IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Premesso: che Lupoli Alessandro, nato a Leporano il 23 febbraio 1943, attualmente detenuto a Busto Arsizio in espiazione della pena di anni sette di reclusione inflittagli con sentenza del G.I.P. presso il tribunale di Milano in data 12 ottobre 1993, irrev. 11 novembre 1994, per violazioni della legge sugli stupefacenti commesse dal 21 dicembre 1990 e sino al maggio/giugno 1991, proponeva istanze, pervenute il 28 marzo e 24 giugno 1994, intese ad ottenere la remissione del debito: 1) per le spese di mantenimento (L. 1.619.090 iscritte all'articolo di campione penale n. 40404) maturate nel periodo dal 27 maggio 1982 al 24 agosto 1985 sofferto in forza della sentenza 11 luglio 1980 della Corte d'appello di Bologna irrevocabile il 19 novembre 1981 inclusa nel provvedimento di cumulo n. 418/1985 Res, della procura generale di Milano in data 26 marzo 1986; 2) per la pena pecuniaria determinata con il provvedimento di cumulo anzidetto ed iscritta all'articolo di campione penale n. 35338; che con ordinanza in data 30 giugno 1995 questo magistrato dichiarava inammissibile l'istanza con riferimento alla pena pecuniaria non rimettibile e la respingeva nel merito con riguardo alle spese di mantenimento; rilevava in particolare il giudicante che il rapporto disciplinare subito in data 14 novembre 1985 presso la casa circondariale di Treviso, la commissione di grave reato (quello oggi in espiazione in data immediatamente successiva alla sua scarcerazione ed in generale la condotta tenuta in liberta' dal richiedente quale descritta nell'informativa del Comando stazione CC di Ternate escludevano l'esistenza del requisito della regolare condotta; che avverso detta ordinanza l'interessato proponeva ricorso alla Corte di cassazione. che la Corte con sentenza in data 6 dicembre 1995 annullava con rinvio il provvedimento impugnato nella parte in cui respingeva l'istanza di remissione del debito con riferimento a quanto dovuto per spese di mantenimento; statuiva la Corte che "ai fini della remissione, non possono e non debbono essere presi in considerazione fatti esulanti dal periodo di detenzione del soggetto interessato, non essendo gli stessi indicati dalla legge come elementi dai quali dedurre la sussistenza o meno della corretta condotta del detenuto" e che, quanto al rapporto disciplinare preso in considerazione, "si e' valutato negativamente .. un fatto che la medesima autorita' carceraria ha ritenuto non attribuibile al nominato detenuto per impossibilita' di verificare l'esatta dinamica dei fatti ..."; che con ordinanza in data 15 luglio 1996 questo magistrato, riesaminata l'istanza residua alla luce delle anzidette statuizioni, la respingeva nuovamente, valutando a tal fine l'intero periodo detentivo sofferto in esecuzione del provvedimento di cumulo della procura generale nel quale era stata assorbita la sentenza della Corte d'appello di Bologna a cui si riferisce l'articolo di campione penale oggetto dell'istanza; rilevava il giudicante che in relazione a tale provvedimento di cumulo Lupoli Alessandro (a parte i periodi presofferti) pati' detenzione a decorrere dal 10 dicembre 1981, beneficio' di giorni 750 di liberazione anticipata nonche' della misura alternativa della semiliberta', in data 1 giugno 1989 fu scarcerato per concessione della liberazione condizionale, misura peraltro revocata (per ripetuta violazione delle prescrizioni in data 1 marzo 1990 a decorrere dal 6 ottobre 1989, per l'effetto il 18 maggio 1990 rientro' in carcere da cui fu dimesso il 21 dicembre 1990 avendo ottenuto ulteriori 45 giorni di liberazione anticipata; riteneva il giudicante che l'incapacita' del Lupoli di gestire una importantissima occasione trattamentale quale la liberazione condizionale non consentiva il giudizio di meritevolezza richiesto dall'art. 56 o.p.; aggiungeva, a conferma di tale conclusione, che dalla sentenza di condanna attualmente in esecuzione risultava "assai verosimile che Edoardo Atzeni (correo del Lupoli) abbia sempre ''lavorato'' per conto del Lupoli anche nel periodo in cui questi rimase detenuto nel carcere di Varese dal 14 giugno 1990 al 21 dicembre 1990"; che avverso tale ordinanza il condannato proponeva ricorso alla Corte di cassazione; che la Corte con sentenza 6 dicembre 1996 annullava nuovamente con rinvio, ribadendo il principio gia' enunciato e la necessita' di far riferimento alla condotta "strettamente carcerari"; che all'odierna udienza, non comparendo l'interessato, il p.m. e la difesa concludevano come in atti. O s s e r v a Secondo la nuova formulazione dell'art. 56 o.p. (sostituito dall'art. 19 della legge 10 ottobre 1986 n. 663) e' possibile formulare istanza di remissione del debito "fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese". Secondo quanto statuito dalla Corte costituzionale con sentenza 11-15 luglio 1991, n. 342 la proposizione dell'istanza e' inoltre consentita anche a quei condannati che non hanno espiato alcun periodo di detenzione, ne' a titolo di custodia cautelare, ne' di espiazione di pena. Ne consegue che, diversamente da quanto accadeva in precedenza, l'istanza ora puo' essere proposta anche in tempi molto lontani dall'espiazione della pena detentiva e persino indipendentemente dalla stessa. Orbene si e' convinti che tale mutata situazione obblighi il giudicante ad una valutazione globale della condotta tenuta dal richiedente, valutazione che tenga conto sia dei periodi di detenzione eventualmente sofferta, sia dei periodi trascorsi in liberta' sino al momento della decisione. Limitandosi a valutare la condotta tenuta durante l'espiazione del titolo, infatti, si perverrebbe a conseguenze irragionevoli, fortemente lesive del principio costituzionale di uguaglianza e contrastanti con la finalita' rieducativa cui debbono ispirarsi l'esecuzione della pena e gli istituti relativi e fra questi anche quello della remissione del debito. Nel caso in esame, pertanto, essendo quali giudici di rinvio vincolati al principio enunciato dalla Corte di cassazione secondo cui occorre fare esclusivo riferimento alla condotta "strettamente carceraria", non possiamo che eccepirne l'incostituzionalita'. E' innanzitutto indubbio che l'interpretazione dell'art. 56 o.p. data dalla Corte, per il suo carattere vincolante, assume qui rango di diritto vivente e quindi suscettibile di vaglio di costituzionalita'. Inoltre l'anzidetto carattere vincolante rende evidente la rilevanza di tale vaglio nell'odierno giudizio, tanto piu' se si considera che, nello specifico, Lupoli Alessandro ha tenuto in liberta' condotte significative che, in dipendenza dell'esito del sindacato di costituzionalita', potrebbero o meno essere valutate, con possibile incidenza sulla decisione finale. Risulta in primo luogo violato il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Adeguandosi all'interpretazione voluta dalla Corte di cassazione, infatti, si verificherebbero irragionevoli disparita' di trattamento fra il condannato che in relazione al titolo oggetto dell'istanza ha patito un periodo di detenzione, magari brevissimo e risalente, ed il condannato che non ha espiato alcunche'. Nel primo caso, al fine del decidere, si dovrebbe valutare solo la condotta tenuta nel corso della detenzione omettendo di valutare quella successivamente tenuta in liberta'; nel secondo caso, in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 342/1991, dovrebbe invece essere valutata la condotta tenuta nell'intero periodo trascorso sino al momento della decisione. Le conseguenze di un tal modo di procedere sarebbero aberranti; per esempio verrebbe valutata positivamente l'istanza di chi, dopo aver tenuto regolare condotta durante l'espiazione, rimesso in liberta', abbia ripreso a delinquere, ed al contrario negativamente l'istanza di chi, dopo una magari breve e risalente espiazione irregolare, in liberta' abbia mantenuto protratta buona condotta, reintegrandosi nel contesto sociale. La condotta del condannato che non ha espiato alcunche' in relazione al titolo, invece, verrebbe valutata globalmente con attenzione alla sua evoluzione nel tempo e con risultati decisamente piu' equi. Ebbene tale disparita' di trattamento essendo priva di ogni carattere di ragionevolezza contrasta con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Risulta altresi' violato il terzo comma dell'art. 27 della Costituzione. L'esecuzione della pena e conseguentemente gli istituti ad essa correlati non possono essere in contrasto con la finalita' rieducativa imposta dalla norma citata. Non si sottrae a tale regola l'istituto della remissione del debito se, come argomentato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 342/1991, lo stesso ha la finalita' di premiare la regolare condotta quale indice di ravvedimento e di avvenuto recupero e di agevolare il reinserimento sociale del condannato. Orbene le situazioni aberranti dianzi descritte, ove si premia chi ha continuato a delinquere ed irragionevolmente si sanziona chi faticosamente ha intrapreso un percorso di normalizzazione, contrastano con la finalita' indicata dalla norma costituzionale, sicche' l'interpretazione che le consente non puo' che essere censurata. Tali censure di incostituzionalita' risultano a maggior ragione motivate se, come sembra, l'interpretazione qui criticata intenda limitare la valutazione del giudicante alla sola condotta "strettamente carceraria", escludendo la possibilita' di tener conto della condotta tenuta durante l'esecuzione di misure alternative quali l'affidamento o la liberazione condizionale, ed, in caso di istanza di remissione del debito per spese di mantenimento, al solo periodo detentivo a cui tali spese si riferiscono.