ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 498,  comma  4,
 del  codice  di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11
 ottobre 1994 dal pretore di Asti, nel procedimento penale a carico di
 Bergadani Giuseppina, iscritta al n. 1338 del registro ordinanze 1996
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2  -  prima
 serie speciale - dell'anno 1997;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  21 maggio 1997 il giudice
 relatore Valerio Onida;
                           Ritenuto in fatto
   Nel corso di un procedimento penale a carico di persona imputata di
 maltrattamenti in famiglia in danno della figlia maggiorenne  affetta
 da  oligofrenia,  il  pretore  di Asti, con ordinanza dell'11 ottobre
 1994, pervenuta a questa Corte il 7 dicembre 1996, ha  sollevato,  su
 istanza   del   pubblico   ministero,   questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,
 dell'art.  498,  comma 4, codice di procedura penale, "nella parte in
 cui non riserva al teste maggiorenne incapace per infermita' psichica
 lo stesso trattamento processuale previsto per il minore".
   Il giudice remittente premette che la particolare natura del  reato
 per  il  quale  si  procede  e il rapporto che lega la persona offesa
 all'imputata postulano l'esigenza di procedere all'esame testimoniale
 della prima con peculiari cautele; che la medesima  e'  astrattamente
 capace  di  deporre,  ai  sensi dell'art. 196 del codice di procedura
 penale, e il comma 2 di tale articolo consente, ai fini di verificare
 se la teste sia in grado di fornire una testimonianza attendibile, di
 disporre  una  perizia  psichiatrica.  Ma  osserva  che  il   sistema
 normativo  non  prevede,  una volta accertata in concreto l'idoneita'
 del  teste  a  rendere  la  deposizione,  modalita'  particolari  per
 l'assunzione  della prova, poiche' la valutazione dell'attendibilita'
 del  teste,  prevista  dall'art.  196,  comma   2,   presuppone   che
 l'escussione sia gia' avvenuta.
   Il giudice a quo rileva quindi che, relativamente alle modalita' di
 assunzione  della prova testimoniale, l'art. 498, comma 4, del codice
 di procedura penale, in attuazione di un'apposita norma  della  legge
 di  delega,  prevede,  per  il  teste minore di eta', che l'esame sia
 condotto dal  presidente  e  soprattutto  che  questi,  per  condurre
 l'esame,  possa avvalersi dell'assistenza di un familiare del teste o
 di un esperto in psicologia infantile: cio' al fine di  garantire  un
 efficace  controllo  sull'attendibilita'  del teste, di scongiurare i
 rischi di un suo condizionamento ad opera di una delle parti,  e,  in
 ultima  analisi,  di  tutelare  la  persona del minore di fronte alla
 intrinseca tensione scaturente da ogni dibattimento penale.
   Escluso  di  potere  estendere in via interpretativa tali modalita'
 alla testimonianza del maggiorenne incapace di intendere e di volere,
 data la tassativa dizione della norma, sia  perche'  l'art.  189  del
 codice  di  procedura  penale,  che consente di dare ingresso a prove
 atipiche, non si riferisce a modalita' atipiche di assunzione  di  un
 mezzo   di  prova  codificato  come  la  testimonianza,  sia  perche'
 l'estensione interpretativa ipotizzata potrebbe  turbare  la  parita'
 fra  le  parti (tanto che l'art. 567 codice procedura penale consente
 bensi' al pretore di condurre direttamente l'esame dei testimoni,  ma
 solo  sull'accordo  delle parti), il remittente ritiene condivisibile
 la censura di incostituzionalita' prospettata dal pubblico  ministero
 in  ordine  all'art.  498,  comma  3  (recte: comma 4), del codice di
 procedura penale  nella  parte  in  cui  non  equipara  la  posizione
 dell'incapace  per infermita' mentale a quella del minore, prevedendo
 cosi'  un  trattamento  dissimile  per   situazioni   che   sarebbero
 sostanzialmente analoghe.
   Infatti,  secondo  il  giudice a quo la ratio della disposizione in
 esame,  da  ravvisarsi  nella  considerazione  della  fragilita'  del
 minore,  il quale percio' abbisogna di particolari cautele quando sia
 chiamato a rendere testimonianza nel processo penale, dovrebbe valere
 anche per il teste maggiorenne incapace per infermita'  mentale,  che
 presenta a sua volta una situazione psicologica di debolezza la quale
 ne  consiglierebbe  l'esame  da  parte del presidente con l'eventuale
 ausilio di un familiare o di un esperto di psicologia: e  del  resto,
 si  osserva,  in  numerosi  casi  l'ordinamento  penale e processuale
 penale prevede una simile equiparazione, come in  tema  di  esercizio
 del diritto di querela e di remissione della querela (artt. 121 e 153
 del codice penale) e in tema di costituzione di parte civile (art. 77
 del codice di procedura penale).
                        Considerato in diritto
   1. - La questione sollevata investe l'art. 498, comma 4, del codice
 di procedura penale - il quale prescrive che l'esame testimoniale del
 minorenne  sia  condotto,  anziche'  direttamente  dalle  parti,  dal
 presidente su domande e contestazioni proposte dalle  parti,  potendo
 avvalersi  dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in
 psicologia infantile, salva la possibilita' per lo stesso presidente,
 sentite le parti, di disporre che la deposizione prosegua nelle forme
 ordinarie, se ritiene  che  l'esame  diretto  del  minore  non  possa
 nuocere  alla serenita' del teste - nella parte in cui non riserva al
 teste  maggiorenne  incapace  per  infermita'  psichica   lo   stesso
 trattamento processuale previsto per il minore.
   Il  parametro di legittimita' costituzionale espressamente indicato
 dal remittente e' l'art. 3  della  Costituzione,  in  relazione  alla
 differenza,  ritenuta ingiustificata, fra il trattamento riservato al
 minore e quello previsto per l'infermo di mente; ma nella motivazione
 dell'ordinanza  si  fa  riferimento  all'esigenza  di  tutela   della
 personalita'  del teste affetto da infermita' psichica, il che rinvia
 altresi' all'imperativo costituzionale di  rispetto  e  tutela  della
 persona,  riconducibile  al parametro dell'art. 2 della Costituzione.
 E' secondo questa piu' ampia prospettazione che la Corte  ritiene  di
 dover esaminare la censura proposta.
   2.  -  La  questione,  cosi'  delineata,  e'  fondata nei limiti di
 seguito precisati.
   Non  puo' condividersi la meccanica equiparazione che il remittente
 vorrebbe effettuare fra la situazione del teste  minorenne  e  quella
 del  teste  maggiorenne  infermo  di  mente.  Si  tratta  infatti  di
 situazioni  non  omogenee,  anche  se  in   concreto   esse   possano
 manifestare,  come  si  dira',  analoghe  esigenze  di  tutela  della
 personalita'.
   Per  i  minorenni,  infatti,  il  legislatore  ha   ragionevolmente
 presunto - in relazione ad una condizione obiettiva come l'eta' - una
 situazione  di  difficolta', in ragione della insufficiente maturita'
 psicologica, a rispondere ad un interrogatorio condotto  dalle  parti
 in  vista  dei rispettivi interessi, e dunque eventualmente anche con
 intenti e modalita' che risultino aggressivi; e percio' ha prescritto
 che in via normale l'esame venga condotto attraverso il "filtro"  del
 presidente,  che  pone, eventualmente con l'ausilio di un familiare o
 di un esperto, le domande e le contestazioni  proposte  dalle  parti,
 salvo  che  lo stesso presidente, sentite le parti, valuti invece, in
 concreto, che l'esame diretto non possa nuocere  alla  serenita'  del
 teste.
   Nel  caso  dell'infermo  di  mente,  le situazioni concrete possono
 essere le piu' varie, in relazione al tipo e alla maggiore  o  minore
 gravita'   dell'infermita'   della  persona  maggiorenne  chiamata  a
 testimoniare:   onde e' ragionevole  che  il  legislatore  non  abbia
 esteso  ad  esso  le  prescrizioni  dettate  per la testimonianza del
 minore. Cio' avrebbe comportato infatti la necessita' in ogni caso di
 un preventivo accertamento della situazione di  infermita'  psichica,
 che  avrebbe comportato l'applicazione della disciplina speciale, con
 l'attribuzione  al  teste  di  una  sorta   di   "connotato"   legale
 suscettibile  esso  stesso  di  tradursi  in  una  lesione  della sua
 personalita'.
   3. - La  disciplina  della  testimonianza  e  delle  modalita'  per
 raccoglierla   risponde   anzitutto  all'esigenza  di  assicurare  la
 genuinita'  della  prova,  ma  non  puo'  essere   insensibile   alla
 necessita'  di  tutelare la persona del teste nel delicato momento in
 cui e' chiamato a deporre sui  fatti  e  le  circostanze  dedotti  in
 contraddittorio  fra  le parti.  La testimonianza e' infatti funzione
 resa obbligatoria dalla legge in vista delle esigenze  del  processo.
 Proprio  per  questo,  se  esige  impegno  e  puo'  comportare  anche
 difficolta' per il teste, chiamato ad enunciare con  verita'  davanti
 al  giudice  le  informazioni in suo possesso, non deve mai tradursi,
 per il modo in cui e' condotta, in violazioni della  dignita'  e  del
 rispetto dovuto alla persona del teste medesimo.
   Non mancano, nell'ordinamento processuale, regole intese ed idonee,
 in   generale,   ad   evitare   quanto   piu'   possibile  rischi  di
 compromissione della genuinita' della testimonianza dovuti al tipo di
 domande proposte o al modo in cui avviene l'esame, nonche' rischi  di
 lesione  del  rispetto  della  persona  del teste. Valgono, nel primo
 senso, i divieti delle domande "che possono nuocere  alla  sincerita'
 delle risposte" (art.  499, comma 2, del codice di procedura penale),
 nonche'   delle  domande  "che  tendono  a  suggerire  le  risposte",
 limitatamente all'esame  condotto  dalla  parte  che  ha  chiesto  la
 citazione  del  teste  (art.  499,  comma  3). Nel secondo senso vale
 soprattutto la regola secondo cui "il presidente cura che l'esame del
 testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona"  (art.
 499,  comma 4). Alla tutela di siffatte esigenze sono intesi i poteri
 che la legge riconosce al presidente del collegio o al giudicante: in
 particolare, il potere ad esso attribuito dall'ultimo comma dell'art.
 499  del  codice  di  rito,  di  intervenire,  anche  d'ufficio, "per
 assicurare la pertinenza delle domande, la genuinita' delle risposte,
 la lealta' dell'esame e la correttezza delle contestazioni".
   Nell'applicazione  di  tali  regole  e  nell'esercizio  dei  poteri
 presidenziali volti a garantirne il rispetto, non e' affatto escluso,
 ma  anzi  e'  implicito,  che  si  debba  tenere  conto  anche  delle
 particolari caratteristiche della persona del teste, e cosi'  di  una
 sua  fragilita' psicologica.  E' esplicitamente previsto che, qualora
 sia necessario verificare l'idoneita' fisica e mentale del  testimone
 a  rendere testimonianza, il giudice possa disporre "gli accertamenti
 opportuni con i  mezzi  consentiti  dalla  legge",  i  cui  risultati
 tuttavia  non  precludono  l'assunzione della testimonianza (art. 196
 codice procedura penale).  E nulla esclude che tali accertamenti -  i
 quali  possono  consistere  anche  in  una  perizia,  e  ben  possono
 intervenire anche in via  preventiva  rispetto  all'assunzione  della
 testimonianza,   contrariamente   a  quanto  mostra  di  ritenere  il
 remittente - siano  volti  ad  appurare  le  condizioni  in  concreto
 specificamente  richieste per evitare i rischi di un esame lesivo del
 rispetto della persona; come nulla esclude che  il  giudicante  possa
 avvalersi   delle  valutazioni  del  perito  al  fine  di  esercitare
 efficacemente i poteri a lui spettanti per garantire tale rispetto  e
 la genuinita' della testimonianza.
   4.  -  Resta  pero' il fatto che il vigente ordinamento processuale
 non consente in nessun caso, nell'assunzione della  testimonianza  di
 un  maggiorenne,  di  derogare  alla regola dell'art. 498 del codice,
 secondo cui  "le  domande  sono  rivolte  direttamente  dal  pubblico
 ministero  o  dal  difensore  che  ha  chiesto l'esame del testimone"
 (comma 1), e altre domande possono essere rivolte sempre dalle  parti
 (commi 2 e 3).
   Tale  regola  assume  certo  un'importanza fondamentale nell'ambito
 dell'ordinamento ispirato ai principi del processo "accusatorio",  in
 quanto diretta a consentire alle parti di introdurre direttamente nel
 processo, attraverso l'esame e il controesame dei testi, gli elementi
 probatori dei quali esse intendono avvalersi, senza l'intermediazione
 del  giudicante,  il  quale  dovra'  trarre elementi di convincimento
 dall'esame dei testi cosi' come condotto dalle parti.  L'applicazione
 di  tale  regola  non  puo' pero' mai tradursi nella lesione di altri
 interessi non solo costituzionalmente protetti, ma  preminenti,  come
 quello del rispetto della persona.
   Allo  scopo,  come  si e' visto, lo stesso legislatore appresta una
 deroga alla regola medesima, per quanto concerne la testimonianza dei
 minorenni  (art.  498,  comma  4).  Ma  la   garanzia   del   diritto
 fondamentale  al  rispetto  della  personalita'  esige  che la stessa
 regola sia derogabile, non gia' in via generale, bensi' in  relazione
 alla  concretezza  delle circostanze, nel caso della testimonianza di
 persona inferma di mente.  Ben puo' accadere infatti che,  nonostante
 le   norme  dettate  dall'art.    499  per  l'esame  testimoniale,  e
 nonostante l'esercizio dei poteri presidenziali  volti  a  garantirne
 l'osservanza,  la  modalita'  dell'esame  diretto  del teste ad opera
 delle parti (ancorche'  condotto  da  soggetti  dotati  di  specifica
 competenza  e tenuti alla leale osservanza di dette regole, come sono
 il rappresentante della pubblica accusa e i difensori,  ai  quali  e'
 riservata  la  facolta' di porre domande e contestazioni al teste) si
 traduca,  in  fatto,  in  una vicenda suscettibile di pregiudicare la
 personalita' particolarmente fragile del teste affetto da  infermita'
 mentale.
   In questo caso il presidente deve essere abilitato, ove constati in
 concreto,  in  relazione  al  complessivo  contesto  processuale, che
 l'esame diretto puo' nuocere alla personalita' del  teste  (e  dunque
 con  una  valutazione del caso specifico, speculare rispetto a quella
 ad esso attribuita nel caso del teste minorenne al fine di consentire
 la prosecuzione dell'esame nelle forme ordinarie), a disporre che  la
 deposizione  abbia  luogo  attraverso l'esame condotto dal presidente
 medesimo su domande e contestazioni proposte dalle parti.
   5. - L'art. 498  del  codice  di  procedura  penale  ignora  questa
 eventualita',  e  non  prevede  alcuna  possibilita' di derogare alla
 modalita' dell'esame diretto ad opera delle parti nel caso del  teste
 maggiorenne   infermo  di  mente.  Da  cio'  deriva  l'illegittimita'
 costituzionale,  nei  limiti  ora   precisati,   della   disposizione
 denunciata.