ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
 4-septies,  della  legge  18  gennaio  1992, n. 16, recante "Norme in
 materia di elezioni e nomine presso le regioni  e  gli  enti  locali"
 (recte: dell'art.  15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n.
 55,  recante "Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza
 di  tipo  mafioso  e  di  altre  gravi  forme  di  manifestazione  di
 pericolosita' sociale", introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio
 1992,  n.  16),  promosso  con  ordinanza emessa il 6 giugno 1996 dal
 pretore di Bari, nel procedimento civile vertente tra Bagnato  Ettore
 e Azienda Municipalizzata Trasporti Autofiloviari di Bari - A.M.T.A.,
 iscritta  al  n.  1209 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica - prima serie speciale  -  n.  45
 dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  2  luglio  1997  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
   Ritenuto  che,  con  ordinanza emessa il 6 giugno 1996, pervenuta a
 questa Corte il 4  ottobre  1996,  il  pretore  di  Bari,  adi'to  in
 funzione   di   giudice   del   lavoro,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, 35,  36,
 97 e 98 della Costituzione, dell'art. 1, comma 4-septies, della legge
 18  gennaio  1992,  n.  16,  recante  "Norme in materia di elezioni e
 nomine presso le Regioni e gli enti  locali"  (recte:  dell'art.  15,
 comma  4-septies,  della  legge  19 marzo 1990, n. 55, recante "Nuove
 disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo  mafioso  e
 di  altre  gravi  forme  di manifestazione di pericolosita' sociale",
 introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16);
     che il remittente ritiene anzitutto la propria  legittimazione  a
 sollevare  questioni di legittimita' costituzionale nell'ambito della
 fase cautelare del procedimento - che si arguisce instaurato ai sensi
 degli articoli 669-bis e seguenti  e  dell'art.  700  del  codice  di
 procedura  civile,  per  contestare la sospensione dall'ufficio di un
 direttore di azienda municipalizzata - essendo tale fase  non  ancora
 esaurita   dopo   l'emanazione,   inaudita   altera   parte,   di  un
 provvedimento d'urgenza, e in  vista  delle  decisioni  di  conferma,
 modifica  o  revoca  dello  stesso,  da  adottarsi ai sensi dell'art.
 669-sexies, secondo comma, dello stesso codice di procedura civile;
     che, cio' premesso, il giudice a quo afferma,  in  punto  di  non
 manifesta   infondatezza   della  questione,  che,  "ove  si  ritenga
 possibile l'applicazione della sospensione automatica nell'ipotesi di
 un direttore di azienda municipalizzata, il quale e' titolare  di  un
 rapporto di lavoro del tutto particolare ed a tempo determinato (come
 tale riconducibile piu' alla prestazione d'opera professionale che ad
 un  rapporto  d'impiego),  in  presenza  di  una  sentenza  penale di
 condanna non passata in  giudicato  si  pregiudicherebbe  in  maniera
 irreparabile il lavoratore il quale, a differenza di altri dipendenti
 che usufruiscono nel periodo di sospensione di un assegno a carattere
 alimentare, verrebbe privato di ogni emolumento";
     che  il  remittente richiama altresi' la giurisprudenza di questa
 Corte  che  avrebbe,  "anche  nell'ipotesi  di  sentenza  passata  in
 giudicato",  previsto  "un sistema di garanzie molto piu' rigoroso di
 quello precedentemente ritenuto attuabile";
     che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, in
 quanto  l'ordinanza  non da' conto della fattispecie controversa, ne'
 della  sua  rilevanza,  ne'  delle  ragioni   della   non   manifesta
 infondatezza; ovvero manifestamente infondata, in quanto la lamentata
 privazione  dell'assegno  alimentare  non  dipenderebbe  dalla  norma
 censurata bensi' da  quelle  che  regolano  il  rapporto  di  impiego
 dell'interessato;
   Considerato che l'ordinanza di rimessione non da' alcun conto della
 fattispecie  sottoposta al giudizio, ne' motiva sulla rilevanza della
 questione sollevata, al di la' della mera asserzione  di  sussistenza
 della rilevanza medesima;
     che,  infatti,  il  remittente  non si pronuncia sulla natura del
 rapporto in essere fra  il  ricorrente  e  l'azienda  municipalizzata
 resistente,  limitandosi  a  qualificarlo come "un rapporto di lavoro
 del tutto  particolare  (...)  riconducibile  piu'  alla  prestazione
 d'opera  professionale  che ad un rapporto di impiego", col che viene
 messo in dubbio lo stesso presupposto perche'  si  possa  parlare  di
 sospensione  dalla  funzione  o  dall'ufficio  di  un  dipendente  di
 amministrazione pubblica,  in  forza  dell'applicazione  della  norma
 denunciata;  ne'  si  pone  il  problema  dei  possibili rapporti fra
 sospensione "dalla funzione  o  dall'ufficio  ricoperti"  -  prevista
 dalla  norma  censurata - e vicende del rapporto di lavoro di diritto
 privato;
     che  lo  stesso  remittente  non  si  pronuncia  sulla  effettiva
 applicabilita'  della  norma  censurata  alla  fattispecie  concreta,
 limitandosi   ad   affermare   che,   "ove   si   ritenga   possibile
 l'applicazione   della  sospensione  automatica  nell'ipotesi  di  un
 direttore  di  azienda   municipalizzata",   si   verificherebbe   il
 pregiudizio   da   cui   discenderebbe   la   lesione   dei  principi
 costituzionali invocati: cosi' configurando la medesima questione  di
 legittimita'   costituzionale   in   termini  perplessi  o  meramente
 ipotetici;
     che,  inoltre, il giudice a quo non motiva in alcun modo circa la
 asserita violazione di alcuni dei parametri  costituzionali  invocati
 (gli  artt.  4,  35,  97 e 98 della Costituzione), mentre - quanto al
 denunciato contrasto con gli artt. 3 e 36 della  Costituzione  -  non
 dimostra  che la lamentata privazione anche di un assegno alimentare,
 che colpirebbe il ricorrente a seguito della sospensione ex lege, sia
 riconducibile, ove esistente, alla disposizione censurata,  piuttosto
 che ad altre norme che disciplinano il rapporto in questione;
     che,  pertanto,  la questione deve essere ritenuta manifestamente
 inammissibile;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.