IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza; letti gli atti del fascicolo n. 30175.95 r.g. e 1602/93 r.g.n.r., riguardanti il procedimento penale a carico di Carnevali Remo, nato a Serra S. Quirino il 13 aprile 1965 ed ivi residente, via S. Giovanni n. 1. Premesso che nel predetto procedimento a carico del Carnevali Remo, dopo essersi proceduto ad una compiuta istruzione dibatimentale, sentendo testi ed ammettendo la produzione di documenti, fra i quali una dichiarazione del Centro di accoglienza associazione "La Speranza", con la quale si dava conto che l'imputato era inserito in regime residenziale presso il centro comunitario dal 14 aprile 1995, per un programma psicoterapeutico di recupero dalla durata di circa due anni; che alcuni dei testi sentiti, nonche', in maniera piu' precisa lo stesso imputato, dichiaravano che il Carnevali nel periodo in cui sono stati contestati i fatti oggetto dell'imputazione era soggetto dedito all'alcool ed agli stupefacenti, ed era sovente in preda agli effetti di tali sostanze (anzi, per la precisione l'imputato sottolinea essersi trattato di un periodo di "buio assoluto" nella propria vita in cui i ricordi sono pressoche' nulli); che sulla base di cio', veniva eccepito lo stato di cronica intossicazione sia da alcool che da sostanze stupefacenti, ed il pretore provvedeva a disporre perizia sul punto. Tanto premesso, all'udienza del 3 marzo 1997 il perito prof. Froldi, titolare della cattedra di tossicologia forense presso l'Universita' di Macerata, rispondeva ai quesiti a lui posti specificando che, non avendo potuto visionare, perche' non esistente, alcun riscontro di natura clinica o di altra natura sullo stato del Carnevali nel periodo preso in considerazione, non era in grado di rispondere in alcun modo ai quesiti propostigli, e cioe' in sostanza se il Carnevali fosse o meno in istato di cronica intossicazione nel periodo in cui sono stati contestati i fatti criminosi. Precisava il cattedratico che i tipi di riscontro ai quali faceva riferimento erano, per l'appunto, i referti clinici, quelli relativi ad analisi di laboratorio e, laddove non fosse passato molto tempo, anche l'esame dei capelli del periziando. Mancando, come detto, referti clinici e di laboratorio ed essendo anche passato un periodo di tempo eccessivo anche per poter esperire l'analisi del capello, il semplice esame clinico "ora per allora" non poteva dar luogo ad alcun risultato certo. A maggiore chiarimento della propria risposta, tuttavia il perito precisava che uno stato di cronica intossicazione da alcool o da stupefacenti puo' anche essere reversibile nei seguenti termini: tanto piu' un soggetto e' giovane (e pertanto, in migliori condizioni fisiche generali) tanto piu' lo stato di cronica intossicazione avra' possibilita' di reversibiliita', la quale d'altro canto sara' tanto piu' frequente quanto "meno grave" sara' lo stato d'intossicazione. Altre variabili decisive ai fini della diagnosi erano costituite, secondo la valutazione del perito, dal tipo di sostanza Concludeva il perito affermando trattarsi di elementi discriminanti validi tanto per la diagnosi richiesta quanto per fissare lo spartiacque tra la cronica intossicazione e l'abituale assunzione di alcool o sostanze stupefacenti Tali essendo le conclusioni del perito, osserva questo pretore innanzitutto che la breve esposizione di cui sopra non concorda affatto con quanto costituisce jus receptum secondo numerose e mai difformi sentenze della Cassazione a partire dagli anni 40 e 50 (ed ancora prima, a partire dalla stessa relazione al codice penale) per arrivare sino ai tempi attuali. Secondo tale orientamento,com'e' noto, la cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti deve avere, per rilevare ai sensi dell'art. 95 c.p., caratteristiche di permanenza. Inoltre, il principale criterio di distinzione tra l'intossocazione cronica e lo stato di cui all'art. 94 c.p. sempre secondo tale orientamento costante, starebbe nel fatto che mentre la prima costituisce uno stato non reversibile, lo stato di cui all'art. 94 c.p. avrebbe per l'appunto la caratteristica di non essere irreversibile. Giova invece notare come la relazione peritale trovi ampio riscontro con le posizioni di gran parte della scienza medico-legale nonche' della dottrina penalistica. Si osserva, tra l'altro, da parte di taluni autori medico-legali, che uno stato permanente ed irreversibile di alterazione cerebrale non si ravvisa che nella rara demenza alcolica. Al contrario, quelle psicosi alcooliche che piu' frequentemente insorgono nel corso dell'intossicazione cronica (delirium tremens, allucinosi, ecc.) sono suscettibili di guarigione, anche in breve periodo di tempo. Altri autori medici osservano, con riguardo all'azione degli stupefacenti, che la definizione stessa di "intossicazione cronica da sostanze stupefacenti" non ha ragion d'essere, in quanto non si rinviene una sindrome strutturale connessa con l'azione del tossico. Non e' infatti in essa riscontrabile una patologia di rilievo somatico, psicologico e psichiatrico con caratteristiche di permanenza ed osservabile anche oltre la cessazione dell'abuso, dando luogo a parametri di rilievo nosografico. Piu' in generale, e da sempre, e' stata rilevata l'inutilita' della disposizione di cui all'art. 95 c.p., tanto che lo stesso legislatore, nella "Relazione al Re" si credette in dovere di precisare, in merito, che "la disposizione trova la sua ragion d'essere nell'intento di distinguere l'intossicazione acuta dalla cronica, la quale soltanto e' equiparabile all'infermita' mentale: comunque l'articolo ha valore di interpretazione autentica e, come tale, non puo' ritenersi superfluo". Non ritiene questo Pretore che possa risolversi il problema insorto ne' facendo ricorso al disposto dell'art. 530, terzo comma c.p.p. ne' ricorrendo al principio secondo il quale il giudice e' pur sempre peritus peritorum. Ed infatti, in relazione alla speciale declaratoria prevista dall'art. 530 c.p.p., la norma in questione prevede un dubbio che presuppone pur sempre l'idonea sussistenza di una causa di non punibilita' che si legittimi, anche sotto il profilo costituzionale, sia quando viene ad escludere sia quando conferma la punibilita'. Nel caso in questione, contestandosi la sussistenza stessa delle basi scientifiche poste a distinzione tra le due ipotesi di cui, rispettivamente, agli artt. 94 e 95 c.p., viene meno qualsiasi possibilita' di fondare il dubbio, che deve pur sempre riguardare qualcosa di ben identificabile, anche se nella concreta fattispecie non identificato L'accertamento della malattia mentale che da' luogo all'infermita' di cui all'art. 88 c.p. puo' essere difficile, ma la malattia mentale costituisce una nozione in eliminabile per la scienza medica: non cosi', ovviamente, per le nozioni di cui agli artt. 94 e 95 c.p. Circa la possibilita' per il giudice di non tener conto dei risultati della perizia, uniformandosi alla tralatizia, interpretazione di cui s'e' fatto cenno all'inizio, non si vede come cio' potrebbe essere legittimamente fatto, nel momento in cui si pone in discussione la validita' stessa del concetto sotteso agli artt. 94 e 95 c.p. ed in sostanza si fa rientrare la predetta disciplina nei principi generali di cui all'art. 88 c.p. Ne' puo' dirsi, ancora, che in tal modo si viene ad eliminare, in pratica, la categoria dell'actio libera in causa, che ha trovato anche, in qualche modo, accoglimento nel diritto positivo - avendo tra l'altro superato censure di legittimita' costituzionale - laddove si ammette l'imputabilita' di chi volontariamente si ubriaca. Infatti e' evidente che la reiterazione dell'assunzione, che e' necessariamente sottesa ad un'infermita' di mente provocata da alcool o da stupefacenti, e' inconciliabile con il concetto stesso di actio libera in causa. Cio' a meno di non voler far scadere tale concetto ad una mera finzione giuridica, che in tal caso verrebbe con maggiore forza ad implicare gravi problemi di costituzionalita'. In altre parole, si giungerebbe alla costruzione, inaccettabile sotto il profilo costituzionale, secondo il quale il tossicodipendente o l'alcooldipendente verrebbe punito - a prescindere da qualsiasi indagine sullo stato in cui ha commesso l'azione - per il solo fatto di una scelta, necessariamente remota nel tempo, scelta tra l'altro che non aveva ad oggetto di cadere nello stato di intossicazione, bensi' di iniziare la singola assunzione di sostanza che ha dato il via alla reiterazione e poi alla tossicodipendenza ed alcoodipendenza. Non si nasconde questo pretore i gravissimi problemi di difesa sociale e d'ordine pubblico che sono coinvolti nella scelta di una normativa penale improntata a criteri di rigorosita', ma va osservato che paradossalmente queste esigenze avevano una piu' logica e coerente (ancorche' inaccettabile per il nuovo assetto dei valori costituzionali) risposta nel quadro unitariamente repressivo, anche sul versante dell'applicazione della pena, del c.p. del 1930 . Attualmente invece la normativa del settore, rigorosa nei principi di imputabilita', non trova alcun riscontro sul versante dell'applicazione della pena, con vistosissime deroghe soprattutto nel regime carcerario: queste si' ai limiti della costituzionalita', sopratutto se si pensa che trovano il loro presupposto nella "punizione" di un soggetto perfettamente imputabile e che di fatto rischiano di perdere qualsiasi portata sanzionatoria. D'altro canto, non si vede come potersi discostare in maniera logicamente corretta dalle risultanze peritali, ammettendo la causa di non punibilita' solo a fronte di uno stato irreversibile di degenerazione e disfacimento fisico. Non si vede quale motivazione potrebbe darsi a tale difforme orientamento, se non quella che in pratica presuppone l'eliminazione stessa della perizia in fattispecie del genere, con una valutazione circa l'intossicazione cronica demandata - in sostanza - al solo giudice, dal momento che e' risaputo quali sono le riserve della scienza medica sul punto. Cio' posto, occorre rilevare che gli artt. 94 e 95 c.p. i quali dovrebbero trovare applicazione in via alternativa nella fattispecie in esame, involgono una questione non manifestamente infondata di illegittimita' costituzionale, per contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione ed il criterio di ragionevolezza che ne e' il corollario, dal momento che pongono una differenziazione insussistente, non potendo trovare alcun tipo di obiettiva specificazione; b)con l'art. 111 della Costituzione, che impone che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, laddove la motivazione circa l'imputabilita' o meno, alla stregua degli artt. 94 e 95 c.p.,non potrebbe trovare alcuna effettiva esplicazione, risolvendosi in formule stereotipe, incongrue e contraddittorie.