IL PRETORE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza sciogliendo la riserva, letti gli
 atti ed esaminati i documenti, osserva  quanto segue.
   Piero  Di  Fazio,   titolare   dell'emittente   televisiva   locale
 denominata  "Tele  D"  operante in Palagonia, ha proposto opposizione
 avverso l'ordinanza ingiunzione emessa il 6 giugno 1996  dal  Garante
 per   la  radiodiffusione  e  l'editoria  irrogativa  della  sanzione
 pecuniaria di L. 10.000.000 per la violazione dell'art. 15, comma 11,
 della legge 6 agosto 1990, n. 223, a seguito dell'accertamento  della
 trasmissione  (avvenuta il 5 ottobre 1995 alle ore 23.04.46) del film
 intitolato  "Vacanze  per  un  massacro",  il  cui  nulla  osta  alla
 proiezione al pubblico contiene il divieto della visione ai minori di
 anni 18.
   L'esame  della  fattispecie, alla luce della complessiva disciplina
 dettata dalla legge n. 223/1990 nonche' dalla legge 21  aprile  1962,
 n.  161  cui  la  prima  - ai fini che qui interessano - fa richiamo,
 tuttavia evidenzia  dei  profili  che  inducono  a  ritenere  la  non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 delle  norme di cui al combinato disposto degli artt. 15, comma 11, e
 31, comma 3, legge n.  223/1990  nella  parte  in  cui  prevedono  il
 divieto della trasmissione di film ai quali sia stato negato il nulla
 osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico oppure siano
 stati  vietati  ai  minori  di  anni  18, e la relativa sanzione, con
 riferimento  agli  artt.  3,  21,  24  e  25,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
   Come  e'  noto,  anche  in  tema  di  illecito  amministrativo deve
 ritenersi vigente il c.d. principio di legalita', peraltro consacrato
 nella norma dell'art. 1, legge 24 novembre 1981, n. 689,  e,  sebbene
 tale  enunciazione  non  sia del tutto sovraponibile a quella omologa
 contenuta   nell'art.   1   c.p.,   difettando    l'elemento    della
 "tipizzazione"  del fatto costituente l'illecito, non sembra di poter
 dubitare della necessita' che sia la legge a  dover  determinare  con
 sufficiente  specificazione il fatto cui e' riferita la sanzione, pur
 potendo la stessa legge rimettere a provvedimenti  amministrativi  la
 funzione  di integrare il precetto rispetto ad elementi normativi del
 fatto sottratti, per loro natura, alla possibilita' di una anticipata
 e particolareggiata indicazione da parte della legge medesima.
   Orbene, il sistema sanzionatorio sopra delineato rimette al giudice
 avanti al quale e' proposta l'opposizione  all'ordinanza  ingiunzione
 dell'autorita'  Garante  -  emessa  ai  sensi  dell'art. 31, legge n.
 223/1990 - di  effettuare  una  verifica  soltanto  formale  circa  i
 presupposti  di  fatto in base ai quali e' stata irrogata la sanzione
 (avvenuta trasmissione del film e riscontro  della  limitazione  alla
 visione imposta con il nulla osta ministeriale) e non consente alcuna
 indagine  sul  contenuto dell'opera diffusa, ne' sulla ragionevolezza
 dell'eventuale  limitazione  alla   visione   siccome   apposta   dal
 provvedimento amministrativo.
   In altri termini, mentre non puo' dubitarsi che il pretore chiamato
 a   pronunciarsi   sulla   legittimita'   dell'ordinanza  ingiunzione
 irrogativa di sanzione amministrativa per la violazione dell'art. 15,
 comma 10, legge n. 223/1990 (che fa divieto di trasmettere  programmi
 nocivi per lo sviluppo psichico o morale dei minori, contenenti scene
 di   violenza  gratuita  o  pornografiche,  ovvero  che  inducano  ad
 atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di  razza,  sesso,
 religione  o  nazionalita')  ben  puo'  procedere alla verifica della
 fondatezza  della  pretesa  sanzionatoria  mediante   l'esame   della
 trasmissione    oggetto    dell'illecito    -    anche    alla   luce
 dell'elabaorazione giurisrudenziale in tema  di  "osceno",  ai  sensi
 degli  artt.  528-529  c.p.  -,  nella fattispecie de qua, al giudice
 risulta  precluso  ogni  accertamento  in  tal  senso,  atteso   che,
 peraltro,   non  puo'  farsi  luogo  alla  disapplicazione  dell'atto
 amministrativo, ex art. 5 legge  20  marzo  1965,  n.  2248  all.  E,
 vertendosi non in ipotesi di illegittimita' ma di mera inopportunita'
 del  citato provvedimento ministeriale (nulla osta alla proiezione in
 pubblico).
   In definitiva, l'individuazione del concreto  ambito  dell'illecito
 amministrativo  previsto  dall'art.  15,  comma 11, legge n. 223/1990
 finisce   per   essere   rimessa   alle   determinazioni    meramente
 discrezionali  della  p.a., le quali - almeno in questo giudizio - si
 sottraggono ad ogni  valutazione  di  natura  giurisdizionale,  cosi'
 rendendo  estremamente  labile il discrimine tra cio' che e' lecito e
 cio' che non lo e'.
   La  superiore  disciplina  appare  quindi  irragionevole   e   poco
 conformata  al  principio  di  legalita'  di cui al ricordato art. 1,
 legge n. 689/1981 ed ai principi di  natura  costituzionale  ad  esso
 sottesi.
   Inoltre,  e  sotto  diverso aspetto, il contrasto appare ancor piu'
 evidente laddove si consideri che la valutazione operata dal Ministro
 per  il  turismo  e  lo  spettacolo  e  dalle  apposite   commissioni
 consultive,  indicate  nell'art.  1, legge 21 aprile 1962, n. 161, e'
 assolutamente     svincolata     dall'osservanza     di     parametri
 tecnico-scientifici  soggetti,  come  tali,  a  riscontri obiettivi e
 verificabili in ogni tempo, posto che  il  metro  di  riferimento  e'
 costituito,  per  l'espresso disposto dell'art. 6 legge ult. cit. dal
 concetto metagiuridico  di  buon  costume,  nell'accezione  e  con  i
 contenuti previsti dall'art. 21 Cost.
   Se  l'offesa al buon costume comporta sempre il diniego di rilascio
 del nulla osta alla  proiezione  del  film  o  alla  rappresentazione
 teatrale  (art.  6 legge n. 161/1962), la diffusione delle opere puo'
 essere invece sottratta al godimento dei minori qualora le  anzidette
 presentino  i contenuti enumerati dall'art. 9 d.P.R. 11 novembre 1963
 n. 2029 (Regolamento di esecuzione della legge 21 aprile 1962 n.  161
 sulla  revisione  dei  film  e dei lavori teatrali). L'elenco di tali
 contenuti (battute o gesti volgari;  indulgenza  verso  comportamenti
 amorali;  scene  erotiche  o  di  violenza  verso  uomini o animali o
 relative ad operazioni chirurgiche od a fenomeni ipnotici o medianici
 se  rappresentate  in   forma   particolarmente   impressionante,   o
 riguardanti  l'uso  di  sostanze stupefacenti; fomentazione di odio o
 vendetta;  presentazione  di  crimini  in  forma  tale   da   indurre
 all'imitazione  o  al suicidio in forma suggestiva) rimane a conferma
 della  natura  estremamente  generica  e   variabile   del   giudizio
 (vincolante)  espresso  dalle  citate  commissioni consultive ai fini
 della  limitazione  alla   diffusione   dell'opera   posta   con   il
 provvedimento autorizzativo del Ministro.
   Non  e'  dubbio  che  i  parametri  offerti  dal  regolamento teste
 ricordato sono soggetti alla continua evoluzione del costume e  dello
 stesso  modo  di essere di una societa' moderna, di talche', cio' che
 poteva impingere nei suddetti divieti dieci o  venti  anni  addietro,
 oggi  appartiene  al  comune  sentire  ed  anzi, tali prescrizioni si
 appalesano addirittura odiose ed  irriguardose  quando,  ad  esempio,
 viene   fatto  riferimento  a  comportamenti  definiti  genericamente
 "amorali", sol che si  consideri  la  moralita'  come  l'insieme  dei
 principi  e  dei  valori  cui  si ispira la coscienza soggettiva, sui
 quali non puo' ammettersi alcuna ingerenza da parte  dell'ordinamento
 di  uno  Stato  laico,  come  reiteratamente  affermato  dalla stessa
 giurisprudenza costituzionale.
   La detta mutevolezza del metro di riferimento (costume  sociale)  e
 del  correlato  giudizio sulla limitazione alla diffusione dell'opera
 cinematrografica o teatrale, affidato alla diversificata sensibilita'
 delle citate commissioni, determina  una  evidente  ed  irragionevole
 disparita'  di trattamento che si ripercuote non soltanto sia tra gli
 autori  delle  opere  medesime  che  tra  coloro  che  ne  curano  la
 diffusione  con  il  mezzo  radiotelevisivo, ma, nel novero di questi
 ultimi, anche tra colui che diffonde un film recentemente revisionato
 - i cui contenuti sarebbero stati verosimilmente censurati in passato
 -  e  chi  offre in visione una pellicola assoggettata a revisione in
 epoca remota ed  alla  quale  e'  stata,  illo  tempore,  imposta  la
 limitazione  alla diffusione, mentre, con tutta probabilita', oggi ne
 andrebbe esente.
   Poiche' la normativa  non  prevede  forme  di  aggiornamento  delle
 revisioni,  essendo contemplata soltanto la possibilita' di una nuova
 revisione per le opere che non hanno ottenuto il nulla osta (art.  11
 decreto  del  Presidente della Repubblica n. 2029/1963), tanto che la
 prassi conosce l'espediente della  c.d.  derubricazione  del  divieto
 alla  visione (da 18 a 14 anni), mediante la presentazione dell'opera
 per una nuova revisione dopo averla depurata di alcune sequenze  che,
 successivamente, vengono fraudolentamente reintrodotte e programmate,
 il superiore profilo di disparita' appare ancora piu' marcato.
   Il  sistema, ancora, presenta ulteriori profili di irragionevolezza
 e  di  disparita'  di  trattamento,  avuto  riguardo  alla  forma  di
 conseguimento  del nulla osta ministeriale per silenzio-assenso (art.
 6 legge n.  161/1962). In siffatta eventualita', la diffusione  delle
 opere  tacitamente  autorizzate  soggiace, al piu', al diverso regime
 previsto, in via generale, dall'art. 15, comma 10, legge n.  223/1990
 per  tutta  la  programmazione,  il  quale  -  comunque - consente al
 giudice di valutare in concreto la  sussistenza  del  fatto  illecito
 contestato all'opponente.
   A  tale  disciplina risultano sottoposti anche i programmi televisi
 realizzati mediante il "montaggio" di sequenze di diversi film  o  di
 altre  registrazioni tratte da opere di finzione scenica o da riprese
 di cronaca giornalistica.  Programmi  di  questo  genere,  richiamati
 dalla  opponente  negli  atti  di  causa,  che,  tra l'altro, vengono
 offerti   anche   dalla   concessionaria   del   servizio    pubblico
 radiotelevisivo,  sono certamente idonei a comportare - talvolta - un
 forte impatto con lo spettatore  (anche  minorenne,  stante  la  loro
 irradiazione in fasce orarie accessibili ad un vastissimo pubblico) e
 tuttavia   si   sottraggono   allo   stringente   controllo  censorio
 preventivo, mandando esente da responsabilita' (ex art. 15, comma 11,
 legge n. 223/1990) colui che diffonde i detti programmi, malgrado  le
 sequenze  trasmesse  siano  tratte da opere cinematografiche soggette
 alla interdizione della visione per i minori.
   Puo' accadere, cioe', che la trasmissione di singole scene, espunte
 da uno o piu' film, che siano anche quelle piu' crude  o  disinvolte,
 risulti irrilevante ai fini del predetto contenuto nel ricordato art.
 15,  comma  11, legge numero 223/1990, mentre la diffusione integrale
 delle opere cinematografiche suddette  (comprese,  evidentemente,  le
 parti  di  minore impatto emotivo o suggestivo) integra la violazione
 della norma da ultimo citata, e tale disparita'  non  trova  adeguato
 fondamento in alcuno dei valori costituzionalmente garantiti.
   Infine,   la   norma   di  legge  rimessa  al  vaglio  della  Corte
 costituzionale  non  tiene  sufficientemente  conto   dei   princi'pi
 tutelari dall'art.  21 della Costituzione, nel senso che non consente
 al  giudice  (avanti al quale e' impugnato, ai sensi degli artt. 22 e
 segg. legge n. 689/1981, il provvedimento irrogativo  della  sanzione
 amministrativa)   di   esercitare  il  necessario  raffronto  tra  il
 contenuto  dell'opera   cinematografica   trasmessa,   quale   libera
 manifestazione  del  pensiero,  ed  il  limite  del  buon costume, al
 cospetto del quale il relativo diritto di liberta' puo' subire  delle
 limitazioni.
   Tutto  cio'  premesso, ritenuto che la soluzione della questione di
 legittimita' costituzionale -  sollevata  d'ufficio  con  riferimento
 alle  norme  avanti  indicate  -  appare rilevante per la definizione
 della controversia di merito  ed,  al  contempo,  non  manifestamente
 infondata,  deve  essere  ordinata  la  sospensione  del  giudizio  e
 disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Preso atto della ricorrenza di gravi motivi, ricollegabili al fumus
 boni iuris, dell'opposizione ed al periculum in mora per  le  ragioni
 dell'opponente,   oggetto   dell'eventuale  recupero  coattivo  degli
 importi corrispondenti alla sanzione irrogata dalla p.a., puo' essere
 disposta la sospensione  dell'esecuzione  dell'ordinanza  ingiunzione
 impugnata.