LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r.g. appelli 6574/95 spedito il 31 gennaio 1995 avverso la sentenza n. 373 settembre 1994 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: ufficio registro di Roma pubblici. Controparti: Bracaglia Vittorio, residente a Roma in via delle Aleutine 136, e Quondamcarlo Costante, residente a Roma in via delle Aleutine 151. Atti impugnati: avv. di accert. n. val. 608279 - reg invim - fabbricati. L'Ufficio del registro atti pubblici di Roma impugna la impugna la decisione n. 373 settembre 1994 d.d. 28 settembre 1994, con cui la sez. 9 della Commissione tributaria di primo grado di Roma aveva dichiarato cessata la materia del contendere per avere i contribuenti definito per condono la controversia, sostenendo l'erroneita' del decisum perche' i primi giudici non si sarebbero accorti che era stata definita solo l'INVIM e non anche l'imposta di registro. Resiste con memoria il sig. Vittorio Bracaglia che eccepisce il difetto di motivazione dell'avviso di accertamento impugnato. All'udienza del 5 dicembre 1995 questa sezione sospendeva il giudizio in quanto il coobbligato solidale al pagamento dell'imposta di registro sig. Costante Quondamcarlo aveva presentato istanza di definizione della controversia ex art. 53 della legge n. 413/1991. Successivamente entrambi i contribuenti nominavano loro difensore il consulente del lavoro rag. Oreste Bertucci il quale depositava i.d. 5 marzo e i.d. 12 marzo 1997 copia delle ricevute di pagamento di quanto dovuto per condono sia ai fini INVIM che ai fini dell'imposta di registro nonche' istanza per la trattazione della controversia in pubblica udienza ex artt. 33 e 34 decreto legislativo n. 546/1991. In data 24 marzo 1997, infine, il rag. Bertucci depositava memoria difensiva in cui, dopo aver ribadito la legittimita' della sua nomina a difensore dei contribuenti appellati, solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 comma 2 decreto legislativo n. 546/1992 cosi' come modificato dall'art. 69 comma 3 lett. A) e B) del decreto-legge n. 331/1993, ulteriormente modificato in sede di conversione della legge n. 427/1993 integrato dall'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 259/1996 (che sancisce una limitata competenza dei consulenti del lavoro) nonche' dell'art. 30, lett. I, della legge n. 413/1991 per violazione degli artt. 76, 3, 33 comma 5, 4 e 35 della Costituzione, chiedendo la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Osserva Gli appellati Bracaglia Vittorio e Quondamcarlo Costante risultano difesi nel presente giudizio di appello dal rag. Oreste Bertucci iscritto all'albo dei consulenti del lavoro di Roma al n. 10 in virtu' di delega conferita ai sensi del combinato disposto degli artt. 54 e 23 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, resistendo alla amministrazione finanziaria mediante richiesta di conferma della impugnata sentenza. In via preliminare deve essere rilevata la piena ritualita' della procura rilasciata in calce all'avviso di trattazione notificato al contribuente. Deve infatti ritenersi atto del processo, in relazione a quanto disposto dal comma terzo dell'art. 12 decreto legislativo n. 546/1992 l'avviso di cui agli artt. 61 e 31 decreto legislativo n. 546/1992, analogamente a quanto gia' considerato in giurisprudenza e in dottrina sotto il vigore della precedente normativa sul contenzioso tributario (cosi' la nota ministeriale 8 ottobre 1957 n. 805120 in Boll. Trib. 1958, 95). Oggetto del mandato difensivo per entrambi gli appellanti e' la resistenza in giudizio avverso l'atto di appello proposto dall'Ufficio del registro - atti pubblici di Roma nei confronti della decisione di I grado della sez. IX n. 373 settembre 1994 pubblicata il 2 dicembre 1994 che, accogliendo la richiesta dei contribuenti ha dichiarato cessata la materia del contendere in presenza di condono. L'appello dell'ufficio riguarda l'avvenuta definizione mediante condono, in presenza di atto di compravendita con accertamento di valore difforme rispetto a quanto indicato nell'atto pubblico, sia dell'INVIM che dell'imposta di registro, mentre, in difformita' della pronuncia della Commissione di I grado ritiene che la suddetta definizione possa riguardare soltanto l'INVIM. Trattasi, dunque, di imposte che pacificamente non possono essere ricomprese tra "le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilabili e gli obblighi del sostituto di imposta relativo alla ritenute medesime" cui l'art. 12 d.P.R. 31 dicembre 1992 n. 546 limita la legittimazione difensiva dei consulenti del lavoro, a differenza di altre categorie professionali e di altri esperti. Poiche' il difetto di assistenza tecnica incide sulla ammissibilita' della costituzione in appello dell'appellato, non diversamente da quanto avviene per il ricorrente (vedi art. 18 quarto comma decreto legislativo 546/1992) la questione, dell'eventuale contrasto con norme costituzionali e con la stessa legge delega dell'attuale disciplina dell'assistenza tecnica prevista dall'art. 12 citato per i consulenti del lavoro, appare preliminare e rilevante ai fini della decisione del presente giudizio. Gli appellati con la memoria depositata ai sensi degli artt. 61 e 32 decreto legislativo n. 546 a firma del loro difensore "consulente del lavoro rag. Oreste Bertucci, hanno chiesto alla Commissione tributaria regionale di ritenere non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 30, lett. I, legge 413/1991 contenente la delega al Governo della Repubblica per la riforma del contenzioso tributario in relazione all'assistenza tecnica nei relativi giudizi e 12 comma 2 decreto legislativo n. 546/1992, cosi' come modificato dall'art. 69 decreto-legge n. 331/1993 convertito dalla legge n. 427/1993 e integrato dall'art. 2 comma 1 lett. A del decreto-legge n. 259/1996 con riferimento a quanto disposto dagli artt. 76, 3, 33, 5 c.p.v., 4 e 35 Cost., allegando da un lato un presunto eccesso di delega operato dall'art. 12 citato in relazione dell'art. 30, lett. I, legge n. 413, interpretato dagli appellati come ricomprendente tra i soggetti a competenza difensiva piena anche i consulenti del lavoro, dall'altro, nel caso in cui si voglia riferire allo stesso legislatore delegante la volonta' di limitare la competenza dei consulenti del lavoro alle sole materie poi richiamate dal legislatore delegato, la violazione del principio di uguaglianza e della obbligatorieta' della riserva dell'attivita' professionale di difesa a soggetti che abbiano superato gli esami di Stato e che siano iscritti in albi professionali, specie con riferimento a esperti tributari non iscritti ad alcun albo e abilitati alla difesa dalla medesima normativa non competenza persino piu' ampia di quella prevista per i consulenti del lavoro. Facendo inoltre riferimento alla precedente disciplina processuale che riconosceva la competenza senza limitazione alcuna dei consulenti del lavoro ai fini della assistenza dei contribuenti, gli appellati hanno sostenuto una lesione del diritto al lavoro professionale in relazione agli artt. 4 e 35 Cost., conseguente al divieto di una attivita' professionale pacificamente esercitata quantomeno dal 1981, data di entrata in vigore della normativa che ha riconosciuto ai consulenti del lavoro la competenza piena in materia, e' costituente ormai parte non secondaria dell'attivita' e del reddito della categoria professionale. Rilevanti e non manifestamente infondate appaiono - per i motivi che verranno in seguito spiegati - le questioni di incostituzionalita' sollevate dagli appellati in relazione ai principi previsti dagli artt. 3, 33 e 5 c. e 4 e 35 della Costituzione. Deve, invece, ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 comma 2 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 in rapporto dell'art. 76 Cost. per l'asserita violazione dei principi contenuti nella legge delega, art. 30, lett. I, legge n. 413/1991. Contrariamente, infatti, a quanto sostenuto dalla difesa degli appellati e conformemente alla opinione unanime della dottrina (il breve tempo trascorso dall'entrata in vigore del nuovo contenzioso tributario non consente di ravvisare orientamenti giurisprudenziali in materia), l'art. 30, lett. I, della legge delega introduce una netta distinzione tra le categorie abilitate all'assistenza tecnica nel giudizio tributario a seconda che trattasi di giudizio ordinario o di procedure abbreviate, siano esse quelle originariamente previste dall'art. 48 decreto legislativo n. 546 ovvero l'istituto della conciliazione giudiziale introdotto dall'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 259/1996. Nel giudizio ordinario, ritenuto evidentemente di maggior complessita', la competenza "piena" nella difesa viene riconosciuta solo alle categorie professionali degli avvocati, procuratori legali, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali iscritti nei relativi albi professionali, nonche' ai soggetti iscritti in elenchi da tenersi presso gli uffici dell'Amministrazione finanziaria individuati con decreto del Ministro delle finanze, mentre sono considerati a competenza limitata gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi gli agrotecnici e i periti agrari nonche' appunto i consulenti del lavoro. Che tale fosse la volonta' del legislatore delegante emerge chiaramente dall'art. 78 comma 4 della stessa legge n. 413/1991 contenente la delega che ha istituito i centri di assistenza fiscale e che ha coerentemente (anche se poi la ratio appare smentita dalla successiva evoluzione legislativa) disciplinato il visto di conformita' a favore dei consulenti del lavoro limitatamente agli adempimenti del datore di lavoro sostituto di imposta. Non puo' pertanto ritenersi che l'art. 12 decreto legislativo n. 546 abbia arbitrariamente e in violazione dei principi della delega ravvisato le "materie di rispettiva competenza" di cui all'art. 30, lett. I, relativamente ai consulenti del lavoro con riferimento alle sole materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilabili e gli obblighi del sostituto di imposta relativi alle ritenute medesime, avendo invece, con tale limitazione, seguito i principi, desumibili come si e' detto da altra norma, del legislatore delegante. Se vizio puo' essere ravvisato nella normativa vigente, lo stesso, non puo' che colpire la stessa legge delega. Profili di incostituzionalita' della legge delega e della normativa delegata non possono neppure dedursi, secondo il costante orientamento della Corte costituzionale, dal riconoscimento nella normativa che ha preceduto la riforma del 1992 della capacita' difensiva piena nei giudizi tributari a favore dei consulenti del lavoro. Non puo' infatti sostenersi che non rientri nella discrezionalita' del legislatore regolare diversamente il diritto di difesa in funzione di un potenziamento del diritto medesimo in un settore che da anni attendeva una regolamentazione piu' puntuale e una maggiore tutela del contribuente, secondo quanto appare confermato dalla introduzione del nuovo principio della obbligatorieta' dell'assistenza tecnica. Una violazione del principio di uguaglianza potra' dunque essere considerata non manifestamente infondata solo ove si dimostri comparativamente che tale potenziamento della difesa tecnica non si avvenuto, essendo stati abilitati soggetti o categorie prive dei dovuti requisiti tecnici. Si ritiene, peraltro, che il sistema dell'assistenza tecnica nell'odierno contenzioso tributario presenti numerosi profili di non ragionevolezza sia con riferimento alla sancita disparita' di trattamento operata ai danni di una categoria professionale in possesso di requisiti tecnici garantiti da esami di stato a favore invece di soggetti non iscritti ad alcun albo professionale e privi di qualsiasi controllo pubblicistico sulla loro idoneita' tecnico-giuridica, sia in relazione alla medesima disparita' di trattamento attuata ai danni di una categoria professionale che, ai fini della difesa del contribuente presenta le medesime garanzie di professionalita' e di conoscenza tecnica di altre categorie professionali ammesse alla competenza "piena", in primis i ragionieri e i periti commerciali. Secondo quanto e' stato esattamente fatto rilevare dalla difesa degli appellati nella mens legis la limitata abilitazione all'assistenza da parte dei consulenti del lavoro discende dalla ritenuta limitata competenza degli stessi nella materia fiscale sostanziale e non certo dalla mancata conoscenza delle norme e dei principi di rito. Tale conclusione puo' agevolmente arguirsi sotto il profilo prettamente logico dal fatto che anche una limitata competenza difensiva nel nuovo processo tributario implica la piena conoscenza e utilizzazione di tutti gli istituti processuali che governano il primo e il secondo grado di giudizio, non incidendo in alcun modo il profilo sostanziale del rapporto tributario sulla ampiezza del riferimento alla normativa processuale. Anzi l'avvenuto riconoscimento della capacita' difensiva, sia pure limitata, a soggetti che non hanno alcuna idoneita' tecnica in materia giuridica quali i professionisti tecnici, lascia supporre che sia del tutto irrilevante ai fini della scelta del legislatore il tecnicismo del rito tributario, sia esso maggiore o minore del passato. Comunque sul punto non e' irrilevante considerare la conoscenza del rito tributario quale bagaglio ormai acquisito del consulente del lavoro, dopo la scelta legislativa significativamente effettuata con il d.P.R. n. 739/1981 che ebbe a modificare l'art. 30 d.P.R. n. 636/1972 riconoscendo esplicitamente la competenza dei consulenti del lavoro in materia di assistenza tecnica. L'esame dell'attuale ordinamento professionale di consulenti del lavoro, contenuto nella legge 12 gennaio 1979 n. 12 e della normativa fiscale sostanziale che disciplina la competenza in materia tributaria di tali professionisti consente di affermare che il presupposto che sembra essere all'origine della scelta del legislatore delegante, di una limitata competenza in materia tributaria sostanziale dei consulenti del lavoro, sia errato. L'art. 2 della legge n. 12/1979, pur prevedendo quale attivita' riservata della professione tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l'amministrazione del personale dipendente riconosce a tali professionisti la competenza "in ordine allo svolgimento di ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente a quanto previsto" relativamente a detta attivita' riservata. In applicazione di tale competenza piu' generale il legislatore tributario ha, con pari significativi attribuito il visto in conformita' per tutti gli adempimenti fiscali per tutti i soggetti IRPEF anche ai consulenti del lavoro, con una evoluzione legislativa che smentisce drasticamente la tesi di una competenza limitata in materia tributaria, riconoscendo un ruolo ai consulenti del lavoro di primo piano nella tutela del contribuente di fronte agli accertamenti fiscali di natura piu' complessa secondo quanto confermano i principi giurisprudenziali vigenti in materia. E' sufficiente a tal fine ripercorrere l'iter dell'istituto del visto di conformita' per avere la conferma di tale indiscutibile competenza, secondo quanto evidenziato dall'art. 78 comma 4 legge n. 413/1991 che inizialmente limitava la facolta' dei consulenti del lavoro di porre il visto ai soli adempimenti del datore di lavoro sostituto di imposta, dall'art. 10 comma 5 ter legge 14 novembre 1992 n. 438 che ampliava tale competenza di carattere sostanziale fino a ricomprendere tutti gli adempimenti fiscali dei soggetti IRPEF, dal recentissimo art. 1 comma 6 d.-l. 26 febbraio 1996 n. 75 che ha praticamente sancito la pari competenza in relazione ai compiti di competenza dei centri fiscali degli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri liberi professionisti e dei consulenti del lavoro. Conferma ulteriore di tale significativo riconoscimento progressivo della competenza sostanziale tributaria dei consulenti del lavoro si trae dall'esame di giurisprudenza della suprema Corte che reiteratamente ha riconosciuto la liceita' dell'esercizio della consulenza tributaria da parte dei consulenti del lavoro in giudizi penali in cui si dibatteva della ricorrenza o meno nel caso del reato di cui all'art. 348 c.p., nonche' l'inesistenza in materia di una attivita' riservata a favore della professione di commercialista (v. Cass. sez. VI pen. 23 settembre 1993 n. 1093; Cass. sez. VI pen. n. 4276 del 23 aprile 1996, che hanno inquadrato lo svolgimento di detta attivita' come "affine, connessa e conseguente" a quella degli adempimenti in materia di lavoro e previdenza sociale). Occorre, inoltre, rilevare che la prevalente giurisprudenza e' orientata nel senso della odierna liberta' della consulenza tributaria nell'ordinamento vigente (v. ad esempio Cass. sez. VI pen. 6 febbraio 1985 n. 1207 e 20 giugno 1985 n. 6157). Il riconoscimento della erroneita' del presupposto da cui e' partito il legislatore del 1991 per sancire la competenza limitata dei consulenti del lavoro nel processo tributario consente di affermare che appaiono di sospetta costituzionalita' in rapporto all'art. 3 Cost. norme, come quella di cui all'art. 30, lett. I, legge n. 413/1991 e 12 decreto legislativo 546/1992 in relazione all'art. 3 Cost. che attribuiscono legittimazione diversa in sede processuale a soggetti cui l'ordinamento, nella disciplina sostanziale nel rapporto tributario, riconosce pari competenza. Tale e' il caso delle professioni di commercialista, ragioniere e perito commerciale rispetto ai consulenti del lavoro, la cui obbligatoria competenza in materia tributaria e' riconosciuta ulteriormente nell'ordinamento professionale dalla previsione in sede di esame di abilitazione all'esercizio della professione di una prova scritta ed una orale che deve "comunque" vertere su diritto tributario. Tale sospetta incostituzionalita' diventa ancora piu' palese in presenza del recente riconoscimento di una capacita' difensiva sostanzialmente "piena" (perche' riguarda il 90% dei tributi) a favore di soggetti che non risultano neppure iscritti ad albi professionali e che quindi non sono in grado di offrire all'effettivo utente del sistema processuale, cioe' al contribuente, quelle garanzie pubblicistiche di idoneita' tecnica che, secondo la Corte costituzionale, solo l'esame di cui all'art. 33 quinto comma Cost. e' in grado di offrire. La suddetta normativa sembra smentire del tutto i propositi di potenziamento della difesa tecnica nel giudizio tributario che dovevano ispirare il legislatore delegante, secondo gli auspici della migliore dottrina ed emergenti dagli atti parlamentari, rinnegando da un lato il principio di un controllo pubblicistico sulla idoneita' tecnica del difensore imposto dall'art. 33 comma quinto Cost., secondo la giurisprudenza dalla Corte costituzionale formatasi specialmente in occasione dell'esame delle norme che regolano la professione di avvocato e procuratore legale, ammettendo dall'altro alla difesa tecnica soggetti iscritti in elenchi delle Camere di commercio reiteratamente dichiarati illegittimi dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. VI 17 maggio 1993 n. 358 in Cons. Stato, 1993 parte I; 708; T.A.R. Lazio sez. III 30 marzo 1994 n. 718 in Amm. Reg. 1994, 1, 1361). Alla mancanza del controllo pubblicistico sulla idoneita' tecnica di detti soggetti, identificabile soltanto, come si e' detto, con esame di stato sembra aggiungersi una palese disparita' di trattamento rispetto ad una professione, quale quella del consulente del lavoro, da un lato, piu' garantita perche' inquadrata in un ordinamento professionale che prevede detto esame di stato, dall'altro certamente con idoneita' tecnica in campo sostanziale certamente ben maggiore rispetto ai soggetti di cui sopra, perche' riconosciuta dal legislatore fiscale in piu' occasioni, come sopra e' stato ricordato. Tale disparita' di trattamento appare ancora piu' eclatante ove si consideri la competenza ancor piu' ampia che un soggetto ancor meno dotato di garanzie viene ad avere nel rito tributario rispetto al professionista consulente del lavoro con aspetti di macroscopica illogicita' ove il consulente del lavoro agisca quale dipendente di una associazione di categoria rispetto ai suoi colleghi iscritti all'albo, con competenza piena rispetto alle controversie tributarie degli iscritti alla associazione medesima. Infine non sembrano manifestamente infondate le osservazioni della difesa degli appellati in ordine alla possibile violazione degli artt. 4 e 35 Cost.. E' certo, infatti, che da quasi 20 anni la professione di consulente del lavoro e i relativi studi professionali operano in materia di assistenza tributaria in modo non secondario ed irrilevante e non si ravvisano nella attuale normativa ragionevoli motivazioni per un mutamento di indirizzo, che tra l'altro, risulta smentito dall'ampliamento, senza alcuna garanzia per il contribuente, nei confronti di altri soggetti in grado di svolgere l'attivita' professionale di difesa del contribuente. Conseguentemente debbono ritenersi non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' sollevate dalla difesa degli appellati in rapporto agli artt. 3, 33 quinto comma 4 e 35 Cost. relativamente alla legge delega n. 413/1991 art. 30, lett. I, e 12 comma 2 decreto legislativo n. 546/1992 nella parte in cui non riconoscono competenza "piena" nella assistenza tecnica dei contribuenti nel processo tributario ai consulenti del lavoro iscritti nei rispettivi albi professionali, in presenza di pacifica rilevanza delle questioni medesime ai fini della stessa ammissibilita' della costituzione degli appellati.