ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4-quater del
 d.-l. 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni  urgenti  per  il  recupero
 degli  introiti  contributivi  in materia previdenziale), convertito,
 con modificazioni, dalla legge 17 marzo 1993,  n.  63,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  15  marzo  1996 dalla Corte di cassazione, sul
 ricorso proposto dall'INAIL contro Carlo Gavazzi -  Impianti  S.p.a.,
 iscritta  al  n.  933  del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  40,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1996;
   Visto   l'atto   di  costituzione  dell'INAIL,  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1997 il  giudice  relatore
 Valerio Onida;
   Uditi  l'avvocato  Saverio  Muccio  per  l'INAIL e l'Avvocato dello
 Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ordinanza emessa il 15 marzo  1996,  pervenuta  a  questa
 Corte  il  29 luglio 1996, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha
 sollevato,  su  istanza  del   pubblico   ministero,   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 4-quater del d.-l. 15 gennaio
 1993, n. 6 (Disposizioni  urgenti  per  il  recupero  degli  introiti
 contributivi    in    materia    previdenziale),    convertito,   con
 modificazioni, dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, in riferimento  agli
 artt. 3 e 38 della Costituzione.
   2. - La vicenda normativa che ha dato luogo alla proposizione della
 questione  trae  origine  dalla  interpretazione  ed applicazione del
 disposto di cui all'art. 12  della  legge  30  aprile  1969,  n.  153
 (Revisione  degli  ordinamenti  pensionistici  e  norme in materia di
 sicurezza sociale), che ha introdotto un nuovo testo dell'art. 29 del
 t.u. delle disposizioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
 professionali, approvato con decreto 30 giugno 1965, n. 1124, il  cui
 secondo  comma  stabilisce,  al  numero  1,  che  sono  escluse dalla
 retribuzione imponibile ai fini dell'assicurazione  obbligatoria  per
 gli  infortuni sul lavoro le somme corrisposte al lavoratore a titolo
 "di diaria o d'indennita' di trasferta in cifra fissa,  limitatamente
 al 50 per cento del loro ammontare".  La ratio di tale disposto viene
 indicata  dalla  giurisprudenza nella presunzione legale che le somme
 in questione abbiano in parte natura di risarcimento  del  lavoratore
 per  le  maggiori  spese  incontrate  a seguito della trasferta, e in
 parte  carattere  retributivo,  come  compenso  del  maggior  disagio
 derivante  dalla  prestazione  di  lavoro resa al di fuori della sede
 ordinaria.
   Si  e'  posto  nella  pratica,  ed  e'   stato   affrontato   dalla
 giurisprudenza,   il   problema   delle   indennita'  corrisposte  ai
 lavoratori tenuti per contratto ad una attivita' lavorativa in luoghi
 variabili e sempre diversi da quello  della  sede  aziendale  (c.  d.
 "trasfertisti"),   discutendosi  se  anche  tali  indennita'  fossero
 soggette a contribuzione solo per  il  50  per  cento  o  invece  per
 l'intero.  Presso i giudici di legittimita' si era infine consolidata
 questa seconda tesi interpretativa, escludendosi che in tale  ipotesi
 ricorressero  i  presupposti della trasferta (prestazione del lavoro,
 in via temporanea,  fuori  dalla  sede  di  normale  svolgimento),  e
 attribuendosi  alle  indennita'  in  questione  natura esclusivamente
 retributiva e non restitutoria.
   Senonche' l'art. 9-ter del d.-l. 29 marzo 1991,  n.  103,  aggiunto
 dalla  legge  di  conversione  1  giugno  1991,  n. 166, stabili' che
 "l'articolo 12, secondo capoverso, numero 1, della  legge  30  aprile
 1969,  n. 153, va inteso nel senso che nella diaria o nell'indennita'
 di  trasferta  sono  ricomprese  anche  le  indennita'  spettanti  ai
 lavoratori tenuti per contratto ad una attivita' lavorativa in luoghi
 variabili  e  sempre diversi da quello della sede aziendale, anche se
 corrisposte con carattere di continuita'".
   La Corte di cassazione ha ritenuto che a tale  ultima  disposizione
 si   dovesse   attribuire  natura  non  gia'  interpretativa,  bensi'
 innovativa:  onde ne ha negato l'efficacia retroattiva, continuando a
 ritenere l'indennita' in questione soggetta per intero a  contributo,
 per  quanto riguarda i rapporti contributivi sorti prima del 1 giugno
 1991, data di pubblicazione della legge di conversione.
   A questo punto e' intervenuto pero' l'art. 4-quater  del  d.-l.  15
 gennaio 1993, n. 6, il quale ha disposto che "per i periodi anteriori
 al  1 giugno 1991 sono fatti salvi e conservano la loro efficacia gli
 importi contributivi gia' corrisposti sulla diaria o sulla indennita'
 di trasferta e versati dai datori di  lavoro  che  abbiano  avuto  in
 forza   lavoratori  tenuti  per  contratto  anche  con  carattere  di
 continuita' a prestare la propria opera in luoghi diversi dalla  sede
 aziendale  ai  sensi  dell'art.  12,  primo comma, secondo capoverso,
 numero 1, della legge 30 aprile 1969, n. 153, cosi' come interpretato
 dall'art.  9-ter del d.-l. 29 marzo 1991,  n.  103,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n. 166".
   Il  giudice  di legittimita', chiamato nuovamente a pronunciarsi su
 rapporti controversi relativi  a  periodi  contributivi  passati,  ha
 ritenuto  in  alcune  pronunce  che l'art. 9-ter, originariamente non
 retroattivo,  abbia  acquistato  valore   retroattivo   per   effetto
 dell'art.  4-quater  del  decreto-legge  n.  6  del  1993,  che  l'ha
 qualificato  come  norma  interpretativa,  ma  contemporaneamente  ha
 introdotto  una  deroga alla sua efficacia retroattiva, prevedendo la
 conservazione degli  effetti  dei  versamenti  contributivi  avvenuti
 anteriormente  al 1 giugno 1991. Altre pronunce hanno ritenuto che la
 disposizione da ultimo citata del decreto-legge n. 6 del  1993  abbia
 attribuito all'art. 9-ter del decreto-legge n. 103 del 1991 efficacia
 retroattiva  limitatamente  all'avvenuto  adempimento  degli obblighi
 contributivi per i periodi anteriori al 1 giugno 1991, per i quali si
 applica ai c.d. "trasfertisti" la  contribuzione  sul  50  per  cento
 della diaria e della indennita' di trasferta.
   3.  - Sulla base di tale ultimo indirizzo la Corte di cassazione ha
 sollevato  la  presente  questione  di  legittimita'  costituzionale.
 Premesso  che  essa  appare  rilevante,  in quanto la interpretazione
 dell'art.  12  della  legge  n.  153  del  1969,  alla   luce   delle
 disposizioni  sopravvenute,  e'  decisiva  nel  giudizio  a  quo,  il
 remittente  sostiene  che  sarebbe  palese  la  irragionevolezza  del
 diverso  trattamento  riservato  dal  legislatore ai datori di lavoro
 che,  anteriormente  all'entrata  in  vigore  dell'art.   9-ter   del
 decreto-legge  n.  103  del  1991,  hanno adempiuto alla obbligazione
 contributiva  assoggettando  a  contributo  l'intero  ammontare   dei
 compensi   corrisposti,  e  a  quelli  che  invece  hanno  versato  i
 contributi solo sul 50 per cento di tale ammontare.   Il  legislatore
 del   1993  avrebbe  concesso  una  "sanatoria  totale  senza  alcuna
 contropartita",   premiando   un   adempimento   delle   obbligazioni
 contributive  effettuato  in  maniera  ridotta,  in  violazione  - si
 sostiene - degli artt. 3 e 38 della Costituzione.
   Il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte  n.  421  del
 1995,  che  ha  dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art.
 9-bis, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto-legge n. 103  del
 1991,  in  relazione  cioe'  ad  una  "sanatoria"  che  il remittente
 considera "analoga" a quella disposta con la norma ora impugnata.
   4.  -  Si  e'  costituito  l'Istituto nazionale per l'assicurazione
 contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), ricorrente  nel  giudizio  a
 quo,  affermando  anch'esso  che  a  seguito  dell'entrata  in vigore
 dell'art. 4-quater del decreto legge n. 6 del  1993  la  disposizione
 dell'art.  9-ter  del  decreto-legge  n.  103  del  1991  ha  assunto
 efficacia retroattiva  per  quanto  concerne  l'avvenuto  adempimento
 degli  obblighi  contributivi  relativi  a  periodi  antecedenti al 1
 giugno 1991, con applicazione della contribuzione sul  50  per  cento
 della   indennita'   di   trasferta;   e   sostenendo   che,   "cosi'
 interpretato", l'art.  4-quater  concretizzerebbe  una  irragionevole
 disuguaglianza  fra  datori  di  lavoro  che  si  trovano in identica
 posizione. La parte chiede quindi che la disposizione  impugnata  sia
 dichiarata costituzionalmente illegittima.
   5.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
   L'Avvocatura sostiene che la fattispecie decisa con la sentenza  n.
 421  del  1995  di  questa  Corte  era diversa da quella in esame. In
 quest'ultima non sarebbe presente quella  particolare  situazione  di
 conflitto  fra  due interessi, uno individuale e uno pubblico, con la
 necessita' di tutelare quest'ultimo, che  condusse  la  Corte,  nella
 sentenza  n.  421 del 1995, a ritenere in contrasto con i principi di
 razionalita'-equita' e di solidarieta' la mancata previsione, per  il
 passato,  del "contributo di solidarieta'" come "contropartita" della
 esclusione di determinate somme  dalla  base  contributiva.  Qui,  al
 contrario, sarebbe in discussione soltanto il trattamento diverso fra
 datori  di  lavoro  che  hanno eseguito versamenti in misura diversa,
 realizzato in base ad una norma dichiaratamente interpretativa,  resa
 necessaria   dalla   formulazione   poco  chiara  della  disposizione
 interpretata.
   Secondo l'Avvocatura, l'interpretazione di una norma in materia  di
 prestazioni   previdenziali   rientra   nella   discrezionalita'  del
 legislatore, e non si comprende quale "contropartita" dovesse  essere
 introdotta,  non  risultando in discussione nemmeno l'adempimento dei
 doveri inderogabili  di  solidarieta'  economica  e  sociale  imposti
 dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione.
   6.  -  In  prossimita'  dell'udienza ha depositato memoria l'INAIL,
 affermando la necessita' che venga rimosso  il  "privilegio"  che  la
 norma denunciata riconoscerebbe ai datori di lavoro che hanno versato
 i  contributi  nella  misura  ridotta. In proposito, la parte ricorda
 che, secondo la giurisprudenza di  questa  Corte,  "dalla  disciplina
 costituzionale  in  vigore  non  e'  dato  desumere, per i diritti di
 natura economica, una particolare protezione contro l'eventualita' di
 norme  retroattive,  salvo  soltanto  il  limite  del  principio   di
 ragionevolezza".
                         Considerato in diritto
   1.  -    La  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  dubita della
 legittimita' costituzionale dell'art. 4-quater del d.-l.  15  gennaio
 1993,  n.  6  (Disposizioni  urgenti  per  il recupero degli introiti
 contributivi in materia previdenziale), convertito con  modificazioni
 dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, in tema di contributi previdenziali
 sulla   diaria   o  sulla  indennita'  di  trasferta  corrisposta  ai
 lavoratori tenuti per contratto, anche con carattere di  continuita',
 a  prestare  la  propria opera in luoghi diversi dalla sede aziendale
 (c.d. "trasfertisti").
   Detta disposizione stabilisce che per  i  periodi  anteriori  al  1
 giugno  1991 (cioe' alla pubblicazione della legge di conversione del
 d.-l. 29 marzo 1991, n. 103, legge  che  ha  introdotto  nel  decreto
 l'art.  9-ter)  sono  fatti  salvi  e  conservano la loro efficacia i
 versamenti contributivi effettuati assumendo come  imponibile  il  50
 per  cento  degli  importi  in questione, in conformita' all'art. 12,
 primo comma, secondo capoverso, numero 1, della legge 30 aprile 1969,
 n.  153,  "cosi'   come   interpretato   dall'articolo   9-ter"   del
 decreto-legge n.  103 del 1991.
   Secondo il giudice a quo, tale disposizione, riconoscendo efficacia
 retroattiva,  limitatamente  all'avvenuto  adempimento degli obblighi
 contributivi su un imponibile  commisurato  al  50  per  cento  degli
 importi corrisposti ai lavoratori, all'art. 9-ter citato, al quale la
 giurisprudenza  aveva  attribuito  natura  innovativa  e  dunque  non
 retroattiva,  introdurrebbe  una  disuguaglianza  irragionevole   fra
 datori  di lavoro che hanno versato i contributi  sull'intero importo
 delle  somme  corrisposte,  e  datori  di  lavoro  che  invece  hanno
 effettuato  il  versamento  sul  50  per  cento  di  dette  somme; e,
 concedendo  "una  sanatoria  totale  senza   alcuna   contropartita",
 premierebbe  un  adempimento  in  misura  ridotta  della obbligazione
 contributiva, in violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.
   2. - La questione non e' fondata.
   L'art. 9-ter  del  decreto-legge  n.  103  del  1991  ha  stabilito
 l'equiparazione   delle   indennita'   corrisposte   ai  cosi'  detti
 "trasfertisti"  alle  indennita'  di  trasferta   vere   e   proprie,
 assoggettandole  alla contribuzione previdenziale nella misura del 50
 per  cento,  sul  presupposto,  evidentemente,  che  anche  le  prime
 indennita'  rivestano  parzialmente  carattere  di  risarcimento  dei
 lavoratori per le maggiori spese che essi incontrano dovendo prestare
 la propria opera fuori dalla sede aziendale.
   Si  puo'  prescindere  qui  dall'esattezza  o  meno   della   tesi,
 affermatasi  in giurisprudenza, secondo cui tale disposizione avrebbe
 avuto carattere innovativo e non  interpretativo,  e  dunque  sarebbe
 stata  priva  di  efficacia  retroattiva.  Sta  di fatto che il nuovo
 intervento   legislativo   effettuato   con   l'art.   4-quater   del
 decreto-legge  n.  6  del  1993  ha  avuto  chiaramente  lo  scopo di
 ricondurre anche i versamenti effettuati per i  periodi  contributivi
 anteriori  al  1  giugno  1991,  che  la  giurisprudenza continuava a
 ritenere  soggetti  all'obbligo  nella  misura  intera,   al   regime
 contributivo  ridotto  stabilito  dal  legislatore  con  il  medesimo
 decreto-legge del 1991: cosi' realizzando una parificazione, a questo
 fine, fra le situazioni relative ai periodi contributivi anteriori  e
 quelle  relative  ai periodi successivi, pacificamente regolate dalla
 nuova disposizione.
   Del resto, il riferimento legislativo ai versamenti  effettuati  ai
 sensi   dell'art.  12  della  legge  n.  153  del  1969  "cosi'  come
 interpretato dall'art. 9-ter  del  decreto-legge  n.  103  del  1991"
 mostra  con evidenza l'intenzione del legislatore di ricondurre anche
 i  versamenti  anteriori  effettuati  nella   misura   ridotta   alla
 disciplina prescelta dallo stesso legislatore fin dal 1991.
   In  tal  modo,  non  si  e'  realizzata  nemmeno  propriamente  una
 "sanatoria" - come ritiene il remittente  -,  cioe'  una  rinuncia  a
 perseguire  comportamenti  illeciti  che  tali  continuano  ad essere
 qualificati (cio' che, peraltro, non e' di per se' sempre precluso al
 legislatore), ma si e' semplicemente estesa nel tempo l'efficacia del
 regime legittimamente disposto dal  legislatore  per  la  materia  in
 questione,  superando  il contenzioso rimasto aperto, con riguardo al
 passato,  dopo  l'intervento  legislativo   del   1991,   a   seguito
 dell'affermazione  giurisprudenziale  del  carattere innovativo e non
 retroattivo della disciplina cosi' introdotta.
   Se dunque di disparita'  si  dovesse  parlare,  essa  non  andrebbe
 ravvisata  nel  trattamento, che si assume di favore, fatto ai datori
 di lavoro che avevano versato i contributi  sull'imponibile  ridotto,
 in  conformita'  alla  determinazione  del  legislatore  del 1991, ma
 semmai, in ipotesi,  nell'esclusione,  implicitamente  operata  dalla
 disposizione   impugnata,   della   ripetibilita'   degli   eventuali
 versamenti  nella  misura  intera,  volontariamente  effettuati   con
 riferimento  ai  periodi  contributivi anteriori al 1 giugno 1991. Ma
 siffatta censura non e' sollevata dal remittente, che  esplicitamente
 si  pone  dal  punto  di  vista  opposto,  ritenendo  illegittima  la
 "sanatoria" disposta riguardo  ai  versamenti  effettuati  in  misura
 ridotta;  e  non  sarebbe  comunque rilevante nel giudizio a quo, nel
 quale si controverte di un rapporto contributivo, relativo a  periodi
 anteriori  al  1  giugno  1991,  nel  quale il datore di lavoro aveva
 effettuato   i   versamenti   nella   misura   ridotta,    contestata
 dall'istituto previdenziale.
   3. - Nemmeno e' fondata la censura di violazione dell'art. 38 della
 Costituzione,  che  il remittente a'ncora alla tesi secondo cui nella
 specie il legislatore avrebbe disposto una  "sanatoria  totale  senza
 alcuna contropartita".
   Il  richiamo  del  giudice a quo al precedente di questa Corte, che
 sarebbe  costituito  dalla  sentenza  n.  421  del   1995,   non   e'
 appropriato.    In quell'occasione infatti la Corte, investita di una
 censura relativa  alla  mancata  estensione  della  totale  esenzione
 contributiva  concessa, solo per il passato, sulle somme destinate al
 finanziamento di forme di  previdenza  complementare,  a  coloro  che
 avessero  gia' effettuato i versamenti alla data di entrata in vigore
 della relativa disciplina, aveva sollevato di fronte a se  stessa  la
 questione  di  costituzionalita'  della  norma  nella  parte  in  cui
 esonerava tali somme dal pagamento dei contributi; e  l'aveva  quindi
 ritenuta  illegittima non in quanto disponesse una deroga retroattiva
 in funzione di sanatoria (cio' che la Corte considero' di per se' non
 censurabile), ma in quanto  tale  sanatoria  totale  veniva  disposta
 senza  alcuna  contropartita  analoga al "contributo di solidarieta'"
 che  lo  stesso  legislatore  aveva  imposto  per  il  futuro:  cosi'
 ponendosi in contrasto "col principio di razionalita'-equita' (art. 3
 Cost.)  coordinato  col  principio  di  solidarieta',  col quale deve
 integrarsi l'interpretazione dell'art.  38, secondo comma, Cost.", in
 forza del quale  -  ritenne  la  Corte  -  la  tutela  dell'interesse
 individuale  dei  lavoratori  ad  usufruire  di  forme  di previdenza
 complementare non deve andare disgiunto, in misura proporzionata,  da
 un  "dovere  specifico di cura dell'interesse pubblico a integrare le
 prestazioni  previdenziali,  altrimenti  inadeguate,   spettanti   ai
 soggetti economicamente piu' deboli".
   Nel  caso  ora  in  esame, invece, non e' in gioco l'equilibrio fra
 tutela dell'interesse individuale e  dovere  di  cura  dell'interesse
 pubblico di natura previdenziale, poiche' la disciplina prescelta dal
 legislatore  -  sia  pure,  in  un primo momento, solo per il futuro,
 secondo l'interpretazione giurisprudenziale - era ed e' nel senso del
 solo parziale assoggettamento delle somme  in  questione  all'obbligo
 contributivo,  in  vista della funzione solo parzialmente retributiva
 che,  secondo  l'apprezzamento  del  legislatore,  esse  vengono   ad
 assumere   nell'ambito  del  rapporto  di  lavoro.  Pertanto  nessuna
 "contropartita" si puo' configurare rispetto alla parziale  esenzione
 dall'obbligo   contributivo   disposta  dalla  legge.  E  se  nessuna
 "contropartita" si configura per il futuro, non si vede perche'  essa
 dovrebbe  essere  costituzionalmente imposta per il passato, a cui il
 legislatore, nella  sua  discrezionalita',  ha  inteso  estendere  il
 regime   di   parziale   sottrazione   all'obbligo  contributivo.  Il
 legislatore insomma, come era libero di definire per il  futuro  tale
 regime,  cosi'  poteva  estenderlo  a periodi contributivi pregressi:
 mentre il limite frapposto a  tale  retroattivita'  in  relazione  ai
 versamenti volontariamente effettuati nel passato in misura superiore
 non  e'  oggetto,  come si e' detto, di questioni rilevanti in questa
 sede.