IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi degli artt. 23 e 24 della legge n. 87/1953, nella causa civile iscritta al r.g. n. 2558/1990, avente ad oggetto: risarcimento danni, riservata in decisione all'udienza collegiale del 14 gennaio 1997, e pendente tra Caravita Laura di Sirignano, in proprio e quale procuratrice speciale e generale figli Leonetti Elisabetta, Raffaele, Luigi, Giuseppe, Maria Donata, Gian Paolo, Eugenio, Maria Grazia, Maria Piera, Maria Gloria, Maria Cristina, giusta procura generale per notar Incoronato, del 18 novembre 1975, registrato a Napoli il 22 novembre 1975 al n. 162-bis, rappresentata e difesa giusta procura a margine dell'atto di citazione dagli avv.ti Silvano Tozzi e Lodovico Visone, ed elettivamente domiciliati, unitamente agli stessi in Santa Maria Capua Vetere, al corso Aldo Moro, Parco delle Rose, attrice, e il Consorzio A.S.I. di Caserta, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dal dott. proc. Raffaella Cipullo ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Santa Maria Capua Vetere alla via Pierantoni, n. 17, in virtu' di mandato a margine della comparsa di costituzione, convenuto. Conclusioni Per l'attrice, accogliersi la domanda, come formulata nell'atto di citazione. Con ogni conseguenza, anche in ordine alle spese. Per il Consorzio convenuto: come da comparsa di costituzione e, per l'effetto, dichiararsi l'inammissibilita' della domanda attorea, stante la legittimita' dell'occupazione, rimettere la causa sul ruolo istruttorio ordinando la rinnovazione della c.t.u. sulla base dei rilievi del c.t. di parte, con conseguente rigetto della domanda attorea e con vittoria delle spese di giudizio, con attribuzione al procuratore per dichiarazione di anticipazione fattane. Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato alla controparte il 2 aprile 1990, Caravita Laura, in proprio e quale procuratrice speciale dei figli Leonetti Elisabetta, Raffaele, Luigi, Giuseppe, Maria Donata, Gian Paolo, Eugenio, Maria Grazia, Maria Piera, Maria Gloria, Maria Cristina, premesso di essere comproprietaria, tra l'altro, di un suolo situato in Caserta e distinto in catasto terreni di detto comune alla partita 1922, foglio 50, particella 21, conveniva in giudizio il Consorzio A.S.I., assumendo di aver subito l'occupazione di 2574 mq di detto suolo (con destinazione a verde pubblico attrezzato ed in parte a verde di rispetto) ad opera del suddetto Consorzio, il quale aveva intrapreso i lavori per la realizzazione di una strada, che, gia' in data 4 dicembre 1989 si presentavano in stato di avanzata esecuzione. L'attrice lamentava che il Consorzio si era immesso nel possesso del fondo senza notificare ai proprietari alcun decreto di occupazione d'urgenza; che non era stato redatto alcun verbale di stato di consistenza e che, piu' in generale, l'ablazione in parola era avvenuta al di fuori di qualunque schema procedimentale, non essendo intervenuta una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilita'. In conseguenza l'attrice domandava dichiararsi illegittima ed abusiva l'occupazione dei terreni sopra indicati e, per l'effetto, condannare il Consorzio A.S.I. al rilascio del terreno individuato sopra e, in mancanza, al pagamento del valore venale di detto suolo da determinarsi o al momento della liquidazione, o secondo il maggiore valore che la zona ha raggiunto nel tempo dall'occupazione alla liquidazione, nonche' alla rivalsa di tutti gli altri danni arrecati all'istante, con gli interessi legali; al pagamento delle somme dovute per la perdita delle opere e/o manufatti insistenti sul fondo ed andato distrutti a seguito dell'occupazione, oltre agli interessi, in uno al deprezzamento della residua proprieta', da considerarsi come reliquato, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 2359/1865, non essendo piu' la stessa proprieta' economicamente sfruttabile; al pagamento del maggior danno, ai sensi dell'art. 1224, comma 2 del c.c., nonche' al risarcimento dei maggiori danni subiti a seguito della svalutazione monetaria, oltre alle spese tutte del giudizio, con attribuzione ai procuratori antistatari. Instauratosi il contraddittorio si costituivano le parti ed il Consorzio, previa richiesta di riunione del presente giudizio ad altro pendente innanzi al medesimo giudice istruttore per connessione soggettiva ed oggettiva, eccepiva l'inammissibilita' della domanda risarcitoria, atteso che nel caso di specie doveva ritenersi ancora pendente il termine di occupazione legittima previsto del decreto di occupazione d'urgenza, il quale decorreva dal 14 settembre 1988, data dell'immissione in possesso nel fondo, verificatasi in presenza del legale di parte attrice. Il Consorzio, inoltre, deduceva che non era stata stipulata la cessione dell'area per la presenza di iscrizioni e, quindi, per la sola colpa della parte attrice. In ogni caso, essendo ormai realizzata l'opera pubblica nel periodo di occupazione legittima, la domanda di rilascio del fondo non poteva essere accolta. Contestava, infine, l'entita' del preteso danno, in tutte le articolazioni esposte in citazione e contestava l'ammissibilita' della pretesa c.t.u., non vertendosi, nel caso in esame, in materia di occupazione illegittima. Prodotta dalle parti documentazione varia ed espletata la consulenza tecnica richiesta dall'attrice, conclusa l'istruttoria e precisate le conclusioni cosi' come sopra indicate, all'udienza del 14 gennaio 1997 il Collegio si riservava la decisione della causa. Motivi della decisione Il tribunale preliminarmente osserva che la domanda e' ammissibile, vertendosi in tema di occupazione illegittima. Ed invero, dalla documentazione prodotta agli atti e da quanto indicato dal c.t.u. nella relazione, il terreno oggetto di causa, e' rappresentato da una quota parte della particella 21, alla partita 1922, foglio 50, che e' complessivamente estesa in ha. 7.60.03 e che successivamente ha subito un frazionamento, in 12 particelle che si evidenziano con il n. 21 e con altre 11 da 392 a 401. In particolare, e' emerso che il decreto di occupazione d'urgenza emesso dal comune di Caserta in data 16 giugno 1988, con riduzione a 29.000 mq., non comprende l'area destinata all'ampliamento della strada Pozzillo, ma solamente le particelle 403 e 404, le quali formavano, successivamente, oggetto del decreto di esproprio, intervenuto in data 5 marzo 1991, (che, in conseguenza, analogamente, non evidenziava l'area per cui e' causa). In conseguenza, l'eccezione proposta dal Consorzio A.S.I., che aveva contestato la proponibilita' della domanda risarcitoria, deve essere respinta. Il terreno effettivamente occupato risulta di mq. 2830,60, di cui mq. 949,59 di strada ampliata e mq. 1881,01, di area reliquata. In ordine alla domanda di rilascio del fondo, la stessa non puo' trovare accoglimento, atteso che, il comitato del Consorzio AS.I., aveva approvato il piano esecutivo di espropriazione e promosso la procedura di espropriazione, in conseguenza. Quindi, prima di esaminare il merito della controversia, e premesso che la domanda di rilascio del fondo non puo' trovare accoglimento, essendo intervenuta l'approvazione del piano esecutivo di espropriazione ad opera del comitato direttivo del Consorzio A.S.I. di Caserta con deliberazione n. 194 del 16 luglio 1987 ed essendosi, inoltre, nel frattempo, verificatasi la irreversibile trasformazione del fondo, attraverso la realizzazione della strada, il tribunale reputa necessario analizzare un'ulteriore problematica preliminare alla domanda di risarcimento del danno. In virtu' della modifica apportata dall'art. 3, comma 65, della legge 21 dicembre 1996, n. 662 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"), - norma entrata in vigore dal 1 gennaio 1997 e pertanto prima della decisione di questo giudizio - l'applicazione del criterio legale di determinazione delle indennita' espropriative di cui all'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 359/1992 e' stata estesa, seppure con l'introduzione di un correttivo, rispetto alla precedente stesura di cui all'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive. Come e' noto, l'art. 5-bis cit. nel testo originario, disponeva, tra l'altro (comma n. 1), che fino all'approvazione di una "organica disciplina per tutte le espropriazioni" preordinate alla realizzazione di opere di pubblica utilita', la misura delle indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di cui all'art. 13, terzo comma, della legge n. 2892 del 1895, sostituendosi in ogni caso al parametro dei fitti coacervati dell'ultimo decennio quello del reddito dominicale rivalutato di cui all'art. 24 e seguenti del t.u. 22 dicembre 1986, n. 917 (in sostanza l'importo dell'indennita' si calcola operando la media aritmetica tra il valore venale del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci anni), e riducendosi poi l'importo ottenuto del 40% (salvi i casi di cessione volontaria e quelli equiparati a seguito della sent. n. 283/1993 della Corte costituzionale). Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei criteri indennitari sopra indicati solo i casi in cui l'indennita' fosse stata accettata dalle parti o fosse divenuta non impugnabile con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 332/1992 (in pratica all'8 agosto 1992). L'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, poi dichiarato incostituzionale, con la sentenza 2 novembre 1996, n. 369, aveva sostituito integralmente tale ultimo comma, dettando: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di conversione del presente decreto". L'art. 3, comma 65 della nuova legge 23 dicembre 1996, n. 662, prevede che: "In caso di occupazioni illegittime dei suoli per causa di pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione dell'indennita' di cui al comma 1, con esclusione della riduzione del 40 per cento. In tale caso, l'importo del risarcimento e' altresi' aumentato del 10 per cento. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato". Che il risarcimento dei danni di cui al nuovo disposto normativo sia proprio quello relativo alla perdita della proprieta' nell'ipotesi di c.d. "occupazione acquisitiva" (o "accessione invertita") non sembra seriamente contestabile, tenuto conto della correlazione prevista dalla legge tra detto valore e l'indennita' di espropriazione, e considerato che, nella materia de qua, il solo altro risarcimento ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea illegittima, per la determinazione del quale non appare proponibile il ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore c.d. "pieno", o venale, del suolo). Sembra evidente, dunque, l'intenzione del legislatore che, sollecitato presumibilmente dalla necessita' di rispondere alle ricorrenti esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto di assimilare, sul piano patrimoniale, le conseguenze derivanti dalle espropriazioni legittime e quelle dipendenti dalle illegittime ablazioni di "fatto", poste in essere dalla p.a. o dai soggerti per conto della stessa operanti, facendo salve solo le determinazioni divenute inoppugnabili per effetto di giudicato, sebbene attraverso una formulazione di norma provvisoria, in quanto applicabile alle occupazioni anteriori al 30 settembre 1996. Prescindendo da ogni considerazione, non rilevante nella fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale dell'ultima disposizione, e' certo che essendo ancora controverso nella vertenza in esame, tra l'altro, l'importo del risarcimento dovuto all'attrice in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva", non si e' ancora formato un "giudicato" in ordine all'"entita'" di tale spettanza e, pertanto, occorre applicare necessariamente il ius superveniens innanzi esaminato per calcolare l'importo del risarcimento dovuto. Tanto premesso, osserva il tribunale che la eliminazione dell'abbattimento del 40 per cento, per la liquidazione del danno e l'aumento del 10% sull'importo cosi' ottenuto, come operato dalla norma in esame, non sottrae la normativa richiamata dalle censure gia' in precedenza evidenziate con riguardo all'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549. Ed invero, anche nella presente stesura, il richiamo all'applicazione dei criteri di determinazione dell'indennita' di esproprio, ai fini del calcolo del risarcimento del danno con una sostanziale assimilazione tra le conseguenze patrimoniali delle ablazioni lecite e di quelle illecite, si risolve in una non giustificata attenuazione, se non elusione, del principio di legalita' delle espropriazioni. Questo, infatti, e' stato posto dal legislatore a garanzia del diritto di proprieta' privata che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della suprema Corte di cassazione e della Corte costituzionale, puo' essere si' sacrificato (salvo indennizzo) per corrispondere alle preminenti esigenze della collettivita', tenuto anche conto della funzione sociale costituzionalmente attribuita al diritto dominicale, ma (soltanto) nei casi previsti dalla legge e nel rispetto delle rigorose forme dei procedimenti amministrativi finalizzati alla espropriazione. I seri dubbi di legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, si pongono percio' in ordine ad un duplice profilo: 1) per l'ingiustificata discriminazione, rispetto ad altre categorie di soggetti passivi di atti illeciti, che la norma in esame introduce a danno dei titolari dei diritti di proprieta' immobiliare illegittimamente acquisiti dalla p.a. (o da chi, per essa, si sia avvalso dell'istituto dell'occupazione acquisitiva), in quanto nei confronti ed a discapito dei predetti la norma di cui all'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, prevede una vistosa deroga ad uno dei principi basilari dell'ordinamento civilistico, ai termini del quale chi abbia, per effetto della violazione della fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito un danno (ossia una decurtazione del proprio patrimonio) ha diritto all'integrale ricostituzione dello stesso a carico dell'autore dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 del c.c.); 2) per la preminente ed ingiustificata assimilazione agli effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi nel rispetto delle regole legali che le disciplinano e di quelle ablazioni "di fatto", che si verificano in conseguenza di un'attivita' materiale svolta dalla p.a. non prestando osservanza alle regole medesime. L'eccessivo accostamento, tra la liquidazione dell'indennita' di esproprio e quella del danno derivante dall'occupazione c.d. "acquisitiva" discende dal rilievo che, nella norma in esame, da un lato non e' stato previsto un autonomo criterio di liquidazione del danno, (cioe', la eliminazione dell'abbattimento del 40 per cento, che poteva essere raggiunto anche con la precedente stesura dell'art. 5-bis, comma 6, della legge n. 359/1992, come modificato dall'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, addivenendo, astrattamente, alla cessione volontaria del bene) dall'altro, e nel contempo, il "correttivo" adottato dell'aumento del 10% appare irrisorio e non idoneo a ripristinare quel contemperamento dei contrapposti interessi, pubblico e privato, che, solo in casi eccezionali, dovrebbe giustificare una limitazione del risarcimento da fatto illecito. D'altro canto tale sostanziale "assimilazione" dei due criteri, non puo' trovare adeguata giustificazione nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica, che sembrano aver indotto il legislatore ad introdurre la censurata disposizione, essendo altri i mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo finanziario (v. artt. 23 e 53 della Costituzione), che il tribunale non reputa possa essere correttamente conseguito attraverso un risparmio di spesa realizzato fornendo un sostanziale incentivo all'illecito posto in essere dalla p.a. Questo infatti sembra essere l'effetto della sostanziale attenuazione delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli per l'espropriante in dipendenza della mancata osservanza del corretto procedimento espropriativo, con il conseguente venir meno della principale remora al compimento di atti illegittimi. Ne', considerando le due diverse situazioni di ablazioni lecite ed illecite dal punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene la sostanziale equivalenza. Se e' vero, infatti, che il sacrificio in termini di diritti dominicali puo' risultare materialmente identico (risolvendosi comunque nella perdita definitiva della proprieta' del bene), deve altresi' osservarsi che non sono affatto uguali le situazioni giuridiche in cui vengono a trovarsi le due indicate categorie di soggetti, in primo luogo in ordine agli strumenti di tutela delle proprie pretese giuridiche che essi possono attivare. Solo chi subisce un procedimento occupativo-espropriativo che si svolge nel rispetto delle regole legali, infatti, ha: 1) la possibilita' di controllare l'iter del procedimento ablatorio e, se del caso, di intervenire nel corso dello stesso quale portatore (quanto meno) di interessi legittimi correlati al compimento dei vari atti procedimentali, potendo anche domandare tutela nelle competenti sedi amministrative e giurisdizionali; 2) il diritto a godere del piu' favorevole regime della prescrizione estintiva, in quanto il suo diritto alla indennita' si estingue nel termine ordinario decennale di cui all' art. 2946 del c.c., mentre nel caso di c.d. "accessione invertita" conseguente ad illecita occupazione, il termine prescrizionale applicabile al diritto di risarcimento dei danni e' quello quinquennale di cui all'art. 2947 cit. del codice civile. Non sembra superfluo sottolineare che la p.a. - per effetto di quanto disposto dalla norma censurata - ha la possibilita' di acquisire la proprieta' dei suoli che le occorrono per la realizzazione delle opere di interesse pubblico semplicemente agendo per le c.d. "vie di fatto", seppure previo il versamento di quelle somme che rappresentano i "correttivi" rispetto alla precedente formulazione della norma dichiarata costituzionalmente illegittima, o, comunque, eludendo la disciplina procedimentale predisposta dal legislatore per il conseguimento del risultato, e quando agisca in tal senso si vede pure riconoscere una piu' favorevole disciplina delle obbligazioni contratte nei confronti del soggetto passivo. E', pertanto, agevole ipotizzare che la p.a. continuera' a preferire la via dell'illecito aquiliano ed a non rispettare piu' le regole legali del procedimento ablatorio, atteso che, attraverso l'espropriazione "di fatto", essa continuera' a lucrare un notevole risparmio rispetto ad una qualsiasi ipotesi di liquidazione del danno da fatto illecito, con conseguente, tendenziale ma inevitabile abrogazione delle norme sull'espropriazione. La non idonea diversificazione tra il criterio di liquidazione del danno e quello di liquidazione della indennita' di esproprio, determina l'insorgere di seri dubbi di legittimita' della norma in esame anche in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, considerato che la labile differenza esistente, quanto agli effetti patrimoniali, tra le due ipotesi esaminate, vanifica del tutto o, comunque, in gran parte, il principio di legalita' delle espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata. In sostanza, posto che a fondamento della dichiarazione di illegittimita' dell'art. 1, comma 65, della legge n. 549, vi e' il rilievo della "radicale diversita' strutturale e funzionale" dell'obbligazione di risarcimento del danno da occupazione illegittima rispetto a quella derivante dall'indennizzo espropriativo, la norma in esame, nella formulazione qui censurata, sembra andare ben al di la' dei "casi eccezionali", in cui il legislatore, secondo l'insegnamento di codesta Corte (cfr. sentenza 2 novembre 1996, n. 369, par. 8.1) "puo' pure ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento del danno", nel senso cioe' che, attraverso tale formulazione, il legislatore senza dubbio favorisce un ricorso generalizzato alla pratica della c.d. "espropriazione di fatto", con conseguente violazione dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione. L'esame che si intende ora sottoporre alla Corte suddetta e', conclusivamente, duplice: I) se sia costituzionalmente legittimo, in relazione all'art. 3 della Costituzione e sotto i due profili sopra esposti, attribuire ai soggetti danneggiati dalle illegittime occupazioni acquisitive un ristoro patrimoniale decurtato (in misura simile, anche se non identica, a quello che, in cospetto di diversi presupposti ed in presenza di specifiche garanzie di legge, viene attribuito ai soggetti legittimamente espropriati); II) se, cosi' come riformulato a seguito della modifica disposta con l'art. 3, comma 65, della legge n. 662/1996, l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 359/1992, non incentivi grandemente il ricorso ad una forma anomala di espropriazione, del tutto svincolata dall'osservanza di garanzie procedimentali e, quindi, in violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Alla luce delle considerazioni esposte, ritenute pienamente soddisfatte le condizioni di cui agli artt. 23 e 24 della legge n. 87/1953, il Collegio reputa necessario rimettere gli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di sua competenza ai termini degli artt. 134 e seguenti della costituzione.