ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 81, quarto
 comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione  del  testo
 unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili
 e  militari  dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno
 1995 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia,
 sul ricorso proposto da Guidarelli  Alessandra  contro  la  Direzione
 provinciale  del  tesoro  di  Milano iscritta al n. 1231 del registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Udito nella camera di consiglio  del  18  giugno  1997  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel corso di un giudizio in materia pensionistica promosso
 dalla moglie di un ex dipendente pubblico,  separata  per  colpa  dal
 coniuge  defunto,  la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
 Lombardia, ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  81,  quarto  comma,  del  d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092
 (Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
 quiescenza   dei  dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato),  in
 riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.
   Ad avviso del giudice a quo  la  norma  impugnata,  escludendo  dal
 diritto  alla  pensione  di  riversibilita' il coniuge del dipendente
 separato per colpa con sentenza passata in  giudicato,  contiene  una
 previsione  del  tutto analoga a quella di numerose altre norme, gia'
 dichiarate  costituzionalmente  illegittime  da   questa   Corte   in
 precedenti  sentenze.  A  tale  proposito  il  giudice  contabile  ha
 richiamato le sentenze n. 286 del 1987, n. 1009 del 1988, n. 450  del
 1989 e n.  346 del 1993.
   Il  rimettente  sostiene  che la questione e' rilevante perche' dal
 suo accoglimento dipende la decisione del ricorso, ed ha evidenziato,
 sotto il profilo della  non  manifesta  infondatezza,  che  la  ratio
 ispiratrice della norma impugnata e' del tutto analoga a quella delle
 sentenze  sopra  indicate, sicche' sarebbe palese la violazione degli
 artt.  3 e 38 della Costituzione.
   2. - La parte  privata  non  si  e'  costituita,  ne'  ha  prestato
 intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                        Considerato in diritto
   1. -  La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia,
 dubita  che  l'art. 81, quarto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.
 1092, nella parte in cui esclude  dal  godimento  della  pensione  di
 riversibilita'  la  vedova separata per colpa con sentenza passata in
 giudicato, sia in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.
   A  sostegno  della  prospettata  questione  il  giudice   contabile
 richiama,  a  titolo  di precedenti specifici, le sentenze n. 286 del
 1987, n.  1009 del 1988, n. 450 del 1989 e n. 346 del 1993 di  questa
 Corte.
   2. - La questione e' fondata.
   La  giurisprudenza costituzionale ha gia' sottoposto a scrutinio il
 rapporto tra la pensione  di  riversibilita'  e  la  separazione  per
 colpa.
   In  un  primo  tempo  la  Corte, con sentenza n. 14 del 1980, aveva
 ritenuto   l'infondatezza    della    questione    di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  24 della legge 30 aprile 1969, n. 153, che
 sanciva il divieto di fruire della pensione di riversibilita' per  il
 coniuge  separato  per  colpa con sentenza passata in giudicato. Tale
 divieto  trovava  una  razionale  giustificazione,   secondo   quella
 sentenza,  soprattutto  nella disaffezione ed estraneita' del coniuge
 superstite rispetto al  coniuge  defunto,  al  quale  non  era  stata
 addebitata  la  colpa  della separazione. Osservava, in proposito, la
 sentenza che la riforma del diritto di famiglia, istituendo la  nuova
 figura  della  separazione  con addebito, ha mostrato di voler ancora
 considerare rilevante che in certi casi il  fallimento  del  rapporto
 matrimoniale  sia  da  ricondurre  alla  responsabilita'  di  uno dei
 coniugi,  e  quindi  giustificava  i  relativi  effetti  patrimoniali
 negativi.   L'orientamento   di  questa  Corte  era  stato  all'epoca
 condiviso anche dalla Corte di cassazione.
   A partire,  pero',  dalla  sentenza  n.  286  del  1987,  la  Corte
 costituzionale  ha  sottoposto  a "rimeditazione" il proprio punto di
 vista, specie sulla base della  legge  6  marzo  1987,  n.  74,  che,
 modificando  varie  norme  della  legge n. 898 del 1970 in materia di
 divorzio,  ha  riconosciuto  il  diritto  del   coniuge   divorziato,
 sempreche'  titolare  di  assegno  e  non passato a nuove nozze, alla
 pensione di riversibilita'. Questa Corte, dando anche per pacifica la
 natura previdenziale della pensione in questione, e'  pervenuta  alla
 conclusione che il divieto fosse divenuto ormai ingiustificato, ed ha
 ritenuto  illegittime  due  norme  relative  a lavoratori del settore
 privato che impedivano al coniuge separato per colpa di conseguire la
 pensione di riversibilita'.
   Tale nuovo orientamento e' stato ribadito con le sentenze  n.  1009
 del  1988  e  n.  450 del 1989, nelle quali la Corte ha eliminato dal
 sistema altre norme analoghe a quella odierna, ma sempre  riguardanti
 lavoratori del settore privato.
   Piu'  di  recente,  poi,  con la sentenza n. 346 del 1993, e' stata
 presa in esame anche la normativa del settore pubblico, essendo stata
 sottoposta a scrutinio la legge relativa alla Cassa di previdenza per
 le pensioni degli impiegati degli enti locali. La  particolarita'  di
 questa  disciplina  risiedeva  nel  fatto che la norma impugnata, pur
 escludendo il coniuge separato per colpa dal diritto alla pensione di
 riversibilita', faceva salva la possibilita', qualora  fosse  provato
 lo  stato  di  bisogno,  di  corrispondere  al  coniuge superstite un
 assegno alimentare, sia pure nella limitata percentuale del venti per
 cento della pensione diretta. In quell'occasione la Corte,  rilevando
 l'elemento  di  diversita'  di  tale normativa rispetto a quelle gia'
 colpite con le sentenze sopra citate,  ha  cio'  nonostante  ritenuto
 opportuno   "accordare   prevalenza   ai   consistenti   aspetti   di
 assimilazione" in rapporto a quelli di  differenziazione,  pervenendo
 ad un'ulteriore pronuncia di accoglimento.
   3.  -  Non  puo'  essere  posto  in  dubbio che anche la norma oggi
 impugnata sia ispirata ad una ratio identica a quella sulla quale  si
 basava  la  normativa  esaminata  nella  sentenza n. 346 del 1993 ora
 richiamata;  il  testo  unico  sul  trattamento  di  quiescenza   dei
 dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato,  infatti,  prevede  la
 possibilita' della corresponsione dell'assegno alimentare, in caso di
 stato di bisogno del coniuge superstite, nella misura del  venti  per
 cento  della  pensione  diretta  (art.  88 del decreto del Presidente
 della Repubblica n. 1092 del 1973). Ed e' percio' evidente  che,  per
 le  ragioni  in  passato  gia'  esposte, anche la norma sottoposta al
 presente  giudizio   debba   essere   dichiarata   costituzionalmente
 illegittima.
   Occorre  peraltro  riaffermare  che la possibilita' riconosciuta al
 coniuge separato per colpa o con addebito di essere ammesso a  fruire
 del trattamento di riversibilita' e' da collegarsi necessariamente al
 pregresso  godimento  del diritto agli alimenti a carico del defunto.
 Tale presupposto, che e' indice dello stato di  bisogno  del  coniuge
 titolare   dell'assegno,  pone  la  normativa  sulla  separazione  in
 sintonia con quella sul divorzio (art. 9 della legge n. 898 del 1970,
 novellato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) e segna  il  limite  della
 pretesa economica dell'avente diritto (v. sentenza n. 777 del 1988).
   Parimenti,  nel  caso in cui il coniuge superstite, gia' separato o
 divorziato, sia passato a nuove  nozze,  si  verifica  la  cessazione
 dell'erogazione  della  pensione  di  riversibilita'  e  dell'assegno
 alimentare, cosi' come stabilito dall'art.  81,  settimo  comma,  del
 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973.
   4.   -   A   seguito   delle   argomentazioni  ora  esposte  e  del
 corrispondente  dispositivo  la  Corte  ritiene  che   debba   essere
 dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  ai  sensi  dell'art. 27
 della legge 11 marzo 1953, n.   87, l'ultima proposizione  del  sesto
 comma  del  medesimo art. 81, che estende l'applicabilita' del quarto
 comma anche al marito separato per  colpa  con  sentenza  passata  in
 giudicato.