ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
   nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 177, primo
 comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio
 1996 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze  sull'istanza  proposta
 da  Renella  Nicola, iscritta al n. 632 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  28,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  12  marzo  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il tribunale di sorveglianza di Firenze, posto di fronte alla
 richiesta di liberazione condizionale formulata da un condannato alla
 pena dell'ergastolo, al quale lo  stesso  beneficio,  precedentemente
 concesso dal tribunale di sorveglianza di Napoli, era stato da questo
 tribunale  revocato  per  avere  il  condannato piu' volte violato le
 prescrizioni impostegli, premesso che, a norma dell'art.  177,  primo
 comma,  ultimo  periodo, del codice penale, l'interessato non avrebbe
 potuto piu' essere riammesso al beneficio, ha, con  ordinanza  del  6
 febbraio  1996,  sollevato,  in riferimento all'art. 27, terzo comma,
 della Costituzione, questione di legittimita' della detta  norma  del
 codice  penale, nella parte in cui, cosi' disponendo, ha l'effetto di
 rendere  immodificabile  la  perpetuita'  della  pena   inflitta   al
 condannato all'ergastolo.
   Il  tribunale  di sorveglianza ricorda anzitutto la sentenza n. 270
 del 1993 di  questa  Corte,  che,  nel  dichiarare  inammissibile  la
 questione  di  legittimita'  della stessa disposizione ora denunciata
 nella  parte  in  cui,  nel  caso   di   revoca   della   liberazione
 condizionale,  non  consente  di  rideterminare  la  pena residua nei
 confronti del condannato all'ergastolo, diversamente da quanto invece
 previsto per i condannati a pena temporanea (v. su questo la sentenza
 n. 282 del 1989),  aveva  tuttavia  riconosciuto  l'esistenza  di  un
 problema di costituzionalita'. Aggiunge tuttavia il giudice a quo che
 detto   problema   potrebbe   trovare   ora   soluzione   dichiarando
 l'illegittimita' della preclusione ad  una  nuova  concessione  della
 liberazione   condizionale   nonostante   la  revoca  precedentemente
 intervenuta.
   D'altro canto  -  prosegue  il  tribunale  rimettente  -  la  Corte
 costituzionale,  sin  dalla  sentenza n. 264 del 1974, ha individuato
 proprio nell'istituto  della  liberazione  condizionale  "l'argomento
 piu'   solido"   per   affermare   la   compatibilita'   della   pena
 dell'ergastolo  con  la  Costituzione;   ma   a   tale   affermazione
 contraddice  - osserva il tribunale - proprio la norma ora denunciata
 perche' ad essa consegue l'irreversibile effetto della pena perpetua.
 Di qui, appunto, il contrasto con il principio  rieducativo  espresso
 nell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
   Ne'  il  fatto  che  un  simile  effetto  consegua alla revoca puo'
 valere, ad avviso del giudice a quo a  salvare  dalla  illegittimita'
 costituzionale  la norma denunciata: la realizzazione della finalita'
 rieducativa perseguita dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione,
 comporta,  infatti,  non  gia'  la  certezza  della  riammissione  al
 beneficio,  bensi'  soltanto  la  possibilita'  di  riammissione   al
 beneficio  stesso  a  seguito  della  verifica  che  il  tribunale di
 sorveglianza dovra' compiere circa le ragioni che dettero luogo  alla
 revoca  e  della  nuova  valutazione  di  merito,  pure  demandata al
 tribunale medesimo, circa la nuova concedibilita'  della  liberazione
 condizionale.
   Ne'   infine   -  conclude  l'ordinanza  di  rimessione  -  sarebbe
 necessario "ricavare un  termine  che  deve  decorrere  dalla  revoca
 perche'   si  possa  avere  una  nuova  ammissione",  potendosi  solo
 discutere "se valgano  in  questo  caso  le  regole  dettate  per  la
 rinnovazione  della istanza dopo il provvedimento di rigetto, con una
 equiparazione a questo del provvedimento  di  revoca  (v.  art.  682,
 comma  2,  c.p.p.  e  anche  art. 4, comma 2, della legge 12 febbraio
 1975, (se ancora  vigente)".    Quel  che  e'  certo  -  conclude  il
 tribunale  di  sorveglianza  -  e'  che  per  quasi  tutti i benefici
 penitenziari mancano previsioni generali che contemplino  preclusioni
 a successivi benefici dopo la revoca degli stessi.
   2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   Deduce,  in  primo  luogo,  l'Avvocatura  che  questa Corte, con la
 sentenza n. 264 del 1974, ha osservato che la pena  non  ha  soltanto
 finalita'  (tendenzialmente)  rieducative,  ma  anche di prevenzione,
 difesa sociale, ed altre, e che, comunque, la  finalita'  rieducativa
 puo' essere conseguita, non soltanto attraverso la prospettiva di una
 possibile  liberazione,  ma anche mediante l'ammissione al lavoro e a
 modalita' esecutive rispettose della dignita' della persona; mezzi  e
 modalita'  che non risultano preclusi dall'impossibilita' di accedere
 alla liberazione condizionale.
   In  secondo  luogo,  l'impossibilita'  di  reiterare  il  beneficio
 coinvolge  non  soltanto  il  condannato  all'ergastolo  ma  tutti  i
 condannati a pena detentiva; con  la  conseguenza  che  il  richiesto
 intervento  demolitorio della Corte, se, per un verso, e' in grado di
 produrre,  ove  esteso  anche  ai  soggetti  diversi  dal  condannato
 all'ergastolo,   effetti   ben  piu'  vasti  ed  incisivi  di  quelli
 prospettati  dal  giudice  a  quo  fino  ad  invadere  l'area   della
 discrezionalita'  legislativa,  per un altro verso, restando limitato
 ai condannati alla pena perpetua,  rischierebbe  di  determinare  una
 ingiustificata disparita' di trattamento fra condannati.
                         Considerato in diritto
   1.  - Il tribunale di sorveglianza di Firenze solleva, in relazione
 ai condannati alla pena  dell'ergastolo,  incidente  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice
 penale  nella  parte  in cui detta norma dispone che i condannati nei
 cui confronti la liberazione condizionale  gia'  concessa  sia  stata
 revocata non possono essere riammessi a detto beneficio.
   Per  i  condannati  alla  pena  dell'ergastolo  questa  preclusione
 varrebbe a rendere immodificabile  la  perpetuita'  della  pena  loro
 inflitta,  e cio' in contrasto con la finalita' rieducativa assegnata
 a tutte le pene dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione.
   A sostegno della denuncia di incostituzionalita' della disposizione
 menzionata  l'ordinanza del giudice a quo fa valere le varie sentenze
 rese in passato dalla Corte costituzionale in materia di ergastolo, e
 segnatamente la sentenza n. 264 del  1974,  con  la  quale  la  Corte
 stessa,  nel  respingere  la  tesi della incostituzionalita' di detta
 pena,  ha  posto   in   rilievo   il   valore   rappresentato   dalla
 ammissibilita'   del   condannato   all'ergastolo   alla  liberazione
 condizionale (a quell'epoca dopo ventotto anni  di  esecuzione  della
 pena, secondo la prima riforma dell'istituto intervenuta con la legge
 25  novembre  1962, n. 1634), nonche' la sentenza n. 270 del 1993, la
 quale pur dichiarando  la  inammissibilita'  della  questione  allora
 sollevata  in  relazione  alla computabilita' nella durata della pena
 del  periodo  trascorso   in   liberta'   vigilata   dal   condannato
 all'ergastolo   liberato   condizionalmente,   ebbe   a   riconoscere
 espressamente che le argomentazioni svolte nella sentenza n. 282  del
 1989 circa la necessita' di computare, ai fini di determinare la pena
 residua,  in caso di revoca della liberazione condizionale il periodo
 scontato in liberta' vigilata "vanno ribadite anche nei confronti del
 condannato all'ergastolo, riguardo al quale la perpetuita' della pena
 irrogata non puo' costituire un ostacolo sufficiente  per  precludere
 in  assoluto  la  medesima  opera di scomputo".   E cio', sia perche'
 altrimenti - prosegue la Corte nel passo della predetta  sentenza  n.
 270  del  1993  richiamato  dal  giudice  rimettente  - al condannato
 all'ergastolo "sarebbe riservato un  trattamento  di  maggior  rigore
 rispetto  al  condannato  a pena temporanea sia perche' alla funzione
 rieducativa della  pena  non  puo'  essere  sottratto  il  condannato
 all'ergastolo  senza che ne risulti vulnerato l'art. 27, terzo comma,
 della Costituzione".
   Per risolvere questo problema,  la  cui  esistenza  e'  gia'  stata
 riconosciuta  dalla  Corte  costituzionale,  non rimarrebbe - osserva
 l'ordinanza del giudice a quo - che riconoscere la  fondatezza  della
 questione  ora  sollevata  eliminando  come  incostituzionale, per il
 condannato all'ergastolo, la preclusione  ad  una  nuova  concessione
 della liberazione condizionale.
   Ne'  -  conclude sempre l'ordinanza - vi sarebbero altri ostacoli a
 detta soluzione,  dato  che  anche  la  nuova  eventuale  concessione
 dovrebbe   essere  subordinata  ad  una  valutazione  di  merito  del
 tribunale di sorveglianza, che verifichi l'entita' delle ragioni  che
 hanno  portato  alla  revoca  e  valuti  se  e  quando  sussistano  i
 presupposti  per   una   nuova   ammissione   all'esperimento   della
 liberazione condizionale.
   2.  -  La  questione,  rigorosamente limitata, nella impostazione e
 negli svolgimenti dell'ordinanza del giudice a quo ai problemi  posti
 dalla   vigente   disciplina   nei   confronti  dei  soli  condannati
 all'ergastolo, e' fondata.
   3. - L'art. 177 del codice penale, il cui primo comma  e'  dedicato
 alla  disciplina  della  revoca  della liberazione condizionale, trae
 origine dall'art. 17 del codice penale del 1889,  che  per  la  prima
 volta  introdusse in Italia l'istituto della liberazione condizionale
 e di questa disciplino' i presupposti (art. 16). Esso ricalcava tutto
 il sistema del detto art. 17, nel quale figuravano, come  presupposti
 della revoca, la commissione di un reato che importi pena restrittiva
 della  liberta'  personale o, alternativamente, l'inadempimento delle
 condizioni imposte al condannato, e, come  conseguenze  della  revoca
 stessa,  il  divieto  di  computare  nella  pena  residua  il periodo
 trascorso  in  liberazione condizionale e il divieto di ammissione ad
 una nuova liberazione condizionale.
   Questo sistema era relativo, tanto nel codice del 1889 quanto nella
 formulazione originaria del codice vigente, ai soli condannati a pena
 detentiva temporanea, non essendo allora considerata l'ammissibilita'
 alla  liberazione   condizionale   per   i   condannati   alla   pena
 dell'ergastolo.      Viceversa,   per   i  condannati  all'ergastolo,
 l'ammissione alla liberazione condizionale fu  prevista  dall'art.  2
 della  legge  25 novembre 1962, n. 1634 (Modificazioni alle norme del
 codice penale relative all'ergastolo e alla liberazione condizionale)
 e ribadita  con  l'art.  8  della  legge  10  ottobre  1986,  n.  663
 (Modifiche    alla    legge    sull'ordinamento    penitenziario    e
 sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
 la quale ultima ridusse il periodo di esecuzione della pena richiesto
 per l'ammissibilita' al beneficio da ventotto a ventisei anni.
   Con  quest'ultima  legge  veniva  inoltre disciplinato in modo piu'
 favorevole   ai   condannati   l'istituto   denominato   "liberazione
 anticipata",   gia'   introdotto   con   l'art.  54  dell'ordinamento
 penitenziario del 1975 per i  condannati  che  nell'espiazione  della
 pena  abbiamo dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione,
 ai fini del loro piu' efficace reinserimento nella  societa'  (questa
 la  prima  formulazione  dell'art.  54).  Veniva  infatti  elevato  a
 quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata  il  periodo
 massimo  di  detrazione  e veniva sancita la detrazione di pena anche
 per  i  condannati   all'ergastolo.      Quest'ultima   modificazione
 consacrava  anche  formalmente,  sul  piano legislativo, la pronuncia
 resa da questa  Corte  con  sentenza  n.  274  del  1983,  che  aveva
 dichiarato   costituzionalmente   illegittimo  il  suddetto  art.  54
 dell'ordinamento penitenziario "nella parte in  cui  non  prevede  la
 possibilita'  di  concedere  anche  al  condannato  all'ergastolo  la
 riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantita'  di  pena
 cosi'  detratta  nella quantita' scontata, richiesta per l'ammissione
 alla liberazione condizionale". Per effetto di tali modificazioni  il
 periodo  minimo  di durata della pena effettivamente scontata perche'
 il condannato all'ergastolo potesse essere ammesso  alla  liberazione
 condizionale,  stabilito nel 1962 in anni ventotto e ridotto nel 1986
 ad anni ventisei,  veniva  a  poter  essere  diminuito,  in  caso  di
 fruizione  delle  riduzioni  proprie della liberazione anticipata, in
 modo assai consistente.
   4.  -  Riassunti  come  sopra  i  precedenti  legislativi  relativi
 all'ammissione   alla   liberazione   condizionale   dei   condannati
 all'ergastolo,  oggetto,   con   gli   altri   presupposti   generali
 dell'istituto   stesso,  dell'art.    176  del  codice  penale,  deve
 ricordarsi che anche l'art. 177 dello stesso codice,  concernente  la
 revoca,  ha  conosciuto,  nel  corso  dei decenni successivi al 1930,
 modificazioni  ad  opera  del  legislatore,  decisioni  di   parziale
 illegittimita'  costituzionale  e  messe a punto della giurisprudenza
 ordinaria, segnatamente della giurisprudenza di legittimita'.
   Le modificazioni legislative,  intervenute  ad  opera  dell'art.  2
 della menzionata legge 25 novembre 1962, n. 1634, hanno rappresentato
 soltanto  un allineamento alle modificazioni introdotte con la stessa
 disposizione nell'art. 176: sospensione, in caso di  ammissione  alla
 liberazione  condizionale,  della misura di sicurezza detentiva a cui
 eventualmente il condannato a pena  detentiva  temporanea  sia  stato
 sottoposto,  e,  nel  secondo comma, previsione di un termine (cinque
 anni) per la liberazione definitiva del  condannato  all'ergastolo  a
 seguito   di   esperimento   positivo   del  periodo  di  liberazione
 condizionale.
   L'intervento di questa Corte si concreto' invece nella declaratoria
 di  illegittimita'  costituzionale  di  una  delle  due  proposizioni
 dell'ultimo  periodo  del  primo  comma,  e  precisamente  del  comma
 suddetto "nella parte in cui, in caso  di  revoca  della  liberazione
 condizionale,   non   consente   al   tribunale  di  sorveglianza  di
 determinare la pena detentiva ancora da espiare,  tenendo  conto  del
 tempo  trascorso  in liberta' condizionale, nonche' delle restrizioni
 di liberta' subite dal condannato e del  suo  comportamento  in  tale
 periodo"  (sentenza  n.  282 del 1989).  Ovviamente detta sentenza si
 riferiva soltanto alle pene detentive temporanee.
   Infine e' da considerarsi  rilevante  l'intervento  compiuto  dalla
 giurisprudenza   di   legittimita'   su   uno   dei  due  presupposti
 alternativamente  previsti  per  la  revoca,   e   precisamente   sul
 presupposto attinente alla "trasgressione agli obblighi inerenti alla
 liberta'  vigilata,  disposta  ai  termini  dell'art. 230, n. 2". Con
 alcune sentenze  dell'ultimo  decennio  la  Corte  di  cassazione  ha
 statuito  che  ai  fini di stabilire l'esistenza di una trasgressione
 degli obblighi inerenti alla liberta' vigilata "non e' sufficiente la
 mera  segnalazione  degli  organi   di   polizia   incaricati   della
 sorveglianza,  ma  occorre  accertare in primo luogo la volontarieta'
 del fatto, dovendosi ovviamente escludere le infrazioni  incolpevoli,
 ed  in  particolare, poi, se la violazione degli obblighi inerenti la
 liberta' vigilata sia di tale gravita' da investire tutto  il  regime
 di  vita  al  quale  il  liberato e' stato sottoposto e da costituire
 sicuro elemento per ritenere,  con  giudizio  penetrante  e  completo
 tradotto  in  adeguata motivazione, la insussistenza nella realta' di
 quel   ravvedimento,   sicche'   il   liberato    sia    immeritevole
 dell'anticipato reinserimento nella vita sociale".
   Con  questi  interventi  la  Corte  di  cassazione, svolgendo opera
 interpretativa guidata da criteri di razionalita' e di aderenza  alle
 finalita' degli istituti in questione, veniva incontro non solo ad un
 voto  formulato sin dai tempi delle prime revisioni del codice penale
 vigente, ma anche  ad  una  chiara  presa  di  posizione  incidentale
 (sorretta peraltro da una serie di analitiche proposizioni) di questa
 Corte,  che  nella ricordata sentenza n. 282 del 1989 aveva ricordato
 le  critiche  all'automatismo   della   revoca,   qualificando   tale
 automatismo come "frutto di una visione ingiustificatamente punitiva"
 di tale istituto.
   Tale  il  quadro  normativo  e  giurisprudenziale nel quale si deve
 collocare la presente decisione,  la  quale  riguarda  -  cosi'  come
 richiesto  dall'ordinanza  del  giudice  a  quo  - entrambi i casi di
 revoca  della  liberazione  condizionale:  quello  determinato  dalla
 commissione  di  un "delitto o contravvenzione della stessa indole" e
 quello determinato dalla "trasgressione agli obblighi della  liberta'
 vigilata, disposta a' termini dell'art. 230, n. 2" del codice penale.
   5. - Della compatibilita' della pena dell'ergastolo con la funzione
 rieducativa  assegnata  alla  pena  in  generale  dall'art. 27, comma
 terzo,  della  Costituzione,  e   piu'   in   generale   della   pena
 dell'ergastolo, questa Corte ebbe ad occuparsi piu' di una volta.
   Con  la  sentenza n. 264 del 1974, la Corte, chiamata a riesaminare
 la legittimita' dell'ergastolo, espose a sostegno della  infondatezza
 della  questione  vari  argomenti,  tra  i quali assume indubbiamente
 valore preminente quello incentrato sulla legge 25 novembre 1962,  n.
 1634  che ammise la liberazione condizionale anche per i condannati a
 detta pena. Scrisse allora la Corte che "l'istituto della liberazione
 condizionale  disciplinato  dall'art.  176  cod.  pen.  -  modificato
 dall'art.    2  della  legge  25  novembre  1962,  n. 1634 - consente
 l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile
 senza che possano ostarvi  le  sue  precarie  condizioni  economiche:
 invero   ...   la   concessione  della  liberazione  condizionale  e'
 subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili, sempreche'  il
 condannato  abbia  la  possibilita'  di  provvedervi,  che altrimenti
 potra' dimostrare di trovarsi nell'impossibilita' di adempierle senza
 subire alcun pregiudizio". E questa posizione  fu  rinforzata,  nella
 sentenza  stessa, con il dare rilievo alla precedente sentenza n. 204
 dello  stesso  anno  1974,  con  la  quale   era   stata   dichiarata
 l'illegittimita'   costituzionale   della   norma  attributiva  della
 facolta' di concedere la liberazione condizionale al  Ministro  della
 giustizia  (art.  43  r.d.  28 maggio 1931, n. 602), conseguentemente
 attribuendosi la facolta' stessa all'autorita' giudiziaria  "che  con
 le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale accertera' se il
 condannato  abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro
 il suo ravvedimento".
   Questi motivi furono ripetutamente ripresi in decisioni successive,
 tra le quali spicca la sentenza n. 274 del  1983,  nella  quale  -  a
 premessa della estensione del gia' ricordato istituto della riduzione
 di  pena,  che  va  sotto  il  nome  di  "liberazione anticipata", ai
 condannati all'ergastolo - puo' leggersi che la finalita' rieducativa
 voluta dall'art. 27, terzo comma,  della  Costituzione  si  riferisce
 senza  ombra  di  dubbio  anche a detti soggetti e che cio' "e' fatto
 palese  dalla  estensione  in   loro   favore   dell'istituto   della
 liberazione  condizionale,  operata  dalla legge n. 1634 del 1962": a
 proposito della quale - prosegue la sentenza -  fu  enunciato,  nella
 relazione  governativa  che accompagnava la presentazione alla Camera
 dei deputati del disegno di legge, il  proposito  di  "completare  ed
 integrare,  con  speciale  riferimento  all'ergastolo, la progressiva
 umanizzazione della pena, rendendo piu' concreta e  funzionale  anche
 nell'ergastolo  l'azione intesa alla rieducazione del condannato". La
 recuperabilita' sociale del  condannato  all'ergastolo,  mediante  la
 possibilita'  della  sua  liberazione  condizionale,  segnava percio'
 nella nostra legislazione penale una svolta di evidente rilievo:  una
 svolta  sottolineata anche da questa Corte, la quale, nel dichiarare,
 con la ricordata sentenza n. 264 del 1974, non fondata  la  questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22  del  codice  penale,
 sollevata  in  riferimento  all'art.     27,   comma   terzo,   della
 Costituzione,  faceva  perno,  tra l'altro, proprio sulla intervenuta
 ammissione della liberazione condizionale, in quanto  essa  "consente
 l'effettivo reinserimento dell'ergastolano nel consorzio civile".
   6.  -  Alla stregua di queste premesse non puo' non essere rilevata
 la illegittimita' costituzionale della disposizione che, vietando per
 i  condannati  all'ergastolo   la   riammissione   alla   liberazione
 condizionale,  li esclude in modo permanente ed assoluto dal processo
 rieducativo e di reinserimento sociale.
   La  pena  dell'ergastolo,  per  il  suo carattere di perpetuita' si
 distingue dalle altre  pene  restrittive  della  liberta'  personale;
 oltre   a  comportare,  per  chi  vi  e'  sottoposto,  una  serie  di
 conseguenze, di tipo interdittivo e di tipo penitenziario, che  sono,
 in  tutto  o  in  parte,  estranee  alle  altre  pene.  Ma questo suo
 connotato di perpetuita' non  puo'  legittimamente  intendersi,  alla
 stregua  dei  principii  costituzionali,  come  legato, sia pure dopo
 l'esperimento  negativo  di  un  periodo  trascorso  in   liberazione
 condizionale,  ad  una  preclusione  assoluta  dell'ottenimento,  ove
 sussista  il  presupposto  del  sicuro  ravvedimento,  di  una  nuova
 liberazione  condizionale.  Il mantenimento di questa preclusione nel
 nostro ordinamento equivarrebbe, per il condannato all'ergastolo,  ad
 una  sua  esclusione  dal  circuito  rieducativo,  e  cio'  in palese
 contrasto - come gia' si e' visto - con l'art. 27, comma terzo, della
 Costituzione, la cui valenza e' stata gia'  piu'  volte  affermata  e
 ribadita, senza limitazioni, anche per i condannati alla massima pena
 prevista dall'ordinamento italiano vigente.
   Se  la  liberazione  condizionale e' l'unico istituto che in virtu'
 della sua esistenza nell'ordinamento rende non  contrastante  con  il
 principio   rieducativo,  e  dunque  con  la  Costituzione,  la  pena
 dell'ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo
 cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso
 il passaggio per uno o piu' esperimenti  negativi,  fosse  totalmente
 preclusa,  in  via  assoluta,  la  riammissione  del  condannato alla
 liberazione condizionale.
   Certamente, in concreto, il condannato all'ergastolo  potra'  dalla
 competente autorita' giudiziaria essere ritenuto non meritevole della
 riammissione   al   beneficio   della   liberazione  condizionale;  e
 l'autorita'  stessa  potra'  graduare  anche  nei  tempi   la   nuova
 ammissione, tenuto conto sia della prova data dal detenuto durante la
 detenzione   sia  della  prova  data  durante  i  precedenti  periodi
 trascorsi   in   liberta'   vigilata,   prendendo    ovviamente    in
 considerazione anche la concreta gravita' delle violazioni che ebbero
 a dar luogo alla revoca. Ma questa possibilita' di non riammissione o
 di  riammissione dilazionata nel tempo non equivale ad una esclusione
 totale per divieto di legge.
   7. - A quest'ultimo proposito, e cioe' in relazione ai  presupposti
 di una nuova concessione del beneficio della liberazione condizionale
 al  condannato all'ergastolo nei cui confronti precedenti concessioni
 siano state revocate, e' necessaria qualche precisazione ulteriore.
   L'ordinanza del giudice a quo si  occupa  espressamente  di  questo
 tema quando scrive che la normativa che deriverebbe dalla sentenza di
 accoglimento  prospettata alla Corte costituzionale non richiederebbe
 integrazione alcuna. Si potrebbe cioe' discutere  se  debbano  valere
 "le  stesse  regole dettate per la rinnovazione della istanza dopo il
 provvedimento  di  rigetto,  con  una  equiparazione  a  questo   del
 provvedimento   di   revoca",  mentre  per  le  altre  condizioni  di
 ammissibilita' "non vi e' ragione che non debbano  valere  le  stesse
 condizioni  richieste per la ammissione al beneficio, come accade, ad
 esempio, per la semiliberta' dopo  una  precedente  revoca".  Inoltre
 l'ordinanza  stessa  aggiunge  che dovra' essere valutato seriamente,
 nel   merito,   il   ravvedimento   del   condannato   in    presenza
 dell'insuccesso  della  prima  concessione;  e  che  in  tale  quadro
 dovranno essere valutate anche le ragioni della revoca, la cui  gamma
 "e'  assai  ampia e puo' andare da situazioni di gravita' relativa ad
 altre di gravita' estrema".
   Ora,  quanto  al  problema dei termini da osservare in vista di una
 nuova ammissione alla liberazione condizionale, e' evidente  che  non
 e'  dato  a  questa  Corte  alcun  potere  di  intervento,  spettante
 soltanto, nel rispetto dei presupposti e dei  limiti  costituzionali,
 ad  una  eventuale  iniziativa legislativa. In particolare non sembra
 possibile  estendere  in  modo  automatico  i  presupposti  temporali
 fissati  dalle  leggi vigenti per la riproposizione della domanda del
 condannato dopo che e' stata respinta  una  sua  domanda  diretta  ad
 ottenere  la  liberazione  condizionale:  diverse sono infatti le due
 situazioni, anche se una certa analogia tra le stesse non puo' essere
 negata.  A carico di chi sia incorso nella revoca del beneficio, puo'
 rilevarsi che l'esperienza fatta  in  concreto  ha  segnato  in  modo
 negativo  l'effettivita'  del suo ravvedimento, mentre, a suo favore,
 non  si  puo'  dimenticare  che  il  lungo  periodo   precedentemente
 trascorso   in   carcere  lo  aveva  fatto  ritenere  meritevole  del
 beneficio, diversamente da colui al quale il beneficio  aveva  dovuto
 essere negato. Solo una penetrante valutazione condotta dal tribunale
 di  sorveglianza,  competente  ai sensi dell'art. 70 dell'ordinamento
 penitenziario  (legge  26  luglio  1975,   n.   354,   e   successive
 modificazioni), potra' portare a concludere per la maggiore rilevanza
 delle   valutazioni  concernenti  l'uno  o  l'altro  periodo  (quello
 trascorso in detenzione e quello  trascorso  in  liberta'  vigilata),
 tenuto  ovviamente  conto  anche  della prova data dal condannato nel
 periodo  di  privazione  della  liberta'  personale  successivo  alla
 revoca. In assenza di un intervento legislativo sul punto, il termine
 richiesto  dalla  legge  vigente  per la riproposizione della domanda
 respinta  potrebbe  essere  per  il  giudice  un   utile   punto   di
 riferimento.
   Altrettanto  deve  dirsi  per  le  altre  condizioni  per  la nuova
 ammissione  al  beneficio  successivamente  alla   revoca.   Varranno
 ovviamente   anche   qui   i  parametri  propri  dell'istituto  della
 liberazione condizionale, fissati nell'art. 176  del  codice  penale,
 che  nell'ultima  sua  redazione esige che durante l'esecuzione della
 pena sia stato tenuto dal condannato "un comportamento  tale  da  far
 ritenere  sicuro  il  suo  ravvedimento".    Ovviamente,  in  caso di
 condannato che, come nella fattispecie qui  considerata,  abbia  gia'
 usufruito  di  un  periodo  di  liberazione  condizionale in liberta'
 vigilata, dovra' il tribunale tener conto anche di tale periodo; e in
 questo contesto  di  valutazioni  rientrera'  anche  un  esame  delle
 ragioni  che dettero luogo alla revoca e della loro maggiore o minore
 gravita'.  Su  tutto  dovra'  operare  il  rispetto  della  finalita'
 rieducativa,  intesa  come  reinserimento  del  reo  nella  societa',
 secondo le formule piu' volte adottate dalla Corte in questa  materia
 (v.    particolarmente,  anche  per  la  liberazione condizionale del
 condannato all'ergastolo, la sentenza n. 274 del 1983).