IL TRIBUNALE
   Letti  gli  atti  del  procedimento  n.  97/97 a carico di Borrione
 Cesarina, imputata del reato p. e p. dagli artt. 10  e  14  legge  n.
 497/74  per  avere  illegalmente detenuto nella propria abitazione un
 fucile monocanne marca Poli, cal. 24, matr. 9507, e una  carabina  ad
 aria  compressa  cal.  4,5,  matr.  0103,  all'esito dell'istruttoria
 dibattimentale, osserva:
                           Ritenuto in fatto
   Nel corso di periodici controlli nei confronti di detentori di armi
 denunciate presso la stazione dei C.C. di Gabiano, militari dell'Arma
 rinvenivano, in data 24 aprile 1997 presso l'abitazione  di  Borrione
 Cesarina, un fucile monocanne ed una carabina ad aria compressa.
   Nel consegnare le armi, la sig.ra Borrione dichiarava che le stesse
 erano  appartenute  al  marito,  deceduto  il    10  aprile 1996 e di
 ignorare  l'esistenza  dell'obbligo  di  rinnovare  la  denuncia   di
 possesso a nome del de cuius. Sequestrate le armi, la Borrione veniva
 tratta  a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 10 e 14
 legge n. 497/1974.   All'esito  dell'istruttoria  dibattimentale,  il
 p.m.   chiedeva   la  condanna  dell'imputata  per  il  reato  a  lei
 contestato, mentre la difesa  ne  chiedeva  la  declaratoria  di  non
 doversi  procedere  per  oblazione, previa derubricazione di cui agli
 artt. 17 e 38 TULPS.
                          Osserva in diritto
   Rilevanza.
   Per costante  orientamento  giurisprudenziale,  la  fattispecie  in
 esame  ricade  nell'ambito di applicazione delle leggi nn. 895/1967 e
 497/1974, atteso che la portata dell'art. 697 c.p. e'  limitata  alla
 detenzione delle armi proprie da punta e taglio e delle munizioni per
 armi   comuni   da   sparo.   Inoltre,   e'   irrilevante  il  titolo
 dell'acquisto, si che l'obbligo della denuncia incombe anche a carico
 di chi erediti un'arma gia' denunciata dal de cuius (Cass.,  sez.  I,
 17 gennaio 1984, n. 162574).
   Non manifesta infondatezza.
   Ritiene  questo  collegio non manifestamente infondata la questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 10 e 14 legge n. 497/1974,
 nella parte in cui prevedono la punibilita' anche di chi illegalmente
 detiene, nello stesso luogo, armi gia' denunciate da altri  e  a  lui
 pervenute jure succesionis o ad altro titolo, sanzionando la condotta
 con  pena detentiva e pecuniaria e configurando l'ipotesi stessa come
 delitto. Contrasto, a giudizio di questo  collegio,  riferibile  agli
 artt. 3, 27, terzo comma e 97 Costituzione.
   Sotto  il  primo profilo, si ritiene che, come gia' affermato dallo
 stesso giudice delle leggi con sentenza  n. 409/1989,  "il  principio
 di  uguaglianza,  di  cui all'art. 3, primo comma Costituzione, esige
 che la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del  fatto  illecito
 commesso,  in  modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo
 alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
 individuali,  (...)  le  valutazioni  all'uopo  necessarie  rientrano
 nell'ambito   del   potere  discrezionale  del  legislatore,  il  cui
 esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della  legittimita'
 costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il
 limite della ragionevolezza (nello stesso senso, sentenza  n.  343  e
 422   del   1993)".   Infatti  piu'  in  generale  "il  principio  di
 proporzionalita'... nel campo del diritto penale  equivale  a  negare
 legittimita' alla incriminazione che, anche se presumibilmente idonea
 a   raggiungere   penalita'   statuali   di  prevenzione,  producano,
 attraverso  la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi   diritti
 fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
 vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la  tutela  dei
 beni  e valori offesi dalle predette incriminazioni" (sentenza n. 409
 del 1989).
   Nel caso di specie il disvalore sociale della condotta e' minimo in
 relazione alla finalita' cui e' preordinata la norma  incriminatrice,
 identificata  dalla giurisprudenza nella possibilita' per l'autorita'
 di polizia di conoscere il luogo in cui  le  armi  si  trovano  e  le
 persone  che  ne  hanno la disponibilita', in modo da rendere agevoli
 gli opportuni  controlli  e  facilitare  l'esecuzione  di  ordini  di
 consegna  per  ragioni di sicurezza (Cass., sez. I, 17 gennaio 1984 -
 gia' citata).
   Infatti, allorche' l'arma  continui  a  permanere  nel  luogo  gia'
 indicato  nella  denuncia  e  nella  disponibilita' di coabitanti del
 denunciante, la descritta esigenza appare comunque soddisfatta,  come
 avvenuto nel caso di specie.
   Peraltro  l'irragionevolezza  della  norma  (quanto  alla specie ed
 all'entita' della pena), appare in tutta la sua evidenza  ove  la  si
 raffronti  all'ipotesi  della  mancata  ripetizione della denuncia in
 caso di trasferimento delle armi, gia' denunciate ai sensi  dell'art.
 38  TULPS,  da  una  localita'  all'altra del territorio dello Stato,
 ipotesi che non configura  ne'  il  reato  contravvenzionale  di  cui
 all'art.    697  c.p.  ne'  quella di cui agli artt. 10 e 14 legge n.
 497/1974 ma solo la fattispecie contravvenzionale di cui all'art.  58
 del  regolamento  di  attuazione  del suddetto TULPS e dell'art. 221,
 terzo comma, stesso testo. (Cass. sez. I n. 00982 del 30 gennaio 1987
 - conforme sez.  I n. 01024 del 30 gennaio 1985).
   Sotto diverso profilo e cioe' in relazione all'art. 27, terzo comma
 della Costituzione,  la  norma  denunciata  appare  illegittima,  nei
 limiti  di  cui  sopra  perche', essendovi sproporzione fra l'entita'
 della  sanzione  penale  in  rapporto  al   disvalore   dell'illecito
 commesso,  la  finalita'  rieducativa  della pena risulta vanificata,
 come osservato nella citata sentenza della  Corte  costituzionale  n.
 341/1994  e nella precedente n. 343/1993. Tale aspetto, inoltre, puo'
 costituire  elemento  idoneo  ad  ingenerare  nel  soggetto  e  nella
 collettivita' sentimenti di sfiducia nella legislazione ed ancor piu'
 nell'autorita' chiamata ad applicarla.
   Da  ultimo,  appaiono in contrasto con l'art. 97 della Costituzione
 il minimo a la specie dalla pena edittale comminata, che non consente
 l'applicazione di sanzioni  sostitutive  pecuniarie  ed  ostacola  la
 definizione  del  procedimento in sede predibattimentale imponendo la
 celebrazione del processo con relativo esperimento di tutti  i  mezzi
 di  prova  e conseguenti costi per l'organizzazione della giustizia e
 per la stessa collettivita'.
   In conclusione ritiene il tribunale che gli artt.  10  e  14  della
 legge  n. 497/1974 si pongano in contrasto con gli artt. 3, 27, terzo
 comma e 97, primo comma Cost. la' dove non prevedono  un  trattamento
 sanzionatorio  differenziato,  nel  minimo  e  nella  specie,  per la
 fattispecie di detenzione illegale di armi nello  stesso  luogo  gia'
 indicato  nella  denuncia  fatta  da  terzi,  ove  il  detentore  sia
 coabitante, familiare o meno, dal dante causa.