa natura dei due provvedimenti (quello del
 sindaco e quello del giudice penale, di  cui  si  e'  detto)  non  si
 rinvengono  precedenti  giurisprudenziali.    Ma si e' pronunciata la
 dottrina (sia pure in epoca anteriore all'entr   ata  in  vigore  del
 novellato codice di procedura penale; e cio' e' importante per quanto
 si dira') con argomentazioni che, per compiutezza di indagine, qui si
 riportano.  Secondo alcuni autori l'art. 19, teste' richiamato, nella
 parte   in   questione,   tende   ad    omogeneizzare    le    figure
 dell'acquisizione  e della confisca e mira ad escludere la successiva
 acquisizione del bene abusivo. Esso ha  una  giustificazione  pratica
 solo  quando  il  sindaco  o altra autorita', nell'esercizio dei suoi
 poteri esecutivi di cui all'art. 4 della stessa legge,  non  provveda
 ad  emettere  il provvedimento di sospensione di cui all'ottavo comma
 dell'art. 18, cui consegue l'effetto acquisitivo.  E' chiaro  infatti
 che non puo' ritenersi operante nella fattispecie il criterio c.d. di
 prevenzione  poiche'  il carattere obbligatorio della confisca penale
 non esime il giudice dall'adottare il provvedimento indipendentemente
 dal  comportamento  attivo  od  inerte,  del  sindaco;  anche  se  la
 preventiva acquisizione del terreno lottizzato abusivamente a seguito
 di  provvedimento amministrativo rende inoperante di fatto l'atto del
 giudice, essendo ovvio che quest'ultimo non puo' conseguire l'effetto
 dell'acquisto da parte del comune, gia'  realizzatosi  in  precedenza
 per titolo diverso.
   Secondo  altri  autori, di non facile soluzione, si e' detto, e' il
 problema  della   natura   del   provvedimento   ablatorio   previsto
 dall'articolo   in   commento.   Per  certi  aspetti  esso  protrebbe
 inquadrare nella confisca penale prevista dall'art. 240 c.p.,  mentre
 per  altri  aspetti se ne differenzia ed e' maggiormente assimilabile
 ad una sanzione amministrativa.  Il dilemma ha una  certa  rilevanza,
 poiche', in ordine alla apprensione del bene lottizzato abusivamente,
 concorrono  (necessariamente  interferendo  tra  loro)  sia  i poteri
 dell'amministrazione comunale (in forza dell'art.  18) sia quelli del
 giudice penale (ai sensi del presente art. 19 legge n.  47/1985).  E'
 infatti  ovvio  che,  costituendo  la  lottizzazione abusiva un reato
 penalmente perseguibile ai sensi dell'art. 20, lett.  c), della legge
 in  esame,  il  sindaco,  il   quale   accerti   l'effettuazione   di
 lottizzazione  di  terreni  a  scopo edificatorio senza la prescritta
 autorizzazione non potra' limitarsi a dar corso agli  adempimenti  di
 sua  stretta  competenza,  ma,  in  forza dell'art. 2, secondo comma,
 c.p.p., dovra' obbligatoriamente trasmettere la notizia di  reato  al
 giudice  penale  competente, il quale iniziera' (qualora gia' non sia
 stato iniziato) il relativo procedimento.  La  concomitanza  dei  due
 procedimenti,   penale   ed   amministrativo,  e'  quindi  pressoche'
 inevitabile.
   L'esplicita  previsione  di  legge  e  la  destinazione  del   bene
 confiscato  per decisione del giudice penale al patrimonio del comune
 territorialmente interessato, (pur facendo cadere  le  argomentazioni
 in  forza  delle  quali la giurisprudenza della Corte di cassazione e
 gran parte della dottrina  negavano  in  precedenza  tale  potere  al
 giudice  ordinario)  non comportano necessariamente l'inquadrabilita'
 di tale confisca tra le misure  di  sicurezza.  La  confisca  penale,
 infatti,  tende  a  colpire  cose  che,  provenendo da fatti illeciti
 penali  o  in  alcuna  guisa  collegandosi  alla   loro   esecuzione,
 mantengono  viva  l'idea  e  l'attrattiva  del reato; naturalmente il
 riferimento e' all'ipotesi del comma 1 dell'art. 240 c.p.,  dato  che
 il  terreno su cui viene operata la lottizzazione abusiva palesemente
 non rientra nelle due ipotesi del capoverso  del  predetto  articolo.
 Se  quindi  la  confisca  di cui ci occupiamo, per la natura del bene
 colpito, potrebbe, in ipotesi, rientrare nella fattispecie di cui  al
 comma  1  dell'art.  240  c.p.  (e  solo  in esso), vediamo che altri
 ostacoli vi si oppongono.
   Alludiamo non tanto al fatto che l'art. 19 qualifichi  la  sanzione
 come  obbligatoria  (cio'  infatti,  non ne cambia la natura), quanto
 alla sostanziale osservazione  che  la  confisca  penale  delle  cose
 attinenti  al reato (e non intrinsicamente pericolose art. 240, cpv.,
 c.p.)  puo' conseguire solo ad una sentenza di condanna mentre  anche
 una  decisione  di  proscioglimento,  purche'  accerti  (sebbene  non
 includendo l'accertamento nel dispositivo, costituendo esso solo  uno
 dei  presupposti della decisione) la sussistenza di una lottizzazione
 abusiva, puo'  -  anzi,  deve  -  comportare  la  confisca  dell'area
 lottizzata,   ai  sensi  dell'articolo  in  commento.  Cio'  si  puo'
 agevolmente spiegare, alla luce dei principi generali, se si  ammette
 la  natura  amministrativa  e non penale di questa sorta di confisca.
 Infatti  la  ratio  della  confisca  disposta ai sensi dell'art. 240,
 comma 1, c.p., e' proprio quella della  misura  di  sicurezza,  cioe'
 quella  di  evitare  che  la cosa, in se' non pericolosa, qualora sia
 lasciata nella disponibilita' del reo, venga a costituire per lui  un
 incentivo  per  commettere  ulteriori  illeciti;  il che comporta che
 debba essere individuato un  reo  (cioe'  comporta  una  sentenza  di
 condanna)  oltre  al fatto che il bene debba essere di proprieta' del
 condnnato.   Tutta  la  normativa  sanzionatoria  amministrativa  e',
 invece,  intesa  a  perseguire,  come  fine primario, quello del buon
 governo del  territorio  e  della  tutela  dell'ambiente;  quindi  la
 confisca,  anche in ipotesi di sentenza di proscioglimento, che pero'
 accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, segue la  logica
 di  soddisfare  l'interesse  prioritario  alla tutela dell' ambiente.
 Questo  intento  del   legislatore   risulta   palese   anche   dalla
 sovrapposizi  one tra i provvedimenti sindacali previsti dall'art. 18
 e  l'obbligo  di  provvedere  sulla  confisca  di  cui  all'art.  19.
 Ulteriore elemento a favore della tesi sulla  natura  sostanzialmente
 amministrativa   del   provvedimento   ablatorio   in   esame  e'  la
 destinazione del bene oggetto della confisca al patrimonio del comune
 e non, come per la confisca penale, al  patrimonio  dello  Stato,  ai
 sensi dell'art. 622 c.p.p., per seguire la destinazione ivi prevista.
 Secondo la stessa dottrina rimangono da esaminare le interferenze tra
 procedimento   ablatorio   amministrativo   (ivi  compresi  i  rimedi
 giurisdizionali) e confisca in esito al procedimento penale.  Poiche'
 la sentenza penale  diviene  definitiva  -  e  quindi  utile  per  la
 trascrizione  nei  registri immobiliari - solamente quando sono stati
 esperiti tutti i gradi di giudizio (o quando sono inutilmente decorsi
 i termini di impugnazione di sentenze non definitive; ma l'ipotesi ha
 minor  rilievo,  in  concreto,  in  quanto  difficilmente  l'imputato
 rinuncia alla possibilita' di gravame soprattutto se tra i capi della
 decisione  vi  e'  una  senzione  patrimoniale di notevole gravita');
 mentre gli automatismi fissati dall'art. 18 sembrano  introdurre  una
 procedura  di  rara  efficacia  e  rapidita', in via normale dovrebbe
 giungere a compimento prima l'"espropriazione" in via  amministrativa
 di quella penale.
   In tal caso non vi sarebbe luogo a decidere in ordine alla confisca
 da parte del giudice penale, sia che la si consideri un provvedimento
 "amministrativo" - in quanto si e' gia' provveduto nel sede propria -
 sia  che  la si consideri una misura di sicurezza - in quanto ne sono
 venuti meno i presupposti - vero e' che  l'acquisizione  gratuita  al
 patrimonio del comune del terreno abusivamente lottizzato puo' essere
 procrastinata    dalla    sospensione,    in   sede   giurisdizionale
 amministrativa,  della  ordinanza  adottata  dal  sindaco  ai   sensi
 dell'art.  18,  comma  7.   Ma poiche' a tale provvedimento cautelare
 dovra' seguire una sentenza, il problema si sposta  sul  piano  della
 interazione tra giudicati.
   Non pare che dalla normativa vigente si possa trarre la conclusione
 che,  in  ipotesi  di abusi edilizi, il giudizio amministrativo debba
 necessariamente essere sospeso in attesa della definizione di  quello
 penale; in realta' la sussistenza di un responsabile sul piano penale
 e'  del  tutto  ininfluente  in  relazione alla decisione del giudice
 amministrativo circa la legittimita' o meno  della  lottizzazione;  o
 meglio, circa la legittimita' dell'ordinanza sindacale impugnata.
   Tanto meno e' ipotizzabile una sospensione del procedimento penale,
 dato   che   la   competenza   per   decidere  sull'abusivita'  della
 lottizzazione e' attribuita al giudice penale  proprio  dall'articolo
 in  commento e quindi siamo fuori dalle ipotesi previste dall'art. 20
 c.p.   Il problema  va,  conseguentemente,  visto  in  concreto,  dal
 momento   che   i   due   procedimenti,   quello   penale   e  quello
 giurisdizionale  amministrativo,   si   sviluppano   su   due   piani
 assolutamente  diversi,  non  intercomunicanti,  e che non e' nemmeno
 configurabile un contrasto di giudicati anche se, in ultima  analisi,
 entrambi  sono  destinati  ad incidere sullo stesso bene (mutando una
 celebre espressione, si puo' parlare di  una  sorta  di  "convergenze
 parallele").  La sentenza penale costituisce giudicato solo in ordine
 alla  responsab    ilita' dell'imputato (e, in forza dell'articolo in
 commento, sulla confisca  del  bene),  mentre  quella  amministrativa
 statuisce  solo in ordine alla legittimita' degli atti impugnati, tra
 i quali non  vi  e'  un  vero  e  prorio  procedimento  di  confisca,
 conseguendo  questa  di  diritto  dal decorso di novanta giorni dalla
 ordinanza sindacale di sospensione dei lavori. Si  tratta  quindi  di
 una questione di prevenienza; se diventa definitiva prima la sentenza
 del  giudice amministrativo che rigetta l'impugnazione dell'ordinanza
 del sindaco prevista dall'art.   18, comma 7,  e  si  perfezionano  i
 presupposti  per l'acquisizione gratuita al patrimonio del comune del
 fondo lottizzato, la successiva sentenza che  statuisca  la  confisca
 diverra',  per  tale  scopo,  ineseguibile  di  fatto. Se invece e la
 sentenza penale che  precede  quella  amministrativa,  sara'  essa  a
 costituire   titilo  per  la  trascrizione,  ai  sensi  del  comma  3
 dell'articolo in commento. Conseguentemente, riteniamo,  il  giudizio
 amministrativo  in  corso  dovra'  estinguersi  per  cessazione della
 materia del contendere".  Orbene, ritiene il  giudicante  che  quanto
 evidenziato  dalla dottrina teste' riportata, affronti ma non risolve
 coerentemente ed adeguatamente la problematica di  cui  si  e'  fatto
 cenno.
   Cio'  sia  per  quanto  riguarda i rapporti tra i provvedimenti del
 sindaco di cui all'art.  18  della  legge  n.  47/1985  e  quello  di
 confisca  del  giudice penale e l'art. 19 della stessa legge, sia per
 cio' che concerne  le  caratteristiche  dei  suddetti  provvedimenti.
 Invero,  anzitutto, sulla base della formulazione letterale delle due
 norme (artt. 18 e 19 della legge n. 47/1985) e senza  una  previsione
 analoga  a  quella  dell'art.  7  della legge medesima ("per le opere
 abusive di cui al presente articolo, al giudice, con la  sentenza  di
 condanna  per il reato di cui all'art. 17, lett. b) della legge n. 10
 del 1977, e succ. mod., ordina la demolizione delle opere  stesse  se
 ancora  non  sia  stata  altrimenti  eseguita) non puo' escludersi la
 possibilita'  di  un  dualismo   suscettibile   di   sovrapposizioni,
 commistioni  interferenza  o  addirittura  contrasti  tra l'autorita'
 amministrativa e giurisdizionale e  quella  giudiziaria  penale.  Non
 potendosi  peraltro,  stabilire preventivamente l'iter cronologico (e
 conclusivo) dell'autorita' del sindaco,  quella  della  giurisdizione
 amministrativa  -  nell'ipotesi  di  ricorso  al  t.a.r.,  avverso  i
 provvedimenti del sindaco ex art.  18, come e' avvenuto nel  caso  di
 specie - e quella del provvedimento che disponga la confisca da parte
 del  giudice penale, nel caso in cui con sentenza definitiva, accerti
 che vi e' stata lottizzazione abusiva.  Detti  inconvenienti  possono
 quindi, a parere del giudicante, incidere sulla funzionalita' dei due
 procedimenti,  quello  amministrativo e quello penale, non escluso un
 contrasto  di  giudicati che puo' riflettersi negativamente sia sulla
 finalita' della  norma  fondamentalmente  diretta  alla  tutela  piu'
 efficace dell'assetto urbanistico ed ambientale (artt. 18 e 19, legge
 n.  47/1985),  sia  sulla  attivita'  difensiva  per l'evidente grave
 incertezza in cui puo' trovarsi l'imputato del reato di lottizzazione
 abusiva (ed anche  il  giudice  penale)  al  cospetto  di  una  prima
 acquisizione  (ed  altri  effetti)  operata  dal  sindaco del terreno
 lottizzato e delle opere sullo stesso eseguite con eventuale  gravame
 dinanzi  al  giudice  amministrativo; e di una successiva confisca ed
 altri analoghi effetti sullo stesso bene da parte del giudice penale,
 anche  nella  pendenza  del  giudizio  amministrativo;   peraltro   a
 prescindere da una sentenza di condanna da parte dello stesso giudice
 penale.
   A  tutto voler concedere, comunque, sembra palese la mancanza di un
 adeguato coordinamento tra le due norme  onde  evitare  la  possibile
 conseguente   violazione  degli  artt.  9  e  24  della  Costituzione
 italiana.  Cio', a parere del giudicante, influisce  anche  sul  gia'
 evidenziato  problema della precisa natura della confisca da disporsi
 obbligatoriamente dal giudice penale, problema che, nella fattispecie
 in esame, assume notevole importanza ai fini  della  rilevanza  della
 questione che si sottopone al giudice delle leggi.
   All'uopo,  devesi  richiamare quanto e' emerso dalla giurisprudenza
 sopra indicata e, sopratutto, dalla dottrina.   Orbene,  come  si  e'
 visto,  mentre  la  giurisprudenza,  con  riferimento  all'ordine  di
 demolizione di cui all'art. 7 della legge n. 47/1985,  si  limita  ad
 affermare che lo stesso "ha natura sostanzialmente amministrativa, di
 tipo  ablatorio,  funzionalmente assimilabile alla confisca (Corte di
 cass. cit.), parte  della  dottrina,  con  correlate  argomentazioni,
 ritiene, tra l'altro, che l'esplicita previsione di legge (art. 19) e
 la  destinazione del bene confiscato per decisione del giudice penale
 al   patrimonio   del   comune   territorialmente   interessato   non
 comporterebbe  necessariamente l'inquadrabilita' di tale confisca tra
 le misure di sicurezza;  e  cio'  in  considerazione  della  precipua
 finalita'  della  confisca penale ex art. 240 cod. pen., a differenza
 di  tutta  la  normativa  sanzionatoria  amministrativa,   intesa   a
 perseguire,  come  fine  primario quello del governo del territorio e
 della tutela dell'ambiente.  Pertanto, secondo la stessa dottrina, la
 confisca penale ex  art.    19,  anche  in  ipotesi  di  sentenza  di
 proscioglimento,  che accerti la lottizzazione abusiva, seguirebbe la
 logica  della  sanzione  amministrativa;   e   questo   intento   del
 legislatore  risulterebbe  palese  anche  dalla sovrapposizione tra i
 provvedimenti  sindacali  previsti  dall'art.    18  e  l'obbligo  di
 provvedere  sulla  confisca  di cui all'art. 19. Ulteriore elemento a
 favore della tesi sulla  natura  sostanzialmente  amministrativa  del
 provvedimento  ablatorio  ex art. 19 sarebbe la destinazione del bene
 oggetto della confisca al patrimonio del comune e non,  come  per  la
 confisca penale, per seguire la destinazione ivi prevista.
   Nonostante le notevoli perplessita' da parte della dottrina e della
 giurisprudenza,  cosi' come teste' esposte, - meritevoli senza dubbio
 di adeguata valutazione,  specie  per  la  loro  incidenza  in  campo
 penale,  come nel caso di specie - rileva il giudicante che la letter
 legis si esprime testualmente  nel  senso,  gia'  precisato,  di  una
 "confisca   dei   terreni   abusivamente  lottizzati  e  delle  opere
 abusivamente costruite"; (art. 19 legge n.  47/1985)  e  di  confisca
 parlano  anche l'art. 240 del c.p. ed altre leggi speciali.  Inoltre,
 la  stessa  norma  stabilisce,  col  primo  comma,   che,   ai   fini
 dell'applicazione  di  detta  confisca  da  parte  del giudice penale
 occorre  una  sentenza  definitiva  che  accerta  che  vi  e'   stata
 lottizzazione  abusiva  e,  aggiunge, al terzo comma, che la sentenza
 definitiva e' titolo  per  la  immediata  trascrizione  nei  registri
 immobiliari  ai  fini  della  acquisizione  di  diritto  dei terreni,
 gratuitamente, al patrimonio del comune competente per territorio.
   Orbene, non puo' sottacersi, anzitutto, che  notevole  perplessita'
 puo'  destare  il  preciso  significato  di  "sentenza definitiva del
 giudice penale", di condanna o di  proscioglimento;  se  cioe'  debba
 farsi  riferimento  alla  sentenza  irrevocabile  di cui all'art. 648
 c.p.p. correlato all'art.  676 dello stesso codice oppure anche, alla
 sentenza di primo grado -  come  nel  caso  di  specie  -  una  volta
 accertata  la  lottizzazione abusiva.   Problema, anche questo che, a
 parere del giudicante, non puo' agevolme   nte  superarsi  ricorrendo
 alle  normali  regole  ermeneutiche, specie in sede penale in quanto,
 stante la lettera legis, cosi' esplicita testualmente sia  nel  primo
 che  nel  terzo  comma  dell'art.  19  legge n. 47/1985, e' oltremodo
 opinabile la possibilita' di rapportarla  esaustivamente  alla  ratio
 (art. 12 aiust. della legge gen.).  Trattasi, piuttosto, di una fonte
 di  notevole  incertezza  che  non  puo' (pur essa) non ripercuotersi
 negativamente, sul punto, sull'intera funzionalita' del  procedimento
 penale  sia  per  quanto  concerne  i diritti delle parti sia, anche,
 sulla corretta operativita' del giudice; il  quale  non  puo'  certo,
 specie  in  questa  sede,  interpretare  ed  applicare  le  norme con
 possibilita' alternativa delle soluzioni desumibili dalla fattispecie
 astratta  (come  sembrea  orientata,   invece   la   dottrina   sopra
 riportata), in assenza di specifici precedenti giurisprudenziali).
   Ne  puo'  conseguire,  a  parere di questo pretore la non manifesta
 infondatezza della questione  di  costituzionalita'  della  norma  in
 esame anche sotto questo aspetto (l'art. 19 legge n. 47/1985, primo e
 terzo  comma)  con  riferimento  agli  artt.  24,  101  e  102  della
 Costituzione.  E' necessario, poi, tener presente che gli artt. 18  e
 19 della legge n. 47/1985 - di cui si e' gia' ampiamente detto - sono
 stati  emanati  in  epoca anteriore alla riforma del c.p.p. del 1989.
 Orbene, com'e' noto, con tale riforma, e' stato introdotto nel codice
 di rito l'istituto "dell'applicazione della pena su  richiesta  delle
 parti",  ex  art.  44 e seg. del c.p.p.  Secondo quanto espressamente
 previsto, tra l'altro, da dette norme "... se vi  e'  consenso  anche
 della  parte  che  non  ha  formulato  la richiesta e non deve essere
 pronunciata sentenza di proscioglimento a  norma  dell'art.  129,  il
 giudice,  sulla  base  degli  atti,  se ritiene che la qualificazione
 giuridica  del  fatto  e  l'applicazione  e  la  comparazione   delle
 circostanze  prospettate  dalle  parti  sono  corrette,  dispone  con
 sentenza  l'applicazione  della   pena   indicata,   enunciando   nel
 dispositivo  che  vi  e' stata la richiesta delle parti... (art. 444,
 comma secondo)"; "...  la  sentenza  prevista  dall'art.  444,  comma
 secondo,  non  comporta  la condanna delle spese del procedimento ne'
 l'applicazione delle pene accessorie e di misure di sicurezza,  fatta
 eccezione  della  confisca  nei  casi  previsti  dall'art. 240, comma
 secondo del c.p.".
   Sulla  base  di tale normativa, per l'applicazione degli artt. 18 e
 19 della legge n. 47/1985, i difensori degli imputati,  soffermandosi
 ampiamente  sul punto, hanno evidenziato, come si e' gia' detto, che,
 una volta prestato il consenso da parte del p.m. alla  pena  proposta
 dagli  imputati,  non  puo' il giudice penale, con la sentenza di cui
 all'art. 444 disporre la confisca ex art. 19 della legge n. 47/1985.
   Cio', per un duplice ordine di motivi. Anzitutto,  la  confisca  di
 cui  all'art.  19 della legge n. 47/1985 deve considerarsi "misura di
 sicurezza", non applicabile ex art. 445 c.p.p. perche' non rientrante
 nei casi previsti dall'art. 240, comma secondo del c.p.
   Inoltre, la confisca di cui all'art. 19 legge n. 47/1985  non  puo'
 applicarsi,  secondo  gli  stessi  difensori,  poiche'  questa  norma
 stabilisce  testualmente  che   detto   provvedimento   e'   disposto
 obbligatoriamente  dalla  sentenza  definitiva del giudice penale che
 accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva; mentre, nel  caso  del
 c.d.  patteggiamento  in generale - e, con particolare riferimento al
 procedimento  esame,  -  non  vi  sarebbe   alcun   accertamento   di
 responsabilita'    degli    imputati   e,   comunque,   dell'avvenuta
 lottizzazione abusiva contestata.
   Il p.m. ha sostenuto, invece, che la confisca di  cui  all'art.  19
 legge   n.   47/1985  non  puo'  considerarsi  misura  di  sicurezza,
 configurandosi "come provvedimento ablatorio di natura amministrativa
 che deve essere adottato obbligatoriamente  dal  giudice  penale  nel
 caso  in cui accerti la lottizzazione abusiva, anche quando non venga
 pronunciata sentenza di condanna, ma sentenza di proscioglimento  per
 causa diversa dalla insussistenza del fatto reato (tra le altre Cass.
 30 aprile 1994, n. 4954 e 18 dicembre 1990, n. 16483).
   Orbene,  ritiene  il giudicante, che anche questo problema non puo'
 risolversi   esclusivamente   alla   stregua   di   normali   criteri
 interpretativi  delle norme teste' indicate, in quanto, a suo parere,
 tenuto conto di quanto evidenziato  sul  punto  da  giurisprudenza  e
 dottrina  -  non  a  caso  riportate  integralmente - le stesse norme
 appaiono foriere di gravi  incertezze  con  possibile  non  manifesta
 infondatezza  di  questioni  di  costituzionalita'  di  cui  si dira'
 appresso.
   Invero, anzitutto, considerando cio'  che  e'  stato  adeguatamente
 affermato   dalla   dottrina   e   della  giurisprudenza  in  merito,
 l'espressione "confisca" usata dal legislatore  del  1985,  non  puo'
 inquadrarsi  con  precisione,  a  livello  interpretativo giudiziale,
 tenuto conto, in particolare, di  quanto  emerge  dalla  complessa  e
 persistente  elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria (ampiamente
 riportata) in tema di applicazione dell'art. 240 del  c.p.,  sia  per
 cio' che concerne il primo che il secondo comma dello stesso articolo
 ("prodotto o profitto del reato"; carattere intrinsecamente criminoso
 della  cosa;  In particolare si richiamano, su quest'ultimo punto, la
 sentenza della Cassazione 13 gennaio  1994  n.  190  e  quella  delle
 sezioni  unite  della  stessa  Corte  del  20  aprile  1995  n. 2 con
 riferimento a quelle della sez.  VI dell'11 ottobre 1993).
   Inoltre, come si e' detto, la medesima norma  (art.  19,  legge  n.
 47/1985)  si  riferisce  sicuramente  a  qualsiasi  tipo  di sentenza
 "definitiva" sia di condanna o  di  proscioglimento,  che,  comunque,
 accerti  la  lottizzazione abusiva, per disporsi obbligatoriamente la
 confisca dei terreni e delle opere abusivamente realizzate; cio'  per
 le finalita' del legislatore del 1985, gia' evidenziate.
   Questa  formulazione,  pero',  a parere del giudicante, e' fonte di
 notevoli dubbi ed incertezze - non soltanto interpretativi -, per  il
 problema  in  esame,  in  quanto,  rapportandola  a  quanto  previsto
 espressamente dall'art. 240 del  c.p.,  potrebbe  integrare,  non  la
 ipotesi  del  primo  comma  di  quest'ultimo articolo, che presuppone
 univocamente una sentenza di condanna; ma, sia pure nella  ricorrenza
 delle  caratteristiche  ivi  precisate,  quella del secondo comma del
 medesimo articolo, che non richiede certamente una  sentenza  di  tal
 genere:  "e'  sempre  ordinata  la confisca...". (Vedasi, riproposto,
 quanto gia' precisato dalla giurisprudenza della Corte di  Cassazione
 anche a sezioni unite, retro).
   Pertanto,  la  formulazione  dell'art.  19, della legge n. 47/1985,
 stante le peculiari  caratteristiche  ora  evidenziate  relativamente
 alla  "natura della confisca" ivi prevista, non poteva esser priva di
 alcun riferimento specifico alla norma generale in tema di  confisca,
 contenuta,  con  particolari  dettagli,  dall'art. 240 del c.p.; onde
 evitare le notevoli incertezze interpretative ed applicative  di  cui
 si  e'  detto  ampiamente  e  la  evidente  probabilita'  di incidere
 negativamente su diritti costituzionalmente protetti  di  cui  si  e'
 gia' fatto cenno e si precisera' ulteriormente.
   Ma,  a  parere  del  giudicante,  la situazione si e' ulteriormente
 aggravata ai fini di questa indagine - con l'entrata  in  vigore  del
 nuovo  codice  di procedura penale, tenendo presente, in particolare,
 l'istituto della "pena a richiesta delle parti" e dei suoi effetti di
 cui si e' gia' detto.
   All'uopo, si puo' constatare la persistenza della  mancanza,  nella
 norma  in esame, di alcun ulteriore riferimento all'art. 240 del c.p.
 con le  pur  necessarie  precisazioni  legislative,  determinando,  a
 parere del giudicante, le seguenti conseguenze.
   In considerazione di quanto stabilito dagli artt. 444 e 445 c.p.p.,
 di   cui   si   e'   gia'  detto  non  puo'  respingersi,  anzitutto,
 apoditticamente la tesi secondo cui "la pena a richiesta delle parti"
 non implica l'accertamento  della  responsabilita'  dell'imputato  in
 ordine al reato ascrittogli, in quanto, come si e' gia' detto, l'art.
 444  dispone  che  se  vi  e'  consenso  delle parti e non deve esser
 pronunciata sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p. il  giudice,
 sulla base degli atti, dispone l'applicazione della pena indicata.
   Pertanto,  si  e'  affermato,  tenendo  presente il disposto di cui
 all'art. 445 c.p.p., che  la  sentenza  ex  art.  444  c.p.p.,  salve
 diverse  disposizioni  di  legge  e'  equiparata  a  una pronuncia di
 condanna.   Da cio' potrebbe conseguire  che,  nell'ipotesi  prevista
 dall'art.    19  della  legge  n.  47/1985,  cosi' come sostenuto dai
 difensori degli imputati, all'orquando la pena  viene  "patteggiata",
 non  significa  che  e'  stata  accertata la "lottizzazione abusiva",
 cosi'  come  prescritto   dalla   stessa   norma,   ai   fini   della
 "obbligatoria"   confisca  ivi  prevista;  e  gia'  per  questo  tale
 "confisca" non dovrebbe applicarsi.
   Il che potrebbe anche  far  ritenere  che  il  c.d.  patteggiamento
 avrebbe gia' apportato una deroga al disposto dell'art. 19, nel senso
 che   l'imputato   di   lottizzazione   abusiva   che   raggiunga  il
 "patteggiamento" sarebbe esonerato dalla "confisca"; mentre  dovrebbe
 subirla,  non  solo  in  caso di vera e propria condanna, ma anche in
 caso  di  proscioglimento:    ad  es.  per  prescrizione  del   reato
 (all'uopo,  si  richiamano  sul  punto  le sentenze della s.c. del 18
 dicembre 1990 n. 16483 e 30 aprile 1994 n. 4954,  sopra  non  a  caso
 riportate).
   Deve,  pero',  aggiungersi  l'altro aspetto della tesi difensiva di
 cui si e' fatto cenno, sul presupposto che la  confisca  ex  art.  19
 debba   considerarsi  "misura  di  sicurezza"  e  non  "provvedimento
 ablatorio di natura amministrativa o sanzione  amministrativa",  come
 sostenuto  dal  p.m. e da parte della dottrina richiamata; sulla base
 anche di varie pronuncie della Corte di cassazione, anche  a  sezioni
 unite, sopra riportate. Cioe' che nella ipotesi di applicazione della
 pena  su  richiesta  delle  parti  e'  esclusa, a norma dell'art. 445
 c.p.p.  la possibilita' di disporre la confisca ad eccezione dei casi
 previsti dall'art. 240 secondo comma del c.p. e tale eccezione non si
 presta ad essere interpretata come  rinvio  a  tutte  le  ipotesi  di
 confisca obbligatoria prevista dalle leggi speciali.
   Il  tutto  trova  giustificazione  in  una  valutazione precisa del
 legislatore desumibile dal regime di largo favore e premiale  che  il
 nuovo codice di procedura penale attribuisce ai riti alternativi (che
 bilanciano la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed alla facolta'
 di  contestare  l'accusa)  fino  ad  escludere l'applicabilita' delle
 misure di  sicurezza  personali  e  delle  pene  accessorie,  il  cui
 contenuto afflittivo e' indubbiamente maggiore rispetto alla sanzione
 patrimoniale.
   Il  giudicante  non  pone  in  discussione, in linea generale, tale
 aspetto della tesi difensiva ora illustrato.
   Ritiene,  pero',  importante  evidenziare  alcune  osservazioni  in
 merito,  ricollegandosi  a  quanto  gia'  esposto e sviluppando altre
 considerazioni per gli effetti che possono conseguire.
   Invero, l'omesso richiamo, dell'art. 240 del c.p. sia nell'art.  19
 della legge, n. 47 del 1985, sia nell'art. 445 del c.p.p.  stante  la
 "particolare"  confisca  di  cui  allo  stesso  art.  19, - di cui e'
 ampimente detto - puo' determinare incertezze, anche gravi  -  e  non
 solo  a  livello  interpretativo  -  con possibile lesione di diritti
 costituzionalmente protetti.  Vi  e',  in  sostanza,  il  persistente
 dubbio   sulle   tesi   difensive   gia'  esposte  con  le  correlate
 argomentazioni,    senza,     peraltro,     poterle     disattenderle
 apoditticamente.
   Infatti,   per   quanto   concerne   il   primo   aspetto  relativo
 all'accertamento o meno della lottizzazione abusiva  ex art. 19 legge
 47/1985 e 445 del c.p.p. - di cui si e' detto - l'eventuale  "deroga"
 da  parte  di  quest'ultima norma nei confronti della prima in ordine
 alla obbligatorieta' della confisca, stante il  mancato  accertamento
 della  lottizzazione  in  caso  di  "patteggiamento" puo' comportare,
 anzitutto, una lesione  del  diritto  di  difesa  ex  art.  24  della
 Costituzione  per  l'imputato  che  puo'  usufruire  ab initio di una
 sentenza di proscioglimento - esclusa  quella  di  insussistenza  del
 reato  -,  ma cio' non faccia e chieda il patteggiamento con sentenza
 comunque equiparabile ad  una  pronuncia  di  condanna  ex  art.  445
 c.p.p.,  onde  evitare  (e  non  sembri  un  paradosso)  la  confisca
 obbligatoria, conseguente anche ad una sentenza di proscioglimento ex
 art. 19 legge n. 47/1985.
   Inoltre, a parere di questo pretore, puo' derivare  una  disparita'
 di  trattamento  tra  chi abbia una pronuncia ex art. 129 del c.p. di
 una  causa  di  estinzione  del  reato   con   conseguente   confisca
 obbligatoria ex art. 19 della legge n. 47/1985, pur avendo chiesto il
 patteggiamento  col consenso del p.m. - che gli avrebbe consentito di
 non subire la confisca obbligatoria - e chi, comunque, usufruisca del
 patteggiamento con eslcusione della stessa confisca.
   Ancora,  il  carattere liberatorio della sentenza di patteggiamento
 ex art. 445 c.p.p. in relazione alla confisca  obbligatoria  ex  art.
 19,  legge  n.  47/1985,  a  parere  del giudicante, potrebbe violare
 l'art.   9 della Costituzione  italiana,  essendo  ben  noto  che  il
 provvedimento  ablatorio  di  cui  si  e'  detto  -  comunque  voglia
 qualificarsi - evidenzia il precipuo intento del legislatore del 1985
 di supportare il reato (anche in caso di proscioglimento) e  la  pena
 prevista  dall'art.  20  lett.  C) con detto provvedimento al fine di
 un'adeguata remora, al grave fenomeno della lottizzazione  abusiva  -
 ben  diversa dalle singole opere abusive - che tanto ha compromesso e
 compromette l'assetto ordinato del territorio e la tutela ambientale.
   Qualora, poi, dovesse ritenersi esatta l'impostazione difensiva  in
 ordine  alla  tassativita'  di  quanto  disposto dall'art. 445 c.p.p.
 relativamente  alla  esclusione,  in  caso  di  patteggiamento  della
 confisca  con  l'unica eccezione dell'ipotesi di cui al secondo comma
 dell'art.   240 del c.p., anzitutto non  verrebbero  meno,  solo  per
 questo,  tutte  le  considerazioni  gia'  svolte  e, comunque, la non
 manifesta infondatezza delle questioni gia' prospettate.
   Inoltre, per quanto concerne le norme in esame, l'esclusione  della
 confisca  obbligatoria  prevista  dall'art.  19  legge n. 47/1985 non
 sarebbe giustificata dall'intento premiale del rito  alternativo  del
 patteggiamento;  poiche',  a  parere  del  giudicante,  il favore del
 legislatore  per  tale  rito  dovrebbe  ritenersi   riferibile   alla
 esclusione  della  confisca,  anche  se obbligatoriamente prevista da
 leggi speciali, connessa, comunque, ad una sentenza di condanna;  con
 possibilita'  per  l'imputato  di  evitare il provvedimento ablatorio
 ricorrendo  al  patteggiamento.  Non  invece,  nell'ipotesi  di   una
 "confisca"  conseguente,  comunque,  a  qualsiasi  sentenza, anche di
 proscioglimento, ad eccezione dell'assoluzione perche' il  fatto  non
 sussiste.
   Non  evitandosi  altrimenti  la  non  manifesta  infondatezza delle
 questioni  di  costituzionalita'  gia'  prospettate  con  particolare
 riferimento  alla  disparita'  ex art. 3 della Costituzione e tra chi
 viene assolto con conseguente confisca abbligatoria e chi ottenga una
 pronuncia, - sia  pure  soltanto  equiparabile  ad  una  sentenza  di
 condanna  - con esclusione della confisca e dei suoi efficaci intenti
 legislativi di cui si e' fatto cenno con riferimento  agli  artt.  19
 della legge n. 47/1985 e 9 della Costituzione italiana.
   Deve   aggiungersi,   infine,  che:  -  come  puo'  emergere  dalla
 giurisprudenza e dalla dottrina all'uopo riportata anche sul punto  -
 l'ordine  di  demolizione  del  giudice  per quanto riguarda le opere
 abusive nel caso di sentenza di condanna per il reato di cui all'art.
 20 della stessa  legge,  anzitutto,  viene  considerato  sanzione  di
 natura    sostanzialmente    amministrativa,    di   tipo   ablatorio
 funzionalmente assimilabile alla confisca, con  l'obbligo,  comunque,
 del  giudice  stesso  di  adottarlo  anche  nel  caso  di  sentenza a
 richiesta  delle  parti  -  c.d.  patteggiamento  -,  salvo  che   la
 demolizione  non  sia stata altrimenti eseguita, trattandosi, secondo
 alcune sentenze, di un potere attribuito eccezionalmente dalla  legge
 al giudice, pur avendo natura amministrativa.
   Orbene,  a  parere  del  giudicante,  anche  tale  impostazione per
 l'ipotesi teste' illustrata, accentua, le gravi incertezze  su  tutte
 le  questioni  ampiamente  prospettate che non puo' non ripercuotersi
 sulla non manifesta infondatezza delle stesse.
   Comunque, questo pretore, nell'evidenziare  tanto  diffusamente  le
 medesime  questioni,  le  sottopone al giudice delle leggi al fine di
 una verifica dei gravi contrasti interpretativi, giurisprudenziali  e
 dottrinali  e  sulla  loro  incidenza  negativa  sulla indispensabile
 certezza della normativa specifica richiamata piu'  volte  oltre  che
 sulla  ragionevolezza  della  stessa.    Non  certamente,  pero', con
 l'intento di  sollecitare  un'intervento  additivo  rientrante  nella
 esclusiva  sfera  della  discrezionalita' legislativa (Corte cost. 22
 luglio 1994 n. 334); e non escludendo, ovviamente,  in  ipotesi,  una
 sentenza c.d. interpretativa di rigetto da parte della stessa Corte.