IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Svolgimento del processo Con sentenza del 5 novembre 1992 il pretore di Ancona dichiarava il diritto dei ricorrenti alla cristallizzazione delle pensioni rispettivamente percepite a carico dell'INPS nell'importo corrisposto alla data del 30 settembre 1983 fino al riassorbimento conseguente alla rivalutazione automatica della pensione base e condannava l'INPS al pagamento in favore dei ricorrenti delle differenze fra quanto dovuto e quanto percepito, con interessi legali dalla maturazione dei singoli crediti e rivalutazione secondo gli indici ISTAT per la parte eccedente l'importo degli interessi legali; condannava inoltre l'INPS alla rifusione di un terzo delle spese legali. Avverso la sentenza ha proposto appello l'INPS; si sono costituiti in giudizio gli assicurati; all'odierna udienza questi ultimi hanno sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 commi da 181 a 183 della legge 662/1996, per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 25, 35, 36, 38, 101, 102, 103, 104 e 136 della Costituzione. Motivi della decisione Deduce l'Ente appellante che l'istituto della cristallizzazione dell'importo della pensione alla data di cessazione del diritto alla integrazione al minimo - previsto dall'art. 6, settimo comma, legge n. 638/1983 - e' riferito alla sola ipotesi di cessazione del diritto alla integrazione al minimo per superamento dei limiti di reddito, e non anche alla diversa ipotesi di cessazione del diritto alla integrazione al minimo in applicazione del principio di unicita' della integrazione stessa enunciato dal comma terzo dell'art. 6; la seconda pensione integrata al minimo deve essere invece corrisposta, secondo l'appellante, a calcolo, a decorrere dal 1 ottobre 1983. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 6 decreto-legge 463/1983 conv. in legge 683/1983 e dell'art. 11, comma 22, legge 537/1993 - quest'ultimo nel testo risultante da Corte Cost. 240/1994 - il titolare di due o piu' pensioni, tutte integrate o integrabili al minimo alla data del 30 settembre 1983, a cui competa il diritto alla integrazione al minimo della pensione individuata ai sensi del terzo comma dell'art. 6 decreto-legge 463/1993, ha diritto al mantenimento delle ulteriori pensioni nell'importo cristallizzato al 30 settembre 1983, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione base derivanti dalla perequazione automatica, purche' non superi i limiti di reddito indicati nel primo comma del medesimo art. 6. Inoltre, a norrna dell'art. 442 c.p.c. nel testo risultante dalla sent. Corte Cost. n. 156 del 1991 - applicabile fino alla entrata in vigore dell'art. 16, comma 6 legge 412/1991 - sulle somme di denaro per crediti previdenziali - fra cui devono essere ricomprese le integrazioni al minimo - sono dovuti gli interessi nella misura legale e l'eventuale maggior danno da svalutazione monetaria. La recente legge 23 dicembre 1996 n. 662 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"), all'art. 1, commi da 181 a 183, ha stabilito che: 1) il rimborso delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza della applicazione delle sentenze della Corte cost. 495/1993 e 240/1994, e' effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato; 2) che il rimborso avverra' in sei annualita', sulla base degli elenchi riepilogativi che gli enti provvederanno annualmente ad inviare al Ministero del tesoro; 3) che il diritto al pagamento degli arretrati spetta ai soli soggetti interessati ed ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla data del 30 marzo 1996; 4) che nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 non concorrono interessi e rivalutazione; 5) che la verifica del requisito reddituale e' effettuata non solo in relazione ai redditi del 1983, ma anche con riferimento ai redditi degli anni successivi; 6) che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, aventi ad oggetto le questioni di cui ai commi 181 e 182 dell'art. 1, sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti e i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restano privi di effetto. Il presente procedimento riguarda appunto il pagamento delle somme disciplinato dai commi 181 e 182 della sopra citata norma; gli appellati sono i "soggetti interessati"; di conseguenza, in applicazione della normativa sopra illustrata il procedimento dovrebbe essere dichiarato estinto, con compensazione di spese. La normativa in questione presenta elementi di contrasto con i principi costituzionali, come segnalati dalla difesa degli appellati. 1) Sussiste contrasto con l'art. 136 primo comma della costituzione. Secondo il combinato disposto dell'art. 136 predetto e dell'art. 30, terzo comma, legge 87/1953, la efficacia propria delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale preclude al legislatore di ripristinare la disciplina dichiarata illegittima per il periodo gia' trascorso; la normativa dichiarata incostituzionale puo' essere adottata dal legislatore solo per i rapporti successivi - e salvo ovviamente un nuovo sindacato di costituzionalita'. Nel caso in questione viene ripristinata dal legislatore per il passato la disciplina dell'art. 11 comma 22, legge 537/1993 nella parte dichiarata incostituzionale dalla sent. 240/199, con conseguente violazione del giudicato costituzionale. Inoltre - rispetto ai "soggetti interessati" - la citata sent. 240/1994 ha ritenuto costituzionalmente legittima la normativa secondo cui il diritto alla integrazione e' subordinato al mancato superamento dei limiti di reddito alla data del 30 settembre 1983, mentre la nuova normativa ha stabilito, anche per il passato, che il controllo del requisito reddituale vada effettuato per tutti gli anni rispetto ai quali e' richiesta la integrazione; anche in questo senso si individua dunque un contrasto con il giudicato costituzionale. 2) Le nuove norme in esame escludono che sulle somme maturate fino al 31 dicembre 1995 siano computati interessi legali e rivalutazione monetaria - che sarebbero altrimenti spettati a detti soggetti in forza del ricordato assetto normativo e giurisprudenziale; dispongono poi la estinzione ope legis del giudizio in corso; pongono in atto dunque un depauperamento della situazione patrimoniale degli interessati, con una totale vanificazione della tutela giurisdizionale e la violazione del diritto ad agire, stabilito dall'art. 24 della Costituzione. 3) La statuizione relativa alla "compensazione delle spese di giudizio" costituisce una ulteriore violazione dell'art. 24 della Costituzione, in quanto sottrae alla giurisdizione la decisione su un punto, sia pure accessorio ma comunque di valenza economica, della controversia. 4) La norma in esame introduce una deroga al diritto comune in materia di obbligazioni, ed in particolare agli artt. 1181 e 1197 cod. civ.: ed infatti da un lato - prevedendo la estinzione del debito in sei annualita' - impedisce al creditore di esigere tempestivamente l'intero credito; dall'altro - prevedendo che il rimborso sia effettuato mediante titoli del debito pubblico aventi libera circolazione - consente la estinzione della obbligazione mediante datio in solutum a prescindere dal consenso del creditore. Tale disciplina derogatoria - che risulta compressiva della situazione patrimoniale dei creditori, sottoposti anche all'alea delle oscillazioni dei titoli - ha come destinatari soltanto le categorie di pensionati a cui si riferisce la norma, senza alcuna razionale giustificazione; ne derivano seri dubbi di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiche' il sacrificio economico richiesto dalle esigenze del bilancio pubblico non e' in alcun modo equamente ripartito fra tutte le categorie di cittadini, ma e' anzi fatto gravare proprio sulle fasce piu' deboli - quelle che infatti hanno diritto alla integrazione al minimo - dei pensionati. 5) L'art. 3 della Costituzione risulta violato anche dalla disposizione che esclude la corresponsione di interessi e rivalutazione sugli importi maturati al 31 dicembre 1995. La esclusione di interessi e rivalutazione - dovuti, come sopra si e' esposto, su tutte le prestazioni previdenziali - soltanto per alcune categorie di crediti, ed in particolare proprio per quelli vantati dai pensionati delle fasce sociali piu' deboli coloro la cui pensione ha bisogno di essere integrata per raggiungere un importo ritenuto il minimo necessario a soddisfare in modo adeguato le esigenze di vita - costituisce un trattamento differenziato rispetto a quello riservato a tutti gli altri soggetti, senza che la differenza sia fondata su una razionale giustificazione. 6) La norma in esame, nella parte che stabilisce la esclusione di rivalutazione ed interessi sui crediti per la integrazione al minimo - integrazione che e' una componente non ancora liquidata della ordinaria pensione - maturati al 31 dicembre 1995, si pone inoltre in contrasto con l'art. 38 della Costituzione. La Corte costituzionale ha affermato (sentenza 156/1991) che l'art. 36 primo comma della Costituzione - di cui l'art. 429 c.p.c. e' espressione - e' applicabile, come parametro delle esigenze di vita del lavoratore, anche alle prestazioni previdenziali, tramite l'art. 38 secondo comma della Costituzione; che dunque la mancata previsione per i crediti previdenziali di una regola analoga a quella vigente per i crediti di lavoro costituisce violazione appunto dell'art. 38 della Costituzione, oltre che dell'art. 3 della Costituzione. Per tutte le ragioni esposte, ritenuta la rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale dei commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della legge 662/1996 sotto i profili sopra esposti, deve disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con i conseguenti adempimenti a carico della cancelleria.