IL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI All'udienza preliminare del 18 marzo 1997, nell'emarginato procedimento a carico di Ostillio Giuseppe ed altri, decidendo sulla eccezione sollevata dalla difesa di Relleva Pietro, sentite le parti, ha emesso la seguente ordinanza. Formulata dal pubblico ministero, in data 26 aprile 1994, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Relleva Pietro per il reato di false dichiarazioni rese al pubblico ministero e quello di favoreggiamento personale, la difesa del Relleva, all'odierna udienza, ha fatto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma primo della legge 8 agosto 1995, n. 332, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude la sospensione obbligatoria del procedimento a carico di persona imputata del reato di cui all'art. 371-bis c.p. (false dichiarazioni rese al p.m.) fino alla definizione del giudizio di primo grado laddove l'azione penale (come nel caso di specie) sia stata esercitata prima dell'entrata in vigore della cit. legge (vale a dire il 23 agosto 1995). Ha osservato il difensore che laddove, come in questo caso, l'elemento discriminatore nell'applicazione di una garanzia processuale e' rappresentato dal mero dato temporale indipendente dalla dinamica processuale, la previsione di una diversa disciplina non risponde a quei criteri di ragionevolezza che la Corte cpstituzionale ha enucleato ed individuato per verificare il rispetto del principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 della nostra Costituzione repubblicana. Ebbene, non v'e' dubbio che l'introduzione della obbligatoria "sospensione del procedimento" nello spirito della miniriforma dell'agosto 1995, ha trovato fondamento nella esigenza di assicurare l'acquisizione di una prova orale il piu' possibile genuina e nella convinzione che tale acquisizione genuina possa essere garantita solo escludendo ogni possibile forma di "pressione", personale o processuale, nei confronti del teste indagato di aver reso false dichiarazioni al p.m. Di qui il divieto di arresto e l'obbligo della sospensione del procedimento (istituto, quest'ultimo, che mira ad evitare il rischio che la persona chiamata a deporre possa rendere dichiarazioni condizionate in qualche modo dalla pendenza del procedimento a suo carico, allineandosi artificiosamente alle posizioni dell'accusa). E' evidente che, indipendentemente dal fatto che l'azione penale sia stata esercitata prima o dopo l'agosto del 1995 (epoca di entrata in vigore della legge n. 332/1995), le posizioni processuali e sostanziali degli imputati del reato di cui all'art. 371-bis c.p. sono assolutamente identiche, cosi' che la disparita' di trattamento, ancorata ad un dato (entrata in vigore della legge) indipendente dalla dinamica del processo, cui ha dato luogo la norma in esame, non trova giustificazione alcuna e non appare compatibile non solo con il canone della ragionevolezza elaborato dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale (in relazione al quale l'eccezione e' stata sollevata), ma neppure con uno dei piu' consolidati principi di civilta' giuridica, quale quello della applicazione della norma piu' favorevole (tale essendo anche il semplice riconoscimento di una garanzia ulteriore a tutela dell'indagato/imputato) in caso di successione di norme. Diversamente si sarebbe argomentato ove mai la disposizione transitoria avesse scriminato le due situazioni sulla base di un dato concreto, quale ad esempio quello dell'avere gia' reso la deposizione. Chiarito, per le ragioni innanzi evidenziate, che la rilevanza della questione di costituzionalita' della norma e' in re ipsa, non essendo legata la sua interpretazione alla valutazione di fatti o circostanze singolari, ma all'astratta posizione processuale dell'imputato/indagato del reato di cui all'art. 371-bis c.p., cosi' che non e' possibile procedere oltre senza che sia stata prima accertata la compatibilita' della norma da applicare al nostro sistema costituzionale, e' fin troppo evidente che la irragionevole disparita' di trattamento alla quale si e' fin qui fatto cenno viola senz'altro il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), inteso in senso sostanziale.