ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 2,
 della legge 23 dicembre 1994, n.  724  (Misure  di  razionalizzazione
 della  finanza  pubblica),  promosso  con ordinanza emessa il 7 marzo
 1995 dalla Commissione tributaria  di  primo  grado  di  Padova,  sul
 ricorso  proposto  da  Trevisan  Giancarlo  contro  l'Ufficio  IVA di
 Padova, iscritta al n. 391 del registro ordinanze 1996  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  19,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  21 maggio 1997 il giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1. - La Commissione tributaria di  primo  grado  di  Padova  -  con
 ordinanza  emessa il 7 marzo 1995 (r.o. n. 391 del 1996), nell'ambito
 di un giudizio avente ad oggetto  un  atto  con  il  quale  l'Ufficio
 tributario aveva negato al contribuente il beneficio della detrazione
 dell'IVA in misura forfettizzata, ex art. 34, primo comma, del d.P.R.
 26 ottobre 1972, n. 633 - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
 53  della  Costituzione  (quanto  a  quest'ultimo,  anche  alla  luce
 dell'art. 2), questione di legittimita' costituzionale dell'art.  28,
 comma   2,   della   legge  23  dicembre  1994,  n.  724  (Misure  di
 razionalizzazione della finanza pubblica), che limita  l'applicazione
 della  disposizione  antielusiva  contenuta nel precedente comma alle
 sole operazioni effettuate "a decorrere dal periodo  di  imposta  che
 inizia successivamente al 30 settembre 1994".
   2.  -  Premette l'ordinanza che il ricorrente, gia' titolare di una
 societa' commerciale avente come oggetto sociale la compravendita  di
 bestiame,  nel corso del 1991, e precisamente in data 7 luglio, aveva
 creato un nuovo  soggetto  fiscale,  con  la  denominazione  Trevisan
 Giancarlo,    sotto    la   forma   dell'imprenditore   agricolo   e,
 successivamente, in data 19 luglio, si era reso cessionario del  ramo
 d'azienda  della  societa'  Commerciale  Agraria  s.a.s.  di  Pilotta
 Alfonso, avente come unica attivita' n. 605 bovini.
   Che, successivamente, entro il medesimo periodo d'imposta:
     a) il ricorrente vendeva tutti i bovini acquistati tramite l'atto
 di cessione di  ramo  d'azienda,  operazione  non  soggetta  ad  IVA,
 fatturando  un  imponibile  di lire 1.271.131.980 con relativa IVA di
 lire  127.113.198,  imposta  incassata  ma  non  versata  all'erario,
 avvalendosi,  quale produttore agricolo, del regime speciale previsto
 dall'art. 34 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,  che  consente  agli
 agricoltori   di   portare   in  detrazione  un  importo  di  tributo
 forfettizzato per  legge  in  misura  pari  a  quella  dell'ammontare
 liquidato ed introitato sulle vendite;
     b)  sempre  nel  corso del 1991, cessava l'attivita' dell'impresa
 individuale appena costituita.
   3. - Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  dalla  illustrata  sequenza
 fattuale  si ricava che l'operazione di acquisto del ramo d'azienda e
 la successiva vendita di bovini sarebbero state poste in  essere  dal
 contribuente  allo scopo esclusivo di usufruire del vantaggio fiscale
 offerto dal primo comma dell'art. 34 del d.P.R. 26 ottobre  1972,  n.
 633,  si' da concretare una fattispecie inquadrabile nella previsione
 della norma antielusiva, di cui all'art. 10, comma 1, della legge  29
 dicembre  1990,  n. 408, quale modificato dall'art. 28 della legge 23
 dicembre 1994, n. 724, laddove vengono  presi  in  considerazione  (e
 disapplicati) i vantaggi fiscali derivanti da cessioni di beni mobili
 (nella  specie,  la  cessione  di  azienda), se poste in essere senza
 valide  ragioni  economiche  allo  scopo  esclusivo  di  ottenere  un
 risparmio di imposta.
   Poiche'  l'art.  28,  comma  2, della citata legge n. 724 del 1994,
 circoscrive   il   potere   dell'amministrazione    finanziaria    di
 disconoscere  tali vantaggi, limitandolo alle operazioni verificatesi
 nei periodi di imposta successivi al 30 settembre 1994, il rimettente
 dubita della legittimita' costituzionale della norma,  per  contrasto
 con:    l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della coerenza,
 non  potendosi  consentire  che  gli  stessi  comportamenti   abbiano
 riconoscimento giuridico, se posti in essere prima di una certa data,
 e  disconoscimento,  se  posti in essere dopo; gli artt. 3 e 53 della
 Costituzione, in quanto la  norma  suddetta  non  solo  consente  che
 l'artefatta  creazione  dei presupposti per l'agevolazione tributaria
 (ante 1994) escluda il concorso alle spese pubbliche pur in  presenza
 di reale capacita' contributiva, ma viola il principio di eguaglianza
 tributaria,  in ragione del trattamento diversificato secondo la data
 di entrata in vigore del provvedimento legislativo.
   4. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, il quale ha dedotto  l'inammissibilita'  della  questione,  in
 quanto   "diretta   all'emanazione   di   una  sentenza  additiva  di
 ampliamento  degli  effetti  previsti  dal   legislatore   attraverso
 l'inconsueta  affermazione  della necessita' della retroattivita'"; e
 comunque la sua  infondatezza,  dal  momento  che  "la  creazione  di
 situazioni  diverse  dalle  antecedenti e' connaturale all'evoluzione
 dell'ordinamento",   mentre   attiene   alla   discrezionalita'   del
 legislatore  la  eventuale  estensione (e la misura temporale di tale
 estensione)  della  efficacia   retroattiva   di   ogni   innovazione
 legislativa.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Con  l'ordinanza  in  epigrafe, la Commissione tributaria di
 primo grado di Padova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  53
 della  Costituzione (quanto a quest'ultimo, anche alla luce dell'art.
 2), questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28,  comma  2,
 della  legge  23  dicembre  1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica). Tale articolo, dopo aver previsto, al  comma
 1,  la  facolta' per l'amministrazione finanziaria di "disconoscere i
 vantaggi  tributari  conseguiti  in  operazioni  di   concentrazione,
 trasformazione,   scorporo,   riduzione  di  capitale,  liquidazione,
 valutazione di partecipazioni,  cessione  di  crediti  e  cessione  o
 valutazione  di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni
 economiche allo  scopo  esclusivo  di  ottenere  fraudolentemente  un
 risparmio  di imposta", dispone, al comma 2, oggetto qui di denuncia,
 che, per una serie di operazioni,  tra  cui  la  cessione  di  valori
 mobiliari,  la  disposizione  antielusiva si applica "alle operazioni
 effettuate  a  decorrere  dal   periodo   di   imposta   che   inizia
 successivamente al 30 settembre 1994".
   2.   -  Quest'ultima  disposizione,  ad  avviso  della  Commissione
 rimettente,  si  porrebbe  in   contrasto:   con   l'art.   3   della
 Costituzione,   sotto   il  profilo  della  coerenza,  non  potendosi
 consentire  che  gli  stessi  comportamenti  abbiano   riconoscimento
 giuridico,   se   posti   in  essere  prima  di  una  certa  data,  e
 disconoscimento  se  posti in essere dopo; con gli artt. 3 e 53 della
 Costituzione, in quanto la  norma  suddetta  non  solo  consente  che
 l'artefatta  creazione  dei  presupposti dell'agevolazione tributaria
 (ante 1994), pur in presenza di reale capacita' contributiva, escluda
 il concorso alle spese pubbliche (l'IVA pur riscossa dal contribuente
 non e' stata, infatti, versata allo Stato), ma viola il principio  di
 eguaglianza tributaria, per il diversificato trattamento in base alla
 data di entrata in vigore del provvedimento legislativo.
   3. - La questione e' inammissibile.
   Come  e' dato evincere dall'ordinanza di rimessione, la fattispecie
 in riferimento alla quale il giudice a quo ha ritenuto  di  sollevare
 l'accennata  questione  di costituzionalita' della norma antielusione
 contenuta nell'art. 28,  comma  2,  della  legge  n.  724  del  1994,
 riguarda  un caso di controversa applicazione dell'art. 34 del d.P.R.
 26 ottobre 1972, n.  633,  il  quale  dispone,  per  le  cessioni  di
 prodotti  agricoli  ed  ittici effettuate dai produttori agricoli, la
 forfettizzazione del diritto di detrazione dell'IVA assolta a  monte,
 previsto   dal   precedente  art.  19,  in  misura  pari  all'importo
 risultante  dalla  applicazione,   all'ammontare   imponibile   delle
 cessioni  stesse, delle aliquote di imposta dovuta su tali operazioni
 attive. Orbene, considerato l'oggetto  del  giudizio  innanzi  a  lui
 pendente,  spettava  al  giudice  a  quo approfondire la questione se
 l'art. 34  del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  633,  potesse  essere
 fondatamente  interpretato  nel  senso  di  consentire l'accesso alla
 detrazione forfettizzata relativa agli acquisti  di  beni  e  servizi
 anche  quando  risultasse  dimostrato,  come  nel caso, che non erano
 stati posti in essere acquisti soggetti ad IVA, si' da consentire che
 il tributo sulle vendite, pur riscosso dall'operatore economico,  non
 venisse versato allo Stato.
   E'  noto  che,  nel sistema accolto dal nostro legislatore, uno dei
 presupposti  generali  del  diritto  alla   detrazione   dell'imposta
 "assolta  o  dovuta  dal  contribuente o a lui addebitata a titolo di
 rivalsa"  e'  costituito  proprio  dall'esistenza   di   acquisti   o
 importazioni  di  beni e servizi mediante operazioni passive soggette
 ad imposta, secondo quanto  e'  dato  desumere  dall'art.  19,  primo
 comma,  della  legge  istitutiva  dell'imposta  sul  valore aggiunto,
 richiamato espressamente anche dall'art. 34 succitato.  La  peculiare
 disciplina,  prevista per i produttori agricoli, la quale consente di
 quantificare la detrazione con il criterio forfettario ivi  previsto,
 anche  se  gli  acquisti e le importazioni sono stati posti in essere
 con aliquota zero, pone, dunque, il problema della sua applicabilita'
 nel caso di acquisto di beni e servizi che  siano  addirittura  fuori
 del  campo di applicazione dell'IVA, potendosi dubitare che sussista,
 in tale evenienza, il diritto alla detrazione e quindi alla correlata
 forfettizzazione,  alla  luce  anche  del  criterio   di   esclusione
 espressamente  stabilito,  sia  pure  in epoca successiva ai fatti di
 causa, dall'art. 14, comma 8, lettera  e)  della  legge  24  dicembre
 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica).
   A  tale proposito va considerato che la normativa comunitaria, dopo
 aver disposto (art. 25, paragrafo 1, della sesta  direttiva  Cee,  n.
 77/388,  del  17  maggio  1977),  che  il  regime  forfettario  per i
 produttori agricoli e' "inteso a compensare l'onere dell'imposta  sul
 valore  aggiunto  pagata  sugli  acquisti  di  beni  e  servizi degli
 agricoltori forfettari", precisa (paragrafo 3 del medesimo  articolo)
 che   le   percentuali  forfettarie  di  compensazione  del  tributo,
 applicabili ai prodotti ceduti da  tali  contribuenti  (e  trattenute
 dagli  stessi  in  forza  del regime forfettario), "non possono avere
 l'effetto di procurare agli agricoltori forfettari rimborsi superiori
 agli oneri dell'imposta sul valore aggiunto a monte".
   Conclusivamente  alla  stregua  di  un  ben   noto   canone   della
 giurisprudenza  costituzionale,  il  giudice,  prima  di rimettere la
 questione a questa Corte, avrebbe  dovuto  approfondire  il  problema
 relativo  alla  applicabilita'  dell'art. 34 alla fattispecie oggetto
 del giudizio a quo, valutando, in particolare, la  praticabilita'  di
 interpretazioni  suscettibili  di  escludere un risultato ermeneutico
 che, nella linea argomentativa sviluppata dall'ordinanza, rappresenta
 la premessa del sollevato dubbio di costituzionalita'.