ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  274,  primo  e
 secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14
 novembre   1995   dal  tribunale  per  i  minorenni  di  Napoli,  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Candelmo  Tommasina   e   Petito
 Francesco,   iscritta  al  n.  331  del  registro  ordinanze  1996  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  maggio 1997 il giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   Nel corso di un  giudizio  di  ammissibilita'  dell'azione  per  la
 dichiarazione  giudiziale  di paternita' naturale, il tribunale per i
 minorenni di Napoli, con ordinanza emessa il  14  novembre  1995,  ha
 sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione,
 questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  274,  primo  e
 secondo  comma,  del  codice civile, nella parte in cui non limita il
 giudizio di ammissibilita' dell'azione di dichiarazione giudiziale di
 paternita' e maternita' naturale all'esame dell'interesse del minore.
   Il giudice rimettente, dopo aver premesso che la ratio del giudizio
 di ammissibilita' in esame  deve  individuarsi  nella  necessita'  di
 evitare  che  siano  intentate  azioni  temerarie  o ricattatorie nei
 confronti della parte convenuta, osserva che la  norma  non  e'  piu'
 rispondente  alla  funzione  cui  essa  e'  preordinata, in quanto le
 attuali conoscenze scientifiche consentono di raggiungere la certezza
 assoluta della  paternita'  biologica.  La  previsione  di  una  fase
 preliminare  di ammissibilita' dell'azione, nella quale devono essere
 acquisiti e valutati  elementi  probatori  circa  la  sussistenza  di
 specifiche  circostanze  tali  da  far apparire giustificata l'azione
 medesima,  determina,  ad  avviso  del  tribunale   rimettente,   una
 irragionevole  limitazione  del  diritto  dei  minori  ad ottenere il
 riconoscimento, in quanto esso viene  ad  essere  subordinato  ad  un
 giudizio,  nel  quale si ha riguardo non unicamente all'interesse del
 minore medesimo, bensi' agli elementi di prova  che  le  parti  siano
 state  in  grado  di  offrire  e  alla  valutazione degli stessi, con
 conseguente lesione dei principi costituzionali a tutela dei minori.
                         Considerato in diritto
   1.  -    Il  tribunale  per  i   minorenni   di   Napoli   denuncia
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma,
 del  codice  civile,  nella  parte  in  cui non limita il giudizio di
 ammissibilita' dell'azione per la dichiarazione di  paternita'  o  di
 maternita' naturale all'esame dell'interesse del minore.
   Ad  avviso del giudice a quo la suddetta norma sarebbe in contrasto
 con gli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, poiche', oltre a mancare
 di razionalita', non essendo piu' rispondente alla  funzione  cui  e'
 preordinata,   limita   il   diritto   dei   minori  ad  ottenere  il
 riconoscimento, subordinandolo ad un preventivo  giudizio  basato  su
 valutazione  di  prove  che  non  sempre  le  parti  sono in grado di
 offrire, anziche' esclusivamente sull'esame dell'interesse dei minori
 medesimi.
   2. - La questione non e' fondata.
   Il tribunale rimettente solleva il dubbio che la previsione di  una
 fase  preliminare  di  ammissibilita',  cosi'  come oggi configurata,
 determini una limitazione del diritto del minore  al  riconoscimento,
 ritenendo   che   nel   giudizio  in  esame  debbano  necessariamente
 acquisirsi  prove   testimoniali   o   documentali   di   particolare
 consistenza da porre a sostegno della declaratoria di ammissibilita',
 tali  da provocare grave pregiudizio nel caso di mancato assolvimento
 al predetto onere.
   La  premessa  interpretativa  da cui muove il rimettente non sembra
 pero' tener conto del consolidato orientamento  della  giurisprudenza
 di  legittimita', pur citato nell'ordinanza di rimessione, secondo il
 quale, ai fini  della  pronuncia  di  ammissibilita'  dell'azione  in
 oggetto,  non si richiede l'esistenza di prove aventi efficacia piena
 e assoluta, ma e' ritenuto sufficiente il concorso di elementi  anche
 di  tipo  presuntivo, che siano potenzialmente idonei "a far apparire
 l'azione verosimile e non priva  di  fondamento"  (Cass.  3  febbraio
 1990,  n.  737);  tanto  che,  secondo  la  situazione  concreta,  la
 pronuncia  di  ammissibilita'  puo'  essere   fondata   anche   sulle
 affermazioni  della  parte  ricorrente.  Ancora  si  e'  affermato in
 giurisprudenza che non vi e' alcun obbligo per il giudice di assumere
 le informazioni del caso,  ove  egli  ritenga  di  pervenire  ad  una
 declaratoria  di  ammissibilita'  in  forza  delle  sole  circostanze
 dedotte.
   L'applicazione  giurisprudenziale  della  norma  censurata  esclude
 quindi  che  da  essa  possa  derivare  il pregiudizio lamentato e di
 conseguenza esclude ogni censura di incostituzionalita'.
   3. - In riferimento, poi, al profilo della pretesa irragionevolezza
 della  norma,  che,  ad  avviso  del  rimettente,  non  sarebbe  piu'
 rispondente  allo  scopo  cui e' preordinata, onde il procedimento in
 esame dovrebbe essere limitato alla mera  valutazione  dell'interesse
 del  minore  al  riconoscimento,  questa  Corte ha gia' avuto modo di
 affermare che l'esame di tale interesse  costituisce  una  componente
 essenziale   dell'oggetto   del   giudizio   di  ammissibilita',  non
 incompatibile con le ragioni di tutela del convenuto, cui e' ispirata
 la norma stessa, in quanto "la veridicita' del  preteso  rapporto  di
 filiazione  col  convenuto, del quale il giudice deve in questa prima
 fase controllare l'esistenza di seri  indizi,  e'  pure  un  elemento
 dell'interesse del minore" (sentenza n. 341 del 1990).
   E'  quindi  compito precipuo del tribunale per i minorenni, cui del
 resto  e'  stata  attribuita  la   relativa   specifica   competenza,
 verificare  se  la  modifica  dello status del minore risponda al suo
 interesse  e  non  sia   per   lui   di   pregiudizio;   cosi'   come
 contemporaneamente  occorre  anche  verificare, sia pure con sommaria
 delibazione, la verosimiglianza del preteso rapporto  di  filiazione,
 dovendosi  garantire  il  diritto  del  minore alla propria identita'
 (sentenza n. 112 del 1997).
   Il procedimento in esame  e'  ispirato  pertanto  a  due  finalita'
 concorrenti  e  non in contrasto tra loro, essendo posto a tutela non
 solo  del  convenuto  contro  il  pericolo  di  azioni  temerarie   e
 ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta
 nell'affermazione  di  un  rapporto  di  filiazione veridico, che non
 pregiudichi la formazione e lo sviluppo della propria personalita'.
   I profili di incostituzionalita' dedotti dal giudice  a  quo  sono,
 per le indicate ragioni, insussistenti.