IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi degli artt. 23  e  24
 della  legge  n.  87/1953,  nella  causa  civile  iscritta al r.g. n.
 2558/1990,  avente  ad  oggetto:  risarcimento  danni,  riservata  in
 decisione  all'udienza collegiale del 14 gennaio 1997, e pendente tra
 Caravita Laura di Sirignano, in proprio e quale procuratrice speciale
 e generale figli  Leonetti  Elisabetta,  Raffaele,  Luigi,  Giuseppe,
 Maria  Donata,  Gian Paolo, Eugenio, Maria Grazia, Maria Piera, Maria
 Gloria, Maria Cristina, giusta procura generale per notar Incoronato,
 del 18 novembre 1975, registrato a Napoli il 22 novembre 1975  al  n.
 162-bis, rappresentata e difesa giusta procura a margine dell'atto di
 citazione   dagli   avv.ti   Silvano  Tozzi  e  Lodovico  Visone,  ed
 elettivamente domiciliati, unitamente  agli  stessi  in  Santa  Maria
 Capua  Vetere,  al  corso  Aldo Moro, Parco delle Rose, attrice, e il
 Consorzio A.S.I. di Caserta, in persona del  presidente  pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dal  dott.  proc.    Raffaella  Cipullo  ed
 elettivamente domiciliato presso  la  stessa  in  Santa  Maria  Capua
 Vetere  alla  via  Pierantoni,  n. 17, in virtu' di mandato a margine
 della comparsa di costituzione, convenuto.
                              Conclusioni
   Per l'attrice, accogliersi la domanda, come formulata nell'atto  di
 citazione. Con ogni conseguenza, anche in ordine alle spese.
   Per il Consorzio convenuto: come da comparsa di costituzione e, per
 l'effetto,  dichiararsi  l'inammissibilita'  della  domanda  attorea,
 stante la legittimita' dell'occupazione, rimettere la causa sul ruolo
 istruttorio ordinando la rinnovazione della  c.t.u.  sulla  base  dei
 rilievi  del  c.t.  di  parte,  con conseguente rigetto della domanda
 attorea e con vittoria delle spese di giudizio, con  attribuzione  al
 procuratore per dichiarazione di anticipazione fattane.
                        Svolgimento del processo
   Con  atto di citazione ritualmente notificato alla controparte il 2
 aprile 1990, Caravita Laura, in proprio e quale procuratrice speciale
 dei figli  Leonetti  Elisabetta,  Raffaele,  Luigi,  Giuseppe,  Maria
 Donata, Gian Paolo, Eugenio, Maria Grazia, Maria Piera, Maria Gloria,
 Maria  Cristina,  premesso di essere comproprietaria, tra l'altro, di
 un suolo situato in Caserta e distinto in catasto  terreni  di  detto
 comune  alla  partita  1922,  foglio  50, particella 21, conveniva in
 giudizio il Consorzio A.S.I., assumendo di aver subito  l'occupazione
 di  2574  mq  di  detto  suolo  (con  destinazione  a  verde pubblico
 attrezzato ed in parte a verde di rispetto)  ad  opera  del  suddetto
 Consorzio, il quale aveva intrapreso i lavori per la realizzazione di
 una  strada,  che,  gia'  in  data 4 dicembre 1989 si presentavano in
 stato di avanzata esecuzione.
   L'attrice lamentava che il Consorzio si era  immesso  nel  possesso
 del   fondo   senza   notificare  ai  proprietari  alcun  decreto  di
 occupazione d'urgenza; che non era stato  redatto  alcun  verbale  di
 stato  di  consistenza e che, piu' in generale, l'ablazione in parola
 era avvenuta al di fuori  di  qualunque  schema  procedimentale,  non
 essendo  intervenuta una valida ed efficace dichiarazione di pubblica
 utilita'.
   In  conseguenza  l'attrice  domandava  dichiararsi  illegittima  ed
 abusiva  l'occupazione  dei  terreni sopra indicati e, per l'effetto,
 condannare il Consorzio A.S.I. al rilascio  del  terreno  individuato
 sopra  e,  in mancanza, al pagamento del valore venale di detto suolo
 da determinarsi  o  al  momento  della  liquidazione,  o  secondo  il
 maggiore  valore  che la zona ha raggiunto nel tempo dall'occupazione
 alla liquidazione, nonche' alla rivalsa  di  tutti  gli  altri  danni
 arrecati  all'istante,  con  gli interessi legali; al pagamento delle
 somme dovute per la perdita delle opere e/o manufatti insistenti  sul
 fondo  ed  andato  distrutti  a  seguito dell'occupazione, oltre agli
 interessi, in uno  al  deprezzamento  della  residua  proprieta',  da
 considerarsi  come  reliquato,  ai  sensi dell'art. 23 della legge n.
 2359/1865, non  essendo  piu'  la  stessa  proprieta'  economicamente
 sfruttabile; al pagamento del maggior danno, ai sensi dell'art. 1224,
 comma 2 del c.c., nonche' al risarcimento dei maggiori danni subiti a
 seguito  della  svalutazione  monetaria,  oltre  alle spese tutte del
 giudizio, con attribuzione ai procuratori antistatari.
   Instauratosi il contraddittorio si  costituivano  le  parti  ed  il
 Consorzio,  previa  richiesta  di  riunione  del presente giudizio ad
 altro pendente innanzi al medesimo giudice istruttore per connessione
 soggettiva ed oggettiva, eccepiva  l'inammissibilita'  della  domanda
 risarcitoria,  atteso  che nel caso di specie doveva ritenersi ancora
 pendente il termine di occupazione legittima previsto del decreto  di
 occupazione d'urgenza, il quale decorreva dal 14 settembre 1988, data
 dell'immissione  in  possesso nel fondo, verificatasi in presenza del
 legale di parte attrice.
   Il Consorzio, inoltre, deduceva che  non  era  stata  stipulata  la
 cessione  dell'area  per  la presenza di iscrizioni e, quindi, per la
 sola  colpa  della  parte  attrice.  In  ogni  caso,  essendo   ormai
 realizzata  l'opera pubblica nel periodo di occupazione legittima, la
 domanda di rilascio del fondo non poteva essere accolta.
   Contestava, infine,  l'entita'  del  preteso  danno,  in  tutte  le
 articolazioni  esposte  in  citazione  e  contestava l'ammissibilita'
 della pretesa c.t.u., non vertendosi, nel caso in esame,  in  materia
 di occupazione illegittima.
   Prodotta   dalle   parti   documentazione  varia  ed  espletata  la
 consulenza tecnica richiesta dall'attrice, conclusa  l'istruttoria  e
 precisate  le  conclusioni cosi' come sopra indicate, all'udienza del
 14 gennaio 1997 il Collegio si riservava la decisione della causa.
                         Motivi della decisione
   Il tribunale preliminarmente osserva che la domanda e' ammissibile,
 vertendosi in tema di occupazione  illegittima.
   Ed invero, dalla documentazione prodotta  agli  atti  e  da  quanto
 indicato  dal c.t.u. nella relazione, il terreno oggetto di causa, e'
 rappresentato da una quota parte della particella  21,  alla  partita
 1922,  foglio 50, che e' complessivamente estesa in ha. 7.60.03 e che
 successivamente ha subito un frazionamento, in 12 particelle  che  si
 evidenziano con il n. 21 e con altre 11 da 392 a 401. In particolare,
 e'  emerso  che il decreto di occupazione d'urgenza emesso dal comune
 di Caserta in data 16 giugno 1988, con riduzione a  29.000  mq.,  non
 comprende  l'area destinata all'ampliamento della strada Pozzillo, ma
 solamente  le   particelle   403   e   404,   le   quali   formavano,
 successivamente,  oggetto  del  decreto  di esproprio, intervenuto in
 data  5  marzo  1991,  (che,  in   conseguenza,   analogamente,   non
 evidenziava l'area per cui e' causa).
   In  conseguenza,  l'eccezione  proposta  dal  Consorzio A.S.I., che
 aveva contestato la proponibilita' della domanda  risarcitoria,  deve
 essere respinta.
   Il  terreno  effettivamente occupato risulta di mq. 2830,60, di cui
 mq. 949,59 di strada ampliata e mq. 1881,01, di area reliquata.
   In ordine alla domanda di rilascio del fondo, la  stessa  non  puo'
 trovare  accoglimento,  atteso  che, il comitato del Consorzio AS.I.,
 aveva approvato il piano esecutivo di espropriazione  e  promosso  la
 procedura di espropriazione, in conseguenza.
   Quindi, prima di esaminare il merito della controversia, e premesso
 che  la  domanda di rilascio del fondo non puo' trovare accoglimento,
 essendo   intervenuta   l'approvazione   del   piano   esecutivo   di
 espropriazione  ad  opera del comitato direttivo del Consorzio A.S.I.
 di  Caserta con deliberazione n. 194 del 16 luglio 1987 ed essendosi,
 inoltre, nel frattempo, verificatasi la irreversibile  trasformazione
 del  fondo,  attraverso  la  realizzazione della strada, il tribunale
 reputa necessario analizzare  un'ulteriore  problematica  preliminare
 alla  domanda  di  risarcimento  del  danno. In virtu' della modifica
 apportata dall'art.  3, comma 65, della legge 21  dicembre  1996,  n.
 662  ("Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica"), - norma
 entrata in vigore dal 1 gennaio 1997 e pertanto prima della decisione
 di  questo  giudizio  -  l'applicazione  del   criterio   legale   di
 determinazione  delle  indennita' espropriative di cui all'art. 5-bis
 del decreto-legge n. 333/1992, convertito, con  modificazioni,  nella
 legge  n.  359/1992 e' stata estesa, seppure con l'introduzione di un
 correttivo, rispetto alla precedente stesura di cui all'art. 1, comma
 65, della legge 28 dicembre 1995,  n.  549,  anche  alla  misura  dei
 risarcimenti   dovuti   in  conseguenza  di  illegittime  occupazioni
 acquisitive.
   Come e' noto, l'art. 5-bis cit. nel  testo  originario,  disponeva,
 tra  l'altro (comma n. 1), che fino all'approvazione di una "organica
 disciplina   per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate    alla
 realizzazione   di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura  delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui  all'art.  13,  terzo  comma,  della  legge  n.  2892  del  1895,
 sostituendosi   in  ogni  caso  al  parametro  dei  fitti  coacervati
 dell'ultimo decennio quello del reddito dominicale rivalutato di  cui
 all'art. 24 e seguenti del t.u. 22 dicembre 1986, n. 917 (in sostanza
 l'importo dell'indennita' si calcola operando la media aritmetica tra
 il  valore  venale  del suolo e la rendita catastale rivalutata degli
 ultimi dieci anni), e riducendosi  poi  l'importo  ottenuto  del  40%
 (salvi  i  casi  di cessione volontaria e quelli equiparati a seguito
 della sent. n. 283/1993 della Corte costituzionale).
   Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei
 criteri indennitari sopra indicati solo i casi  in  cui  l'indennita'
 fosse  stata  accettata  dalle parti o fosse divenuta non impugnabile
 con sentenza passata in giudicato alla  data  di  entrata  in  vigore
 della  legge di conversione del decreto-legge n. 332/1992 (in pratica
 all'8 agosto 1992).
   L'art. 1,  comma  65,  della  legge  n.  549/1995,  poi  dichiarato
 incostituzionale,  con  la  sentenza  2  novembre 1996, n. 369, aveva
 sostituito   integralmente   tale   ultimo   comma,   dettando:   "Le
 disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di
 conversione del presente decreto".
   L'art.  3,  comma  65  della  nuova legge 23 dicembre 1996, n. 662,
 prevede che: "In caso di occupazioni illegittime dei suoli per  causa
 di pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30 settembre 1996,
 si   applicano,   per   la  liquidazione  del  danno,  i  criteri  di
 determinazione dell'indennita' di cui  al  comma  1,  con  esclusione
 della  riduzione  del  40  per  cento.  In  tale  caso, l'importo del
 risarcimento e' altresi' aumentato del 10 per cento. Le  disposizioni
 di  cui al presente comma si applicano anche ai procedimenti in corso
 non definiti con sentenza passata in giudicato".
   Che  il  risarcimento  dei danni di cui al nuovo disposto normativo
 sia  proprio  quello   relativo   alla   perdita   della   proprieta'
 nell'ipotesi   di   c.d.  "occupazione  acquisitiva"  (o  "accessione
 invertita") non sembra seriamente contestabile,  tenuto  conto  della
 correlazione  prevista dalla legge tra detto valore e l'indennita' di
 espropriazione, e considerato che, nella  materia  de  qua,  il  solo
 altro  risarcimento  ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea
 illegittima, per la determinazione del quale non  appare  proponibile
 il  ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati (in cui uno dei
 valori da mediare e' dato dal valore  c.d.  "pieno",  o  venale,  del
 suolo).  Sembra  evidente,  dunque, l'intenzione del legislatore che,
 sollecitato  presumibilmente  dalla  necessita'  di  rispondere  alle
 ricorrenti esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto
 di assimilare, sul piano patrimoniale, le conseguenze derivanti dalle
 espropriazioni   legittime  e  quelle  dipendenti  dalle  illegittime
 ablazioni di "fatto", poste in essere dalla p.a. o dai  soggerti  per
 conto  della  stessa  operanti,  facendo salve solo le determinazioni
 divenute inoppugnabili per effetto di giudicato,  sebbene  attraverso
 una  formulazione  di  norma  provvisoria, in quanto applicabile alle
 occupazioni anteriori al 30 settembre 1996.
   Prescindendo  da   ogni   considerazione,   non   rilevante   nella
 fattispecie,  in  ordine  ai  dubbi  di applicabilita' intertemporale
 dell'ultima disposizione, e' certo  che  essendo  ancora  controverso
 nella  vertenza  in  esame,  tra  l'altro, l'importo del risarcimento
 dovuto  all'attrice  in   conseguenza   della   subita   "occupazione
 acquisitiva",  non  si  e'  ancora  formato  un "giudicato" in ordine
 all'"entita'"  di  tale  spettanza  e,  pertanto,  occorre  applicare
 necessariamente  il  ius superveniens innanzi esaminato per calcolare
 l'importo del risarcimento dovuto.
   Tanto  premesso,  osserva  il   tribunale   che   la   eliminazione
 dell'abbattimento  del  40 per cento, per la liquidazione del danno e
 l'aumento del 10% sull'importo cosi'  ottenuto,  come  operato  dalla
 norma  in  esame,  non  sottrae la normativa richiamata dalle censure
 gia' in precedenza evidenziate con riguardo  all'art.  1,  comma  65,
 della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
   Ed    invero,   anche   nella   presente   stesura,   il   richiamo
 all'applicazione dei criteri  di  determinazione  dell'indennita'  di
 esproprio,  ai  fini  del  calcolo del risarcimento del danno con una
 sostanziale  assimilazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni  lecite  e  di  quelle  illecite,  si  risolve  in  una non
 giustificata  attenuazione,  se  non  elusione,  del   principio   di
 legalita' delle espropriazioni.
   Questo,  infatti,  e'  stato  posto  dal legislatore a garanzia del
 diritto di proprieta' privata che, come ripetutamente affermato dalla
 giurisprudenza della  suprema  Corte  di  cassazione  e  della  Corte
 costituzionale,  puo'  essere  si' sacrificato (salvo indennizzo) per
 corrispondere alle preminenti esigenze  della  collettivita',  tenuto
 anche  conto  della funzione sociale costituzionalmente attribuita al
 diritto dominicale, ma (soltanto) nei casi previsti dalla legge e nel
 rispetto  delle  rigorose  forme  dei   procedimenti   amministrativi
 finalizzati alla espropriazione.
   I  seri  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione al
 principio di uguaglianza di cui all'art.  3  della  Costituzione,  si
 pongono percio' in ordine ad un duplice profilo:
     1)   per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad  altre
 categorie di soggetti passivi di atti illeciti, che la norma in esame
 introduce a danno dei titolari dei diritti di proprieta'  immobiliare
 illegittimamente  acquisiti  dalla  p.a.  (o da chi, per essa, si sia
 avvalso dell'istituto dell'occupazione acquisitiva),  in  quanto  nei
 confronti  ed  a  discapito  dei predetti la norma di cui all'art. 3,
 comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, prevede  una  vistosa
 deroga  ad uno dei principi basilari dell'ordinamento civilistico, ai
 termini del quale chi  abbia,  per  effetto  della  violazione  della
 fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito
 un  danno  (ossia una decurtazione del proprio patrimonio) ha diritto
 all'integrale  ricostituzione  dello  stesso  a  carico   dell'autore
 dell'illecito,  soggetto  pubblico  o  privato che sia (art. 2043 del
 c.c.);
     2) per la preminente ed ingiustificata assimilazione agli effetti
 patrimoniali, delle conseguenze  delle  espropriazioni  svoltesi  nel
 rispetto  delle  regole  legali  che  le  disciplinano  e  di  quelle
 ablazioni  "di  fatto",  che  si   verificano   in   conseguenza   di
 un'attivita'  materiale  svolta  dalla  p.a. non prestando osservanza
 alle regole medesime.
   L'eccessivo accostamento, tra la  liquidazione  dell'indennita'  di
 esproprio   e   quella  del  danno  derivante  dall'occupazione  c.d.
 "acquisitiva" discende dal rilievo che, nella norma in esame,  da  un
 lato  non  e' stato previsto un autonomo criterio di liquidazione del
 danno, (cioe', la eliminazione dell'abbattimento del  40  per  cento,
 che poteva essere raggiunto anche con la precedente stesura dell'art.
 5-bis, comma 6, della legge n. 359/1992, come modificato dall'art. 1,
 comma  65,  della legge n. 549/1995, addivenendo, astrattamente, alla
 cessione  volontaria  del  bene)  dall'altro,  e  nel  contempo,   il
 "correttivo"  adottato  dell'aumento  del  10% appare irrisorio e non
 idoneo  a  ripristinare   quel   contemperamento   dei   contrapposti
 interessi,  pubblico  e  privato,  che,  solo  in  casi  eccezionali,
 dovrebbe giustificare  una  limitazione  del  risarcimento  da  fatto
 illecito.
   D'altro canto tale sostanziale "assimilazione" dei due criteri, non
 puo'  trovare adeguata giustificazione nelle esigenze di contenimento
 della spesa pubblica, che sembrano aver  indotto  il  legislatore  ad
 introdurre  la  censurata  disposizione,  essendo  altri i mezzi e le
 regole preordinate al corretto prelievo finanziario (v. artt. 23 e 53
 della  Costituzione),  che  il  tribunale  non  reputa  possa  essere
 correttamente  conseguito attraverso un risparmio di spesa realizzato
 fornendo un sostanziale incentivo all'illecito posto in essere  dalla
 p.a.   Questo  infatti  sembra  essere  l'effetto  della  sostanziale
 attenuazione   delle   conseguenze   patrimoniali   sfavorevoli   per
 l'espropriante  in  dipendenza  della mancata osservanza del corretto
 procedimento espropriativo,  con  il  conseguente  venir  meno  della
 principale remora al compimento di atti illegittimi.
   Ne',  considerando le due diverse situazioni di ablazioni lecite ed
 illecite dal punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene la
 sostanziale equivalenza.
   Se e' vero, infatti,  che  il  sacrificio  in  termini  di  diritti
 dominicali   puo'   risultare  materialmente  identico  (risolvendosi
 comunque nella perdita definitiva della proprieta'  del  bene),  deve
 altresi'  osservarsi  che  non  sono  affatto  uguali  le  situazioni
 giuridiche  in  cui  vengono  a trovarsi le due indicate categorie di
 soggetti, in primo luogo in ordine agli  strumenti  di  tutela  delle
 proprie  pretese  giuridiche  che  essi  possono  attivare.  Solo chi
 subisce un procedimento occupativo-espropriativo che  si  svolge  nel
 rispetto delle regole legali, infatti, ha:
     1)   la  possibilita'  di  controllare  l'iter  del  procedimento
 ablatorio e, se del caso, di intervenire nel corso dello stesso quale
 portatore  (quanto  meno)  di  interessi   legittimi   correlati   al
 compimento  dei  vari  atti  procedimentali,  potendo anche domandare
 tutela nelle competenti sedi amministrative e giurisdizionali;
     2)  il  diritto  a  godere  del  piu'  favorevole  regime   della
 prescrizione  estintiva,  in quanto il suo diritto alla indennita' si
 estingue nel termine ordinario decennale di cui all'  art.  2946  del
 c.c.,  mentre  nel caso di c.d. "accessione invertita" conseguente ad
 illecita  occupazione,  il  termine  prescrizionale  applicabile   al
 diritto  di  risarcimento  dei  danni  e'  quello quinquennale di cui
 all'art. 2947 cit. del codice civile.
   Non sembra superfluo sottolineare che la  p.a.  -  per  effetto  di
 quanto  disposto  dalla  norma  censurata  -  ha  la  possibilita' di
 acquisire  la  proprieta'  dei  suoli  che  le   occorrono   per   la
 realizzazione  delle opere di interesse pubblico semplicemente agendo
 per le c.d. "vie di fatto", seppure previo il  versamento  di  quelle
 somme  che  rappresentano  i  "correttivi"  rispetto  alla precedente
 formulazione della norma dichiarata  costituzionalmente  illegittima,
 o,  comunque,  eludendo  la disciplina procedimentale predisposta dal
 legislatore per il conseguimento del risultato, e  quando  agisca  in
 tal  senso  si  vede  pure riconoscere una piu' favorevole disciplina
 delle obbligazioni contratte nei confronti del soggetto passivo.  E',
 pertanto,  agevole ipotizzare che la p.a.  continuera' a preferire la
 via dell'illecito aquiliano ed a non rispettare piu' le regole legali
 del procedimento ablatorio, atteso che,  attraverso  l'espropriazione
 "di fatto", essa continuera' a lucrare un notevole risparmio rispetto
 ad una qualsiasi ipotesi di liquidazione del danno da fatto illecito,
 con  conseguente,  tendenziale ma inevitabile abrogazione delle norme
 sull'espropriazione.
   La non idonea diversificazione tra il criterio di liquidazione  del
 danno  e  quello  di  liquidazione  della  indennita'  di  esproprio,
 determina l'insorgere di seri dubbi di legittimita'  della  norma  in
 esame   anche   in   relazione   all'art.   42,  terzo  comma,  della
 Costituzione, considerato che la labile differenza esistente,  quanto
 agli effetti patrimoniali, tra le due ipotesi esaminate, vanifica del
 tutto  o,  comunque,  in  gran parte, il principio di legalita' delle
 espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata.
   In  sostanza,  posto  che  a  fondamento  della  dichiarazione   di
 illegittimita'  dell'art.  1,  comma 65, della legge n. 549, vi e' il
 rilievo  della  "radicale  diversita'   strutturale   e   funzionale"
 dell'obbligazione   di   risarcimento   del   danno   da  occupazione
 illegittima   rispetto    a    quella    derivante    dall'indennizzo
 espropriativo,  la  norma in esame, nella formulazione qui censurata,
 sembra andare ben al  di  la'  dei  "casi  eccezionali",  in  cui  il
 legislatore, secondo l'insegnamento di codesta Corte (cfr. sentenza 2
 novembre  1996,  n.  369,  par.  8.1)  "puo'  pure  ritenere  equa  e
 conveniente una limitazione del risarcimento del  danno",  nel  senso
 cioe'  che, attraverso tale formulazione, il legislatore senza dubbio
 favorisce  un  ricorso  generalizzato   alla   pratica   della   c.d.
 "espropriazione  di fatto", con conseguente violazione dell'art.  42,
 comma terzo, della Costituzione.
   L'esame che si intende  ora  sottoporre  alla  Corte  suddetta  e',
 conclusivamente, duplice:
     I)  se sia costituzionalmente legittimo, in relazione all'art.  3
 della Costituzione e sotto i due profili sopra esposti, attribuire ai
 soggetti danneggiati dalle  illegittime  occupazioni  acquisitive  un
 ristoro  patrimoniale  decurtato  (in  misura  simile,  anche  se non
 identica, a quello che, in cospetto  di  diversi  presupposti  ed  in
 presenza  di  specifiche  garanzie  di  legge,  viene  attribuito  ai
 soggetti legittimamente espropriati);
     II) se, cosi' come riformulato a seguito della modifica  disposta
 con  l'art.  3,  comma 65, della legge  n. 662/1996, l'art. 5-bis del
 decreto-legge n. 333/1992, convertito, con modificazioni, nella legge
 n. 359/1992, non  incentivi  grandemente  il  ricorso  ad  una  forma
 anomala  di  espropriazione,  del tutto svincolata dall'osservanza di
 garanzie procedimentali e, quindi, in violazione dell'art. 42,  terzo
 comma, della Costituzione.
   Alla   luce   delle  considerazioni  esposte,  ritenute  pienamente
 soddisfatte le condizioni di cui agli artt. 23 e 24  della  legge  n.
 87/1953,  il Collegio reputa necessario rimettere gli atti alla Corte
 costituzionale per il giudizio di sua  competenza  ai  termini  degli
 artt. 134 e seguenti della costituzione.