LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 795/93 del ruolo generale degli affari contenziosi civili e vertente tra Fratini Alvaro, Fratini Renzo, Fratini Renza, Fratini Renato, Fratini Renata, Fratini Ranieri tutti rappresentati e difesi dall'avv. Franco B. Campagni del foro di Prato ed elettivamente domiciliati in Firenze, via G. Modena, 21 (studio Singlitico) come da procura a margine dell'atto introduttivo, attori e il comune di Prato, in persona del sindaco pro-prempore rappresentato e difeso dall'avv. prof. Giuseppe Stancanelli e dallavv. Andrea Sansoni nel cui studio in Firenze, via Masaccio, 172 ha eletto domicilio, come da procura in calce alla copia notificata dell'atto di opposizione convenuto. Con atto di citazione notificato il 7 giugno 1993 Fratini Alvaro, Renzo, Renza, Renato, Renata, Ranieri convenivano in giudizio il comune di Prato esponendo che con decreto 10 maggio 1993, n. 22845 il sindaco di Prato aveva disposto l'esproprio di mq 4.500 di terreni di cui erano comproprietari catastalmente identificati al N.C.T. foglio n. 93, particelle 524, 528, 529 e 230 contro una indennita' provvisoria di L. 81.016.290 che era stata rifiutata perche' incongrua, trattandosi di terreni in parte legalmente edificabili ed in parte destinati alla viabilita' ma, con l'inserimento nei p.e.e.p., divenuti in concreto edificabili ed edificati. Concludevano chiedendo di condannare il comune al pagamento della indennita' definitiva di espropriazione dovuta dai ricorrenti a seguito del procedimento di cui e' causa, per i terreni in premessa, previa deterininazione della stessa, in tesi, secondo il valore di cui all'art. 5-bis della legge n. 359/1992 o, in subordine, per l'ipotesi di dichiarata incostituzionalita' della citata legge n. 359/1992, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 2359/1865, nell'importo risultante dalla espletata c.t.u., il tutto con gli interessi legali dal di' del dovuto al saldo; condannare, altresi', la p.a. espropriante, al pagamento della maggior somma per la rivalutazione monetaria del credito dalla data di costituzione in mora e, comunque, dalla data dell'esproprio (12 maggio 1993); con vittoria di spese. Si costituiva il comune di Prato, esponendo che i terreni, ricadenti nel piano di zona Paperino erano stati valutati, provvisoriamente, in L. 60.000/mq ed il valore venale di L. 270.000.000 era stato poi dimidiato sulla base del reddito dominicale coacervato; dall'importo risultante (L. 135.027.150) era stato poi detratto il 40% che peraltro il comune, in caso di accettazione, si era dichiarato disposto a corrispondere. Contestava poi la domanda come generica e la pretesa di rivalutazione come infondata; chiedeva la esibizione della denuncia I.C.I. e concludeva chiedendo di dichiarare inammissibile e comunque respingere perche' infondata la domanda avanzata da parte attrice; in ogni caso ridurre l'entita' dell'indennita' di espropriazione qualora gli attori avessero dichiarato ai fini I.C.I. un valore inferiore a quello determinato offerto e depositato in via provvisoria dal comune. Esperita c.t.u., veniva depositata dichiarazione degli attori di accettazione della indennita' calcolata dal c.t.u.; alla stessa udienza il comune eccepiva la irrilevanza dell'atto di accettazione, trattandosi di esproprio successivo al decreto-legge n. 333/1992. Con provvedimento presidenziale del 22 giugno 1996, veniva riunito al predetto procedimento il procedimento n. 450/1996 rg. nel quale, con atto notificato il 2 aprile 1996, gli attori, dopo aver ripetuto quanto gia' formava oggetto del precedente atto di opposi'zione ed aver rilevato che la c.t.u. gia' esperita quantificava in L. 624.270.000 il valore dell'area espropriata, esponevano che, con decreto 11 marzo 1996, n. 786 notificato il 13 marzo 1996, il sindaco di Prato aveva quantificato l'indennita' definitiva d'esproprio in L. 183.600.000 pari a L. 68.000/mq previa riduzione del 40%. Contro tale ulteriore stima intendevano proporre opposizione data la manifesta incongruita' della ultima indennita' definitiva, chiedendo la liquidazione della indennita' stimata dal c.t.u., con interessi legali e rivalutazione. Concludevano in tesi ed in via principale: a) accertare e determinare in L. 624.270.000 l'indennita' definitiva di esproprio per cui e' causa e, conseguentemente, condannare il comune di Prato in persona del sindaco pro-tempore al pagamento di detta indennita' definitiva di espropriazione dovuta agli opponenti a seguito del procedimento di cui e' causa, per i terreni in premessa, come da c.t.u. dell'ing. Gino Venturicci agli atti ed accettata dai comparenti, con gli interesi legali dal di' del dovuto al saldo; b) in ipotesi subordinata accertare e determinare la giusta indennita' di esproprio per cui e' causa e, quindi, condannare il comune al pagamento della indennita' definitiva d'esproprio nella misura che potra' risultare sulla base dell'eventuale espletanda c.t.u., con gli interessi legali dal di del dovuto al saldo; in ogni caso condannare l'espropriante al pagamento della maggior somma per rivalutazione monetaria del credito dalla data di costituzione in mora (17 febbraio 1993) e, comunque, dalla data dell'esproprio (12 maggio 1993) e, in ogni caso, dalla data della citazione in giudizio (7 giugno 1993). Con vittoria di spese. Si costituiva il comune di Prato, eccependo la litispendenza ma, conclusivamente, chiedendo la riunione dei due procedimenti e, nel merito, la determinazione della giusta indennita' di esproprio e di occupazione; previa produzione della denuncia I.C.I. La causa veniva ritenuta in decisione all'udienza collegiale del 18 aprile 1997. Tanto premesso, si osserva: stabilisce l'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504: "Indennita' di espropriazione. In caso di espropriazione di area fabbricabile l'indennita' e' ridotta ad un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall| espropriato ai fini dell'applicazione dell'imposta qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennita' di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti. In caso di espropriazione per pubblica utilita', oltre all'indennita', e' dovuta una eventuale maggiorazione pari alla differenza tra l'importo dell'imposta pagata dall'espropriato o dal suo dante causa per il medesimo bene negli ultimi cinque anni e quello risultante dal computo dell'imposta effettuato sulla base della indennita'. La maggiorazione, unitamente agli interessi legali sulla stessa calcolati, e' a carico dell'espropriante". E' essenziale rilevare, in fatto, che l'espropriazione non venne preceduta da occupazione. La circostanza e' pacifica in causa e le conclusiva richiesta del comune - di determinare anche l'indennita' di occupazione - imputabile ad un evidente lapsus. La circostanza e' rilevante perche' esclude a priori che l'imposta potesse ricadere su soggetti diversi dai proprietari, in relazione al rilievo che "l'imposizione I.C.I. non tende a colpire solo i proprietari ma, piu' in generale, i titolari delle situazioni previste dall'art. 3, in quanto idonee, nella loro varieta', ad individuare di norma coloro che, avendo il godimento dei bene, si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attivita' gestionali dei comuni" (Corte cost. n. 111/1997). Poiche' l'esproprio fu' disposto con decreto sindacale del 10 maggio 1993 p.g. n. 22845, e' indubbio che i proprietari erano tenuti a presentare la dichiarazione I.C.I. entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi mentre il versamento dell'imposta, dovuta per il periodo 1 gennaio 1993-9 maggio 1993, doveva essere effettuato secondo la prevista rateizzazione, a giugno e dicembre dello stesso anno. Ma - e' pacifico - l'adempimento e' stato omesso: gli attori non hanno depositato la dichiarazione, nonostante le reiterate richieste del comune, il consulente tecnico d'ufficio, nonostante specifico quesito, non ha indicato il valore I.C.I. del terreno e in nessuno degli scritti difensivi degli attori si assume che la dichiarazione e' stata, a suo tempo, presentata. D'altra parte, e' decisamente rilevante, ai fini della decisione, determinare quale disciplina sia applicabile nella ipotesi in esame, giacche' la norma nulla prescrive nel caso che il contribuente abbia omesso la dichiarazione e non sembra che la lacuna possa essere superata in via interpretativa. A) Se si considera che l'assenza del parametro si risolva a vantaggio dell'espropriato, nel senso dell'inapplicabilita', ne risulterebbe premiata la evasione, e si verificherebbe, comunque, una evidente disparita' di trattamento rispetto a coloro che, invece, hanno regolarmente effettuato la dichiarazione a fini I.C.I. e la cui indennita' viene quindi ad essere, necessariamente, commisurata al valore dichiarato. B) Se si ritiene - come sostiene il comune - che l'omessa dichiarazione comporta la valutazione del terreno come agricolo, la soluzione non trova riscontro ne' nella disciplina tributaria dell'imposta ne' nella disciplina amministrativa della espropriazione e, nel caso in esame, e' contraddetta dalle risultanze della c.t.u. che attribuiscono al terreno espropriato - con considerazioni e criteri del tutto condivisibili - potenzialita' edificatoria legale e di fatto. C) Se si ipotizza, ancora, che l'omessa dichiarazione equivalga ad una dichiarazione di valore pari allo zero, la soluzione appare in contrasto con il principio del giusto indennizzo e non sembra giustificarsi neppure secondo la disciplina tributaria che prevede, in caso d'omissione, non l'esonero dal tributo, ma l'accertamento d'ufficio. D) Se si ritiene - infine, perche' altre soluzioni non sembrano percorribill - che alla dichiarazione omessa sopperisca l'accertamento d'ufficio (del comune - art. 11.2 del decreto legislativo n. 504/92 - o, nel caso, della amministrazione finanziaria - art. 18.3 dello stesso decreto), la soluzione, oltre a snaturare il meccanismo previsto dal legislatore, presumibilmente inteso a punire l'obbligato per la sottostima dell'area, lascia il problema insoluto quando l'accertamento d'ufficio manchi o ritenga la natura agricola del terreno. Inoltre, le ricadute sulla disciplina dell'espropriazione importerebbero l'abrogazione, per incompatibilita', sia della disciplina della aree fabbricabili dettata dall'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, dal momento che per ogni area fabbricabile espropriata dopo il 1 gennaio 1993 il valore dichiarato o accertato ai fini dell'imposta comunale costituisce ineludibile parametro, sia della disciplina dettata dagli artt. 15 ss. della legge 22 ottobre 1971, n. 865 - stima definitiva dell'apposita commissione, opposizione dinanzi alla corte d'appello e accertamento in unico grado - perche' l'accertamento I.C.I. va impugnato dinanzi alle apposite commissioni nei previsti termini di decadenza e, una volta divenuto definitivo, nessuna norma consente che sia rimesso in discussione in sede di opposizione alla stima. Nessun argomento a favore dell'una o dell'altra soluzione e' reperibile nella legge delega (legge 23 ottobre 1992, n. 421 art. 4.1. a. nn. 5 e 13: "5) determinazione del valore delle aree fabbricabili sulla base del valore venale in comune commercio, esclusi i terreni su cui persista l'utilizzazione agro-silvo-pastorale da parte dei soggetti indicati al n. 10), demandando al comune, se richiesto, con propria certificazione, la definizione di area fabbricabile; negli eventuali procedimenti di espropriazione si assume il valore dichiarato ai fini dell'I.C.I. se inferiore all'indennita' di espropriazione determinata secondo i vigenti criteri. In caso di utilizzazione edificatoria dell'area, di demolizione di fabbricato, di interventi di recupero a norma dell'art. 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, la base imponibile e' costituita dal valore dell'area fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o, ristrutturazione o, comunque, fino alla data in cui il fabbricato e' assoggettato all'I.C.I.; 13) devoluzione delle controversie alla competenza delle commissioni tributarie)" e sembra quindi che la violazione degli artt. 3, 43 e 113 della Costituzione che si ritiene di ravvisare nel caso in esame possa essere addebitata tanto al decreto legislativo per aver omesso ogni sviluppo logico della disciplina delegata ("il silenzio della legge di delegazione non osta all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e completamento della scelta espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese - sentenza n. 141 del 1993) ancorche' il potere debba essere esercitato in modo non solo conforme alle finalita' che l'hanno determinate ma anche aderente al sistema delineato nella legislazione precedente - sentenza n. 28 del 1970 -". Corte costituzionale sentenza 9-22 aprile 1997, n. 111) considerando il coerente sviluppo non soltanto una facolta' ma un obbligo del legislatore delegato, quanto al legislatore delegante; per aver disciplinato l'ipotesi in esame con manifesta violazione delle norme costituzionall gia' richiamate.