ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 82, nono comma,
 alinea  2  e  4,  del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della
 delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio  1975,  n.  382),  nel
 testo  modificato  dall'art.  1  della  legge  8 agosto 1985, n. 431,
 promosso con ordinanza emessa il  9  novembre-15  dicembre  1995  dal
 tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Campania  sul  ricorso
 proposto da Loredana Berruti contro Ministero per i beni culturali ed
 ambientali ed altri iscritta al n. 433 del registro ordinanze 1996  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 20, prima
 serie speciale, dell'anno 1996.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti;
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ordinanza depositata il 22 dicembre  1995,  il  tribunale
 amministrativo regionale per la Campania ha sollevato, in riferimento
 agli  artt. 24, primo comma, 42, secondo comma, e 97, primo e secondo
 comma, della Costituzione, eccezione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  82,  nono  comma,  del  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616
 (Attuazione della delega di cui all'art.  1  della  legge  22  luglio
 1975,  n.  382), nella parte in cui, disponendo che il Ministro per i
 beni culturali e ambientali puo', nel procedimento di rilascio  della
 concessione in sanatoria di opereedilizie insistenti su aree soggette
 a     vincolo     paesaggistico,    annullare    la    determinazione
 dell'amministrazione  ad  esso  preposta  "entro  i  sessanta  giorni
 successivi   alla  relativa  comunicazione",  omette  di  individuare
 univocamente il momento di decorrenza del periodo entro il  quale  vi
 e'  legittimo  esercizio del potere di controllo dell'organo statale,
 la medesima norma prescrivendo  che  allo  stesso  deve  essere  data
 "immediata comunicazione".
   2.  -  Nella  specie, il Ministro per i beni culturali e ambientali
 aveva annullato, con decreto del 12 agosto 1994, il "nulla osta"  del
 sindaco  di  Anacapri  datato 27 agosto 1993. Il titolare del diritto
 sull'immobile  aspirava,  invero,  al  provvedimento  di  concessione
 edilizia  per  la sanatoria dell'opera eseguita, in agro del predetto
 comune, in contrasto col titolo autorizzativo. Egli, onde accedere ai
 benefici introdotti dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed escludenti
 le sanzioni  altrimenti  connesse  all'illiceita'  dell'edificazione,
 aveva  fatto  richiesta  affinche'  l'amministrazione  preposta  alla
 tutela del vincolo gravante sull'intero  territorio  di  Anacapri  si
 esprimesse  ex  post  circa  la compatibilita' ambientale dei lavori.
 Della  valutazione  veniva  richiesto  il  comune  del  luogo   della
 costruzione  avendo  la  regione  Campania - con le leggi 1 settembre
 1981, n. 65 e 23 febbraio 1982, n. 10 - delegato le  attribuzioni  in
 materia  ai  comuni,  dismettendo  quelle  ad  essa,  come agli altri
 soggetti regionali, derivanti dall'art.   82  del  d.P.R.  24  luglio
 1977, n. 616.
   Il  sindaco  di  Anacapri  rilasciava il 27 agosto 1993 l'attestato
 della positiva valutazione del manufatto in relazione ai  criteri  di
 tutela dell'area insulare.
   3.  -  Il  7 giugno 1994, secondo l'incontestata affermazione della
 parte privata, l'atto in questione perveniva all'organo  territoriale
 del  dicastero,  cioe' la soprintendenza di Napoli, perche', ai sensi
 delle istruzioni contenute nella circolare ministeriale del 31 agosto
 1985, n. 8 (in Gazzetta ufficiale n. 266 del 12 novembre 1985), fosse
 poi inoltrato al Ministro per i  beni  culturali  e  ambientali,  cui
 compete  il  potere di controllo. L'ufficio periferico si mostrava di
 avviso opposto a quello dell'autorita' comunale  e  ne  dava  notizia
 alla  sede  centrale  con  nota  del  28  giugno  1994  corredante la
 trasmissione dei documenti. In conseguenza, il Ministro  per  i  beni
 culturali  e  ambientali  annullava,  con  decreto  del successivo 12
 agosto, il "nulla osta" del sindaco di Anacapri.
   4.  -  Il  provvedimento  veniva  impugnato  dinanzi  il  tribunale
 amministrativo  regionale  per  la  Campania  al  quale il ricorrente
 esponeva,  tra  l'altro,  che  l'annullamento  in  questione   doveva
 ritenersi  privo  di  efficacia  essendo  il  suo autore decaduto dal
 relativo potere per decorso del termine perentorio fissato  dall'art.
 82  del  decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, nel
 testo modificato e integrato dall'art. 1 della legge 8  agosto  1985,
 n. 431. Sosteneva che dies a quo del periodo utile alla redazione del
 provvedimento  era  quello  in cui l'ufficio periferico del Ministero
 aveva  ricevuto   la   comunicazione   delle   determinazioni   prese
 dall'autorita'   cui   era  demandata  la  protezione  dell'interesse
 ambientale, dal che non poteva non considerarsi  tardivo  il  decreto
 del Ministro in data 12 agosto 1994.
   5.  -  Il  giudice  rimettente,  prima  di  analizzare  la  censura
 riguardante la asserita  intempestivita'  nell'esercizio  del  potere
 repressivo  da  parte  del  Ministro,  dava  conto  che  la  corrente
 interpretazione giurisprudenziale  dell'art.  82  piu'  volte  citato
 attribuiva  esclusivo rilievo al momento di ricevimento degli atti da
 parte  dell'organo  di  vertice  al  fine  di  valutare   l'eventuale
 avverarsi  della  preclusione nell'adozione del decreto di controllo.
 Quindi, e cio' in punto di rilevanza della  questione,  la  doglianza
 avrebbe   meritato   la  reiezione  per  non  essere  disputabile  la
 tempestivita' nell'adozione del provvedimento  conclusivo  una  volta
 fatto  decorrere  il  termine dalla data in cui il Ministro era stato
 investito delle proprie attribuzioni col recapito dell'affare. Ma era
 appunto la ricostruzione ermeneutica di "diritto vivente" a provocare
 il dubbio di costituzionalita' della norma.   Essa,  in  una  lettura
 siffatta,  entrerebbe  in  conflitto con i significati essenziali del
 diritto individuale di azione e della proprieta' privata, nonche' del
 buon andamento della pubblica  amministrazione,  tutti  assistiti  da
 norme  di  rango costituzionale, laddove non prevede "alcun preciso e
 univoco  referente  temporale  per  la  decorrenza  del  termine  ivi
 disposto  (...)  potendosi dilatare surrettiziamento il dies a quo da
 parte  di  una  qualunque  delle  amministrazioni  interessate  (ente
 locale, soprintendenza, Ministero)".
   6.  -  Per  la  dichiarazione  di  non  fondatezza della questione,
 rimessa d'ufficio al giudizio di questa Corte, ha  fatto  domanda  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  che e' intervenuto a mezzo
 dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto del 3 giugno 1996.  Il
 rappresentante  del  Governo  ha posto a sostegno del proprio assunto
 che "l'omessa  previsione  di  (...)  dettagli,  anche  di  carattere
 procedurale,  attiene  alla  discrezionalita'  legislativa",  da cio'
 inferendo  che  quella sollevata "e' una questione di interpretazione
 che  non  presenta  alcuna  rilevanza  ai  fini  della   legittimita'
 costituzionale della norma".
                         Considerato in diritto
   1.   -   La  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
 dall'ordinanza in epigrafe riguarda l'art. 82, nono comma, del d.P.R.
 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dalla legge 8 agosto 1985,  n.
 431,  nella  parte  in  cui  non  prevede  alcun  preciso  ed univoco
 referente temporale per la decorrenza del termine di "sessanta giorni
 successivi alla relativa comunicazione", entro cui il Ministro per  i
 beni  culturali  ed  ambientali  puo'  annullare, nel procedimento di
 rilascio della concessione in sanatoria di opere edilizie  insistenti
 su  aree  soggette  a  vincolo paesaggistico, la determinazione della
 amministrazione competente. L'estrema genericita' della  disposizione
 citata  non  consentirebbe  - secondo l'ordinanza di rinvio - "alcuna
 procedimentalizzazione   della   relativa   azione,   non   potendosi
 ragionevolmente  fissare,  con criterio univoco, il dies a quo per la
 decorrenza del termine assegnato al Ministro per l'annullamento delle
 autorizzazioni paesaggistiche, non collegabile  peraltro  ne'  ad  un
 termine   che   dovrebbe   essere  imposto  all'ente  locale  per  la
 ''immediata comunicazione'', ne' a quelli, parimenti indeterminabili,
 di avviso al privato". Si determinerebbe cosi' la lesione delle norme
 contenute negli artt. 24, primo comma, 42, secondo comma, nonche' 97,
 primo e secondo comma, della Costituzione.
   2. - La questione non e' fondata sotto tutti i profili prospettati.
   Il sistema normativo  attualmente  applicabile  alla  sanatoria  di
 opere  eseguite  su  aree sottoposte a vincolo  si e' articolato, nel
 tempo, in una serie di modifiche legislative, dirette ad  attuare  il
 complesso bilanciamento degli interessi tra Stato e regioni, sotto lo
 specifico  profilo della connessione tra tutela delle aree sottoposte
 a vincolo paesaggistico e disciplina del condono edilizio.
   Ed infatti,  nella  formulazione  originaria  dell'art.  32,  primo
 comma,  della  legge 28 febbraio 1985, n. 47, il parere favorevole al
 rilascio della  concessione  o  autorizzazione  in  sanatoria  doveva
 essere  espresso,  entro  120  giorni  (poi 180 giorni, a seguito del
 d.-l.  23  aprile  1985,  n.  146)  dalla  domanda,  soltanto   dalle
 "amministrazioni  preposte  alla  tutela  del  vincolo  stesso". Tali
 amministrazioni sono quelle isituzionalmente competenti  ad  emettere
 l'autorizzazione  o  il  nulla osta in via normale, ovvero competenti
 alla tutela dell'interesse preso in considerazione  dal  vincolo,  il
 quale  puo'  derivare  da  numerose  leggi,  che  hanno ad oggetto la
 salvaguardia di diversi interessi (esemplificativamente:    legge  29
 giugno 1939, n. 1497 sulle bellezze naturali; legge 30 dicembre 1923,
 n.  3267  sui  vincoli  idrogeologici;  legge 2 febbraio 1974, n.  64
 sulle zone sismiche; legge 24 dicembre 1976, n.  898  sulle  servitu'
 militari,  e  cosi'  via,  oltre  ad altre leggi speciali o regionali
 parimenti impositive di vincoli).
   In  materia  paesaggistica,  in  particolare,  le   amministrazioni
 "preposte  alla  tutela  del vincolo" vanno, secondo questo criterio,
 individuate in quelle regionali, tenendo conto della delega conferita
 nell'art.  82, nono comma, del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.  616,  come
 modificato  dall'art.  1 del d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito
 nella legge 8  agosto  1985,  n.  431.  Successivamente,  pero',  nel
 tentativo  -  come  si  legge  negli  atti  parlamentari - di rendere
 uniformi  nel  territorio nazionale i diversi criteri adottati per la
 formulazione di questo parere, demandato alle  regioni  (o  anche  ad
 enti  locali  subdelegati), l'art. 12 del d.-l. 8 maggio 1987, n. 178
 veniva a prescrivere che il predetto parere,  previsto  dall'art.  32
 citato,  "per  le aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale e'
 reso dal Ministero per i beni culturali e ambientali". Senonche',  la
 Corte  costituzionale,  con sentenza 9 marzo 1988, n. 302, dichiarava
 la illegittimita' costituzionale dello stesso articolo del  d.-l.  12
 gennaio  1988,  n.  2  (reiterativo  di  quello  n. 178 del 1987) per
 violazione degli artt.  117  e  118  della  Costituzione,  in  quanto
 contrastante  con  i  principi  individuati nella sentenza n. 151 del
 1986, che stabiliva che "l'intervento statale  soccorre  in  caso  di
 inerzia della regione, ovvero ad estrema difesa del vincolo".
   Nello  stesso arco di tempo, peraltro, anche in sede di conversione
 del decreto-legge n. 2 del 1988, si introducevano rilevanti modifiche
 al testo vigente, ed infatti la legge di conversione 13  marzo  1988,
 n.  68  ha disposto che "per le aree soggette a vincolo paesistico ai
 sensi  della  legge  29  giugno   1939,   n.   1497,   e   successive
 modificazioni,  e  del  d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con
 modificazioni,  dalla  legge  8  agosto  1985,  n.  431,  il   parere
 prescritto  dall'art.  32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985,
 n. 47 e' reso ai sensi del nono comma  dell'art.  82  del  d.P.R.  24
 luglio  1977, n. 616, come modificato dall'art. 1 del citato d.-l. 27
 giugno 1985 n. 312, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  8
 agosto 1985, n. 431".
   Si  ha  cosi',  per le sole aree soggette a vincolo paesistico, una
 disciplina speciale, derogatoria di quella generale sul condono degli
 immobili insistenti su aree soggette  a  vincolo,  che  risulta,  per
 quanto  attiene  al  sub-procedimento di formulazione del parere, dal
 "rinvio" alle norme del nono comma  del  citato  art.  82,  il  quale
 attribuisce  alle  regioni  (o anche agli enti locali subdelegati) la
 competenza all'emanazione del parere  in  questione,  restando  salvi
 peraltro  il potere sostitutivo del Ministro per i beni culturali, in
 caso di inerzia regionale,  nonche'  il  potere  di  annullamento  di
 ufficio del parere stesso.
   Lo  schema  procedimentale  previsto  dalla legge di conversione 13
 marzo 1988, n. 68, appare quindi coerente, sotto questo profilo,  con
 le  indicazioni della Corte costituzionale, che postulano un rapporto
 tra competenze statali e competenze regionali modulato alla luce  del
 principio  di  cooperazione, cui si adegua appunto lo strumento della
 concorrenza di poteri (cfr. ordinanza n. 1035 del 1988).
   E' in questo quadro, pertanto, che vanno esaminate  le  prospettate
 censure di illegittimita' costituzionale della norma impugnata.
   3.  -  Va premesso che, ai sensi del nono comma del citato art. 82,
 le amministrazioni sono tenute a dare  "immediata  comunicazione"  al
 Ministro  per  i  beni culturali del parere formulato e a trasmettere
 contestualmente la relativa documentazione. Si tratta di una  formula
 legislativa,  che  prescrive  la massima sollecitudine possibile, pur
 garantendo un minimo di  elasticita'  nella  successione  delle  fasi
 regolanti i reciproci rapporti tra organi non inseriti nella medesima
 organizzazione  burocratica,  ma  tuttavia  chiamati a cooperare, con
 spirito di lealta', in vista di un identico fine.
   Cio'  premesso,  non  sussiste  la pretesa violazione dell'art. 24,
 primo comma, della Costituzione, poiche'  la norma che  prescrive  la
 perentorieta'  dei  termini  assegnati all'amministrazione competente
 per provvedere, non  solo  conferisce  all'interessato,  in  caso  di
 inerzia  dell'amministrazione  stessa,  la  legittimazione  attiva  a
 tutelare in via giurisdizionale la propria situazione soggettiva,  ma
 gli  conferisce  anche  la  facolta'  di  rivolgersi  direttamente al
 Ministro per i beni culturali. In ogni caso, va tenuto  presente  che
 le  regole  sul  responsabile del procedimento  amministrativo, sulla
 partecipazione e sul  diritto  di  accesso  del  privato  interessato
 (previste  dalla  legge  7  agosto  1990, n. 241, nonche' dall'art. 7
 della legge 12 giugno 1990, n.  142) assicurano un'ampia  e  costante
 azione  di    rilevazione  e  controllo  ab  externo dell'adeguatezza
 dell'azione amministrativa tanto degli apparati statali quanto  delle
 autonomie    locali,    anche    in    carenza   di   una   specifica
 procedimentalizzazione  ex  lege  -  come  denuncia  l'ordinanza  del
 giudice  rimettente - della fattispecie normativa in oggetto. D'altra
 parte, anche  secondo  un    certo  indirizzo  giurisprudenziale  del
 Consiglio  di  Stato, l'eventuale tardivita' della trasmissione della
 documentazione  e'  imputabile  -   a   prescindere   da   eventuali,
 concorrenti  responsabilita',  anche di ordine penale, dei funzionari
 preposti - alle parti, nel cui interesse la trasmissione deve  essere
 eseguita,  le  quali  hanno  l'onere  di assicurarsi che ne sia stato
 curato il sollecito inoltro al Ministro per i beni culturali, qualora
 vogliano trarne gli effetti  sostanziali conseguenti.
   Sotto tutti questi  profili,  quindi,  appare  infondata  anche  la
 pretesa violazione dell'art. 97 della  Costituzione.
   Ne',  infine,  e'  sussistente  la violazione dell'art. 42, secondo
 comma,  della  Costituzione,  poiche'   -   indipendentemente   dalla
 constatazione  che  la  pretesa  compressione  dello  ius aedificandi
 riguarderebbe comunque
  soggetti, che aspirano al consolidamento del godimento di  fatto  di
 un'opera edilizia realizzata senza titolo, su area paesaggisticamente
 vincolata  e  in  modo  astrattamente  configurante  reato  -  e'  da
 ricordare che questa Corte, proprio in materia di tutela  dei  valori
 ambientali,   dei   quali   si  vuole  evitare  una  menomazione,  ha
 ripetutamente affermato che non e' illegittima la norma  che  preveda
 modi  di godimento del bene, preordinati ad assicurare, come nel caso
 di specie, un congruo collegamento  con  la  funzione  sociale  della
 proprieta' (sentenze n.  417  del 1995 e n. 379 del 1994).