ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo
 comma, della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
 penitenziario  e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
 della liberta') promosso con ordinanza emessa il 22 aprile  1996  dal
 magistrato  di  sorveglianza  di  Palermo nel procedimento relativo a
 Brandaleone Stefano, iscritta al n. 1236 del registro ordinanze  1996
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  23 aprile 1997 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  magistrato  di  sorveglianza  di  Palermo  solleva,   in
 riferimento  agli  artt.  3,  27,  secondo  e terzo comma, e 32 della
 Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 47-ter,  ultimo  comma,  della  legge  26  luglio 1975, n. 354 (Norme
 sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
 privative  e  limitative della liberta'), come modificata dalla legge
 10 ottobre 1986, n.  663, nella parte in cui prevede, per il caso  di
 denunzia  del condannato per il reato di evasione (art. 47-ter, comma
 8,  dell'ordinamento  suddetto),  la  "sospensione  automatica  della
 detenzione  domiciliare".   Premesso che il condannato aveva ottenuto
 l'ammissione a tale beneficio, da parte del competente  tribunale  di
 sorveglianza,  sulla  base dell'art.  47-ter, comma 1, n. 2 ("persona
 in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti
 contatti con i presidi sanitari territoriali"), "con  il  divieto  di
 allontanarsi dalla propria abitazione, ad eccezione degli spostamenti
 da  e  per  i  presidii  sanitari  territoriali, secondo le modalita'
 previamente concordate con il Centro di servizio sociale  per  adulti
 di  Palermo  e  con  obbligo di comunicazione all'organo di vigilanza
 dell'uscita e del rientro nell'abitazione", che il condannato  stesso
 viveva da solo in un "alloggio ubicato in un sottoscala costituito da
 una   sola  stanza  ...  sprovvisto  di  telefono,  con  problemi  di
 approvvigionamento idrico e carente delle  condizioni  obiettive  per
 poter cucinare i pasti" e che la denuncia era stata inoltrata perche'
 "in occasione di un intervento di vigilanza il detenuto non era stato
 trovato  all'interno dell'abitazione", essendosi, come riferito dallo
 stesso in occasione di altro sopralluogo  effettuato  due  ore  dopo,
 "allontanato  temporaneamente  per  effettuare  una  telefonata",  il
 magistrato rimettente  osserva  che  la  norma  impugnata  impone  al
 magistrato di sorveglianza una "acritica presa d'atto", che impedisce
 qualsiasi  apprezzamento  delle  circostanze concrete e delle ragioni
 che  possono  giustificare  o  meno   l'interruzione   della   misura
 alternativa in questione secondo i suoi presupposti ed i suoi fini.
   Violato  sarebbe  dunque, a parere del giudice a quo in primo luogo
 il principio di cui all'art. 27, secondo comma,  della  Costituzione,
 che   esclude   ogni   presunzione  di  colpevolezza,  in  quanto  la
 sospensione  della  detenzione  domiciliare  e'  legata   alla   mera
 comunicazione  della  notizia  di  reato,  determinando "una sorta di
 effetto   potestativo   nella   sfera   giuridica   del   denunciato,
 comprimendone  la  liberta'  personale", indipendentemente e prima di
 qualsiasi verifica, anche sommaria, della fondatezza della  denuncia,
 della  sussistenza  o  meno  di  giustificati motivi o di circostanze
 esimenti, nonche' al di fuori di qualsiasi  apprezzamento  in  ordine
 alle  esigenze  di  tipo cautelare che giustifichino il provvedimento
 restrittivo. Il tutto,  sottolinea  il  rimettente,  aggravato  dalla
 possibilita' che tale misura restrittiva si protragga anche per tempi
 lunghi, in attesa del definitivo esito giudiziario della denuncia per
 evasione  e  senza  che neppure esista un termine finale di efficacia
 del provvedimento  sospensivo,  a  differenza  di  quanto  e'  invece
 previsto  per  la  sospensione  cautelativa  delle misure alternative
 dall'art. 51-ter dello stesso Ordinamento penitenziario.
   La  norma  si porrebbe poi in contrasto con la funzione rieducativa
 della pena, giacche'  riconnette  l'automatico  effetto  interruttivo
 della  detenzione  domiciliare alla semplice denuncia per evasione, a
 prescindere dalla verifica circa  l'idoneita'  di  tale  condotta  ad
 interrompere  il  rapporto esecutivo ed il percorso risocializzativo,
 riabilitativo e terapeutico.
   Vulnerato sarebbe inoltre  l'art.  32  della  Costituzione,  attesa
 l'indifferenza  normativa  verso le conseguenze lesive del bene della
 salute che la sospensione  automatica  della  detenzione  domiciliare
 puo'  determinare  nei confronti di soggetti che - come il condannato
 nel caso di specie - versino in condizioni di salute  particolarmente
 gravi.
   Si   appaleserebbe,   infine,  un  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione  in  quanto  il  legislatore  riserva   un   trattamento
 irragionevolmente deteriore nell'ipotesi di denuncia per evasione del
 detenuto domiciliare, mentre, in presenza di denunce o in pendenza di
 procedimenti  per  reati  assai piu' gravi dell'evasione verificatisi
 nel corso della esecuzione, rimette la  valutazione  in  ordine  alla
 sospensione     cautelativa    della    misura    alternativa    alla
 discrezionalita' del magistrato di  sorveglianza  a  norma  dell'art.
 51-ter dell'ordinamento penitenziario.
   2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata non fondata. A
 parere della Avvocatura non sussiste violazione dell'art. 27, secondo
 comma, della Costituzione, in quanto la sospensione di  un  beneficio
 non  costituisce  di  per  se'  violazione  della  presunzione di non
 colpevolezza,   considerato   che   quel   principio   non    esclude
 l'applicazione  di  limitazioni  alla liberta' personale per i motivi
 previsti dall'ordinamento. Neppure violato sarebbe l'art.  27,  terzo
 comma,  della  Costituzione, in quanto lo stato di malattia legittima
 l'applicazione di misure alternative purche' ne siano  rispettate  le
 prescrizioni,    mentre    provvedimenti    restrittivi   "non   sono
 incompatibili di per se' con lo stato di  malattia,  conservando  pur
 anche finalita' educative". Per le stesse ragioni non sarebbe violato
 neppure  l'art.  32  della  Costituzione.  In merito, poi, al dedotto
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, conclude l'Avvocatura,  la
 peculiarita' che caratterizza nella specie il reato di evasione rende
 la previsione censurata "ben diversa da quella in cui si verifichi la
 commissione  di  altri  tipi  di  reato  per  i  quali,  mancando una
 connessione diretta con il modo di espiazione  della  pena,  bene  e'
 prevista una valutazione discrezionale del giudice".
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  magistrato  di  sorveglianza  di  Palermo,  ricevuta dal
 commissariato di pubblica sicurezza una  denuncia  per  il  reato  di
 evasione  ascritto  ad  un  condannato che fruiva del beneficio della
 detenzione domiciliare concessogli dal tribunale di  sorveglianza  a'
 sensi   dell'art.   47-ter,   comma   1,   n.   2,   dell'ordinamento
 penitenziario, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
 dello  stesso  art.  47-ter, ultimo comma, che a suo avviso impone di
 pronunciare l'immediata  sospensione  della  misura  alternativa  non
 appena perviene al magistrato di sorveglianza la notitia del reato di
 cui al comma ottavo dello stesso articolo.
   Il  giudice  rimettente  considera  che l'automatismo imposto dalla
 norma denunciata urti contro  quattro  norme  della  Costituzione,  e
 precisamente  contro  i  commi  secondo  e terzo dell'art. 27, contro
 l'art. 32 e contro l'art. 3.
   Il principio secondo cui "l'imputato non e'  considerato  colpevole
 sino  alla  condanna  definitiva" sarebbe violato da una disposizione
 che impone una misura restrittiva  della  liberta'  personale  (nella
 specie  il  trasferimento  in  carcere) di persona che non e' neanche
 imputata, ma soltanto denunciata, senza alcuna previa possibilita' di
 verifica giudiziale circa la fondatezza  della  notizia  stessa  (che
 potrebbe,  in  ipotesi,  provenire  anche da soggetti privati), circa
 l'esistenza  o  meno  di  giustificati   motivi   dell'allontanamento
 dall'abitazione  nel  quale  sia stato nella denuncia identificato il
 reato, circa  l'esistenza  o  meno  di  altre  circostanze  esimenti,
 nonche'   del  tutto  al  di  fuori  di  ogni  valutazione  circa  la
 sussistenza di esigenze cautelari che  giustifichino  il  trattamento
 piu'  restrittivo.  E  questa  situazione risulta ancora piu' grave -
 aggiunge il magistrato rimettente - quando si consideri la durata dei
 processi penali e il fatto che non sia neanche previsto (come  invece
 nell'art.  51-ter  dello stesso ordinamento penitenziario) un termine
 finale di efficacia del provvedimento sospensivo.
   Secondo il giudice a quo sarebbe anche violato il terzo comma dello
 stesso art. 27 perche' il denunciato  automatismo  della  sospensione
 contrasterebbe con la funzione rieducativa della pena, impedendo ogni
 verifica  circa  l'idoneita' della condotta denunciata (nella specie,
 allontanamento dall'abitazione per qualche ora)  ad  interrompere  il
 rapporto  esecutivo come stabilito nel provvedimento del tribunale di
 sorveglianza ed il relativo percorso risocializzativo,  riabilitativo
 e terapeutico intrapreso.
   Ancora,  sarebbe  violato  l'art.  32  della  Costituzione  quando,
 trattandosi, come nella specie, di condannato ritenuto dal  tribunale
 in  condizioni  di  salute particolarmente gravi, la cessazione dello
 stato di detenzione domiciliare  senza  alcun  accertamento  potrebbe
 indurre conseguenze lesive della salute, alle quali l'ordinamento non
 puo'  essere  indifferente sino al punto da anteporvi automaticamente
 la  violazione  del   bene   oggetto   della   norma   incriminatrice
 dell'evasione.  Il  magistrato  rimettente ricorda al riguardo che la
 particolare previsione del n. 2 del  primo  comma  dell'art.  47-ter,
 sottolinea come requisito della concessione del beneficio, oltre alle
 condizioni di salute particolarmente gravi, la necessita' di costanti
 contatti  con  i  presidi sanitari territoriali, contatti che possono
 imporre frequenti allontanamenti del soggetto dall'abitazione.
   Al riguardo l'ordinanza richiama la sentenza n.  186  del  1995  di
 questa  Corte,  che  nei  confronti  della  revoca  della liberazione
 anticipata, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo  l'art.  54,
 terzo  comma,  dell'ordinamento  penitenziario  in quanto esso legava
 automaticamente la revoca ad una condanna  per  delitto  non  colposo
 anziche' ad una valutazione di incompatibilita' della condotta con il
 mantenimento  del  beneficio.  A  fortiori  ogni automatismo dovrebbe
 essere escluso, ove sia in giuoco la salute del condannato.
   Infine  la  disposizione  denunciata  violerebbe  il  principio  di
 ragionevolezza  e di razionale uniformita' del trattamento normativo,
 come  risulterebbe  dal  confronto  del  suo  contenuto  con   quelli
 dell'art.   51-ter,   dello  stesso  ordinamento  penitenziario,  che
 sottopone la sospensione cautelativa delle  misure  alternative  (che
 puo'  essere  determinata anche dalla commissione di reati piu' gravi
 di  quello  di  evasione),  ad  una  valutazione  discrezionale   del
 magistrato  di  sorveglianza. Secondo tale disposizione il magistrato
 stesso provvede con decreto motivato ed e' previsto un termine finale
 di efficacia della sospensione ove non intervenga la revoca da  parte
 del tribunale.
   L'art.  51-ter,  gia'  ricordato nell'ordinanza del giudice a quo a
 proposito delle censure  sollevate  in  nome  dell'art.  27,  secondo
 comma,  della Costituzione, viene espressamente indicato, a proposito
 del  richiamo   all'art.   3   della   Costituzione,   come   tertium
 comparationis.
   2. - Il dubbio di costituzionalita' avanzato dal giudice rimettente
 sulla  base  dell'art.  3  della Costituzione, sotto il profilo della
 mancanza di uniformita' di trattamento del caso in esame  rispetto  a
 quanto   viceversa   disposto   dall'art.   51-ter   dell'ordinamento
 penitenziario, non e' fondato.
   Detto art. 51-ter, giova ricordare,  fu  inserito  nell'ordinamento
 penitenziario (originariamente fissato nella legge 26 luglio 1975, n.
 354)  con  la  stessa  legge 10 ottobre 1986, n. 663, con la quale fu
 introdotto l'istituto della detenzione domiciliare: la cui  menzione,
 accanto  a  quelle  dell'affidamento  in  prova al servizio sociale e
 dellasemiliberta', fu frutto di un emendamento  proposto  durante  la
 discussione delle varie innovazioni nel Senato della Repubblica (Atti
 Assemblea,   5   giugno   1986).   Una  disciplina  cosi'  fortemente
 differenziata stabilita in uno stesso contesto  normativo,  elaborato
 nel medesimo torno di tempo, non puo' non avere una sua ragione. E la
 ragione,  nonostante  il  silenzio  dei  lavori  preparatori,  e'  da
 rinvenirsi nella  forte  valenza  del  reato  di  evasione  (e  delle
 infrazioni  ad esso assimilate, come quella dell'allontanamento dalla
 propria abitazione, di cui al comma 8 dell'art. 47-ter) rispetto alle
 misure alternative consentite nel quadro  del  regime  penitenziario.
 L'evasione  (comprese  in  questa  le forme assimilatevi dalla legge)
 rappresenta una specifica rottura con tale regime  e  in  particolare
 con  i  presupposti  delle misure alternative.  E cio' giustifica una
 sua specifica considerazione da parte della legge, sia come causa  di
 sospensione  che  come  causa di revoca del trattamento stabilito dal
 tribunale di sorveglianza in alternativa  alla  detenzione.  In  tale
 contesto  una  comparazione  con la commissione di altri reati, anche
 piu' gravi  dell'evasione,  a  cui  puo'  dar  luogo  la  sospensione
 cautelativa  di  cui  all'art.  51-ter, non e' possibile.   La regola
 fissata nell'ultimo comma dell'art. 47-ter (sulla quale,  si  ripete,
 non  v'e'  traccia  - al di la' della proposta del relatore, senatore
 Gallo, approvata dal  Senato  e  poi  dalla  Camera  -  di  specifici
 interventi  nei  lavori parlamentari che precedettero la legge n. 663
 del  10  ottobre  1986)  fu  evidentemente  mutuata  da  quella  gia'
 esistente  sin  dal  1975 nell'art. 51 dell'ordinamento penitenziario
 relativamente alla semiliberta'. In quest'ultimo articolo,  l'assenza
 dall'istituto  penitenziario  senza  giustificato motivo per un tempo
 maggiore delle dodici ore da' luogo al delitto di evasione (art.  51,
 comma  terzo)  e  la denuncia per tale delitto importa la sospensione
 del beneficio, mentre la condanna per il delitto  stesso  importa  la
 revoca.
   Disconoscere    la    specificita'    dell'infrazione   consistente
 nell'evasione rispetto alle altre infrazioni di qualsiasi genere  non
 e'  possibile senza togliere al sistema penitenziario uno dei cardini
 del suo funzionamento.
   Sotto altro profilo non appare del  tutto  appropriato  neanche  il
 richiamo  che,  sempre a proposito del parametro costituito dall'art.
 3 della Costituzione, l'ordinanza del giudice a quo fa alla  sentenza
 n.   186   del   1995,   con   cui   questa   Corte   ha   dichiarato
 costituzionalmente    illegittimo    l'art.    54,    comma    terzo,
 dell'ordinamento  penitenziario  sostituendo,  come presupposto della
 revoca, alla condanna per delitto  non  colposo  commesso  nel  corso
 dell'esecuzione   della  pena  l'incompatibilita'  determinata  dalla
 condanna stessa con il mantenimento del beneficio.  A parte il  fatto
 che  l'art.  in  questione  riguarda  un  caso  di  revoca,  e non di
 sospensione,  il  beneficio   denominato   "liberazione   anticipata"
 consiste  in  detrazioni di pena che per lo piu' intervengono durante
 il corso dell'esecuzione e che  solo  in  alcune  situazioni  possono
 determinare,  di  fatto, in forza di quelle detrazioni, la cessazione
 del regime detentivo. La citata sentenza di questa  Corte  sottolinea
 la  valenza del tutto particolare che l'istituto suddetto e' chiamato
 a svolgere nella evoluzione del rapporto esecutivo e agli effetti del
 trattamento rieducativo, anche per la particolare collaborazione  che
 richiede  da  parte  del  condannato.  Tuttavia,  cio'  doverosamente
 premesso per rilevare la  differenza  tra  le  due  situazioni,  deve
 affermarsi  che  sarebbe auspicabile che il legislatore unificasse in
 relazione alle varie  misure  alternative  i  presupposti  sia  della
 sospensione  che  della  revoca,  devolvendo l'applicazione di questi
 istituti, pur tenendo rigorosamente conto di determinati  presupposti
 indicati  dalla legge, alla prudente valutazione del giudice riferita
 alla compatibilita' o meno con la  prosecuzione  della  prova:  cosi'
 come  la  legge  dispone  oggi  per  il  solo affidamento in prova al
 servizio sociale (art. 47, penultimo comma,  della  legge  26  luglio
 1975, n. 354).
   3.  -  Ma  se  non e' conferente la comparazione della disposizione
 denunciata con quanto stabilito  dall'art.  51-ter,  in  relazione  a
 cause  di sospensione diverse dalla denuncia per evasione, diversa e'
 invece la prospettiva aperta dall'ordinanza del  giudice  a  quo  sul
 piano  della ragionevolezza del sistema instaurato con la sospensione
 automatica della detenzione domiciliare.
   Prima di tutto e' da rilevare che anche nel sistema  dell'art.  51,
 relativo  alla  semiliberta',  il  reato di evasione mediante assenza
 dall'istituto penitenziario vede il proprio termine iniziale soltanto
 dopo dodici ore dal mancato rientro in istituto. Nelle  prime  dodici
 ore  di assenza scattano soltanto una punizione in via disciplinare e
 la  proposta  di  revoca  della  concessione  del  beneficio.   Nella
 sospensione  prevista  dall'ultimo  comma  dell'art. 47-ter non vi e'
 traccia di una simile differenziazione, e cio'  nonostante  il  fatto
 che  il  mancato  rientro in istituto nel caso della semiliberta' sia
 piu' significativo per la rottura unilaterale del rapporto  esecutivo
 di  quanto possa esserlo un allontanamento di poche ore dalla propria
 abitazione.  Il caso di cui all'ordinanza del giudice a quo, dove  la
 denuncia si riferiva ad un allontanamento durato non piu' di due ore,
 e' in proposito esemplare.
   Inoltre,  mentre  la  revoca,  prevista  nella  stessa disposizione
 denunciata (come  in  quella  dell'art.  51,  quarto  comma,  per  la
 semiliberta')  consegue ad una condanna, ed e' dunque preceduta da un
 completo accertamento giudiziale quanto meno sull'esistenza del reato
 in tutti i suoi estremi oggettivi e  soggettivi,  e  sulle  eventuali
 cause  di  giustificazione o di scusa, nulla del genere accade per la
 sospensione. In assenza di indirizzi giurisprudenziali interpretativi
 sul  punto  (essi  esistono  solo  limitatamente  alla  revoca  della
 semiliberta'),   questa   Corte   non  puo'  che  partire  dalla  non
 implausibile interpretazione della disposizione data  dal  giudice  a
 quo, il quale si ritiene assolutamente vincolato al presupposto della
 semplice denuncia di reato senza spazio per un accertamento, sia pure
 incidentale  e  limitato  alla  verifica  del  fumus boni iuris sulla
 esistenza del reato. E questo automatismo,  non  preceduto  da  alcun
 accertamento   giudiziale   neppure   in  via  di  delibazione,  urta
 indubbiamente contro il principio di ragionevolezza.
   4. - Alla luce  del  criterio  di  ragionevolezza  la  disposizione
 denunciata  a  questa Corte dal giudice a quo va peraltro vista anche
 con riguardo agli altri parametri costituzionali invocati: esclusione
 di presunzioni di  colpevolezza,  funzione  rieducativa  della  pena,
 tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo.
   La  questione  e' fondata sotto questi ultimi due aspetti (funzione
 rieducativa della pena e tutela della  salute individuale),  restando
 assorbita  ogni considerazione sul profilo relativo all'esclusione di
 presunzioni  di colpevolezza.
   5. - La misura alternativa alla  detenzione  denominata  detenzione
 domiciliare   e'   indubbiamente   caratterizzata  da  una  finalita'
 umanitaria ed assistenziale, come  rilevato  anche  da  questa  Corte
 (sentenza  n.    165  del  1996)    e  come  e'  sottolineato dal suo
 riconnettersi prevalentemente a condizioni di  salute  della  persona
 condannata  alla pena della reclusione non superiore a tre anni: art.
 47-ter,  comma 1, nn. 1), 2), 3) e in parte anche n. 4). Tuttavia non
 puo' negarsi che essa ha in comune con le altre misure alternative  -
 come avverte anche
  la  giurisprudenza  della  Corte di cassazione (e prima ancora - sia
 pure incidentalmente - la ordinanza n. 327 del 1989 di questa  Corte)
 -  la  finalita'  della  rieducazione e del reinserimento sociale del
 condannato. E alla possibilita' del raggiungimento di tale finalita',
 cosi' come ben puo'  guardarsi  nel  momento  della  concessione  del
 beneficio,  deve  indubbiamente guardarsi anche nel momento in cui si
 sia chiamati a procedere  alla  sospensione  del    trattamento.  Una
 brusca   ed   automatica   sospensione   di   tale  trattamento  puo'
 interrompere senza sufficiente ragione un percorso risocializzativo e
 riabilitativo;  si'  che  occorre  riconoscere  che  la   sospensione
 automatica,   senza      valutazione   delle   circostanze   in   cui
 l'allontanamento denunciato come reato e' avvenuto, confligge con  la
 finalita'  rieducativa  assegnata  dalla Costituzione ad ogni pena, e
 dunque anche alle misure alternative previste in seno all'ordinamento
 penitenziario.
   6. - La disposizione  denunciata  come  viziata  da  illegittimita'
 costituzionale  urta,  senza  dubbio,  anche  contro  l'art. 32 della
 Costituzione.
   L'istituto della detenzione domiciliare risponde indubbiamente -  e
 in  modo  primario  nella  maggior parte delle ipotesi previste dalla
 legge come presupposti della concessione -  anche  ad  una  finalita'
 volta   alla   protezione   della  salute  del  condannato.  Il  fare
 bruscamente  cessare tale regime, sulla base di una semplice denuncia
 (l'ordinanza ricorda che potrebbe trattarsi anche della  denuncia  di
 un  privato),  senza che il magistrato di sorveglianza possa vagliare
 la compatibilita' della traduzione in carcere con  le  condizioni  di
 salute  del  condannato  stesso,  e senza dare il tempo al competente
 tribunale di sorveglianza di valutare l'esperibilita' di altre misure
 in quei casi in cui queste  siano  ammesse  o  imposte  dalla  legge,
 rappresenta indubbiamente una lesione, o quanto meno un grave rischio
 di lesione, di un bene tutelato come fondamentale dalla Costituzione.
   7.  - Alla luce dei riferiti rilievi spettera' dunque al magistrato
 di sorveglianza verificare, caso per caso, se la  condotta  posta  in
 essere  dal  condannato,  ed in ordine alla quale e' stata presentata
 denuncia  per  il  delitto  di  cui  al  comma  8  dell'art.   47-ter
 dell'ordinamento    penitenziario,   presenti   le   caratteristiche,
 soggettive  ed  oggettive,  di  una  non  giustificabile  sottrazione
 all'obbligo  di non allontanarsi dalla propria abitazione o dal luogo
 altrimenti indicato ai sensi di detto art. 47-ter, disponendo  quindi
 soltanto in ipotesi di positivo riscontro la sospensione della misura
 alternativa.  Decisione, quest'ultima, che, proprio perche' derivante
 da  un  apprezzamento  di  merito   della   situazione   di   specie,
 necessariamente dovra' essere adottata con le forme del provvedimento
 motivato.