IL PRETORE A scioglimento della riserva 29 aprile 1997 nei procedimenti riuniti n. 46/1996 e 58/1996 pendenti tra Pavani Iros, elettivamente domiciliato in Rovigo, via Verdi n. 19 presso la Camera del Lavoro, rappresentato e difeso dall'avvocato Giancarlo Moro e Pozzati Verniciature S.r.l., elettivamente domiciliata in Santa Maria Maddalena, Piazza Maggiore n. 12, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Furlani, ha pronunciato la seguente ordinanza di promovimento del giudizio della Corte costituzionale in ordine all'art. 22, comma 36 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 con riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Sulla rilevanza della questione 1. In processo che vede opposti il lavoratore dipendente Pavani Iros e la societa' Pozzati Verniciature S.r.l. avente ad oggetto il pagamento della retribuzione del mese di maggio 1995 e il trattamento di fine rapporto maturato alla data di cessazione dello stesso in data 16 maggio 1995, importi dei quali e' richiesta condanna comprendente rivalutazione monetaria ed interessi legali ai sensi dell'art. 429 c.p.c. e 150 disp. att. c.p.c. viene in rilievo l'applicazione dell'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 il quale dispone: "L'art. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991, n. 412, si applica anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attivita' di servizio o in quiescenza". La norma, attraverso il richiamo all'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, introduce anche per "gli emolumenti di natura retributiva... spettanti ai dipendenti privati" la regola della non cumulabilita' di interessi legali e rivalutazione monetaria, riconducendo la disciplina del ritardo nel pagamento nell'alveo della responsabilita' contrattuale per inadempimento di obbligazioni pecuniarie (sull'interpretazione dell'art. 16, comma 6 nel senso della non cumulabilita' di interessi e rivalutazione e' costante l'orientamento della Corte di cassazione: Cass. 30 maggio 1995, n. 6019, 1 settembre 1995, n. 9243 ed altre) pur con il correttivo dell'automaticita' del risarcimento. Pur non operando una abrogazione esplicita dell'art. 429, comma 3 c.p.c., interpretato costantemente dal Supremo Collegio e dalla giurisprudenza di merito nel senso della possibilita' di cumulo tra gli interessi e la rivalutazione, la norma realizza per i dipendenti privati una implicita abrogazione della normativa del codice di rito, essendo logicamente incompatibili la possibilita' di cumulo e la non cumulabilita' di rivalutazione ed interessi. La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel processo: infatti, pur essendo pacifico nella controversia che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore la retribuzione del mese di maggio 1995 ed il trattamento di fine rapporto, cessato il 16 maggio 1995, crediti retributivi maturati quindi dopo il 31 dicembre 1994, la domanda di condanna alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali non appare accoglibile in toto per effetto dell'applicazione della norma impugnata. Sulla non manifesta infondatezza della questione 2. - La questione di legittimita' costituzionale non e' manifestamente infondata. La norma appare in contrasto con il principio di ugaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione in quanto tratta diversamente i dipendenti privati (e pubblici) dagli altri lavoratori, non dipendenti, compresi nell'elencazione di cui all'art. 409, n. 2 e 3 c.p.c. ai quali per giurisprudenza costante della Corte di cassazione si applica il regime di cui all'art. 429, comma 3 c.p.c. (Cass. s.u. 22 febbraio 1994, n. 1682 sui contratti associativi agrari; Cass. 30 marzo 1994, n. 3105, tra le tante in materia di lavoro parasubordinato). Poiche' l'art. 22 in esame fa riferimento specifico ai "dipendenti privati", esso non appare estensibile ad altre categorie di lavoratori non legati da rapporto di lavoro dipendente: ne consegue che per i rapporti di cui all'art. 409, n. 2 e n. 3 c.p.c. il credito maturato dal lavoratore andrebbe maggiorato di rivalutazione ed interessi, mentre il credito maturato dal lavoratore subordinato andrebbe aumentato dei soli interessi legali il cui importo e' portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subi'to dal titolare per la diminuzione di valore del credito, con conseguente violazione del principio di uguaglianza. 2.1. - La norma appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione anche sotto il profilo della non ragionevolezza. Il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione e' infatti previsto per gli emolumenti di "natura retributiva" dei lavoratori dipendenti, ove la puntualita' del dettato normativo sembra escludere l'applicazione ai crediti non retributivi, quali ad esempio rimborsi spese, indennita', premi non continuativi. All'interno della stessa categoria dei lavoratori subordinati, godrebbero quindi del regime della cumulabilita' alcuni crediti ed altri no, con assetto piu' sfavorevole proprio per i crediti direttamente remunerativi della prestazione di lavoro, cio' che non appare disciplina razionale. 3. - La norma appare in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, in quanto il cumulo tra interessi rivalutazione risponde alla finalita' di difendere, da una parte, il potere di acquisto della moneta destinata a soddisfare le esigenze di vita del lavoratore e della famiglia e dall'altra a compensare il lavoratore del ritardo nel pagamento della retribuzione; tale regime costituisce attuazione dell'art. 36 della Costituzione (Corte cost. n. 156/1991; n. 207/1994) con il quale conseguentemente la norma impugnata si pone in contrasto.