IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza sciogliendo la riserva adottata nell'udienza 16 maggio 1995. F a t t o Nella causa iscritta al n. 36371/1992 r.g., promossa da Marelli Motori S.r.l. nei confronti di Miorini Metalli S.r.l., avente per oggetto opposizione a decreto ingiuntivo all'udienza del 16 maggio 1995 (fissata, con ordinanza 27 marzo 1995, per l'esame di una appostazione a verbale, nonche' proveniente da rinvio, disposto all'udienza 4 novembre 1993 dal precedente istruttore, per precisazione delle conclusioni e per assegnazione a sentenza), si e' verificata la seguente situazione: comparivano l'avv. D. Casponi, dichiaratasi delegata dall'avv. Aurea, per l'opposta, ancorche' sprovvista di delega scritta, e l'avv. Benfatto, il quale dichiarava di sostituire l'avv. Verdirame, per l'opponente, ancorche' sprovvisto di delega scritta; entrambi i sostituti di cui sopra, dichiaravano di "aderire all'astensione delle udienze in ottemperanza (sic) al deliberato del CNF". D i r i t t o Sorgono dunque tre ordini di questioni di costituzionalita'. Anzitutto, deve dubitarsi della costituzionalita' dell'art. 84 del c.p.c. nella parte in cui consente la sostituzione del procuratore della parte mediante delega orale da quest'ultimo conferita, e cio' in riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Infatti, poiche' la norma in esame va interpretata, come appare doveroso alla luce della prassi ab immemorabile instauratasi negli uffici giudiziari italiani, nel senso sopra prospettato, appare allora inevitabile concludere che la disciplina che ne risulta e' del tutto irragionevole. Essa infatti introduce una incomprensibile ed ingiustificata disparita' tra la parte sostanziale (la quale deve sempre conferire la procura per iscritto), da un canto, e, dall'altro, il suo procuratore (che invece puo', senza neppure consultare la parte, affidare la sostituzione in udienza a qualsivoglia procuratore), senza che tale disparita' sia sorretta da apprezzabili ragioni e senza che comunque possa affermarsene la corrispondenza all'interesse della parte medesima. Ancor piu' irragionevole tale norma, secondo l'interpretazione assolutamente maggioritaria (e costituente percio' diritto vivente), risulta essere alla luce della differente espressa prescrizione di cui all'art. 108 disp. att. del c.p.c., laddove viene imposto, per il caso di prova delegata, che il procuratore del luogo, incaricato dal procuratore della parte di assistere all'assunzione della prova delegata, debba essere munito di procura scritta. Orbene, se la sostituzione in questa ipotesi risulta sicuramente giustificata dal semplice rilievo della distanza fra il luogo ove il procuratore della parte esercita la professione e quello ove la prova deve essere assunta, e se in tale caso (di intrinseca opportunita' del potere di farsi sostituire) la legge esige comunque un atto scritto di delega, vieppiu' irragionevole risulta la disparita' riservata alla sostituzione orale nell'ambito della medesima circoscrizione di tribunale. Per le stesse ragioni, deve ritenersi che la menzionata norma contrasti pure coll'art. 24 della Costituzione, laddove non consente alla parte di esercitare il suo diritto inviolabile alla difesa tecnica (comprensivo della esatta individuazione del sostituto) mediante il procuratore che, intuitu personae, aveva deciso di incaricare di seguire la controversia. Ne' potrebbe pervenirsi a diversa conclusione obiettando, come talora accade, che la parte ha comunque conferito al difensore un eventuale potere di "farsi sostituire" senza che pero' risulti specificamente indicato il nome del sostituto (e la necessita' di procura scritta non e' evidentemente soddisfatta dalla individuazione di questo per relationem ad una scelta orale). Peraltro, nella specie, nel fascicolo d'ufficio non si rinvengono ne' i fascicoli di parte ne' la copia per l'ufficio della citazione, sicche' neppure puo' valutarsi il contenuto della eventuale procura conferita dall'opponente. Sulla rilevanza di tale questione, reputa il pretore che, qualora la asserita sostituzione per "deleghe orali" venisse riconosciuta costituzionalmente illegittima da codesta onorevole Corte, ne scaturirebbe agevolmente l'ordine di cancellazione della causa dal ruolo, giacche' ne' le parti ne' i loro difensori sono comparsi all'udienza 16 maggio 1995, salve le conclusioni che seguono. In secondo luogo, ove fosse possibile superare i dubbi sopra illustrati, e qualora quindi la denunciata norma non venisse dichiarata incostituzionale nei sensi sopra sintetizzati, sorgerebbe la subordinata questione della legittimita' costituzionale dell'art. 309 del c.p.c. Infatti, l'art. 309 del c.p.c. prevede che, in caso di mancata comparizione delle parti ad una udienza successiva alla prima, debba applicarsi l'art. 181, comma primo del c.p.c., ossia debba disporsi la cancellazione della causa dal ruolo. La ratio di tale norma appare evidente: indipendentemente dalla scarsita' delle risorse riservate al "servizio giustizia"; e' assolutamente impensabile che una controversia, nella quale le parti non svolgano attivita' processuale alcuna, possa restare sul ruolo, sicche' essa passa nello stato di quiescenza. La ricordata norma, peraltro, fa discendere i propri effetti unicamente dalla mancata presentazione delle parti (id est, dei loro procuratori) ad una udienza, e non anche dalla mera presenza fisica di esse, non contestualmente accompagnata, pero', da alcuna istanza o attivita' processuale. Ora, dovendosi escludere che la mera dichiarazione di adesione ad uno sciopero (peraltro non conforme - ad esempio per la mancanza del congruo preavviso di cui all'art. 2 della legge n. 146/1990 - alla disciplina vigente per i lavoratori dipendenti) rivesta i connotati di "attivita' processuale", tanto piu' in quanto non accompagnata neppure dalla richiesta, ad esempio, di rinvio per gli stessi incombenti, e dovendosi pero' anche escludere che, formalmente, ricorra il presupposto della mancata comparizione delle parti di cui all'art. 309 del c.p.c., risulta cosi' evidente che, alla stregua di una interpretazione meramente letterale della ridetta norma, il pretore non puo', allo stato, ordinare la cancellazione dal ruolo. Nondimeno, deve dubitarsi che tale impedimento alla cancellazione sia ragionevole e comunque conforme ai precetti costituzionali di cui agli artt. 3, 97 e 101/2 della Costitituzione. Quanto all'art. 3, va ripetuto che la irragionevole disparita' in fatto fra le identiche situazioni di mancanza di richieste o attivita' processuali derivanti dalla mancata comparizione delle parti, da un lato, e di mancanza di esse per astensione delle medesime parti dalla trattazione dell'udienza in adesione ad una protesta difforme dalla legge che pure dovrebbe regolarla, costituisce una incoerenza del sistema processuale priva di alcun fondamento logico, e comunque non rispondente ad alcun interesse pubblico. Quanto all'art. 97 della Costituzione, appare evidente che una siffatta disposizione processuale impedisce il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria, rendendo impossibile al giudice di organizzare opportunamente le (gia' scarse) risorse del proprio ufficio, dovendo, come non di rado si e' verificato, disporre brevi rinvii in vista della proclamato termine della protesta, per poi disporne altri a seguito della imprevista sua proroga, e ledendo cosi' il pari diritto di sollecita trattazione del processo di altre parti, i cui procuratori non siansi astenuti. Quanto all'art. 101, comma secondo, della Costituzione, risulta evidente che l'art. 309 del c.p.c., nella sua vigente formulazione, in realta' consente alle parti di disporre, senza alcun controllo possibile da parte del giudice, dei tempi e dei modi del processo (il quale, ancorche' fondato sull'impulso di parte, lo e' tuttavia sol per cio' che attiene alla sua proposizione e alla offerta delle prove, non certo per la direzione del suo svolgimento che, dall'art. 175 del c.p.c., e' da ritenersi riservata all'istruttore). Dunque, l'art. 309 del c.p.c. in realta' non disciplina che apparentemente gli effetti dell'inerzia processuale delle parti, rimettendoli interamente ed esclusivamente al diritto potestativo incontrollabile delle parti e dei loro procuratori. La questione della illegittimita' costituzionale dell'art. 309 del c.p.c., appare rilevante ai fini del decidere poiche', qualora codesta onorevole Corte decidesse nel senso della illegittimita', il pretore dovrebbe limitarsi ad ordinare la cancellazione dal ruolo, mentre in caso contrario resterebbe aperta ogni ulteriore delibazione, con particolare riferimento alla questione di seguito affrontata. Invero, se fosse superato anche il secondo dubbio di costituzionalita', rimarrebbe da esaminare la ulteriormente subordinata questione dell'efficacia processuale della dichiarazione di astensione, riferita, si badi, ai sostituti, e non ai procuratori sostituiti. Sarebbe da rilevare, per vero, che difettando la delega scritta, neppure e' possibile accertare se i sostituiti avessero eventualmente delegato i sostituti proprio a dichiarare l'astensione di essi procuratori, oltre a quella dei sostituti medesimi. Ma, dandosi appunto per implicito che tale fosse il contenuto della delega orale (laddove, ripetesi, potesse questa stimarsi efficace processualmente), resta il fatto che la astensione, dichiarata senza alcun'altra istanza delle parti e comunque in assenza di qualsivoglia concreta attivita' processuale, rende problematica la sua sussunzione in qualche specifica categoria di atto processuale. Ebbene, la causa era fissata, oltre che per gli incombenti stabiliti coll'ordinanza 27 marzo 1995, anche per precisazione delle conclusioni e contestuale assegnazione a sentenza, come disposto dal pretore coll'ordinanza pronunciata all'udienza 4 novembre 1993. Nessuna delle parti ha pero' depositato il proprio fascicolo, sicche', superato eventualmente il dubbio circa l'art. 84 del c.p.c., la causa dovrebbe essere trattenuta a sentenza senza ulteriore dilazione. La scelta dei procuratori sostituiti, ossia di non depositare i propri fascicoli, e' del tutto legittima, posto che nel vigente ordinamento (artt. 169, 115 del c.p.c., e 111 disp. att. del c.p.c.) ogni parte e' libera di omettere la restituzione dei documenti, nonche' dello stesso proprio fascicolo, prima dell'udienza di discussione (Cass. I, 5 dicembre 1992, n. 12947), esponendosi cosi' liberamente alle conseguenze circa la valutazione delle prove raccolte (e non fornite), in quanto nessun legittimo impedimento risulta ravvisabile rispetto alla omissione dei procuratori delle parti. Non puo' infatti dimenticarsi che la proclamata astensione dalle udienze, indipententemente da ogni considerazione in ordine alla sua legittimita' alla luce della legge n. 146/1990, concerneva appunto ed esclusivamente l'attivita' di udienza, laddove il deposito del fascicolo di parte ben puo' avvenire anche in cancelleria, entro la data dell'udienza di discussione. In altri termini, l'omesso (legittimo e libero) deposito del fascicolo comporta soltanto la conseguenza che, dei documenti ed atti ivi eventualmente contenuti, dei quali non esista copia nel fascicolo di ufficio, non si potra' tenere conto alcuno. Si pone pero' il problema se, per converso, vi sia o no la possibilita' di decidere la causa senza consentire alla parte, il cui procuratore si era astenuto dall'attivita' di udienza (che' a cio' solo risulta circoscritta la forma di protesta attuata dagli avvocati in questo periodo) di depositare il proprio fascicolo. Per vero, tale dubbio andrebbe, allo stato della legislazione, risolto in senso negativo, in quanto nel vigente ordinamento processuale non e' consentito al giudice, in sede di discussione della causa, di autorizzare il successivo deposito degli atti e fascicoli di parte in un termine fissato allo scopo (Cass. II, 28 gennaio 1987, n. 791). Neppure poteva disporsi, del resto, oltretutto in mancanza di istanze in tal senso, il rinvio dell'udienza di discussione ai sensi dell'art. 115 disp. att. del c.p.c., posto che non si reputa possibile di qualificare come grave impedimento quello opposto dalle parti presenti alla discussione e all'assegnazione a sentenza. Deve dunque confermarsi che quella del difensore astenutosi (di non depositare il proprio fascicolo) sia solo una libera scelta, e percio' stesso priva dei caratteri tipici del grave impedimento (il quale deve sempre trovare fonte in un fatto non riconducibile alla volizione e libera determinazione del soggetto che lo invoca). Volontaria omissione, dunque, non suscettiva di impedire il verificarsi degli effetti che la legge fa discendere dal mancato compimento dell'attivita' medesima. Per meglio individuare gli effetti ricondotti dalla legge processuale vigente a quel tipo di inerzia, occorre applicare, a parere del giudicante, la disciplina della rinuncia al mandato (a difendere tecnicamente la parte assistita), posto che di tale rinuncia, ancorche' temporanea e da particolari ragioni motivata, la condotta omissiva del procuratore assume tutti i connotati obiettivi. L'art. 85 del c.p.c., al riguardo, prescrive che la rinuncia alla procura sia priva di effetto, per le altre parti del processo (almeno sino alla sostituzione del procuratore rinunciante al mandato). Tale norma non impone, dunque, al giudice di verificare che la parte sostanziale, abbia avuto preventiva e tempestiva notizia della astensione del proprio procuratore (ossia, della temporanea rinuncia al mandato a costui conferito), e quindi che essa abbia potuto ponderare l'opportunita' eventuale di provvedere diversamente alla propria difesa. Da cio' discende, nell'opinione di questo giudicante, il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 85 del c.p.c. per contrasto cogli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, nella parte in cui, impedendo al giudice di verificare che la parte sostanziale nulla eccepisca sulla libera scelta del proprio difensore astensionista o comunque consentendo che anche l'astensione dall'espletamento (nel corso dell'udienza) del mandato difensivo per libera scelta del procuratore resti inefficace rispetto alle altre parti costituite, viola l'art. 3 della Costituzione (in quanto lede l'eguaglianza tra cittadini i cui procuratori non si astengano dall'udienza e cittadini i cui procuratori si astengano, rimettendo sostanzialmente al procuratore il grado di tutela della dignita' della parte); l'art. 24 della Costituzione (in quanto, pur essendo la difesa nel processo qualificata come diritto inviolabile di tutti i soggetti, la sua concreta realizzazione viene invece rimessa alla discrezionale ed incontrollabile scelta del procuratore ritualmente investito di mandato difensivo); 41 della Costituzione (nella parte in cui consente che l'iniziativa economica del professionista intellettuale, alla cui opera le parti del processo debbono normalmente ricorrere, possa svolgersi in contrasto coll'utilita' sociale e colla liberta' e dignita' del mandante). Quanto al parametro costituzionale rappresentato dall'art. 3, mette conto individuare a quale generale canone di coerenza dell'ordinamento (Corte costituzionale, sentenza n. 204/1982), da intendersi (oltre che in riferimento al profilo formale) anche sotto il profilo sostanziale, id est di contenuto della legge) appare collegata la denunciata violazione. Reputa in proposito il pretore che la norma sospettata di incostituzionalita' determini una disparita' di fatto che incide, e gravemente, sull'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (quello alla difesa e alla prova), rendendo cosi' rilevante (Corte costituzionale nn. 193/1973, 131/1979, 21/1961, 80/1966) la incongruenza del sistema normativo che ne riverbera, sia pure solo in via di mero fatto. Tale fattispece, dunque, si sottrae alla valutazione relazionale, ossia non necessita dell'individuazione di altra norma ordinaria costituente il cd. tertium genus comparationis (ex multis: Corte costituzionale nn. 618/1987, 166/1982). La disparita' e la irragionevolezza che se ne inferisce, consiste invero nel mero fatto dell'identico trattamento normativo di ipotesi fattuali radicalmente differenti, come quelle innanzi illustrate. Altrettanto e' da dirsi per la diversa possibilita' per gli interessati (a seconda che i rispettivi procuratori aderiscano o non aderiscano alla protesta) di partecipare all'esito del giudizio, che appunto si svolgerebbe in condizioni diseguali senza che cio' appaia giustificato da gravi motivi razionalmente inscrivibili nel pubblico interesse (Corte costituzionale, sentenza n. 2/1974). Che' se, poi, si ritenesse insussistente tale irragionevole disparita', verrebbe allora in considerazione la sospetta incostituzionalita' dell'art. 85 del c.p.c. tout court nella parte in cui non riconosce efficacia alla rinuncia al mandato difensivo, senza tener conto che di tale rinuncia sia stata data tempestiva notizia alla parte prima dell'udienza in cui la rinuncia medesima viene dichiarata. In tal caso, invero, rimanendo esclusa, per il giudice, la possibilita' di valutare se la parte sia stata posta per tempo in condizione di provvedere alla sostituzione del rinunciante, ed indipendentemente da ogni conseguenza contrattuale nei rapporti interni fra difensore e assistito, risulta preclusa pure la possibilita' di disporre un rinvio, anche breve, per permettere alla parte di esplicare in concreto le proprie difese. In tal caso, il tertium genus comparationis risulta essere la disciplina dettata per il caso di morte o impedimento del procuratore (art. 301 del c.p.c.), norma che, per converso, assicura comunque alla parte la possibilita' di tener fermo il processo sino ad ulteriore impulso. Passando ad una breve disamina del parametro di cui all'art. 24 della Costituzione, si osserva solo che, pacificamente, tale norma fondamentale garantisce non solo il diritto alla difesa tecnica, bensi' pure quello all'autodifesa, e quello alla prova. Orbene, a parere del giudicante, la esistenza di tali principi impone di fondatamente dubitare della costituzionalita' di una norma che, pel semplice fatto di una protesta del difensore che in nulla impinge i rapporti col proprio assistito, preclude alla parte di svolgere da se' quella semplice attivita' che si risolve nel deposito del fascicolo contenente gli atti a suo tempo gia' redatti dal difensore tecnico, e i documenti sui quali si fonda la prova delle proprie ragioni (si deve qui ricordare che, a sensi dell'art. 66 della legge 22 gennaio 1934, n. 36, agli avvocati e procuratori e' fatto divieto di rifiutare la restituzione degli atti della causa, nonche' delle scritture ricevute dal cliente, financo in caso di mancato pagamento degli onorari, sicche' e' da affermare che la parte sarebbe comunque legittimata a rientrarne in possesso malgrado la dichiarata adesione all'astensione per protesta collettiva). Infine, in ordine alla violazione dell'art. n. 41/2 della Costituzione, se e' vero che, nell'opinione generale il limite del danno alla sicurezza, alla liberta' e alla dignita' umana va riferito specialmente alle situazioni soggettive dei lavoratori dipendenti dell'imprenditore, nondimeno appare chiaro che, per la testuale estensione della norma, essa non puo' non riverberare anche sui rapporti fra il professionista ed i soggetti che, per legge, della sua opera debbono indefettibilmente valersi per veder realizzato un altro loro diritto costituzionalmente proclamato. Analoghe considerazioni debbono essere, da ultimo, svolte in riferimento all'art. 169/2 del c.p.c., nella parte in cui, secondo l'interpretazione costante del giudice di legittimita', che costituisce quindi il cd. diritto vivente, vieta la fissazione di un termine, successivo all'udienza di discussione, per consentire il deposito del fascicolo non depositato in tale circostanza, senza distinguere tra le diverse possibili ragioni del mancato deposito (ossia, senza distinguere fra l'atto di protesta collettiva attuato da uno soltanto dei procuratori delle parti costituite e ogni altro caso di mancato deposito). La questione della illegittimita' costituzionale degli artt. 85 e 169/2 del c.p.c. appare rilevante ai fini del decidere poiche', qualora codesta onorevole Corte decidesse nel senso della illegittimita' di anche una sola delle due norme denunciate, il pretore dovrebbe assegnare, alla parte il cui procuratore si astenne, un termine onde consentirle di depositare il proprio fascicolo, ovvero di effettuare ogni miglior valutazione del caso. Qualora invece la norma non venisse giudicata costituzionalmente illegittima, il pretore, senza fissare alcuna altra udienza, si doverebbe verosimilmente limitare a decidere allo stato degli atti.