ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  4,  comma  1,
 della   legge   30  dicembre  1986,  n.  943  (Norme  in  materia  di
 collocamento  e  di  trattamento   dei   lavoratori   extracomunitari
 immigrati   e  contro  le  immigrazioni  clandestine),  promosso  con
 ordinanza emessa il 21 settembre 1995 dal T.A.R.  del  Friuli-Venezia
 Giulia  sul  ricorso  proposto da Vladimorova Eva contro il Ministero
 dell'interno, iscritta al  n.  149  del  registro  ordinanze  1996  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 9, prima
 serie speciale dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12  marzo 1997 il giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio promosso da una cittadina bulgara per
 l'impugnazione   di  un  provvedimento  di  revoca  del  permesso  di
 soggiorno  per  motivi  di  famiglia,  il  tribunale   amministrativo
 regionale  per  il  Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza emessa il 21
 settembre 1995, pervenuta a questa  Corte  il  29  gennaio  1996,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli artt. 10, 30 e 31 della  Costituzione,  dell'art.  4,  comma  1,
 della   legge   30  dicembre  1986,  n.  943  (Norme  in  materia  di
 collocamento  e  di  trattamento   dei   lavoratori   extracomunitari
 immigrati  e contro le immigrazioni clandestine), "nella parte in cui
 non consente il ricongiungimento ad un figlio minore di un  cittadino
 extracomunitario   non   legato  all'altro  genitore  da  vincolo  di
 coniugio".
   Il giudice a quo premette in fatto che la ricorrente, che  convisse
 more  uxorio con altro cittadino extracomunitario, col quale ebbe una
 figlia, riconosciuta  da  entrambi  i  genitori,  aveva  ottenuto  un
 permesso di soggiorno per motivi di famiglia, in seguito revocato col
 provvedimento  impugnato,  poiche' la stessa ricorrente non risultava
 coniugata. Nell'atto introduttivo del giudizio a quo si sosteneva che
 l'art. 4 della legge n. 943 del 1986 - ai  cui  sensi  "i  lavoratori
 extracomunitari  legalmente  residenti  in  Italia  ed occupati hanno
 diritto al ricongiungimento con il coniuge  nonche'  con  i  figli  a
 carico non coniugati, considerati minori dalla legislazione italiana,
 i  quali  sonoammessi nel territorio nazionale e possono soggiornarvi
 per lo stesso periodo  per  il  quale  e'  ammesso  il  lavoratore  e
 sempreche'  quest'ultimo  sia  in grado di assicurare ad essi normali
 condizioni di vita" - si applica anche alle famiglie di fatto, e  che
 qualora la norma dovesse interpretarsi diversamente sarebbe contraria
 alla Costituzione.
   Il  remittente  afferma che l'impugnato provvedimento di revoca del
 permesso di soggiorno risulta conforme alla norma citata, poiche'  il
 termine  "coniuge"  in  essa  contenuto  fa riferimento ad un vincolo
 matrimoniale legittimo:  di  qui  discenderebbe  la  rilevanza  della
 questione  di  legittimita'  costituzionale  ai  fini della decisione
 definitiva   circa   la   sospensione    richiesta    (dopo    quella
 provvisoriamente  concessa  dallo  stesso  tribunale),  apparendo  il
 provvedimento fondato appunto su detta norma.
   Ad avviso del tribunale l'art. 4, comma 1, della legge n.  943  del
 1986,  ancorche'  inserito in una legge relativa al collocamento e al
 trattamento dei lavoratori extracomunitari, avrebbe l'ulteriore scopo
 di favorire la riunificazione delle famiglie: ma con questa finalita'
 contrasterebbe la limitazione del ricongiungimento ai soli figli nati
 nel matrimonio. Con cio' si realizzerebbe una discriminazione  tra  i
 figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori di esso, si limiterebbe
 il diritto-dovere dei genitori di educare i figli, e correlativamente
 il  diritto  dei  figli di essere accuditi da entrambi i genitori, in
 contrasto  con  gli  articoli  30  e  31  della  Costituzione;  e  si
 violerebbe  la  garanzia di speciale protezione dell'infanzia sancita
 dal citato art. 31.
   La disposizione sarebbe inoltre, sempre secondo il giudice  a  quo,
 in  contrasto  con  l'art. 10 della Costituzione, che garantisce allo
 straniero una tutela in conformita' ai trattati  internazionali:  fra
 questi  assumerebbe  rilievo  in particolare l'art. 8 (concernente il
 diritto della persona al rispetto della sua vita privata e familiare)
 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
 delle liberta' fondamentali, cui si e' data esecuzione con la legge 4
 agosto  1955,  n. 848; nonche' il principio sesto della dichiarazione
 dei diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1959),  secondo  cui
 "il  fanciullo,  per lo sviluppo armonioso della sua personalita', ha
 bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto  possibile,
 crescere  sotto  le cure e la responsabilita' dei genitori e, in ogni
 caso, in un'atmosfera di affetto e di sicurezza materiale  e  morale.
 Salvo  circostanze  eccezionali,  il  bambino in tenera eta' non deve
 essere separato dalla madre".
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  chiedendo  che la questione sia dichiarata inammissibile o
 comunque infondata.
   L'Avvocatura erariale osserva anzitutto che la  questione  andrebbe
 riconsiderata,  ai  fini della rilevanza, dal giudice a quo, dato che
 in materia di ricongiungimento sono sopravvenuti gli artt.  10  e  11
 del d.-l. 18 gennaio 1996, n. 22.
   Afferma  poi  che e' infondato il sospetto di una discriminazione a
 danno  dei  figli  nati  fuori  dal  matrimonio:  infatti  la   norma
 denunciata  considera il ricongiungimento con i figli minori a carico
 non coniugati, indipendentemente dal fatto che essi siano nati o meno
 nel matrimonio.   Quest'ultimo potrebbe venire  in  rilievo  solo  in
 relazione  al ricongiungimento con il coniuge, mentre la questione e'
 prospettata con riferimento ai figli minori: cio'  che  non  potrebbe
 non riflettersi sulla rilevanza della questione medesima.
   Parimenti,  secondo  la  difesa  del  Presidente  del Consiglio, si
 riflette sulla rilevanza la circostanza che nella specie non si e' in
 presenza  di  un  lavoratore  extracomunitario  residente  che  abbia
 chiesto  il  ricongiungimento  con  un  figlio minore da ammettere al
 soggiorno in  Italia,  ma  di  una  cittadina  extracomunitaria,  non
 legalmente  residente,  che  vorrebbe  essere ammessa al soggiorno in
 Italia per ricongiungersi ad una figlia minore, non a suo carico, che
 gia' vi soggiorna. Si verserebbe quindi nell'ambito di applicabilita'
 non gia' della norma denunciata, bensi' eventualmente dell'art. 2 del
 decreto-legge n.   416 del 1989, convertito dalla  legge  n.  39  del
 1990,  che  disciplina  l'ammissione  dei  cittadini  extracomunitari
 all'ingresso nel territorio nazionale.
   Ne' rileverebbe assumere  che,  se  l'interessata  fosse  unita  in
 matrimonio   con   il   padre  della  minore,  potrebbe  ottenere  il
 ricongiungimento al  coniuge  e  dunque  alla  figlia.  Infatti  tale
 assunto  avrebbe  potuto  venire  in rilievo solo nell'ipotesi, nella
 specie non ricorrente,  in  cui  fosse  il  convivente  more  uxorio,
 legalmente  residente  in  Italia  e  occupato, che avesse chiesto il
 ricongiungimento per la sua  convivente.    In  tale  caso  pero'  il
 sospetto   di   incostituzionalita'   riguarderebbe   i   limiti  del
 ricongiungimento col coniuge e percio'  potrebbe  venire  in  rilievo
 solo  in  un  giudizio  in  cui  di cio' si discutesse. In ogni caso,
 secondo l'Avvocatura, ai fini del ricongiungimento sarebbe diversa la
 situazione di coloro che sono uniti in matrimonio rispetto  a  quella
 di  coloro  che  versino in situazione di semplice convivenza, per di
 piu'  non  attuale,   come   e'   postulato   dalla   normativa   sul
 ricongiungimento.
   La  questione  sarebbe  dunque  inammissibile  e comunque infondata
 sotto il profilo degli artt. 30 e 31 della Costituzione,  mentre  del
 tutto   non   pertinente   sarebbe  il  richiamo  all'art.  10  della
 Costituzione medesima.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione sollevata investe l'art. 4, comma 1, della  legge
 30  dicembre  1986,  n.  943  (Norme  in materia di collocamento e di
 trattamento dei lavoratori  extracomunitari  immigrati  e  contro  le
 immigrazioni    clandestine),    che    regola    il    "diritto   al
 ricongiungimento" con il coniuge e con i figli minori non  coniugati,
 spettante  ai  lavoratori  extracomunitari  legalmente  residenti  in
 Italia ed occupati, alla sola condizione che questi siano in grado di
 assicurare ai congiunti normali condizioni di  vita;  ma  in  realta'
 evoca  una situazione che va al di la' di quella contemplata da detta
 disposizione,  e  che  riguarda  il  diritto   -   il   cui   mancato
 riconoscimento   fonda   la  censura  di  incostituzionalita'  -  del
 cittadino extracomunitario, privo di altro titolo di legale soggiorno
 in Italia, a rimanere nel territorio  nazionale  per  vivere  con  un
 figlio  minore  nell'ambito  della "famiglia di fatto" costituita con
 l'altro genitore - a sua volta legalmente residente in Italia  -  con
 il  quale non sia unito in matrimonio. Tale assenza di riconoscimento
 del diritto  alla  permanenza  nel  territorio  nazionale  appare  al
 giudice  remittente  in  contrasto  con  le norme degli artt. 30 e 31
 della Costituzione, che sanciscono l'eguale  tutela  dei  figli  nati
 fuori  dal matrimonio e la speciale protezione dell'infanzia, nonche'
 con l'art. 10, in relazione alle norme  convenzionali  internazionali
 che affermano il diritto alla protezione della vita familiare e delle
 relazioni affettive del minore.
   2.  - Non vi e' motivo per restituire gli atti al giudice a quo per
 una nuova valutazione della rilevanza, in relazione alla sopravvenuta
 emanazione del decreto-legge n. 22 del 1996, e dei successivi decreti
 legge che ne hanno reiterato la  disciplina.  Da  un  lato,  infatti,
 detti  decreti  sono tutti decaduti per mancata conversione in legge;
 dall'altro lato,  la  clausola  di  sanatoria  degli  effetti  e  dei
 rapporti  giuridici  sorti  sulla  loro  base, contenuta nell'art. 1,
 comma 1, della successiva legge 9 dicembre 1996, n. 617,  non  e'  in
 grado  di  incidere in alcun modo sulla rilevanza della questione nel
 giudizio a quo, posto che le modifiche  apportate  da  detti  decreti
 alla  disciplina  dei  ricongiungimenti familiari non riguardavano in
 alcun modo la situazione  dedotta  in  tale  giudizio.  Infatti  essi
 sostanzialmente  riprendevano,  quanto  al  contenuto  essenziale, il
 disposto dell'impugnato art. 4 della legge 30 dicembre 1986, n.  943,
 pur   estendendo  il  diritto  al  ricongiungimento  ai  "cittadini",
 anziche' ai soli "lavoratori", extracomunitari  legalmente  residenti
 in  Italia,  e  dettando  una  disciplina  parzialmente diversa delle
 condizioni per il ricongiungimento con  il  coniuge  e  con  i  figli
 minori.
   3.  -  L'eccezione  di irrilevanza della questione, sollevata dalla
 difesa del Presidente del Consiglio, non merita accoglimento.
   E' ben vero, infatti, che - come si e' accennato  -  la  situazione
 della  ricorrente  nel  giudizio  a quo e' diversa da quella presa in
 considerazione dalla norma denunciata,  e  che  lo  stesso  impugnato
 provvedimento  di  revoca del permesso di soggiorno non si identifica
 con un provvedimento di diniego del ricongiungimento, e non si  fonda
 direttamente  sull'art.  4,  comma 1, della legge n. 943 del 1986, ma
 piuttosto  sull'asserita  erroneita', nella specie, di un permesso di
 soggiorno   per   motivi   familiari   rilasciato   alla    cittadina
 extracomunitaria non coniugata.
   Ma  e'  altrettanto  vero  che la situazione giuridica fatta valere
 dalla ricorrente nel giudizio dinanzi al TAR altro non  e'  che  quel
 "diritto  al  ricongiungimento"  - visto ex parte dello straniero che
 intenda  raggiungere  nel  territorio  italiano  il   familiare   ivi
 legalmente  residente  -  che  proprio  e  solo  la  norma  impugnata
 contempla, ma appunto esclusivamente in capo al coniuge  e  ai  figli
 minori  dello straniero legalmente residente, non prevedendolo invece
 in capo al genitore di figlio minore a sua volta legalmente residente
 in Italia con l'altro genitore, al primo non  coniugato  ma  con  lui
 convivente  more  uxorio,  nell'ambito  dunque  di  una  "famiglia di
 fatto".
   In effetti il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno,  e
 dunque  il  diniego  del titolo a permanere nel territorio nazionale,
 adottato a carico della ricorrente, e' motivato dal  fatto  che  essa
 "e'  nubile  e  non ha qui formato una famiglia, ne' ci sono elementi
 per ritenere che intenda farlo in futuro"; e' cioe' motivato  proprio
 in  relazione  alla  differenza che sussiste tra coniuge e convivente
 more uxorio, prescindendo del tutto dalla presenza  di  figli  minori
 che  vivano o per i quali si chiede che possano vivere con entrambi i
 genitori, nell'ambito della stessa "famiglia di fatto".
   Appare quindi sostanzialmente corretta la motivazione  con  cui  il
 giudice a quo ha sostenuto la rilevanza della questione, con la quale
 si denuncia l'esistenza di una lacuna nella norma vigente sul diritto
 al  ricongiungimento, e dunque al soggiorno nel territorio nazionale,
 dei congiunti dello straniero legalmente residente in Italia. Essendo
 il citato art. 4 della legge  n.  943  del  1986  l'unica  norma  che
 disciplina  tale  diritto al ricongiungimento, e' proprio ad esso che
 va riferita la censura di incompletezza.
   Altre sono  infatti  le  finalita'  e  la  ratio  delle  norme  che
 prevedono  il  rilascio  di  permessi  di  soggiorno  "per  motivi di
 famiglia", come l'art. 2 del d.-l. 30 dicembre 1989, n. 416: il quale
 - come la Corte ha osservato nella sentenza n. 28 del  1995,  proprio
 al  fine  di  respingere  una  analoga eccezione di irrilevanza della
 questione   allora   sollevata   -   lascia   alla   discrezionalita'
 dell'amministrazione   l'apprezzamento   della  consistenza  di  tali
 motivi, e non collega la durata del permesso di  soggiorno  a  quella
 del legale soggiorno del familiare rispetto a cui il ricongiungimento
 si opera (e anzi prevede che il permesso possa avere durata inferiore
 a  due  anni  quando  e'  concesso  "per  visite a familiari di primo
 grado": art. 2 cit., comma 4, secondo periodo).
   Nella specie, cio' che viene in considerazione non sono, viceversa,
 i parametri normativi offerti  dall'ordinamento  per  l'uso  di  tale
 potere  discrezionale  dell'amministrazione,  ma  un  vero  e proprio
 diritto fondamentale  - in ipotesi illegittimamente  disconosciuto  -
 del  genitore  straniero  di  figlio  minore  legalmente residente in
 Italia  con  l'altro  genitore,  non  legato  al  primo  da   vincolo
 matrimoniale,  ad entrare e rimanere nel territorio nazionale al fine
 di poter realizzare e mantenere quella comunita' di vita fra figli  e
 genitori,  che e' appunto l'oggetto sostanziale del diritto invocato.
 Ed e' in  questa  prospettiva  che  la  Corte  ritiene  debba  essere
 esaminata la questione  sollevata.
   4. - Nel merito, la questione e' fondata.
   Questa  Corte ha gia' avuto modo di affermare che la garanzia della
 "convivenza  del   nucleo   familiare"   si   radica   "nelle   norme
 costituzionali   che   assicurano   protezione  alla  famiglia  e  in
 particolare, nell'ambito di questa,  ai  figli  minori";  e  che  "il
 diritto  e  il  dovere  di  mantenere, istruire ed educare i figli, e
 percio' di tenerli con se', e il diritto dei  genitori  e  dei  figli
 minori  ad una vita comune nel segno dell'unita' della famiglia, sono
 (...) diritti fondamentali della persona che percio' spettano in  via
 di  principio  anche agli stranieri", cui si riferisce l'art. 4 della
 legge n. 943 del 1986 (sentenza n. 28 del 1995).
   Nella specie  allora  decisa,  l'affermazione  di  questi  principi
 (unitamente   al   richiamo   al  carattere  generale  del  principio
 costituzionale di tutela del lavoro "in tutte le sue forme",  di  cui
 all'art.  35  della  Costituzione)  condusse la Corte ad interpretare
 l'art. 4 citato nel senso che il diritto al ricongiungimento  con  il
 figlio  minore  residente  all'estero  riguarda  anche  gli stranieri
 legalmente residenti che  in  Italia  svolgano  attivita'  lavorativa
 nell'ambito della propria famiglia.
   La  presente  questione  riguarda  un  profilo  in  un  certo senso
 simmetrico:  e' il genitore straniero di un figlio minore  legalmente
 residente  in  Italia  con  l'altro  genitore che invoca il diritto a
 ricongiungersi con il figlio.
   In entrambi i casi, tuttavia, vengono in  considerazione  tanto  il
 diritto  fondamentale  del  minore a poter vivere, ove possibile, con
 entrambi i  genitori,  titolari  del  diritto-dovere  di  mantenerlo,
 istruirlo  ed  educarlo; quanto il conseguente diritto dei genitori a
 realizzare il ricongiungimento con il figlio.
   Tali diritti sono violati da una disciplina normativa che, ai  fini
 del  ricongiungimento,  ignora  la  situazione di coloro che, pur non
 essendo coniugati, siano titolari dei diritti-doveri derivanti  dalla
 loro  condizione  di  genitori.  La situazione, dunque, alla quale si
 collega il diritto al ricongiungimento familiare  qui  affermato  non
 concerne il rapporto dei genitori fra di loro, bensi' il rapporto tra
 i   genitori   e   il   figlio   minore,  in  funzione  della  tutela
 costituzionale di quest'ultimo.
   5. - La Corte ha gia' osservato che la  legge  puo'  legittimamente
 sottoporre  l'esercizio  del diritto al ricongiungimento a condizioni
 volte ad assicurare  "un  corretto  bilanciamento  con  altri  valori
 dotati  di  pari  tutela costituzionale" (sentenza n. 28 del 1995), e
 cosi' alla condizione che sussista la possibilita' di  assicurare  al
 familiare,  con  cui si opera il ricongiungimento, condizioni di vita
 che consentano un'esistenza libera e dignitosa. In tal senso,  com'e'
 noto,  provvede  proprio  l'art.  4  della legge n. 943 del 1986, che
 subordina il diritto  al  ricongiungimento  alla  condizione  che  lo
 straniero  residente  legalmente in Italia sia in grado di assicurare
 al familiare "normali  condizioni  di  vita".  Nel  caso  in  cui  il
 ricongiungimento  riguardi  il  genitore  straniero  di figlio minore
 legalmente residente in Italia, la medesima condizione potra'  essere
 assolta   sia  attraverso  le  disponibilita'  economiche  dell'altro
 genitore, sia attraverso le eventuali  disponibilita'  economiche  di
 cui  possa  godere  il  medesimo  genitore  straniero  che  chiede di
 ricongiungersi al figlio minore.
   6. - Restano assorbiti gli altri profili della questione sollevata.