ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
 lett.  c),  n.  4,  del  d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 (Concessione di
 amnistia), promosso con ordinanza emessa il  24  settembre  1996  dal
 tribunale militare di Padova, nel pro-cedimento penale a carico di La
 Gioia  Domenico,  iscritta  al  n. 1281 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  48,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  23  aprile  1997  il  giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso del giudizio a carico di un imputato del reato di
 truffa militare aggravata, previsto dall'art. 234, secondo comma, del
 codice penale militare di pace, il Tribunale militare di Padova,  con
 ordinanza  emessa il 24 settembre 1996, pervenuta a questa Corte il 4
 novembre 1996, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 1,  comma  1,
 lett.  c),  n.  4,  del  d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 (Concessione di
 amnistia).
   L'autorita' remittente, premesso che non  ricorrono  le  condizioni
 per  una  sentenza di assoluzione o proscioglimento a norma dell'art.
 129, comma 2, cod. proc. pen., osserva che il reato, pur perfezionato
 entro il termine di efficacia fissato dal d.P.R. n. 75 del  1990  per
 l'applicazione  dell'amnistia, e' tuttavia escluso da essa in quanto,
 trattandosi di delitto con aggravante ad effetto speciale, punito con
 la reclusione militare fino a cinque anni, non e' compreso nel limite
 massimo di pena detentiva stabilito in via generale in  quattro  anni
 dall'art. 1, comma 1, lett. a), del medesimo d.P.R. n. 75 del 1990.
   Infatti  -  soggiunge  il  giudice  a quo - l'art. 4, lett. c), del
 decreto impone di tenere conto, ai fini  della  determinazione  della
 pena  applicabile,  dell'aumento  di  pena  derivante  dalla predetta
 circostanza aggravante ad  effetto  speciale,  mentre  non  risultano
 nella  specie  le  attenuanti  della  modesta  entita'  del danno ne'
 dell'avvenuta riparazione del medesimo, ne' alcuna  altra  attenuante
 prevista dall'art. 48 cod.  pen. mil. di pace, ricorrendo le quali, a
 norma  dell'art.  4, lett.   d), del decreto medesimo, non si sarebbe
 dovuto tenere conto delle concorrenti aggravanti.
   L'autorita' remittente osserva che l'art. 1, comma 1, lett. c),  n.
 4,  include  tuttavia  nell'amnistia  il  reato  di truffa aggravata,
 previsto dall'art. 640, secondo comma, del codice penale, purche' non
 ulteriormente aggravato ai sensi dell'art. 61,  n.  7,  dello  stesso
 codice,  e  senza  che  a  tale  fine sia richiesta la sussistenza di
 circostanze attenuanti.
   Realizzerebbe dunque una ingiustificata disparita' di  trattamento,
 censurabile  in  relazione  all'art. 3 della Costituzione, la mancata
 estensione dell'amnistia al reato di truffa militare  aggravata,  che
 non  sarebbe,  secondo  il remittente, significativamente diverso dal
 reato di truffa aggravata di cui al secondo comma dellÿart. 640  cod.
 pen.   "per   struttura   e   oggettivita'  giuridica  e  trattamento
 sanzionatorio".
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  chiedendo  che la questione sia dichiarata inammissibile o
 priva di fondamento, in quanto  sembrerebbe  analoga  a  quella  gia'
 decisa  nel senso della manifesta inammissibilita' con l'ordinanza n.
 298 del 1996.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione sollevata investe la  disposizione  dell'art.  1,
 comma  1,  lett.  c),  n.  4,  del  d.P.R.  12  aprile  1990,  n.  75
 (Concessione di amnistia), che include fra i reati  per  i  quali  e'
 concessa  amnistia,  ancorche' puniti con pena edittale superiore nel
 massimo al limite stabilito in via  generale  dal  medesimo  art.  1,
 comma  1,  lett.  a), il reato di truffa aggravata, previsto e punito
 dall'art. 640, secondo comma, cod. pen., sempreche'  non  ricorra  la
 circostanza  aggravante  del  danno  di  rilevante  entita'. La norma
 sarebbe costituzionalmente illegittima, per contrasto  con  l'art.  3
 della  Costituzione,  nella  parte  in cui non estende la concessione
 dell'amnistia al reato  di  truffa  militare  aggravata,  previsto  e
 punito  dall'art.  234,  secondo  comma,  cod. pen. mil. di pace, che
 sarebbe oggettivamente simile a quello (comune) di truffa aggravata.
   2. - La rilevanza della questione - a differenza di quanto la Corte
 ebbe a constatare nella specie decisa con l'ordinanza n. 298 del 1996
 - sussiste ed e' adeguatamente motivata dal remittente: onde non puo'
 accogliersi l'eccezione in  tal  senso  sollevata  dalla  difesa  del
 Presidente  del Consiglio, che si richiama, ma impropriamente, a quel
 precedente.
   Il remittente precisa infatti che nel caso ad esso  sottoposto  non
 risulta  alcuna delle circostanze attenuanti che, pur in concorso con
 l'aggravante ad effetto  speciale  prevista  dall'art.  234,  secondo
 comma,  cod.  pen.  mil.  di pace, imporrebbero un computo della pena
 tale da ricondurre quest'ultima al di sotto del  limite  dei  quattro
 anni  di  reclusione,  fissato  in  via generale per l'applicabilita'
 dell'amnistia: nella specie la pena applicabile,  prevista  dall'art.
 234,  secondo comma, cod. pen. mil. di pace, supera detto limite, con
 conseguente  esclusione  dall'amnistia,  cio'  che e' appunto oggetto
 della censura di legittimita' costituzionale mossa dal giudice a quo.
   3. - Nel merito, la questione e' fondata.
   Che la disposizione impugnata non includa, fra i reati per i  quali
 e'  concessa l'amnistia, quello di truffa militare aggravata, risulta
 dal tenore della lett. c) dell'art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 75  del
 1990,  la  quale  contiene un elenco puntuale e tassativo dei delitti
 inclusi nell'amnistia benche' sia per essi prevista una pena edittale
 massima superiore al limite di cui alla  precedente  lett.  a)  dello
 stesso  art. 1, comma 1: delitti che vengono indicati con la menzione
 espressa degli "articoli del codice penale" che li prevedono, nonche'
 del relativo nomen juris.
   Quando percio' il n. 4 della lett. c) menziona  il  reato  previsto
 dall'art.  640, comma secondo, cod. pen. (truffa), non puo' ritenersi
 se non che si sia voluto riferire al delitto contemplato  dal  codice
 penale  comune, e non anche al pur parallelo reato di truffa militare
 aggravata previsto dall'art. 234 cod.  pen.  mil.  di  pace.  Ne'  si
 potrebbe  ipotizzare  che  il legislatore abbia semplicemente omesso,
 per dimenticanza, di menzionare espressamente i  reati  previsti  dal
 codice  militare,  ma  sottintendendo  un  riferimento  alle norme di
 questo codice che presentino  elementi  di  parallelismo  rispetto  a
 quelle corrispondenti del codice comune: se non altro perche' risulta
 che  il  legislatore  dell'amnistia,  quando ha voluto riferirsi alle
 norme del codice militare, lo ha fatto esplicitamente (cfr.  art.  4,
 comma 1, lett. e), in tema di circostanze attenuanti).
   D'altra  parte,  il  carattere  tassativo  dell'elenco  di  delitti
 indicati dall'art. 1, comma 1, lett. c), elenco che ha la funzione di
 derogare - in ordine ai limiti di pena - a quanto  stabilito  in  via
 generale  dall'art.  1,  comma 1, lett. a), estendendo la concessione
 dell'amnistia a reati che ne sarebbero esclusi  in  virtu'  di  detto
 limite  generale,  impedisce  un'applicazione  analogica, sia pure in
 bonam partem, della disposizione.
   4.  -  Questa  Corte  ha  costantemente  affermato   che   "compete
 esclusivamente   al   legislatore   la   scelta   del   criterio   di
 discriminazione tra reati amnistiabili e  non"  e  che  "le  relative
 valutazioni di politica criminale non possono essere sindacate, salvo
 che  ricorrano  casi  in  cui  la  sperequazione normativa tra figure
 omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni  tali  da  non  potersi
 considerare sorretta da alcuna ragionevole giustificazione" (sentenza
 n.  214 del 1975; cfr. anche sentenze n.  4 del 1974; n. 59 del 1980;
 n. 436 del 1987; ordinanza n. 481 del 1991).
   Questo  criterio   va   qui   ribadito.   La   natura   eccezionale
 dell'istituto   stesso   dell'amnistia,   che   comporta  una  deroga
 temporanea al principio dell'eguale efficacia per tutti  delle  norme
 penali,   fondata   su   ragioni   che  debbono  esse  stesse  essere
 eccezionali, fa si' che le  scelte  del  legislatore  circa  i  reati
 rispetto  ai  quali  il  beneficio  viene concesso non possano essere
 sindacate alla luce di un semplice confronto tra fattispecie  fondato
 sulla   rispettiva   gravita'   in  astratto,  quale  espressa  dalla
 commisurazione delle pene previste: ben potendosi ammettere che anche
 considerazioni legate alla diversita' dei beni giuridici tutelati,  a
 situazioni  di  fatto,  alla  diffusione  dei vari reati, all'allarme
 sociale che essi suscitano,  possano  guidare  il  legislatore  nella
 scelta  del  criterio  di  delimitazione dei reati amnistiabili (cfr.
 sentenza  n. 175 del 1971). In presenza di una legittima decisione di
 concessione dell'amnistia, il principio di eguaglianza  -  al  quale,
 nel  suo  aspetto  formale,  e', come si e' detto, lo stesso istituto
 dell'amnistia a portare in qualche modo una  deroga  -  puo'  operare
 solo  all'interno dell'area circoscritta dalla scelta derogatoria del
 legislatore, impedendo, nell'ambito  di  tale  area,  discriminazioni
 puramente arbitrarie, non riconducibili ad alcuna ratio apprezzabile.
 Pertanto  l'irragionevolezza  di una esclusione puo' essere affermata
 solo in esito  ad  un  rigoroso  scrutinio  che  consenta  di  negare
 l'esistenza di ragioni giustificatrici di essa.
   5.   -  Nella  specie,  non  e'  dato  di  rinvenire  alcuna  ratio
 giustificativa  della  denunciata  discriminazione,  ai  fini   della
 concessione  della  amnistia, fra truffa aggravata (art. 640, secondo
 comma, cod. pen.)   e truffa militare aggravata  (art.  234,  secondo
 comma, cod. pen. mil.  di pace).
   Analogamente  a  cio'  che,  in altra occasione, constato' la Corte
 ponendo a raffronto, allo stesso fine,  il  peculato  e  il  peculato
 militare  (sentenza n. 4 del 1974), tra i due reati in esame sussiste
 "una sostanziale identita'". Identica e' infatti,  sotto  il  profilo
 testuale,  la  descrizione  della  fattispecie  nelle  due norme-base
 incriminatrici, che identificano la condotta  e  gli  eventi  tipici.
 Identico   l'elemento   soggettivo   doloso.   Anche   la   pena   e'
 sostanzialmente la stessa: l'art.   640 cod. pen.  aggiunge  soltanto
 alla  pena  detentiva  (reclusione  da  sei  mesi  a  tre  anni, come
 nell'art. 234 cod. mil.) la pena pecuniaria.  La truffa  militare  si
 distingue  dalla  comune  unicamente  per  la  qualita'  del soggetto
 attivo, che deve essere un militare, e per la qualita'  del  soggetto
 danneggiato, che deve anch'esso essere un militare (non, si badi, per
 la qualita' del soggetto vittima dell'errore indotto dagli artifici o
 raggiri, che puo' essere chiunque, militare o meno).
   Anche  le  ipotesi  aggravate  previste rispettivamente dal secondo
 comma dell'art. 640 cod. pen. e dal secondo comma dell'art. 234  cod.
 mil.  sono  perfettamente  corrispondenti. Identica e' la circostanza
 aggravante prevista dal n. 2 dei  rispettivi  commi  (fatto  commesso
 ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario
 o    l'erroneo    convincimento   di   dover   eseguire   un   ordine
 dell'autorita').  Quanto alla circostanza aggravante prevista dal  n.
 1  dei rispettivi commi, identica e' l'ipotesi del fatto commesso col
 pretesto di fare esonerare qualcuno dal servizio militare;  per  cio'
 che    riguarda    l'ipotesi    del    fatto    commesso    a   danno
 dell'amministrazione pubblica (rilevante nella specie), mentre l'art.
 640 cod. pen. contempla il danno a carico dello Stato o di  qualsiasi
 altro ente pubblico, l'art. 234 cod. mil., in coerenza con l'elemento
 richiesto  dal primo comma, che cioe' il danneggiato sia un militare,
 contempla  specificamente  il  danno  a  carico  dell'amministrazione
 militare.  L'entita'  della  pena  detentiva  prevista e' la medesima
 (reclusione, e rispettivamente reclusione militare, da uno  a  cinque
 anni),  mentre  la  norma  del codice comune aggiunge ad essa la pena
 della  multa,  risultando  cosi'  il  reato  militare   punito   meno
 severamente di quello comune.
   In  definitiva, nell'ipotesi aggravata che qui interessa, gli unici
 elementi che differenziano la truffa militare  da  quella  comune  (a
 parte  la  pena,  piu'  grave  nel  secondo caso) sono la qualita' di
 militare   del    soggetto    attivo    e    la    natura    militare
 dell'amministrazione  pubblica  danneggiata. Ma nessuno di questi due
 elementi  potrebbe  addursi   come   coerente   giustificazione   per
 l'esclusione  dall'amnistia,  in presenza di una esplicita estensione
 di questa alla corrispondente fattispecie della truffa  aggravata  di
 diritto  comune.  Non  la  qualita'  di militare dell'agente, che non
 esclude affatto l'applicazione dell'amnistia ne'  ai  reati  militari
 rientranti nel limite generale di pena previsto dall'art. 1, comma 1,
 lett.  a), del d.P.R. n. 75 del 1990, ne' allo stesso reato di truffa
 aggravata a danno delle amministrazioni  non  militari  dello  Stato,
 punibile  a  norma  dell'art.  640, secondo comma, n. 1, cod. pen. Ma
 nemmeno, d'altra parte,  la  qualita'  militare  dell'amministrazione
 danneggiata, poiche' non sono esclusi dall'amnistia i fatti di truffa
 commessi  a  danno  dell'amministrazione  militare  da  soggetti  non
 militari:        senza    dire    che    l'interesse     patrimoniale
 dell'amministrazione  militare  non  si differenzia, sotto il profilo
 delle esigenze di tutela, da quello delle amministrazioni statali non
 militari.
   6. - In assenza, dunque,  di  obiettive  apprezzabili  ragioni  che
 possano   giustificare   il  diverso  trattamento  delle  due  figure
 delittuose ai fini della concessione  dell'amnistia,  deve  ritenersi
 costituzionalmente illegittima la norma denunciata nella parte in cui
 omette  di  prevedere, e quindi esclude, la concessione dell'amnistia
 per il reato di truffa militare aggravata, alle stesse  condizioni  e
 negli  stessi limiti con i quali il beneficio e' concesso nel caso di
 truffa aggravata, e quindi "sempre che  non  ricorra  la  circostanza
 aggravante  prevista  dall'art.  61,  n.  7, del codice penale", cio'
 l'aggravante del danno di rilevante entita'.
   Una siffatta estensione potrebbe, in astratto, realizzarsi anche in
 base ad una interpretazione che tenda ad adeguare il contenuto  della
 norma  alla  Costituzione,  eliminando  la  disparita' di trattamento
 ingiustificata, e dunque in base al  criterio  della  interpretazione
 conforme  a Costituzione. In tal senso, infatti, si e' pronunciata la
 Corte  di  cassazione,  in  una  sentenza  che  ha  appunto  ritenuto
 applicabile  l'amnistia, in base all'art. 1, comma 1, lett. c), n. 4,
 al delitto di  truffa  militare  aggravata  previsto  dall'art.  234,
 secondo  comma, cod. pen. mil. di pace (Cass. pen., sez. I, 18 luglio
 1994, n. 979).
   Nondimeno, al di la' degli ostacoli che siffatta esegesi incontra -
 data la natura, come si  e'  detto,  eccezionale  e  tassativa  della
 elencazione,  contenuta  nel  citato  art.  1, comma 1, lett. c), dei
 reati inclusi nellÿamnistia benche'  puniti  con  pene  superiori  al
 limite  stabilito  in  via generale - la Corte ritiene che ragioni di
 certezza giuridica, anche in relazione alla estensione degli  effetti
 della  pronuncia  di incostituzionalita' ai giudicati pregressi (art.
 30, quarto comma, della legge 11 marzo  1953,  n.  87)  impongano  di
 pervenire  all'adeguamento  costituzionale della norma attraverso una
 pronuncia di illegittimita' costituzionale.
   7. -  La  dichiarazione  di  illegittimita'  va  estesa,  ai  sensi
 dell'art.    27  della  legge  n.  87  del  1953,  alla  disposizione
 corrispondente  della  legge  di  delegazione  per   la   concessione
 dell'amnistia (art. 1, comma 1, lett. c), n. 4, della legge 11 aprile
 1990, n. 73).